11 SETTEMBRE 2001

IL GRANDE INGANNO

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

INTRODUZIONE

LA RITUALITA' DELL' 11 SETTEMBRE

Fonte web

Sulla retorica del 'siamo tutti americani' che avvolse (e ancora avvolge), l'intero Occidente dopo gli attentati dell'11 settembre 200I il filosofo francese Jean Baudrillard scrisse, con crudezza, con lucidità e con coraggio (e ce ne voleva moltissimo in quel momento) "che l'abbiamo sognato quell'evento, che tutti senza eccezioni l'abbiamo sognato - perché nessuno può non sognare la distruzione di una potenza, una qualsiasi, che sia diventata tanto egemone - è cosa inaccettabile per la coscienza morale dell'Occidente, eppure è stato fatto, un fatto che si misura appunto attraverso la violenza patetica di tutti i discorsi che vorrebbero cancellarlo" ( J. Baudrillard, Lo spirito del terrorismo, 2002).

Per tutta la vita ho sognato che bombardassero New York e non posso essere così disonesto con me stesso e con i lettori da negarlo ora che il fatto è avvenuto. Eppure ho provato anch'io un istintivo orrore per quella carneficina, per quello sventolar di fazzoletti bianchi, per quegli uomini e quelle donne che si buttavano dal centesimo piano. E allora?

L'America è una Potenza che da più di mezzo secolo colpisce, con tranquillità e spietata coscienza, nei territori altrui, che negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale ha bombardato a tappeto Lipsia, Dresda, Berlino premeditando di uccidere milioni di civili perché, come dissero esplicitamente i comandi politici e militari statunitensi dell'epoca, bisognava "fiaccare la resistenza del popolo tedesco", che ha sganciato un terrificante, e probabilmente inutile, Bomba su Hiroshima e Nagasaki e che nel dopo guerra ha fatto centinaia di migliaia di vittime innocenti in ogni angolo del pianeta ( lo scrittore, americano, Gore Vidal ha contato 250 attacchi militari che gli Stati Uniti hanno sferrato senza essere provocati).

L'11 settembre invece gli americani, per la prima volta nella loro storia, venivano colpiti sul proprio territorio. Pensavo che questa tragedia avrebbe insegnato loro qualcosa: l'orrore di vedere le proprie case cadere come castelli di carta, seppellendo uomini, donne, vecchi, bambini, famiglie, affetti. Che gli avrebbe insegnato l'orrore dell'orrore ora che lo avevano vissuto sulla propria pelle. Che gli avrebbe insegnato che anche le vite degli altri hanno un valore, poiché tengono tanto alle proprie. Invece hanno continuato imperterriti. Come prima, peggio di prima. Loro hanno sempre la coscienza tranquilla, le tragedie degli altri non li riguardano, al massimo sono 'effetti collaterali'.

Hanno cominciato con l'Afghanistan. Poteva esserci una ragione perché da quelle parti stava Bin Laden, anche se nessuna inchiesta seria Ë mai stata fatta per dimostrare che dietro gli attentati alle Twin Tower o quelli del 1998 in Kenya e Tanzania ci fosse effettivamente il Califfo saudita (sarà il motivo per cui il Mullah Omar ne rifiuterà l'estradizione non accettando l'arrogante risposta Usa "Le prove le abbiamo date ai nostri alleati"). Ma dopo dieci anni di occupazione rimangono sul terreno 60 mila vittime civili la maggior parte delle quali provocate dai bombardamenti a casaccio sui villaggi e persino sui matrimoni. A stretto giro di posta Ë venuta l'aggressione all'Iraq: 650 mila vittime civili. Giuliano Ferrara sul Foglio (6/9) proprio mentre dichiarava di detestare l'iperbole ha definito l'11 settembre "l'attentato più grande e infame della storia".

E' solo una delle tante tragedie della storia recente, forse quella che ci ha colpito di più ma non certo la più infame. E io mi rifiuto di piangere ogni anno, ritualmente e a comando, lacrime di coccodrillo per tremila vittime. Rituali che tentano di far entrare nel buio sgabuzzino del dimenticatoio tutte le altre. Che sono milioni.

 

 

11 settembre, dov'è la verità?

 

Verita sull'11 settembre 2001 - tutto vero guardate!

 

 

Obama continua a insabbiare

la verità sull'11 settembre

Fonte web

Mentre si avvicina il decimo anniversario dell'11 settembre, l'amministrazione Obama continua a nascondere informazioni cruciali sulla vera paternità del peggiore attacco terroristico della storia, con quasi 3000 vittime civili.

Nel dicembre 2002, l'inchiesta del Congresso pubblicò il suo rapporto. L'ultimo capitolo, di 28 pagine, dettagliava il finanziamento saudita di almeno due dei dirottatori, e citava trasferimenti bancari dal conto di Washington dell'allora ambasciatore saudita principe Bandar bin-Sultan ai dirottatori Hazmi e Al-Midhdhar.

Il Presidente Bush ordinò di secretare quel capitolo e di stralciarlo dal rapporto finale. Il Presidente Obama promise ad un gruppo di familiari delle vittime che lo avrebbe desecretato, ma invece ha mantenuto la censura e preso altre misure per insabbiare ulteriormente la verità.

I legami col principe Bandar, attraverso due funzionari di intelligence sauditi, sono anche la chiave per uno scandalo più vasto, e cioè il ruolo dei fondi neri dell'accordo anglo-saudita Al-Yamamah nel finanziamento di Al Qaeda e altre organizzazioni terroristiche internazionali.

Purtuttavia, le informazioni sono trapelate da altri ambienti. L'ex capo dell'antiterrorismo del National Security Council, Richard Clarke, ha accusato la CIA di aver nascosto nel 2000 e nel 2001 informazioni cruciali che avrebbero potuto impedire gli attacchi. In un'intervista concessa al Daily Beast Online, Clarke ha denunciato il fatto che la CIA stesse tentando di reclutare due dei dirottatori, e per questo omise di informare la Casa Bianca, il NSC e l'FBI. Clarke sostiene che l'insabbiamento fu ordinato dall'alto della CIA, dal direttore George Tenet in persona.

Un documentario che sarà trasmesso su Fox News l'11 settembre documenta anche la rete di sostegno saudita all'operazione terroristica. L'ex senatore democratico Bob Graham, che condusse l'inchiesta del Congresso, alla domanda se egli ritenga che la rete di sostegno dei dirottatori sia rimasta intatta, poiché non è mai stata pienamente identificata né smantellata dopo gli attacchi, ha risposto: "Non ho motivo di ritenere che non lo sia".

Dunque, perché Obama continua ad insabbiare, se il pericolo rappresentato da queste reti è tale da giustificare una guerra in Afghanistan che dura da oltre dieci anni? Evidentemente perché si tratta di informazioni esplosive.

Come denunciò Lyndon LaRouche in un'intervista radiofonica mentre giungeva notizia degli attacchi, si trattava ovviamente di un attacco pianificato ad alto livello da un ente molto capace. In realtà, LaRouche aveva ammonito nove mesi prima che Bush e Cheney avrebbero imbastito una specie di "incendio del Reichstag" per introdurre misure da stato di polizia.

Secondo alcuni giuristi e fonti di intelligence USA, dall'11 settembre i governi Bush e Obama hanno compiuto tanti e tali coperture di reati col pretesto della sicurezza nazionale, che sono disperati dall'idea che possano emergere le tracce. E proprio come Bush e Cheney tentarono di introdurre una replica dell'Official Secrets Act britannico negli USA, stracciando la libertà di parola, così il Presidente Obama sta perseguendo lo stesso obiettivo, semmai più spietatamente.

 

 

11 Settembre: ritrovato esplosivo

nelle Torri, ora e' ufficiale

Ora è ufficiale. Tracce di esplosivi di nano-termite sono stati raccolti dai detriti del WTC poco dopo il loro crollo dell'11/9/2001. Alla Brigham Young University, il professore di fisica, il dottor Steven Jones, ha fatto la scoperta dell'esplosivo insieme ad un team internazionale di nove scienziati.
Grazie quindi alle prove di laboratorio più estese, gli scienziati hanno concluso che i campioni analizzati, hanno mostrato che si tratta di esplosivi nano-termite, generalmente usati per scopi militari.
Dopo un rigoroso processo di peer-review, il loro documento è stato pubblicato nella Bentham Chemical Physics Journal, una delle riviste più accreditate negli USA e che ha approvato alcuni Premi Nobel, essendo rispettata all'interno della comunità scientifica. Primo autore dello studio è Dr. Niels Harrit di 37 anni, professore di chimica all'Università di Copenaghen in Danimarca e un esperto di nano-chimica, che dice: "Il conto ufficiale messo avanti dal NIST viola le leggi fondamentali della fisica."
Il Governo ora sa delle prove che confermano la presenza di Esplosivo Nano-Termite, utilizzati per far cadere tutte le Torri del WTC l'11/9. (Fonte web)

 

 

STRATEGIE INTERNAZIONALI: CHI

FINANZIA LA PAURA DELL’ISLAM?

Fonte web

Un piccolo numero di fondazioni di matrice conservativa e di ricchi donatori costituiscono la linfa vitale del grande network islamofobico americano. Il network provvede al finanziamento di una struttura delta di estrema destra, che include figure di esperti disinformatori, che alimentano sentimenti di odio e di paura nei confronti dell’Islam e dei musulmani, scrivendo libri, diffondendo reportage, pubblicando siti web, blog e costruendo meticolosamente nuovi spunti polemici, che poi diventano il fertilizzante della propaganda di gruppi di attivisti anti islamici e di alcune comunità religiose di estrema destra.

Queste fondazioni e questi donatori benestanti finanziano direttamente i gruppi anti islamici, che poi usano i fondi per diffondere deliberatamente messaggi fuorvianti sull’Islam e sui musulmani, spesso costruiti appositamente e del tutto antitetici ai principi costituenti americani, quali la libertà di culto, l’inclusione e il pluralismo culturale.
Tra il 2001 e il 2009, il network islamofobico ha beneficiato di 42,6 milioni di dollari di fondi, dalle seguenti fondazioni:

Donors Capital Fund ($ 21.318.600)

Richard Mellon Scaife foundations ($ 7.875.000)

Lynde and Harry Bradley Foundation ($ 5.370.000)

Newton D. & Rochelle F. Becker foundations and charitable trust ($ 1.136.000)

Russell Berrie Foundation ($ 3.109.016)

Anchorage Charitable Fund and William Rosenwald Family Fund ($ 2.818.229)

Fairbrook Foundation ($ 1.498.450)

42,6 milioni di dollari finiti ai think tanks islamofobici, suddivisi in gruppi, pseudo-esperti e piccole organizzazioni, che sono così in grado di usarsi mutualmente come fonti di riferimento e innalzare informazioni estremamente inaccurate o perfino volutamente sbagliate al rango di fatti incontrovertibili, distribuiti poi agli attivisti e ai politici con l’aiuto della stampa di estrema destra.

Questo il risultato di uno studio condotto dal Center for American Progress, e scaricabile per intero da www.americaniprogresso.org/issuies/2001/08/pdf/islamophobia.pdf

Sarebbe interessante sapere se esiste e da chi è finanziato un analogo think tank italiano.
Ecco Faiz Shakir, vice presidente e editore di ThinkProgress, in un intervista tradotta da Byoblu.com.
Che cos’è il network dell’islamofobia?
Il network dell’islamofobia è un piccolo gruppo di pseudo-esperti che hanno tentato di convincere gli americani che esiste una pericolosa comunità islamica in America. E’ composta principalmente da cinque individui centrali: David Yerushalmi, Frank Gaffney, Robert Spencer, Daniel Pipes e Steven Emerson. Questi individui hanno lavorato per decenni per cercare di convincere la gente che c’è un una strisciante minaccia della Sharia in questa nazione, che le moschee sono presenze pericolose in America e che i musulmani non condividono i principali valori degli americani. Questo gruppo è stato finanziato da un nocciolo duro di 8 fondazioni per la maggior parte degli ultimi dieci anni. Hanno ricevuto oltre 40 milioni di dollari da queste 8 fondazioni per fare il lavoro che hanno fatto. Insieme, formano il network dell’islamofobia.

Come è riuscito il network a influenzare il dibattito pubblico sui musulmani in America?

Per comprendere l’influenza di questo network, considerate la controversia sul Park 51, la cosiddetta “Moschea Ground Zero”. E’ stata sollevata da questi pseudo-esperti a poi disseminata nell’opinione pubblica attraverso una varietà di meccanismi estensivi. “Act! For America”, il gruppo di Brigitte Gabriel che conta oltre 160 mila membri, ha martellato l’opinione pubblica sostenendo che la moschea “Ground Zero” costituiva una seria minaccia alla libertà dell’America. Anche Pamela Geller e Robert Spencer, del gruppo “ Stop islamization of America” hanno condotto crociate per tentare di convincere gli americani di questa minaccia della “Moschea della Vittoria”, come l’hanno ribattezzata loro.

I numerosi blog di David Horowitz e le sue organizzazioni di news spacciavano teorie cospirazioniste un giorno sì e uno anche che giravano intorno alla moschea. Nel tempo, convinsero un buon numero di personalità del mondo della radio e della televisione. Così, presto abbiamo visto e sentito parlarne Michael Savage, Rush Limbaugh e Glenn Beck. E Fox news la reclamizzava ogni singolo giorno. La discussione si è diffusa nella stampa, a partire dal Washington Times. Alla fine, questa storia è diventata così importante che era su tutti i principali media. Ne hanno parlato politici come Alan West, Newt Gingrich, e molti altri.
Come possono fare gli americani a combattere la propaganda dei network?


Tutti noi dobbiamo prendere le distanze dalle informazioni prodotte dal network dell’islamofobia. Chi lavora nel mondo dei media ha una responsabilità maggiore. Non bisogna dare una piattaforma alla disinformazione del network dell’islamofobia. Credo che questa rete dovrebbe essere compresa per quello che è e per quello che sta cercando di fare: dividere l’America. Per opporci in una guerra gli uni contro gli altri. Tutto ciò ha molte ripercussioni nocive. Si prende la comunità islamica e la si ostracizza. Si dice che non sono degni di essere americani. Nella lotta contro l’estremismo violento essi sono uno dei più comodi capri espiatori per dare un nome ai cattivi. Secondariamente, si prende la Costituzione e la si butta fuori dalla finestra. E’ come dire: non crediamo realmente nella libertà di culto.

Dobbiamo rigettare la visione che ci viene proposta dal network dell’Islamofobia.

 

 

11 settembre 2001 misteri - qualcuno sapeva ?

 

 

ANNIVERSARIO 11 SETTEMBRE: LE “PERICOLOSE”

RIVELAZIONI DI RICHARD CLARKE

Fonte web

Nel decimo anniversario dell’11 Settembre 2001 erano prevedibili bombe e bombette, nel senso di rivelazioni (e speriamo solo di quelle). Una ce la regala Richard Clarke, l’ex capo dell’antiterrorismo americano, che fu liquidato qualche settimana dopo l’11 settembre dall’Amministrazione Bush e che ora si toglie qualche altro sassolino dalla scarpa.

Ma, come vedremo, non tutto è chiaro dalle sue indiscrezioni. Procediamo con ordine. Clarke rilascia un’intervista (nel 2009) a due giornalisti investigativi americani che stanno facendo un film sull’anniversario.

Sono Ray Nowolinski e John Duffy, già autori di un’inchiesta cinematografica sulla madre di tutti gli attentati, “9/11 Press Truth”. L’intervista dovrebbe essere andata in onda l’11 agosto su una stazione televisiva del Colorado, affiliata alla Public Broadcasting Company. Di essa hanno già parlato in molti, tra cui Philip Shenon, autore del famoso “Omissis: tutto ciò che non hanno voluto farvi sapere sull’11 settembre”.

Il “dunque” di Richard Clarke edizione 2009 è questo: la CIA sapeva dell’esistenza di almeno due presunti terroristi; sapeva dov’erano, sul territorio degli Stati Uniti; sapeva dove abitavano; li stava seguendo e sorvegliando ben prima dell’11 settembre. Ma non lo disse alle altre agenzie speciali americane. Anzi lo tenne accuratamente nascosto e impedì alle consorelle di trovarli.

Come ben si comprende l’accusa è gravissima e va ben al di là della questione dell’”incompetenza” di alcuni o molti funzionari dell’Amministrazione americana.

Sfortunatamente questa accusa non è corroborata da prove, sebbene sia abbondantemente farcita di indizi e di dettagli assai importanti. Come questo: Clarke precisa che di queste informazioni erano al corrente non solo George Tenet, allora direttore della CIA, ma anche altri 50 importanti agenti, ripete agli intervistatori, sottolineando le parole: “five-zero”. Tra questi dovrebbero esserci Cofer Black, capo dell’Unità antiterrorismo della CIA, e Richard Blee, capo dell’unità che si occupava specificamente di Osama bin Laden. Unità denominata “Alec Station”. Tutti personaggi-chiave, che risulta fossero presenti in una cruciale riunione dei vertici dei servizi segreti al completo, che si svolse all’inizio di luglio 2001 alla Casa Bianca, presenti George Bush, e lo stesso Clarke (ancora – per poco – al suo posto di capo di tutto l’antiterrorismo americano). La consultazione, per giunta, erano stati Tenet e Blee a promuoverla. Ma “non dissero nulla di quello che sapevano”. Se lo avessero rivelato, “noi quei farbutti li avremmo presi”.

Clarke allora avanza una “ipotesi”, attribuendola esplicitamente a “certi investigatori dell’FBI”, secondo la quale la CIA “stava conducendo una joint venture con l’intelligence saudita”, forse “pensando che l’intelligence saudita avesse migliori possibilità degli americani di reclutare quei tizi”. Richard Clarke, che se ne intende, aggiunge il suo commento: “Ciò avrebbe cancellato ogni traccia di una presenza della CIA nell’operazione”.

Chi erano quei tizi è noto. Ne parlava diffusamente Philip Shennon nel suo libro, dopo avere intervistato la gran parte dei funzionari della Commissione Ufficiale d’inchiesta, che poi produsse il “9/11 Report”. Erano Nawaf al-Hazmi e Khalid al-Mihdhar, coloro che, sempre secondo la Commissione Ufficiale, avrebbero dirottato il volo AA 77 che si sarebbe schiantato sul Pentagono.

Tra breve ripercorreremo questa storia. Ma prima bisogna tornare alle rivelazioni di Richard Clarke. Il quale punta tutto sull’accusa alla CIA di avere impedito di scoprire i terroristi. Secondo Clarke sarebbero così stati neutralizzati sia l’FBI (che aveva un team speciale antiterrorismo, chiamato “Squad I-49”), sia il Pentagono, che aveva anch’esso un team specialissimo, chiamato “Able Danger”. Risulta che tutti, già allora, sospettavano che la CIA giocasse carte false (e, tra spioni, non dovrebbe essere strana la reciproca diffidenza). Eppure tutti furono bloccati a causa della CIA? Sembra quasi che Richard Clarke abbia un obiettivo preciso: scaricare di ogni responsabilità l’FBI e anche il Pentagono.

Ma c’è qualcosa che non quadra affatto in questa rivelazione. E, soprattutto, c’è più di una impressione che Richard Clarke stia lanciando dei segnali e stia invitando qualcuno a andare a vedere le carte in mano a tutti i giocatori.

Prima di dire dove si vedono i buchi del ragionamento, vediamo come si è mosso Clarke. Di tutte queste cose, prima di tutto, non disse nulla quando fu sentito dalla Commissione Ufficiale. Se n’è ricordato dopo? E adesso tira fuori accuse pesantissime contro i vertici di allora della CIA, dichiarando in partenza di non avere prove? Non appare subito come un gesto imprudente? Oppure come un segnale lanciato a qualcuno?

In secondo luogo Clarke pubblicò un libro, subito dopo la pubblicazione del “9/11 Commission Report”, intitolato, assai significativamente, “Against All Enemies” (Contro tutti i nemici). Quel titolo non dice molto a uno straniero, ma dice moltissimo a tutti i funzionari americani che hanno giurato fedeltà alla bandiera e alla patria. Perché è una citazione da quel giuramento: “Against all enemies foreign and domestic”.

Attenzione al “domestic”! C’erano dunque “nemici interni” da cui difendersi? E ci sono ancora? Si noti che si tratta di “nemici”, non di incompetenti pasticcioni. Richard Clarke, in quel libro, non contraddiceva affatto la teoria ufficiale (e, per questo, fu ignorato da tutti gli scettici dei movimenti per la verità sull’11/9). Ma forniva, per così dire, dei fili di Arianna che lettori attenti avrebbero potuto seguire per “uscire” da quella teoria. Qualcosa di molto simile ai trucchi usati dagli scrittori russi per sorpassare indenni la censura di stato. Bisogna pur vivere negli Stati Uniti di oggi. E Clarke è uno che vuole vivere, anche se pericolosamente.

Veniamo dunque alla storia di Nawaf e Khalid, per scoprire presto che Richard Clarke non ce la racconta tutta. Nel gennaio 2000 si tiene in Malaysia, a Kuala Lumpur, una riunione di terroristi per pianificare attentati contro gli Stati Uniti. Prima circostanza: questo gruppo è già stato infiltrato (non si sa da chi). Infatti la National Security Agency (altro servizio segreto USA, uno dei più importanti) sa in anticipo di questo incontro e ne informa la CIA. L’incontro, segretissimo, avviene letteralmente sotto gli occhi degli agenti americani, che registrano tutto e fotografano perfino tutti i partecipanti. Tra gli altri presenti ci sono Nawaf al-Hazmi e Khalid al-Mihdhar. Risulta che, tra gli agenti della CIA che monitorarono l’incontro c’era anche Jennifer Matthews e un’altra donna, “dai capelli rossi” che è ancora operativa e il cui nome non può essere adoperato (su richiesta della CIA al sito Truthout, per non danneggiare gl’interessi americani).

Comunque questa Jennifer doveva essere un tipetto niente male. Secondo Joby Warrick, reporter del Washington Post, nel suo libro “Triple Agent”, la Matthews era presente in Thailandia, nella prigione segreta (un’altra delle tante, che emerge solo ora) in cui Al Zubaydah fu waterboarded nel 2002, dopo essere stato catturato, presumibilmente in Pakistan. Peccato che non possa più né confermare, né smentire: risulta essere stata uccisa nel 2009 in un attentato terroristico suicida a Khost, in Afghanistan, insieme ad altri sette agenti della CIA. All’epoca Jennifer Matthews era a capo della Base Operativa Avanzata Chapman.

Torniamo ora a Kwala Lumpur. Tre dei partecipanti alla riunione (al-Hazmi, al-Mihdhar e Walid bin-Attash, quest’ultimo sarebbe stato l’organizzatore dell’attacco alla USS Cole, che provocò la morte di 17 marines americani) prendono l’aereo e vanno in Thailandia. Qui – sorpresa delle sorprese – la CIA perde le loro tracce. Risulta agli atti che i loro pedinatori (tra cui la Matthews) inviarono una sconsolata comunicazione in tal senso al team della CIA Alec Station.

Da quel momento – se questa storia fosse vera – la CIA sarebbe uscita di scena, appunto avendo perduto le tracce. Ma noi sappiamo (chi ce lo dice? Altra sorpresa, l’FBI)) che due dei tre – Walid bin-Attash seguì un altro percorso – appunto Nawaf e Khalid, arrivano a Los Angeles il 15 gennaio 2000. Accolti all’aeroporto da Omar al-Bayoumi, funzionario saudita ma anche agente dell’FBI. Qui il racconto viene ampiamente corroborato dall’indagine di Philip Shenon. I due vengono ospitati nella casa di San Diego di un altro “storico confidente” dell’FBI, tale Abdulsattar. Vivono per undici mesi almeno in casa sua; ricevono denari da al-Bayoumi; al-Hazmi ha addirittura il suo nome sull’elenco telefonico; pagano con carte di credito intestate ai loro veri nomi. E risulta anche che sono entrati negli Stati Uniti addirittura con un visto multiplo.

Tutte queste notizie – scrive e documenta Shenon – erano negli archivi dellFBI di San Diego. Dunque affermare che l’FBI è stata bloccata dalla CIA non è affatto fondato. Anzi si può dire con certezza che al-Bayoumi o Abdulsattar, o entrambi, hanno dato informazioni giuste all’FBI, guadagnandosi onestamente la paga. Altrimenti dovremmo supporre che i due erano seguiti da uno stuolo di agenti di diverse agenzie. Ma, certo, questi dati erano tutti in possesso dell’FBI. Le informazioni furono così ricche e precise da permettere di sapere che Khalid al-Mihdhar ripartì alla volta dello Yemen nel giugno 2000 e ritornò in California il 4 luglio 2001, con un nuovo passaporto e “inosservato”.

Ma come avrebbe potuto passare inosservato se il suo arrivo è stato registrato ed è presente agli atti? Dunque l’FBI – qualcuno dell’FBI – faceva parte del gruppo che proteggeva i terroristi. Probabilmente anche qualcuno della CIA faceva parte, e con alta probabilità anche qualcuno di Able Danger. Ma noi, come Clarke, possiamo fare solo ipotesi. Dunque, ancora: Richard Clarke non dice tutta la verità e vuole difendere qualcuno. Non sappiamo chi e perché. Ma, seguendo il suggerimento di Ian Henshall (autore di “911: the New Evidence”) potremmo provare a seguire uno dei fili di Arianna lasciato pendente da Richard Clarke quando ipotizza che la CIA avesse una joint venture con l’intelligence saudita. “Se voi sostituite Mossad con i sauditi – scrive Henshall – allora troverete una spiegazione per gli israeliani danzanti, arrestati (a New York, ndr) mentre filmavano e celebravano festanti le torri che crollavano, e poi rilasciati per ordine dell’Amministrazione Bush”.

Se è così, allora Richard Clarke è disposto a vivere pericolosamente. E vuole vivere. Per questo, dieci anni dopo, dice quello che dice e non dice quello che non può dire.

 

 

11 settembre 2001 misteri - demolizioni controllate?

 

11 settembre 2001 misteri - strane esplosioni

 

11 settembre 2001 - misteri uso di esplosivi e thermite?

 

 

11 settembre : Intervista a Massimo Mazzucco

Fonte web

(ASI) Dieci anni fa avvenivano, oltreoceano, gli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono. Agenzia Stampa Italia ha contattato Massimo Mazzucco, regista e scrittore, gestore del sito luogocomune.net, portale che sviscera argomenti di enorme rilevanza politica e sociale, facendolo in maniera competente ed alternativa.

Mazzucco è autore di approfondite ricerche sugli attentati dell’11 settembre, le quali lo hanno portato a sviluppare una versione su quell’evento diversa rispetto a quanto impostoci dalle autorità e dai media di massa. Ha raccolto il suo lavoro nel documentario dall’eloquente titolo “11 settembre 2001, inganno globale”. A dieci anni dagli attentati che scossero l’opinione pubblica mondiale e scatenarono nuove, interminabili guerre atte a modificare gli assetti geopolitici, il tema sta ricorrendo su carta stampata e tv. Noi di Agenzia Stampa Italia abbiamo scelto di discuterne con Mazzucco, al fine di comprendere le argomentazioni di coloro i quali vengono, sprezzantemente, definiti “cospirazionisti” o “complottisti”, dunque relegati ai margini dell’informazione cosiddetta “mainstream”.

