11\9-2001

LA TRAGEDIA CHE SCOSSE

 IL MONDO

 

In ricordo dei tremila morti

delle torri gemelle
 

 

A SETTE ANNI DI DISTANZA LA RICOSTRUZIONE UFFICIALE DI TALI EVENTI FA ACQUA DA TUTTE LE PARTI E I NUOVI CANDIDATI ALLA PRESIDENZA NON NE PARLANO. PERCHÈ?

COSA O CHI STA DIVORANDO LA LINFA VITALE DEL POPOLO AMERICANO E DELLA SUA DEMOCRAZIA?

 

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

11 Settembre 2001 - la tragedia

 

 

INTRODUZIONE

 

Dopo sette anni esatti la tragedia delle Torri Gemelle è ancora avvolta da una fitta coltre di mistero... Anzi, in questi anni, invece di trovare pezzi di verità  che in qualche modo confermino la versione ufficiale, troviamo invece indizi che portano da tutt'altra parte. La cosa diventa ancor più preoccupante e misteriosa se aggiungiamo il fatto che lo stesso candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti, Barack Obama, non ha fin'ora mai fatto cenno a questa tragedia nella sua campagna elettorale. Eppure sarebbe un ottimo viatico per la Casa Bianca il dire agli americani: "Votatemi e vi prometto che farò piena luce su questa tremenda tragedia che ci ha colpiti!". E invece nulla. Posso capire il silenzio di McCain, dello stesso partito di Bush, ma è il silenzio di Obama che allarma e preoccupa. Semplice rimozione psicologica collettiva o qualcosa di più? Esiste forse un "mostro parassita", ancora senza un nome preciso e invisibile, che sta divorando la linfa vitale del popolo americano e della sua democrazia?

 

Fatto sta che «Le cose sono più complicate, le tracce che inseguiamo non sono di un solo animale, ma di tanti. Dobbiamo richiamare alla memoria del lettore un particolare...: mani anonime, nell’imminenza dell’11 settembre 2001, speculavano al ribasso sulle azioni delle due compagnie aeree che avrebbero visto i loro apparecchi sfasciarsi sulle torri e sul Pentagono. L’insider tradii della morte. Tra il 6 e il 7 settembre, furono comprate al «Chicago Board Options Exchange» 4744 opzioni della «United Airlines». Opzioni «put», che significano una scommessa sul ribasso imminente di quelle azioni. In pratica, le «put» si configurano come una vendita di titoli «allo scoperto»: uno vende titoli che non possiede, promettendo di consegnarli a una certa data, e contando di comprarli quando saranno ribassati. In quegli stessi giorni, 6-7 settembre, le opzioni «call» (cioè che scommettono sul rialzo dei titoli della United Airlines) trattate sul mercato di Chicago furono solo 396: i normali volumi di una giornata normale. Ad essere anormale era il volume delle azioni «put», del 600 per cento superiore alla media di una giornata-tipo.

Il 10 dicembre, ancora a Chicago, qualcuno comprò 4516 opzioni «put» dell’American Airlines, contro 748 opzioni «call» vendute quel giorno. Chi ha fatto queste operazioni conosceva precisamente quel che sarebbe accaduto alle due compagnie; si calcola che il guadagno di questi speculatori preveggenti ammonti a 9-10 milioni di dollari.
Non basta. Anche la «Morgan Stanley» e la «Merril Lynch» -due banche d’affari che occupavano il ventesimo piano del World Trade Center, furono oggetto di simili speculazioni al ribasso. Nei tre giorni precedenti all’attacco, qualcuno comprò 2157 opzioni put della «Morgan Stanley», con scadenza ad ottobre, e 12215 opzioni put della Merril Lynch: in questo secondo caso, l’aumento del volume di vendite fu del 1200 per cento.
Dopo la tragedia, le azioni delle due banche d’affari sono effettivamente cadute; per gli speculatori «che sapevano», un profitto complessivo di 6-7 milioni di dollari.

Ma non basta ancora. Simili speculazioni al ribasso furono fatte sulla tedesca «Munich Re» e sulla svizzera «Swiss Re»: due compagnie assicurative che avevano assicurato molti inquilini delle due Torri. Anche la francese «Axa» fu oggetto di una speculazione al ribasso: e la Axa è una finanziaria che teneva in portafoglio il 25% delle azioni American Airlines. Dopo l’11 settembre, si disse subito che un’indagine seria su quelle speculazioni avrebbe portato alla mappatura della rete finanziaria di al-Qaeda e di Osama bin Laden: e chi se no poteva avere conoscenza anticipata dell’attacco? Gli esperti di finanza avvertirono che l’indagine sarebbe stata in ogni caso difficile, dato l’anonimato che protegge le transazioni sui mercati delle opzioni.
Tuttavia, molte speranze erano poste su un programma di computer, chiamato PROMIS. E’ un software che consente di controllare «in tempo reale» le negoziazioni sui titoli, usato da agenzie finanziarie di tutto il mondo per la sua versatilità. Ed è noto che esiste una versione di PROMIS modificata per scopi investigativi, che consente quanto segue: «La polizia può digitare il nome di un sospetto o il numero di una carta di credito, e il software fornisce i particolari dei movimenti finanziari di quella persona».

Così assicurava il canadese «Toronto Star» l’11 ottobre 2001.
L’FBI, il Dipartimento della Giustizia, la CIA devono disporre del software: così ha ragionato Tom Flocco, un giornalista che ha pubblicato la sua indagine su Internet. