11 SETTEMBRE 2001:

INGANNO GLOBALE

 

Khalid Sheikh Mohammed Il «terrorista»

che SARà GIUDICATO A NEW YORK
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KENNEDY PARLO' DI UN GOVERNO OMBRA

MONDIALE IN PREPARAZIONE

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

J.F.Kennedy parla di "un governo ombra" che

annullerà gli Stati e cancellerà ogni Repubblica

(due anni dopo questo discorso Kennedy venne ucciso!)

 

La parola segretezza è ripugnante in una società aperta e democratica e noi come popolo ci siamo opposti intrinsecamente e storicamente alle società segrete e ai giuramenti segreti e alle riunioni segrete. Siamo di fronte in tutto il mondo ad una cospirazione monolitica e spietata, basata soprattutto su mezzi segreti per espandere la sua sfera d’influenza sull’infiltrazione anziché sull’invasione, sulle sovversioni anziché sulle elezioni, sull’intimidazione anziché sulla libera scelta.

 

E’ un sistema che ha reclutato ampie riserve umane e materiali nella costruzione di una macchina altamente affiatata, altamente efficiente, che combina operazioni militari, diplomatiche, d’intelligence, operazioni economiche scientifiche, politiche. Le sue azioni non vengono diffuse, ma tenute segrete e i suoi errori non vengono messi in evidenza, ma vengono nascosti. I suoi dissidenti non sono elogiati, ma vengono ridotti al silenzio. Nessuna spesa viene contrastata, nessun segreto viene rivelato.

 

Ecco perché il legislatore ateniese Solone decretò che evitare controversie fosse un crimine per ogni cittadino. Sto chiedendo il vostro aiuto nel difficilissimo compito di allertare il popolo americano. Convinto che col vostro aiuto l’uomo diverrà quello che è nato per essere: libero e indipendente (J.F.Kennedy Conferenza stampa del 27 aprile 1961).

 

 

Una delle torri che viene giù come accade nelle

demolizioni controllate, cioè verticalmente.

 

 

INTRODUZIONE

La fine delle "kangaroo courts"?

Fonte web

Khalid Sheikh Mohammed fotografato nel momento della cattura, circa otto anni fa.

L’undici settembre finirà per risolversi là dove è cominciato: a New York.

E’ più importante di quando possa sembrare la notizia che i presunti responsabili dell’undici settembre, ora detenuti a Guantanamo, verranno processati in un tribunale di New York.

Naturalmente, la notizia va letta all’interno della grande bugia, nella quale tutti fingono di credere che davvero Khalid Sheikh Mohammed sia il “mastermind” del 9/11, come lui stesso avrebbe confessato.

E’ solo all’interno di questa bugia che si possono muovere i politici americani senza rischiare di restare bruciati dall’argomento, ed è quindi interessante vedere i giochi di potere che si svolgono intorno a quello che è diventato chiaramente il simbolo del “power shift” – lo spostamento del baricentro di potere – nella elite politico-militare di Washington.

Come noto infatti durante la campagna elettorale Obama aveva fatto della chiusura di Guantanamo un caposaldo irrinunciabile, ...

... elevandolo a simbolo della fine dell’unilateralismo e dell’avvento della nuova diplomazia americana nel mondo.

Quando però si trattò di passare dalla parole ai fatti, sorsero diversi problemi di tipo logistico, che in realtà mascheravano il braccio di ferro fra la vecchia e la nuova guardia, sia all’esterno che all’interno del Pentagono: e il fatto che ora i presunti responsabili verranno processati da un tribunale civile significa che la vecchia guardia ha definitivamente ceduto il comando, rinunciando al controllo di prigionieri di primaria valenza simbolica.

Il ministro degli esteri Hillary Clinton, il sindaco di New York Bloomberg, e lo stesso presidente Obama hanno fatto corpo unico per difendere la decisione del Ministro di Giustizia Eric Holder, che di fatto toglie ai militari la giurisdizione sui presunti attentatori, e riporta il tutto in termini - per quanto relativi - di “civiltà giuridica”.

A questo punto nulla vieta che durante il processo emergano le clamorose contraddizioni – altri le definirebbero ridicolaggini - su cui si è retta fino ad oggi la versione ufficiale: una cosa è sentirci raccontare dalla CIA che Khalid Sheikh Mohammed ha pianificato, organizzato e gestito gli attacchi terroristici dell’undici settembre, ben altra sarà sentire da lui come abbia fatto a farlo da una cabina telefonica del Pakistan.

Sempre che arrivi vivo alla prima udienza, ovviamente.

 

 

11 Settembre 2001 - Inganno Globale

 

 

Il «terrorista» con i figli in ostaggio

Fonte web

Il presidente Obama ha deciso: Khalid Sheik Mohammed sarà processato da un tribunale civile a New York, anzichè dal tribunale militare di Guantanamo. Khalid Sheik Mohammed (familiarmente noto come KSM), anni 37, che in passato è stato autista di bin Laden, è a Guantanamo da oltre quattro anni, e s’è auto-accusato di essere la mente organizzatrice (mastermind) dell’attentato dell’11 settembre.

Ma non solo: si è detto autore anche di una trentina di attentati, alcuni solo progettati: dall’uccisione di Papa Giovanni Paolo II alla fabbricazione di antrace per conto di Osama, dal tentativo di far precipitare un aereo con una scarpa esplosiva sventato in Francia alla strage in due discoteche a Bali, dal progetto di assassinare Jimmy Carter e Bill Clinton all’idea di far saltare l’Empire State Building a New York e le Sears Tower a Chicago, il Big Ben a Londra, il ponte Da Verrazzano a New York, varie ambasciate americane in Indonesia, Australia e Giappone, interessi britannici ed israeliani in Turchia, un hotel di Mombasa frequentato dal personale della El-Al, nonchè il quartier generale NATO in Europa; senza dimenticare, en passant, un progetto per far saltare il canale di Panama e un piano per affondare navi militari americane nello stretto di Hormuz, eccetera, eccetera (1).

«Sono convinto che Mohammed sarà sottoposto all’esame più rigoroso da parte del tribunale. Lo vuole il popolo americano. Lo vuole la mia Amministrazione», ha detto a Tokyo il presidente Barack Obama. I media americani danno gran rilievo al fatto che KSM il mastermind e i suoi complici (quattro altri detenuti a Guantanamo) «Risponderanno delle loro azioni in una corte a pochi passi da dove sorgevano le Torri Gemelle».

«Spero che i procuratori chiedano la pena capitale», ha detto il segretario alla Giustizia Eric Holder, già pronto all’esecuzione. Certo le autorità USA si aspettano un processo altamente emotivo, capace di rinfocolare l’odio popolare per «i terroristi musulmani», e mostrare che giustizia è fatta. Che cosa di meglio di un reo confesso, per spiegare tutti i casi oscuri e discutibili del «terrorismo» dall’11 settembre in poi?

Ma un processo pubblico in un tribunale ordinario non avrà, magari, effetti collaterali indesiderati?

Già il solo fatto che venga processato, e infine liquidato, il solo ed unico malvagio ma geniale organizzatore-ideatore di tutti gli attentati del terrorismo islamico, non indurrà l’opinione pubblica a credere che «la guerra globale al terrorismo» sia giunta alla fine, e non valga più la pena di continuare la famosa caccia a bin Laden?

E poi ci sono le torture, pardon il «ventaglio completo di tecniche d’interrogatorio permesse» nell’America dei diritti umani, a cui KSM è stato sottoposto e grazie alle quali ha confessato: non getteranno un dubbio sul sistema giudiziario antitettorista USA?

Persino il sullodato sottosegretario alla Giustizia Holder ha ammesso di essere a conoscenza che KSM è stato assoggettato a 183 annegamenti simulati (waterboarding), ma si è detto sicuro del fatto che la tortura «non sarà un ostacolo al cammino della giustizia».

Il che significa probabilmente che all’imputato KSM sarà impedito – come nei famosi processi di Mosca staliniani – di denunciare in giudizio i «trattamenti permessi» che ha subìto. A questo scopo, occorrerà la collaborazione attiva dei media, che dovranno dimenticare la deposizione che sui trattamenti subiti KSM ha già riferito a delegati della Croce Rossa Internazionale che sono riusciti a contattarlo a Guantanamo nel 2006.

Secondo questa deposizione, KSM è stato denudato e sottoposto ad interrogatori in quello stato da donne, onde umiliarlo. E’ stato appeso al soffitto della cella nudo in posizione dolorosa per lunghi periodi, e irrorato d’acqua fredda [New Yorker, 8/6/2007 / MSNBC, 9/13/2007]. Durante uno di questi interrogatori, «delle persone mi hanno appiattito sul pavimento e tenuto in quella posizione. Mi è stato inserito un tubo nellano e mi ci è stata iniettata dentro dellacqua. Volevo andare alla toilette perchè mi sentivo come avessi la diarrea, ma solo dopo quattro ore mi è stato dato un secchio da usare come cesso. Sono stato sempre tenuto in piedi con le mani incatenate ad una sbarra del soffitto» [New York Review of Books, 3/15/2009].

Essendo apparso ostinatamente resistente a questi metodi, KSM il terrorista e la mente di Al Qaeda è stato trasferito (il 7 marzo 2003) in una prigione segreta della CIA in Polonia, che è stata identificata come la prigione Stare Kiejkutuy, presso la base militare aerea di Szymany  [New Yorker, 8/6/2007 / New York Review of Books, 3/15/2009].

Qui, «sono stato tenuto un mese in posizione eretta con le mani incatenate al soffitto... quando cadevo addormentato, tutto il mio peso gravava sulle manette, provocandomi ferite aperte e sanguinanti ai polsi».

I medici della Croce Rossa hano constatato cicatrici ai polsi del super-terrorista coerenti col trattamento che dice di aver subito.

«I miei piedi erano diventati gonfi in un mese di continua posizione eretta».

Nel mese del trattamento, KSM ha perso 18 chili. Dice infatti di aver ricevuto un vero pasto solo due volte, «come compenso della mia collaborazione». Tutte le altre volte, è stato nutrito con un liquido nutritivo «Ensure» ogni quattro ore.

«Se rifiutavo, mi aprivano a forza la bocca e mi iniettavano il liquido in gola».

Non gli è stato consentito di pulirsi dopo l’uso del bugliolo «perchè non collaboravo». E’ stato tenuto in ambienti a luce artificiale 24 ore al giorno. Gli interrogatori erano condotti da «tre esperti in interrogatori della CIA, sui 65, ma forti e ben addestrati».

Non l’hanno mai minacciato di morte: «Anzi, mi dicevano: ti portiamo sullorlo della morte e poi indietro».

Un medico era presente sempre, a questo scopo, durante gli interrogatori. Quando non collaborava, gli sbattevano la testa contro il muro fino a farlo sanguinare, oppure lo trattavano a waterboarding, o con getti d’acqua fredda (regolarmente una volta al giorno nel primo mese) [New York Review of Books, 3/15/2009].

Come ha detto KSM ai delegati della Croce Rossa Internazionale, «nel più duro periodo di interrogatori ho dato una quantità di false informazioni per soddisfarli in quel che, secondo me, volevano sentire dalla mia bocca. Sono sicuro che le false informazioni che sono stato costretto ad inventare hanno fatto perdere un sacco di tempo a loro, e hanno portato a molti allarmi falsi in USA» [New York Review of Books, 3/15/2009].

Astuto e malvagio come sempre, KSM. Irriducibile nemico delle libertà americane.

Ora, come possono gli inquisitori fidarsi a sottoporre KSM a un processo pubblico e regolare, con l’assistenza di un legale difensore e probabilmente affollato di giornalisti, con la sicurezza che KSM non solo non denuncerà le torture, ma non si rimangerà le sue auto-accuse? Che cosa lo può trattenere dal rivelare questi sgradevoli aspetti relativi alle sue confessioni?

Ma quasi certamente gli inquisitori hanno provveduto. Gli Stati Uniti tengono in custodia i due bambini del super-terrorista e mastermind. Come ha rivelato la giornalista Olga Craig nel Telegraph di Londra il 9 marzo 2003 (2), «I ragazzini (Yusef al-Khalid, anni 9, e Abed al-Khalid, di 7) sono stati presi dalle autorità pakistane... ma poi portati in volo in America dove saranno interrogati sul loro padre. Gli interrogatori della CIA confermano che i ragazzi stanno ad un indirizzo segreto e vengono incoraggiati a parlare delle attività del loro genitore. “Li trattiamo con i guanti, guanti da bambini”, dice un funzionario. “Abbiamo psicologi dellinfanzia e ricevono le migliori cure”».

L’anonimo funzionario della CIA sentito dalla Craig aggiunge che è stato necessario impadronirsi dei bambini, perchè KSM «ha detto molto poco fino ad ora; siede come in stato di trance e recita versi del Corano....ma lui ci tiene molto ai figli. La promessa di liberarli e farli tornare in Pakistan può essere la leva psicologica di cui abbiamo bisogno per  spezzarlo».

Ecco dunque l’arma segreta. Gli hanno rapito i figli per spezzarlo. Glieli avranno fatti vedere piangenti e spaventati? Gli avranno detto che se «collaborava» li avrebbero restituiti sani e salvi alla famiglia in Pakistan, altrimenti sarebbero finiti male? Magari gli hanno semplicemente detto di non preoccuparsi, perchè i due ragazzini erano affidati alle cure dei famosi psicologi dell’infanzia che lavorano per la CIA?

KSM ha già assaggiato le cure dei medici che lavorano per la CIA, presenti ai suoi interrogatori: quelli capaci di portarlo «sullorlo della morte e poi indietro».

KSM ha confessato tutto, di aver addestrato i terroristi a pilotare gli aerei dell’11 settembre, e anche l’attentato alle discoteche di Bali, e tutti gli altri 28 attentati attribuibili ad Al Qaeda, più altri completamente immaginari.

Ora va al processo. Avrà un avvocato difensore, ci sarà una giuria e un pubblico. Dirà la verità, si rimangerà le confessioni, griderà che gli sono state estorte sotto tortura?

Dipende. Dopo quell’articolo del 2003, non si è più avuta alcuna notizia di Yusef e di Abed, che dovrebbero avere oggi 13 e 11 anni. Sono stati rimandati in Pakistan? O sono da quattro anni reclusi da qualche parte in USA, curati dagli psicologi della Central Intelligence Agency, affinchè il papà sappia che deve continuare a proteggerli, continuando ad accusarsi di tutto?

Anche Beria negli anni '30, qualche volta, preparava gli accusati a confessarsi in pubblico di antisovietismo, complotti e intelligenza col nemico, prendendo in ostaggio le mogli e i figli.

C’è un lato comico nella situazione: il presidente Obama è andato a fare al regime di Pechino la solita lezione sui diritti umani: «I diritti umani – ha detto Obama – dovrebbero essere garantiti a ognuno, anche alle minoranze etniche e religiose, tanto che vivano negli Stati Uniti, in Cina o altrove».

Ma non è il solo lato comico. Anche con l’imputato KSM così ben controllato, c’è in USA chi non si sente tranquillo ad offrirgli un regolare processo. Uno di questi è Rudy Giuliani, che era sindaco di New York l’11 settembre 2001 ed ha probabilmente più di una ragione perchè non siano sollevati troppo i veli sull’attentato (3).

Il processo pubblico «dà un vantaggio non necessario ai terroristie perchè dovremmo dare un vantaggio ai terroristi? – e pone rischi per New York», è andato a dichiarare in ben tre interviste, alla CNN, alla ABC e alla Fox News. Trattare il cervello del mega-attentato alle Twin Tower «come un assassino ordinario è un errore. Andrebbe trattato come un atto di guerra... In altri tempi, non avremmo processato la gente che ordinò lattacco a Pearl Harbor in un tribunale regolare alle Hawaii».

La decisione di trascinare KSM davanti a un tribunale normale «è unaltra dimostrazione che Barak Obama ha deciso che non siamo più in guerra contro i terroristi», ha detto Giuliani, che poi ha aggiunto: un processo regolare crea «opportunità strategiche per gli imputati, la possibilità di tirare in lungo con manovre legali, il trasferimento del processo ad altra sede, e accresce la possibilità di una assoluzione»: Dio non voglia, perchè come sapete, nei regolari processi, al contrario di quelli staliniani, l’assoluzione non è esclusa per principio.

Karl Rove, che fu lo stratega elettorale di Bush jr., e Tom Ridge, che è stato capo del ministero dell’Homeland Security nella precedente Amministrazione, sono corsi a Fox News a dichiarare che il processo a KSM «può essere un pretesto per perseguire lAmministrazione Bush». I due sono comprensibilmente preoccupati (4).

«Il processo darà a KSM un podio di grande visibilità; sono sicuro che aspetta questo momento da sempre», ha dichiarato al New York Times tale Jarret Brachman: «Avrà la possibilità di mettere sotto accusa lintero sistema» (5).

Anche  Brachman va capito: quello è il sistema da cui trae pane e lavoro, visto che il New York Times lo indica come «consulente di antiterrorismo per diverse agenzie di Stato», nonchè autore di un voluminoso saggio dal titolo «Global Jihad». Brachman, già agente della CIA, ex direttore del «Combating Terrorism Center» di West Point, teorizza l’espansione di Al Qaeda in Africa, ed ha appena pubblicato un articolo ben pagato sulla prestigiosa rivista Foreign Policy (del Council on Foreign Relations) dal titolo «Il prossimo Osama». E’ ovvio che si senta inquieto: e se risultasse che non ci sarà un prossimo bin Laden, che la guerra al terrorismo è finita?

Brachman dice tuttavia una grande verità: il processo pubblico a KSM può tradursi in un atto di accusa di tutto «il sistema».

Sarà un processo da seguire con attenzione e, forse, con amaro divertimento.


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1) Ecco l’elenco delle confessioni firmato da KSS, come riportato il 15 marzo 2007 dal quotidiano The Australian: «I hereby admit and affirm without duress to the following: 1. I swore Bay'aat (ie allegiance) to Sheik Osama Bin Laden to conduct jihad of self and money, and also Hijrah (ie expatriation to any location in the world where Jihad is required). 2. I was a member of the al-Qa'ida Council. 3. I was the media operations director for al-Sahab, or «The Clouds», under Dr Ayman al-Zawahiri. Al-Sahab is the media outlet that provided al-Qa'ida-sponsored information to al Jazeera. 4. I was the operational director for sheikh Osama bin Laden for the organising, planning, follow-up, and execution of the 9/11 operation under the military commander, sheik Abu Hafs al-Mastri Subhi Abu Sittah. 5. I was the military operational commander for all foreign operations around the world under the direction of sheik Osama Bin Laden and Dr Ayman al-Zawahiri. 6. I was directly in charge, after the death of sheik Abu Hafs al-Masri Subhi Abu Sittah, of managing and following up on the cell for the production of biological weapons, such as anthrax and others, and following up on dirty bomb operations on american soil. 7. I was emir (ie commander) of Beit Al Shuhada (ie the Martyrs' House) in the state of Kandahar, Afghanistan, which housed the 9/11 hiajackers. There I was responsible for their training and readiness for the execution of the 9/11 Operation. Also, I hereby admit and affirm without duress that I was a responsible participant, principal planner, trainer, financier (via the military council treasury), executor and/or a personal participant in the following:
1. I was responsible for the 1993 World Trade Centre Operation. 2. I was responsible for the 9/11, from A to Z. 3. (REDACTED). 4. I was responsible for the Shoe Bomber Operation to down two American airplanes. 5. I was responsible for the Filka Island Operation in Kuwait that killed two American soldiers. 6. I was responsible for the bombing of a nightclub in Bali, Indonesia which was frequented by British and Australian nationals. 7. I was responsible for planning, training, surveying and financing the New (or Second) Wave attacks against the following skyscrapers after 9/11: a. Library Tower, California. b. Sears Tower, Chicago. c. Plaza Bank, Washington state. d. The Empire State Building, New York City. 8. I was responsible for planning, financing and follow-up of Operations to destroy American military vessels and oil tankers in the Straights of Hormuz, the Straights of Gibraltar and the Port of Singapore. 9. I was responsible for planning, training, surveying and financing for the Operation to bomb and destroy the Panama Canal. 10. I was responsible for surveying and financing for the assassination of several former American presidents, including President (Jimmy) Carter. 11. I was responsible for surveying, planning and financing for the bombing of suspension bridges in New York. 12. I was responsible for planning to destroy the Sears Tower by burning a few fuel or oil tanker trucks beneath it or around it. 13. I was responsible for planning, surveying and financing for the operation to destroy Heathrow Airport, the Canary Wharf Building and Big Ben on British soil. 14. I was responsible for planning, surveying and financing for the destruction of many night clubs frequented by American and British citizens on Thailand soil. 15. I was responsible for surveying and financing for the destruction of the New York Stock Exchange and other financial targets after 9/11. 16. I was responsible for planning, financing and surveying for the destruction of buildings in the Israeli city of Elat by using airplanes leaving from Saudi Arabia. 17. I was responsible for planning, surveying and financing for the destruction of American embassies in Indonesia, Australia and Japan. 18. I was responsible for surveying and financing for the destruction of the Israeli embassy in India, Azerbaijan, the Philippines and Australia. 19. I was responsible for surveying and financing for the destruction of an Israeli El-Al Airlines flight on Thailand soil departing from Bangkok Airport. 20. I was responsible for sending several Mujahadeen into Israel to conduct surveillance to hit several strategic targets deep in Israel. 21. I was responsible for the bombing of the hotel in Mombasa that is frequented by Jewish travellers via El-Al airlines. 22. I was responsible for launching a Russian-made SA-7 surface-to-air missile on El-Al or other Jewish airliner departing from Mombasa. 23. I was responsible for planning and surveying to hit American targets in South Korea, such as American military bases and a few night clubs frequented by American soldiers. 24. I was responsible for financial, excuse me, I was responsible for providing financial support to hit American, Jewish and British targets in Turkey. 25. I was responsible for surveillance needed to hit nuclear power plants that generate electricity in several US states. 26. I was responsible for planning, surveying and financing to hit NATO Headquarters in Europe. 27. I was responsible for the planning and surveying needed to execute the Bojinka Operation which was designed to down 12 American airplanes full of passengers. I personally monitored a round-trip Manila-to-Seoul Pan Am flight. 28. I was responsible for the assassination attempt against US President (Bill) Clinton during his visit to the philippines in 1994 and 1995. 29. I shared responsibility for the assassination attempt against Pope John Paul the second while he was visiting the Philippines. 30. I was responsible for the training and financing for the assassination of Pakistan's President (Pervez) Musharaf. 31. I was responsible for the attempt to destroy an American oil company owned by the Jewish former Secretary of State, Henry Kissinger, on the Island of Sumatra.». Dopo eliminato un così vulcanico pianificatore, il terrorismo islamico non sarà più quello di prima.
2) Olga Craig, «CIA holds young sons of captured al-Qa'eda chief», Telegraph, 9 marzo 2003.
3) Joseph Berger, «Giuliani Criticizes Terror Trials in New York», New York Times, 15 novembre 2009.
4) «Some Fear Bush Administration Could Become Target in 9/11 Trial». Foz News, 14 novembre 2009.
5) Mark Mazzetti, «Portrait of 9/11 ‘Jackal’ Emerges as He Awaits Trial», New York Times, 14 novembre 2009. L’imputato viene chiamato «lo Sciacallo», tanto per predisporre il pubblico.

 

 

Khalid-Sheikh-Mohammed.jpg

Foto recente (2009) di Khalid Sheikh Mohammed

 

 

Il processo al reo confesso che

annegava sei volte al giorno

Fonte web

Dall'inferno delle torture di Guantanamo a una corte civile di New York, con la proposta di giustiziarli. Questo si prepara ora per Khalid Sheikh Mohammed, il famoso KSM, e altri quattro presunti ideatori dell'11 settembre. Dovrebbe essere l'ora della memoria. Ma per gran parte dei media è l'ora dell'amnesia. Cosa sappiamo di questo KSM? Cosa conosciamo di questa icona occulta passata per una quantità di torture tali da sconvolgere qualsiasi identità? Se non siete Vittorio Zucconi e non vi bevete la solita brodaglia di propaganda e omissioni che fa comodo al potere, ripiegate in un angolo quasi tutti i giornali e preparatevi a sentirne delle belle.

Tanto per cominciare, guardiamo agli esordi della militanza islamista di KSM. Questo scarmigliato jihadista arabo è un tipico prodotto di una lunga fase politica in cui i fanatici della sua risma venivano ampiamente strumentalizzati in operazioni di terrorismo di Stato. Khalid Sheikh Mohammed è stato a lungo nei Fratelli Musulmani (un'organizzazione infiltrata in profondità dai servizi segreti britannici e statunitensi) e in rapporti molto stretti con l'ISI pakistano, un altro servizio segreto da sempre ben addentro a tutti i segmenti delle attività terroristiche, e da sempre ricco di legami funzionali con le strategie USA. Lucio Caracciolo, direttore della rivista italiana di geopolitica «Limes», il 31 dicembre 2007 nel commentare a caldo su «l'Unità» l’attentato in cui morì Benazir Bhutto, fece una considerazione che potremmo estendere ad altri crimini firmati al-Qā‘ida: «c’è una compartecipazione tra servizi segreti e gruppi islamisti, dove la contiguità è talmente forte da rendere abbastanza difficile capire chi effettivamente poi ha dato l’ordine».

Il fratello di KSM, Zahid, ha lavorato per la Mercy International, un'importante organizzazione caritativa islamica capeggiata da uno dei signori della guerra in Afghanistan, Abdul Rasul Sayyaf, che il«Los Angeles Times» definisce il «destinatario preferito di denaro proveniente dai governi saudita e americano». Come tutta la grande manovalanza islamista di questi anni, anche per KSM una palestra fondamentale sono state le guerre jugoslave degli anni novanta. Durante le operazioni NATO in Bosnia KSM scorrazzava liberamente tra i tagliagole di quelle parti, mentre bin Laden otteneva perfino un passaporto diplomatico bosniaco.

C'è da chiedersi, vista la povertà delle informazioni e l'annosa segretezza che ha circondato la sua opaca detenzione, se l'individuo arrestato in Pakistan e accusato di essere un islamista del Kuwait sia la stessa persona che ora sarà portata a New York.

A quel Khalid Sheikh Mohammed che si trovava a piede libero nel 2002 venne attribuita la personale rivendicazione di un'attività propedeutica ai fatti dell'11/9. Frasi di uno sbruffone, legato a chissà quali mestatori, e ben poco precise.

L'individuo che nel 2003 ha riconosciuto di chiamarsi Khalid Sheikh Mohammed e che si è autoaccusato di una trentina di attentati e di progetti di attentati sparsi per il mondo, era reduce da 183 sedute di tortura con la tecnica del waterboarding (annegamento simulato) nel solo mese di marzo di quell'anno. Per figurarci la cosa: in media sei volte al giorno per un mese, ogni quattro ore, questo soggetto provava l'estrema esperienza di essere lì lì per annegare.

Come stupirsi che il misterioso KSM inghiottito dal gulag caraibico abbia confessato, dopo cotanto supplizio, di aver fatto «tutto quello di cui è accusata al-Qā‘ida, dalla A alla Z»? Ha perfino confessato di aver progettato un attentato a un grattacielo che in realtà non esiste, a Seattle. Nella lista delle sue pseudo-imprese c'è l'attentato al WTC di New York del 1993, la strage in una discoteca di Bali, la decapitazione del giornalista Daniel Pearl, e naturalmente gli attentati dell’11 settembre 2001. Il coordinamento logistico dell’operazione più grandiosa della storia del terrorismo avveniva a distanza – secondo questa versione – e si affidava sul campo a un gruppo di ragazzetti indisciplinati e malaccorti, islamisti disposti a sacrificare niente meno che la propria vita per un intransigente ideale jihadista, ma inspiegabilmente dediti al noleggio delle escort con ritmi debosciati da premier italiano. Con la differenza – rispetto al satiro di Villa Certosa – che i giornali tendono a non illuminare queste biografie, le quali renderebbero inverosimili le versioni che hanno fin qui accreditato.

Sinora non è stato possibile, per gli avvocati e i giudici militari, interrogare KSM in pubblico. Non si sa cosa possa dire fuori da una gabbia. Vedremo perché questa cosa arriva a preoccupare qualche importante personalità.

Nessun giornale in questi giorni ha voluto ricordare che recentemente Devlin Barrett, dell'Associated Press, ha raccontato come KSM «ha confessato di aver mentito profusamente agli agenti che lo torturavano per estorcergli la verità sulle sue attività eversive.» Cosa emerge? «”Mi invento delle storie”, ha detto Mohammed nel 2007, durante una delle udienze del tribunale militare a Guantánamo Bay. In un inglese stentato, ha descritto l'interrogatorio in cui gli è stata chiesta l'ubicazione del leader di al-Qa‘ida, Osama bin Laden.

“L'agente mi ha chiesto 'Dov’è?', ed io: 'non lo so'», racconta Mohammed. “Poi ha ricominciato a torturarmi. Allora gli ho detto: 'Sì, si trova in questa zona...' oppure 'Sì, quel tizio fa parte di al-Qa‘ida', anche se non avevo idea di chi fosse. Se rispondevo negativamente, riprendevano con le torture.”»

Le trascrizioni di queste deposizioni sono state rese pubbliche per effetto di una causa civile, con la quale la American Civil Liberties Union ha cercato testi e informazioni sulle condizioni di detenzione riservate agli imputati per terrorismo. Queste deposizioni basterebbero da sole a obbligare il giornalismo serio a dire: “Alt, fermi tutti, vediamoci chiaro in questa faccenda”. Qualcuno ci ha provato, anche se con la paura di trarre tutte le conclusioni che ci sarebbe da trarre.

Un best seller del giornalista del «New York Times» Philip Shenon “OMISSIS - Tutto quello che non hanno voluto farci sapere sull’11 settembre”, fa notare come la situazione apparisse insostenibile finanche alla Commissione d'inchiesta sull'11/9. Persino uno dei co-presidenti della Commissione, Hamilton, ha denunciato che la Commissione era fuorviata da “informazioni non attendibili”, e che le si impediva l’accesso a documenti essenziali all’indagine, inclusi i verbali degl’interrogatori di Khalid Sheikh Mohammed (KSM). Scrive Hamilton: «Noi (…) non avemmo alcun modo di valutare la credibilità dell’informazione del detenuto. Come potevamo affermare se un tale di nome Khalid Sheikh Mohammed (…) ci stava dicendo la verità?». Una confessione estorta con la tortura non avrebbe alcuna validità dinnanzi a un vero tribunale militare americano, di quelli ancora legati allo stato di diritto, non certo paragonabili alle commissioni militari speciali nate con la Guerra al Terrorismo, vere aberrazioni giuridiche che Obama non riesce a sciogliere. Figuriamoci cosa può accadere in un tribunale civile.

La cosa preoccupa anche il leader dei parlamentari repubblicani alla Camera dei Rappresentanti, John Boehner: «La possibilità che Khalid Sheik Mohammed e i suoi co-ispiratori possano essere dichiarati ‘non colpevoli’ a causa di alcuni tecnicismi legali a soli pochi isolati da Ground Zero dovrebbe dar riflettere un momento ogni americano».

Boehner in sostanza rimprovera l'amministrazione Obama di voler giudicare KSM e soci con i mezzi ordinari dello stato di diritto anziché con il sistema speciale edificato da Bush e Cheney. Le conseguenze di un simile ragionamento sono pericolosissime: se un governo definisce un tizio colpevole, non serve processarlo. Le garanzie sono soltanto «tecnicismi legali» pericolosi.

Tra le tante questioni che Barack Obama non riesce ad affrontare se non con annunci proiettati in un futuro sempre meno definito, c'è tutta l'eredità dell'amministrazione precedente in materia di guerre, compressione dei diritti civili, terrorismo, alterazioni della costituzione materiale. Obama non riesce a scalfire nulla perché non è in grado di affrontare il tabù che fonda la forza d'inerzia che ancora trascina tutto questo enorme apparato: il tabù dell'11 settembre. Non è un caso che la sua amministrazione perda per strada alcuni elementi che hanno provato a stare fuori dal paradigma costituzionale modellato nell'era Bush-Cheney. Il super esperto di economia verde Van Jones ha dovuto lasciare l'incarico di consigliere del presidente perché non ha avuto le spalle abbastanza coperte per poter resistere agli attacchi di chi gli rimproverava di aver sottoscritto una petizione, nel 2004, nella quale si richiedeva al Congresso di investigare sulle eventuali responsabilità di alcuni alti funzionari dell'amministrazione Bush negli attacchi dell'11 settembre 2001.

E ora giunge l'annuncio delle dimissioni del consigliere legale della Casa bianca, Gregory Craig, che aveva la missione di abbattere gli ostacoli giuridici che si frappongono rispetto alla chiusura di Guantanamo e alla rinuncia alla tortura in materia di terrorismo. Mission impossible, evidentemente. Intorno a Craig si è fatta terra bruciata e il ripristino dello stato di diritto è ancora lontano.

Il «chiuderemo Guantanamo» pronunciato da Obama quando entrò in carica basta ancora a soddisfare i suoi entusiasti, sensibili alla sua straordinaria retorica. Ma non basta più a chi concretamente misura l'enorme, stupefacente, inedita distanza fra le parole e i fatti. Una divaricazione che per ora sembra essere fra le più sorprendenti mai viste nella storia recente. Un divario, va aggiunto, ogni giorno più inquietante.

 

 

Titolo italiano del libro di Shenon:

 Tutto quello che non hanno voluto farci sapere sull'11 settembre

 

 

11/9: la verità avanza, nonostante tutto

Fonte web

Sono trascorsi 8 anni da quel tragico 2001 e ancora non conosciamo la verità su quello che accadde l'11 settembre. Invero sappiamo sempre di più, ma per conto nostro, tutti quelli che caparbiamente insistono per cercare la verità, mentre il mainstream continua a tacere, seppure le crepe nel muro del silenzio aumentino. Chi, come noi, dubitò fin dall'inizio sulle versioni che via via vennero fornite al pubblico dalle autorità americane fu immediatamente bollato come "complottista" (ed è stato questo, in questi anni, l'epiteto più gentile) e, naturalmente, "antiamericano" Cioè furono definiti complottisti quelli che cercavano di smascherare il complotto, non quelli che lo costruirono. Per quanto concerne l'antiamericanismo, si tratta del solito trucco - tecnicamente diversion - di far guardare il dito che indica la Luna invece della Luna.

Eppure i nostri dubbi (parlo al plurale perché sono dubbi condivisi, stando ai sondaggi, dal 53% degli stessi americani) non solo non sono stati dissipati, ma sono col tempo diventati una serie di certezze, mentre altri dubbi, e interrogativi, sono emersi in gran numero su cose che prima non sapevamo, non avevamo visto, non sospettavamo neppure che esistessero. Questo grazie al fatto che in tutto il mondo esistono dei punti di rilevazione, di analisi e raccolta dati, che continuano incessantemente a funzionare e a comunicare ciò che scoprono.

Non intendo qui ripercorrere tutte le analisi che noi (i creatori del Film "Zero", gli autori del libro "Zero" insieme a migliaia di altri) abbiamo promosso e realizzato. So bene che attorno ad essere vi sono state e vi sono accese discussioni e che piccoli drappelli di più o meno sprovveduti e interessati debunkers sono operativi nel tentativo, spesso maldestro - quasi sempre con intenti calunniatori e non di verità - di contestarle.

Ma io voglio fare riferimento ai dati nuovi che sono emersi dopo il lavoro della Commissione che fu istituita con legge speciale alla fine del 2002 (vincendo l'aspra resistenza della Casa Bianca di Bush, Cheney, Rumsfeld, Rice) e che emise il suo ridicolo e al tempo stesso gravissimo verdetto - adesso lo sappiamo con assoluta certezza - alla fine dell'estate del 2004.

Mi riferisco soprattutto a tre libri, tutti e tre usciti negli Stati Uniti, ad opera di autori americani, in due dei tre casi protagonisti personalmente, nel terzo caso di un osservatore qualificato e tanto "imparziale" da sfiorare in più punti la soglia dell'ingenuità, se non del ridicolo. E tuttavia molto bene documentato per quanto concerne i fatti reali. Cioè, proprio per la sua apparentemente candida decisione di non concedersi nemmeno le più ovvie e inevitabili deduzioni, straordinariamente interessante e rivelatore.

Parlo - a proposito di questo terzo autore - del volume di oltre 500 pagine (edizione italiana) scritto da Philip Shenon , uscito nel 2008 e rimasto per settimane in testa alle classifiche di vendita negli Stati Uniti con il titolo "The Commission ". Shenon è corrispondente del «New York Times», è considerato uno dei più autorevoli reporter investigativi statunitensi, e non ha certo scritto quello che ha scritto senza consultarsi con il suo giornale e con il suo editore, dai quali aveva ricevuto l'incarico di seguire, passo passo, il lavoro della Commissione. Dunque Philip Shenon esprime l'opinione e i sentimenti di una parte non secondaria dell'establishment e del giornalismo americano.

Quanto sia pesante il contenuto di ciò che scrive lo dice il titolo che l'autore ha consentito venisse dato all'edizione italiana (Piemme, Milano 2009): "OMISSIS - Tutto quello che non hanno voluto farci sapere sull'11 settembre ". Ma tornerò su alcune "rivelazioni" più avanti. Non senza avere rilevato (ecco perché ho messo le virgolette) che si tratta di un riconoscimento tardivo e reticente di molte cose che noi avevamo rivelato, senza virgolette, assai prima di Shenon. E quando dico "noi" dico i moltissimi, in Italia, ma soprattutto negli Stati Uniti, che ci hanno preceduto e accompagnato in questi anni nella ricerca della verità sull'11 settembre.

Gli altri due libri citati sono "Against all Enemies " (2002) di Richard Clarke, colui che guidò l'intera materia della caccia a bin Laden, con Clinton, fino ai primi mesi di Bush Junior, il coordinatore della lotta al terrorismo e che fu seccamente liquidato da Condoleeza Rice appena arrivata al potere. E "Without Precedent " (2006), il cui autore è niente meno che uno dei due presidenti della Commissione che produsse il definitivo (e, ripeto, sbalorditivo) rapporto finale della Commissione, il "9/11 Commission Report" (Da ora in avanti Report). Nessuno di questi due libri è ancora uscito in edizione italiana .

Ebbene, è proprio Hamilton, democratico, che denuncia ora, a misfatto compiuto, come la Commissione sia stata fuorviata da "informazioni non attendibili", e sia stata impedita nell'accesso a documenti essenziali all'indagine, inclusi i verbali degl'interrogatori di Khaled Sheikh Mohammed (KSM). Scrive Hamilton: "Noi (...) non avemmo alcun modo di valutare la credibilità dell'informazione del detenuto. Come potevamo affermare se un tale di nome Khaled Sheikh Mohammed (...) ci stava dicendo la verità?" ("Without Precedent", pag 119). Adesso, nel 2009, sappiamo che quella confessione fu estorta con la tortura e dunque che essa non ha alcuna validità, di fronte a nessun tribunale, nemmeno di fronte a un tribunale militare americano.

Ma anche nella sua palese invalidità di principio, quella confessione contiene una presunta "verità" alla quale gl'inquirenti della CIA hanno detto di credere (e non stupisce visto che, con ogni probabilità, essi stessi l'hanno inventata, estorcendola con la tortura all'inquisito). Questa verità contraddice platealmente l'attribuzione della paternità degli attentati dell'11 settembre a Osama bin Laden, visto che KSM confessa la paternità di questa e di una trentina di altre operazioni terroristiche in ogni parte del mondo, fino alla famosa "Operazione Bojinka". Nello stesso tempo Osama, il most wanted terrorist non è accusato dall'FBI per gli attentati dell'11 settembre ma solo di quelli delle due ambasciate americane in Africa, del 1998. E, in ogni caso, nessun procedimento penale è mai stato aperto nei suoi confronti. E sono passati undici anni!

Eppure, nonostante questa massa di incongruenze, il Rapporto lo indica come il responsabile dell'11 settembre. Hamilton, nel suo libro, tace completamente sull'intera questione. Sulla quale il deputato democratico giapponese, Yukihisa Fujita gli ha inviato una lettera con esplicite domande (che qui verranno tra poco richiamate) su questa e altre faccende concernenti incongruenze e omissioni contenute nel Rapporto, ma non ha ricevuto alcuna risposta. Mentre altre, molte domande rimangono aperte a minare alla radice tutta l'inchiesta.

Tra queste il ruolo giocato dal Direttore Esecutivo della Commissione, Philip Zelikow. L'elenco delle malefatte provate di Zelikow è opera di Philip Shenon ed è davvero impressionante. Shenon non ha inventato niente; ha intervistato «quasi due terzi degli 80 membri dello staff» della Commissione e ha raccolto «le dichiarazioni di quasi tutti i dieci commissari». Otto per la precisione perchè due di loro, i repubblicani Fred Fielding e James Thompson, rifiutarono di farsi intervistare. Shenon spiega anche perché «in qualsiasi rapporto sul lavoro del governo, soprattutto per quanto riguarda i servizi segreti e le informazioni classificate, è quasi sempre necessario ricorrere a fonti che non possono essere identificate per nome». Esse infatti «avevano ottime ragioni perché i loro nomi non comparissero. Dopo che la Commissione chiuse i suoi battenti nell'agosto 2004, molti membri dello staff ripresero i rispettivi lavori alla CIA, al Pentagono, o nelle agenzie governative e avrebbero rischiato di perdere il posto, o addirittura di finire sotto processo, se si fosse scoperto che avevano parlato con un giornalista».

Con ciò, sia detto per inciso, facendo giustizia della domanda più sciocca con cui spesso mi è toccato di scontrarmi: «Come è possibile che nessuno (dei tantissimi che hanno preso parte all'operazione) abbia parlato?», poiché l'operazione di insabbiamento e falsificazione è sempre parte integrante dell'insieme , come in tutte le operazioni di terrorismo di Stato, possiamo affermare che la risposta corretta nega la domanda. Infatti c'è un sacco di gente che "ha parlato", eccome ha parlato! E ci sono stati decine di testimoni che hanno parlato, ma sono stati cancellati. E altre decine di testimoni a conoscenza dei fatti non hanno potuto parlare perché qualcuno ha deciso di non ascoltarli. Così il grande pubblico non ha saputo nulla perché molto è stato eliminato dal pubblico discorso prima ancora di venire pronunciato , ma anche perché attorno alle dichiarazioni di coloro che, accidentalmente, hanno potuto parlare, è stato innalzato un muro di silenzio, che il mainstream informativo ha rispettato scrupolosamente.

Torniamo dunque all'ingegnere esecutivo di questa altamente sofisticata operazione di diversione e d'inganno: il già citato Philip Zelikow. Il quale fu nominato alla guida della Commissione in chiara violazione della legge che la istituiva, che escludeva categoricamente tutti coloro che avessero avuto conflitti d'interesse, cioè che potessero essere in qualche modo collegati con l'Amministrazione di Washington. È evidente, già da questo dettaglio che la Commissione avrebbe dovuto indagare in quella direzione. Ma non indagò e, per quel poco, lo fece proteggendo coloro che avrebbero dovuto essere obbligati a dare le informazioni essenziali e non le diedero.

Zelikow aveva un mare di conflitti d'interesse.

Da Shenon veniamo a sapere che Zelikow non rivelò, o nascose:

a) I suoi stretti rapporti, precedenti e in atto, con Condoleeza Rice (scrissero perfino un libro insieme).

b) La sua partecipazione come consigliere della Rice nella transizione al nuovo Consiglio per la Sicurezza Nazionale.

c) Di essere l'autore - sempre su incarico della Rice - del documento del 2002 che tracciò le linee della nuova Strategia della Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, includendovi l'idea dell'attacco preventivo e che fu usato da Bush per giustificare la guerra contro l'Iraq.

d) Che non cessò mai - sebbene avesse promesso di farlo - i suoi contatti con la Casa Bianca. Ci sono le prove (Shenon, "The Commission", pagg. 106-107; 173-174) che continuò a consultarsi con Condoleeza Rice e con Karl Rove, principale aiutante di Dick Cheney.

Da Hamilton sappiamo anche ("Without Precedent, pag 270) che Zelikow

a) Aveva già scritto per conto proprio uno schema del Rapporto, prima ancora che la Commissione cominciasse i suoi lavori, mentre sappiamo da Shenon (pag 389) che

b) questo schema era molto dettagliato con "titoli dei capitoli, sottotitoli e sotto-sottotitoli" e che l'esistenza di questo schema fu tenuta segreta perfino allo staff della Commissione, per non parlare dei dieci commissari che furono tenuti all'oscuro di tutto.

Sappiamo ancora da Hamilton (pag 281) che

a) era Zelikow a decidere cosa si doveva e cosa non si doveva investigare, mentre da Shenon sappiamo che

b) Zelikow riscrisse personalmente tutti i capitoli «dall'inizio alla fine».

Sulla base di tutto questo, e di molto altro che qui non possiamo riassumere, Shenon si permette uno dei rari momenti in cui esprime un giudizio riassuntivo personale: Zelikow «era una talpa della Casa Bianca, che passava informazioni all'Amministrazione sulle scoperte della Commissione». E che «si servì della Commissione per promuovere la guerra contro l'Iraq».

Sempre da Shenon veniamo a sapere che «lo staff della Commissione sapeva che la Rice aveva mentito (...) per quasi un anno sul contenuto» del PDB (Presidential Daily Briefing) del 6 agosto 2001 dove la CIA annunciava a breve un attacco terroristico in tutto e per quasi tutto simile a quello che sarebbe avvenuto un mese dopo.

Alla luce di tutto questo, e di molto altro come vedremo tra poco, resta il mistero di come sia possibile che qualcuno ancora creda alla sincerità del Rapporto. Senza dimenticare, per altro, che sia Kean che Hamilton, a loro volta, come ben risulta dall'indagine di Shenon, erano responsabili di avere affidato a Philip Zelikow il controllo totale delle indagini ed essi stessi abbiano dimostrato, con i loro comportamenti pratici, con i loro voti, con le loro omissioni, di essere in combutta con la Casa Bianca.

Basti pensare che nessun mandato formale di comparizione fu spiccato fino al 14 ottobre 2003 (cioè i due presidenti si erano messi d'accordo con Zelikow e la Casa Bianca, che non avrebbero disturbato nessuno costringendolo a testimoniare e a fornire documenti essenziali all'indagine). Basti ricordare che nessuno dei più alti responsabili dell'Amministrazione fu sentito sotto giuramento; che Kean e Hamilton accettarono sistematicamente i limiti che Bush e Cheney, tramite Zelikow e l'attorney general Gonzales, ponevano al rilascio dei documenti essenziali. Nessuno stupore, dunque se il Comitato dei familiari delle vittime conclude (Shenon, pag 283 edizione italiana) che «la commissione ha seriamente compromesso la possibilità di condurre un'indagine indipendente, completa e libera».

Ma ancora non è tutto. Hamilton (pag 261) scrive che ufficiali del NORAD in «pubbliche udienze» della Commissione «diedero una descrizione falsa dell'11/9», che «confinava con l'intenzione di voler ingannare». Si noti la delicatezza di quel "confinava".

In realtà risulta dagli atti e dall'analisi che il NORAD mentì platealmente alla Commissione dopo averle nascosto, per mesi e mesi, le registrazioni di cui disponeva e che erano assolutamente essenziali per capire la dinamica degli avvenimenti.

Inoltre si aggiunga (Shenon, pag. 205) che Zelikow, oltre alle altre evidenti operazioni di copertura e distorsione già sottolineate, era stretto amico di Steven Cambone, a sua volta «l'aiutante più vicino a Donald Rumsfeld». Nonostante tutto questo la Commissione, segnatamente i due presidenti Kean e Hamilton, non fa una piega e accetta i nastri del NORAD che scagionano il Pentagono (perché da essi risulterebbe che la Difesa non era stata informata per tempo dalla Federal Aviation Administration) senza neppure porsi la questione se quei nastri potessero essere stati falsificati. Ingenuità o complicita?

La lista delle menzogne, dimostrate tali dai documenti ma accettate come fatti dalla Commissione e finite direttamente nel Rapporto scritto da Zelikow e firmato da Kean e Hamilton, è lunga e dettagliata. Una di queste riguarda i movimenti di Donald Rumsfeld quella mattina. Secondo Richard Clarke, Rumsfeld stava partecipando, di persona, a una video conferenza alla Casa Bianca che era cominciata alle 9:15 circa. Il rapporto dice invece che, in quei minuti, Rumsfeld era nel suo ufficio e andò alla Casa Bianca solo dopo le 10:00. Il Rapporto ignora la versione di Clark, sebbene il suo libro, "Against all Enemies", fosse già in vendita dal 2002. Cioè Zelikow non crede a Richard Clarke. Ma rifiuta di esaminare le registrazioni di quella video conferenza, che avrebbero dimostrato qual era la verità. Tutto inspiegabile, o spiegabile solo con la volontà di coprire i comportamenti del segretario alla Difesa.

La stessa cosa avviene con la descrizione del Rapporto circa i movimenti del generale Richard Myers, che comandava la difesa aerea degli Stati Uniti in quelle ore. Clarke è precisissimo in merito (pagg. 4-5 del suo libro) raccontando che Myers partecipò alla video conferenza e citando addirittura le sue parole, pronunciate alle 9:28: «Otis ha lanciato due uccelli verso New York. Langley sta cercando ora di mandare in volo altri due». Ma di tutto questo non c'è traccia nel Rapporto che afferma invece che Myers era in quel momento in Campidoglio, a colloquio con uno dei futuri membri della Commissione, il democratico Max Cleland . Il mondo di Washington è piccolo. Sarebbe bastato chiedere conferma al commissario Cleland per sbugiardare Richard Clarke. Ma Zelikow non ha perso tempo. Clarke è stato cancellato senza fare alcuna verifica: né interrogando Cleland, né esaminando la registrazione della video conferenza.

Stessa, identica operazione per quanto concerne i movimenti del vice presidente Dick Cheney. Il Rapporto contraddice qui non solo Clarke ma anche il Segretario ai Trasporti Norman Mineta, e perfino quanto Cheney in persona raccontò a Meet the Press cinque giorni dopo l'11 settembre. Yukihisa Fujita, nella citata lettera a Hamilton, espone con precisione implacabile tutte le incongruenze temporali contenute nel Rapporto. E formula la domanda: come mai Hamilton e Kean, data la comprovata disonestà di Zelikow (che essi, come emerge dal libro di Shenon, già perfettamente conoscevano), non solo non hanno rivisto il Rapporto, ma, dopo la sua pubblicazione, non hanno reso pubblico il loro eventuale dissenso?

A queste domande non è venuta, per ora, alcuna risposta. Ma noi possiamo qui riassumere ciò che emerge: Zelikow ha intenzionalmente oscurato le posizioni e i movimenti delle tre figure chiave dell'Amministrazione e della Difesa degli Stati Uniti in quel momento a Washington: Cheney, Rumsfeld e Myers.