Mazzucco, la storia dell’uomo è costellata di eventi importanti che, nel corso del tempo, sono stati revisionati dagli storici che ne hanno dipanato le ombre scure delle verità ufficiali, partigiane e imprecise. Tuttavia, questo processo di revisione solitamente impiega periodi di tempo molto lunghi; nel caso dell’11 settembre, ritiene che siano bastati questi dieci anni – durante i quali sono spuntati documenti, sono usciti una decina di libri e vari documentari che inchioderebbero l’amministrazione americana quale complice dell’accaduto – per rendere presso l’opinione pubblica inattendibile la versione ufficiale?

In realtà il processo di revisione non arriva mai fino in fondo. Se prendiamo ad esempio il caso Kennedy, nel corso degli ultimi quarant’anni centinaia di ricercatori, …

… con libri e documentari, hanno dimostrato oltre ad ogni ragionevole dubbio l’implausibilità della versione ufficiale. Nonostante questo, nei libri di storia leggiamo ancora che sia stato Oswald, e lui soltanto, ad uccidere il presidente Kennedy.

Oggi, grazie ad Internet, i tempi di questa “revisione” sono di molto accelerati. Ma è anche aumentata la capacità di risposta dei media mainstream a livello globale, per cui stiamo assistendo ad un equivalente del dibattito sul caso Kennedy, in tempi molto più accelerati. Ma anche in questo caso ritengo che la revisione si fermerà ad un passo dal riconoscere ufficialmente che quella dell’11 settembre fu una grande menzogna. Nessun governo può permettersi di riconoscere ufficialmente una cosa del genere, e meno di tutti quello americano.

Molte persone, seppur messe al cospetto di spiegazioni scientifiche da parte di ricercatori di verità alternative come lei, faticano a credere che gli attentati dell’11 settembre possano rappresentare – per mutuare un termine del giornalista Maurizio Blondet – un “colpo di Stato”. Questa ritrosia deriva presumibilmente dal mito della “potenza buona” che gli Usa hanno saputo dipingersi addosso negli anni. Tuttavia, in pochi sanno che l’11 settembre si collocherebbe sulla scia di quanto già avvenuto nel corso della storia degli Usa; non è vero?

Io ritengo soprattutto che si tratti di un problema psicologico. Per molte persone è estremamente difficile accettare che un qualunque governo occidentale abbia il coraggio di assassinare i propri cittadini per ottenerne un vantaggio politico a livello internazionale. Per molte persone accettare questo significa perdere la propria fiducia nelle istituzioni, mentre in realtà costoro dovrebbero comprendere che è proprio grazie a un processo di giustizia completo e trasparente, contro gli eventuali mandanti interni dell’11 settembre, che tali istituzioni verrebbero rafforzate.

Nel 1898 gli americani si auto-affondarono la nave da guerra Maine, ancorata di fronte al porto di Cuba, uccidendo 250 dei propri marinai. Di questo attentato furono immediatamente incolpati gli spagnoli, e ciò servì a giustificare l’entrata in guerra degli Stati Uniti contro la Spagna, che portò alla conquista di Cuba da parte degli americani.

Nel 1941 gli Stati Uniti provocarono l’incidente di Pearl Harbor, e poi non fecero nulla per avvisare il comandante del porto dell’imminente attacco giapponese. La morte di 3000 marinai americani servì a Roosevelt per presentarsi in parlamento e chiedere i pieni poteri per entrare in guerra contro Germania e Giappone.

L’incidente del Golfo del Tonchino, che servì agli Stati Uniti per dare inizio alla guerra del Vietnam, fu totalmente inventato. Lo ammise lo stesso Robert McNamara, che al tempo era ministro della difesa americano, pochi anni prima di morire, nel 2005.
Questi sono solo i casi più evidenti. Nel film “Il nuovo secolo americano” ho anche descritto nel dettaglio i casi più recenti che permisero agli Stati Uniti di lanciare la prima invasione dell’Iraq, durante la prima guerra del golfo.

Molto sinteticamente, può elencarci quali sono le ragioni per cui sarebbe da ritenersi falsificata volontariamente la versione ufficiale sull’11 settembre?

Purtroppo non è più possibile elencarle modo sintetico, perché nel frattempo sono emerse tutte le contro-risposte da parte di coloro che difendono la versione ufficiale. Per cui a questo punto è necessaria una indagine che presenti non solo i nostri capi di accusa, ma anche gli argomenti sollevati dai difensori della versione ufficiale, e le nostre repliche a quegli argomenti. E’ quello che sto facendo nel nuovo documentario sull’11 settembre che sto preparando.

Lei afferma che le Torri Gemelle fossero state minate preventivamente. Dunque, le rivolgo una domanda che i paladini della versione ufficiale usano per respingere le argomentazioni alternative: come è potuta avvenire un’operazione così sofisticata senza che nessuno dei tanti frequentatori quotidiani delle Torri si accorgesse di nulla?

Molto probabilmente, l’operazione fu fatta alla luce del giorno, sotto gli occhi di tutti. Qualche mese prima ci fu la completa “ristrutturazione“ degli ascensori delle torri gemelle. Questa ristrutturazione permise agli “operai“ di accedere direttamente alle colonne portanti di tutto l’edificio, piano per piano. Inoltre, durante il weekend dell’8/9 settembre si registrò un completo distacco della corrente elettrica nella torre sud, che fece azzerare tutti i sistemi di sicurezza, proprio mentre veniva attuato un “ammodernamento” del sistema elettrico in tutta la torre.

È davvero possibile che per dieci anni le tantissime persone coinvolte in questa “cospirazione” così grave abbiano mantenuto un tenace silenzio tale da non consentirle una degna risonanza mediatica?

In realtà io devo ancora capire perché mai qualcuno di coloro che hanno partecipato al complotto dovrebbe offrirsi come volontario per la sedia elettrica. È un ragionamento che non ho mai compreso, e che viene proposto continuamente da chi difende la versione ufficiale. A mio parere questo ragionamento non offende nemmeno l’intelligenza di chi lo ascolta, offende direttamente l’intelligenza di chi lo propone.

Come giudica i risultati della Commissione ufficiale d’inchiesta sull’11 settembre?

I risultati della commissione ufficiale d’inchiesta sull’11 settembre sono esattamente il motivo per cui oggi l’intero Movimento per la verità chiede una nuova investigazione. Si tratta, a mio parere, dell’equivalente storico del famigerato Rapporto Warren, quello che incolpò Oswald coprendo i veri responsabili dell’assassinio del presidente Kennedy.

In termini strettamente geopolitici, quale interesse avrebbero avuto gli Usa a provocare quelle stragi l’11 settembre di dieci anni fa?

Le motivazioni ormai sono sotto gli occhi di tutti. Il rafforzamento del controllo militare americano su zone ricche di fonti energetiche come il Caspio, il cui gas naturale transita proprio in Afghanistan, e ovviamente le riserve petrolifere dell’Iraq. Questa ovviamente è solo una analisi superficiale.

Alla luce dell’attuale assetto geopolitico internazionale, del ruolo sempre meno egemonico degli Usa, esistono, a suo avviso, motivi validi per temere un altro attentato terroristico in stile 11 settembre?

Questo dipenderà, a mio parere, dalla scelta o meno di attaccare l’Iran da parte delle potenze occidentali. Se prevarranno i falchi, sicuramente avranno bisogno di creare un nuovo incidente per giustificare la nuova aggressione. Questo non significa che il nuovo incidente debba per forza avvenire sul territorio americano. Proprio l’altra sera, alla CNN, la direttrice della Homeland Security, Janet Napolitano, ha detto che “oggi il nostro sistema di difesa non dovrebbe più permettere una nuova cospirazione, come quella dell’11 settembre.” Ha letteralmente usato il termine “cospirazione”. Curioso, vero?

 

 

11 settembre 2001 - (torri gemelle) particolari strani

 

 

Media e 11 settembre:

ma cosa sta succedendo?

Fonte web

Molti si domandano, in questi giorni, “che cosa stia succedendo” sui media mainstream riguardo all’11 settembre. Aveva creato un certo stupore la recente puntata di Minoli sull’11 settembre, nella quale il conduttore di “La storia siamo noi” aveva implicitamente validato le posizioni del Movimento per la verità sull’11 settembre (che richiede una nuova indagine sui fatti di quel giorno). Ma quello che era sembrato un caso isolato si sta ripetendo negli ultimi giorni con tale frequenza da suggerire che ormai si tratti di un tend consolidato: oggi parlare di verità alternative sull’11 settembre “si può”.

Ne ha dato prova La Repubblica, che “impavidamente” offre ai suoi lettori la trilogia di Giulietto Chiesa sull’11 settembre. Ne ha dato prova “Il manifesto”, che in un articolo di Manlio Dinucci si è spinto a dire “Ma la versione ufficiale sta crollando nel modo in cui sono crollate le torri: come un castello di carte.” E persino il buon Corriere della Sera, che ormai del glorioso quotidiano mantiene soltanto il nome, riconosce l’esistenza di un serio dibattito sull’11 settembre attualmente in corso.

Ma allora, dicono i più sospettosi, che cosa c’è sotto? Perchè da un giorno all’altro parlare di 9/11 non è più un tabù come prima?

La risposta, a mio parere, è molto semplice: perchè nel frattempo noi …

… abbiamo fatto abbastanza rumore da rendere legittimo parlarne sui media mainstream, senza venire necessariamente fustigati dagli editori. (Dicendo “noi” mi riferisco all’intero Movimento per la Verità nel mondo).

Una volta il numero di persone effettivamente al corrente delle nostre contestazioni era molto basso, e quindi si rischiava di apparire “controcorrente”, o “fuori posto”, nel parlarne sui grandi media. Oggi invece tutti sanno, bene o male, che esiste un grave problema riguardo alla versione ufficiale dei fatti, e quindi parlarne apertamente non comporta più lo stesso rischio che comportava prima.

Oggi nessun editore può permettersi di “dare uno scappellotto” in testa al suo direttore, dicendogli “Ma cosa ti salta in mente di pubblicare?”, perchè il direttore gli risponderebbe “Ma guardi che ormai queste cose le sanno tutti”. E molto probabilmente aggiungerebbe anche “Fra l’altro, ieri abbiamo venduto diecimila copie in più”.

E qui scatta il criterio fondamentale che da sempre governa le scelte dei mainstream media, e che ha molto meno a che fare con la politica di quanto abbia a che fare con questioni di tipo economico.

Tutte, assolutamente tutte le grandi testate giornalistiche del mondo – TV o giornali che siano – si reggono soprattutto in base alle inserzioni pubblicitarie che riescono a catturare, e non alle vendite vere e proprie. In altre parole, il numero di copie vendute è importante non tanto per l’introito aggiuntivo, quanto perchè ciò rende possibile alzare i prezzi dei propri spazi pubblicitari.