Infine (ma ripeto che queste sono solo gocce nel mare delle falsificazioni intenzionali e preterintenzionali) c'è la faccenda delle telefonate via cellulari partite dagli aerei dirottati. Queste telefonate fecero il giro del mondo, aggiungendo angoscia e sconcerto alla già tremenda emozione generale. Dunque furono molto importanti ai fini della creazione dell'opinione pubblica, anzi della paura e dell'indignazione collettiva. Il Rapporto le considera valide, cioè le legittima. Ma, ciò facendo, mostra di ignorare del tutto un documento dell'FBI che afferma che ci furono «soltanto due» telefonate da cellulari dai quattro aerei dirottati. Entrambe dal volo UA-93 (quello che "cadde in Pennsylvania": una da una hostess e un'altra da un passeggero che chiamò il numero 911. Questo rapporto dell'FBI fu reso pubblico nel 2006 durante il processo contro Zakharias Moussaoui ed è leggibile su internet (http://www.vaed.uscourts.gov/notablecases/moussaoui/exhibits/prosecution/flights/P200054.html ). Conosceva la Commissione questo rapporto quando chiuse i suoi lavori, nell'estate del 2004? C'è un file , anche questo leggibile su internet (http://www.archives.gov/legislative/research/9-11/staff-report-sept2005.pdf ), datato 26 agosto 2004, dal quale emerge (cito qui il testo della lettera di Fukihisa Fuijta a Kean e Hamilton) che «la Commissione aveva ricevuto il documento nel 2004 perché questo report dello staff parla anch'esso di soltanto due telefonate da cellulari, sebbene l'opinione comune (in quel momento, ndr) fosse ancora che molte telefonate da quel volo (UA-93, ndr) , inclusa quella di Tom Burnett, fossero state fatte da cellulari».

Il deputato giapponese così continua: «Se voi replicherete, alla luce del fatto che questo rapporto dello staff è datato 26 agosto, che la Commissione lo ricevette dall'FBI solo dopo la pubblicazione del Rapporto, perché non rendeste nota una vostra pubblica dichiarazione in merito a questa rilevante nuova circostanza? Perché lei (signor Hamilton, ndr) non ne ha riferito in "Without Precedent"? O si tratta di un altro pezzo di informazione che vi fu sottratto da Philip Zelikow?»

La faccenda delle telefonate da cellulari è più clamorosa e rivelatrice di quanto possa sembrare a prima vista, perché moltiplica il numero dei bugiardi e del falsi testimoni che dovrebbero essere nuovamente interrogati, questa volta sotto giuramento e, se del caso, incriminati.

Uno di questi è, con ogni evidenza, Ted Olson, marito di Barbara Olson, il quale raccontò a stampa e televisioni di avere ricevuto ben due telefonate cellulare della moglie, a bordo del volo AA-77, la seconda delle quali tra le 9:16 e le 9:26. Il Rapporto ufficiale prende tutto per buono, ma il rapporto citato dell'FBI è categorico: non ci fu alcuna telefonata da cellulare dal volo AA-77 (quello del Pentagono). Barbara Olson tentò una sola chiamata che, in base ai tabulati, risultò disconnessa. La sua durata fu infatti di zero secondi.

Tutto quanto fin qui scritto non è farina del sacco dei "complottisti", a meno di non considerare tali Richard Clarke, o lo stesso Hamilton, per non parlare di Philip Shenon. Per quanto concerne quest'ultimo, dopo averlo sentitamente ringraziato per il suo lavoro, si potrebbe solo aggiungere che spesso dà l'impressione di essere caduto dal pero, tanta è l'ingenuità con cui descrive i calcoli cinici dei protagonisti, di Zelikow, di Kean, di Hamilton.

Ma, forse, più che ingenuità, si tratta di prudenza e di autocensura, per non dover poi affrontare le domande più gravi che sgorgano dalla sua stessa documentazione. È chiaro che egli sostiene la tesi della tremenda incompetenza delle diverse amministrazioni che ebbero a che fare con l'11 settembre, e non intende andare oltre. Ma quello che scrive è comunque sufficiente per gettare nel cestino l'intero Rapporto di Philip Zelikow. E sarebbe sufficiente anche per l'apertura di una serie di procedimenti penali.

Grazie a Shenon per questo. Per il resto la sua pur preziosa raccolta palesa i limiti del giornalismo americano d'inchiesta. Basti la storia, che Shenon racconta - evitando accuratamente di approfondirla - dei due "piloti" presunti del volo AA-77: Nawaf al-Hazmi e Khalid al-Mindhar. Risulta che erano sulla lista TIPOFF del Dipartimento di Stato, di circa 60mila nomi, come "potenziali terroristi". Lista che risulta essere stata in possesso della FAA e delle compagnie aeree americane. Eppure i due erano entrati negli Stati Uniti con i loro nomi e vi avevano vissuto per quasi un anno. Come possa essere accaduto Shenon non se lo chiede. Forse sarebbe stato utile chiederlo alla CIA, segnatamente agli addetti dell'agenzia che facevano entrare terroristi negli USA a partire dal Consolato americano di Jedda, in Arabia Saudita.

Ma anche qui si arriva all'assurdo, alla farsa: i due avevano vissuto a San Diego, California, nell'appartamento di uno "storico informatore" dell'FBI . Guarda com'è piccolo il mondo: due già sospettati di terrorismo non solo entrano con i loro nomi negli Stati Uniti, ma vanno a finire in casa di Abdusattar Sheikh, che Shenon, in un altro passaggio del suo libro, definisce «informatore di lungo corso dell'FBI».

È ancora possibile parlare, come fa Shenon, di "incompetenza"? È sufficiente questa "incompetenza" per spiegare il silenzio dell'FBI non solo per poco meno di un anno prima dell'11 settembre ma anche per più d'un anno dopo l'11 settembre?

O si può avanzare l'ipotesi di complicità? E non ce n'è abbastanza per aprire un procedimento penale contro Abdusattar Shaikh? Ma dov'è andato a finire costui? Risulta che non fu nemmeno interrogato. Risulta che l'FBI si oppose al suo interrogatorio.

Su altri versanti risulta che il senatore Bob Graham, del Comitato del Senato per l'intelligence, aveva svolto indagini (esistette, prima della famosa Commissione, un'altra indagine del Congresso, sulla quale è caduto il silenzio) dalle quali emergeva che «alcuni funzionari del governo saudita avevano avuto un ruolo nell'11 settembre». Erano 28 pagine di un rapporto assai dettagliato che però «rimasero secretate per motivi di sicurezza nazionale». La Commissione non chiede neppure di vederle. Michael Jacobson, ex legale dell'FBI e funzionario dello staff agli ordini di Philip Zelikow, aveva scoperto che i due "dirottatori" non si nascondevano neppure: «il nome l'indirizzo e il numero di Hazmi si trovavano nell'elenco telefonico di San Diego». Dagli archivi locali dell'FBI è emerso che i due erano sotto controllo, perché si sa che furono ricevuti e ricevettero denaro da un "misterioso" espatriato saudita, Omar al-Bayoumi. Costui non fu mai sentito dalla Commissione. Jacobson scoprì che l'FBI sapeva che i soldi per i due terroristi arrivavano direttamente dalla principessa Haifa al-Faysal, moglie dell'ambasciatore saudita a Washington. Nel Rapporto non c'è traccia di tutto questo.

Come si suol dire, tre indizi convergenti sono quasi una prova. Qui, di indizi convergenti, ne abbiamo decine.

 

 

APPROFONDIMENTO

DOSSIER SULL'11/09

Uno dei migliori in Italiano.

 

"Gli Usa volevano attaccare l'Iraq
già prima dell'11 settembre"

E' quanto emerge dalle dichiarazioni di due funzionari britannici nell'ambito dell'inchiesta sull'intervento della Gran Bretagna in Iraq. Gli Stati Uniti avrebbero voluto un’operazione militare contro il governo di Saddam Hussein in Iraq già prima degli attentati dell’11 settembre 2001, ma Londra si oppose a un «cambio di regime» che, secondo l’allora premier Tony Blair, sarebbe stato contrario alle leggi internazionali.