Se volete comperare un minuto per pubblicizzare la vostra pizzeria su Tele-Ciabatta vi costerà al massimo 100 euro, perchè Tele-Ciabatta la vedono in 15 persone, e quindi il vostro “incremento” massimo di business, derivante dallo spot pubblicitario, potrà essere di un paio coperti in più alla settimana. Se invece volete pubblicizzare una nuova bibita sulla CNN, che viene vista in tutto il mondo, lo stesso spazio pubblicitario vi costerà magari un milione di dollari, perchè quello è il ritorno che il produttore della bibita può aspettarsi dal suo spot pubblicitario.

Ma se le cose stanno così, dirà qualcuno, perchè tutti i mainstream media risultano costantemente omologati sullo stesso discorso politico? Perchè non cercano ciascuno la propria strada, per aumentare l’audience, indipendentemente da quello che fanno gli altri?

Anche qui, la risposta è molto semplice: proprio perchè si chiamano “mainstream” media. Quel nome (che significa “corrente principale”, nel senso di fiume) non gli viene dato per caso, ma perchè questi riflettono sempre la “corrente principale” di pensiero del pubblico a cui si rivolgono. E perchè riflettono sempre quella corrente? Perchè, essendo la “principale”, è anche quella che garantisce una audience più alta, e quindi maggiori introiti pubblicitari. Elementare, Watson.

Ecco che di colpo il teorema ci appare capovolto: non è la posizione politica di chi “controlla” la televisione a venire imposta al grande pubblico, ma la posizione politica del grande pubblico, recepita dalle “antenne “ particolarmente raffinate dei vari direttori, ad imporre le scelte editoriali delle varie redazioni.

Se ti metti a parlare di 11 settembre ad un pubblico che non è pronto a recepire l’argomento, la gente schifata cambia canale (o smette di comperare il tuo giornale), l’audience crolla, e gli inserzionisti ritirano le loro pagine pubblicitarie (oppure ti riducono il budget). Se invece lo fai quando “senti” che sia arrivato il momento giusto, e soprattutto lo fai nel modo giusto – sbilanciandoti sì, ma non oltre il necessario - scopri che la gente ti viene dietro volentieri, e probabilmente aumenti anche la tua audience.

Ecco perchè io sostengo da sempre che non esista un “grande vecchio” che ordina ogni giorno a TV e giornali di cosa parlare e di cosa non parlare. Non ce n’è bisogno, perchè ci pensa il sistema stesso ad autoregolarsi.

Ciascun direttore delle grandi testate funziona da solo – inconsciamente o meno – come “grande vecchio”, nel senso che sa benissimo se il suo pubblico desidera o meno sentir parlare di un certo argomento, e “come” eventualmente voglia sentirne parlare.

Torniamo quindi all’inizio del ragionamento: se oggi i più “coraggiosi” (Minoli, La Repubblica, il Manifesto) si sbilanciano leggermente a favore delle tesi alternative, mentre i più cauti (Corriere) riconoscono comunque l’esistenza di un serio dibattito, vuole dire che l’ago della bilancia del “pubblico sentire” – il pensiero mainstream, appunto – ondeggia attualmente fra quelle due posizioni.

E se questo accade è soprattutto grazie agli sforzi di tutti coloro che si sono impegnati, nel corso di questi 10 anni, a mettere insieme tutti quegli elementi che permettono oggi di contestare in maniera credibile la versione ufficiale dei fatti.

Gente come Steven Jones non ha perso il posto per nulla.

Questo però non significa, come molti sperano, che “un giorno la verità verrà fuori”. La verità, per chi vuole trovarla, è già fuori, ma non succederà mai che un governo – e di certo non lo farà quello americano – ammetta ufficialmente di aver mentito alla popolazione su fatti di una tale gravità ed importanza.

Per l’11 settembre potrà succedere, al massimo, quello che è già successo con il caso Kennedy: dopo aver cercato a lungo di coprire in tutti i modi la verità, sul finire degli anni settanta la pressione popolare costrinse il governo ad istituire una nuova commissione, chiamata HSCA (House Select Committee on Assassinations), la quale concluse che “con molte probabilità ci fu un secondo sparatore a Dallas”, e che quindi ci fu un complotto.

Ma di andare a cercare i veri responsabili non se lo è mai sognato nessuno.

Evitiamo quindi, da una parte, di crearci illusioni eccessive, mentre dall’altra cerchiamo di comprendere meglio i grandi meccanismi mediatici, al fine di ottenere i migliori risultati possibili dai nostri sforzi congiunti.

 

 

APPROFONDIMENTO

 

Nel 10 anniversario dell’11 settembre

 

Con libri e pubblicazioni il presidente, vicepresidente e primo consigliere giuridico della Commissione parlamentare Usa sull’11/9 – Thomas Kean, Lee Hamilton e John Farmer Jr. (li conosce Marco D’Eramo, occhiuto inviato negli Usa - si sono dissociati fortemente dalla relazione finale della Commissione. Hanno dichiarato che: l’amministrazione Bush ha ostacolato tutti i lavori, ha negato informazioni e documenti, Bush avrebbe accettato di testimoniare solo se fosse stato accompagnato dal vice Dick Cheney (detto “il macellaio”), né Bush né Cheney hanno voluto testimoniare sotto giuramento, dirigenti e funzionari del Pentagono hanno platealmente mentito alla Commissione, testimonianze sono state rifiutate, la Commissione voleva incriminare questi personaggi per ostruzione della giustizia e falsa testimonianza, la Commissione era stata predestinata a fallire, il governo aveva preso la decisione di non dire la verità sull’accaduto, i nastri del NORAD (Comando Usa Nord) raccontano una storia del tutto diversa da quella passata a noi e al pubblico, “ a tuttoggi non sappiamo perché il NORAD ci ha detto ciò che ci ha detto e che era lontanissimo dalla verità”.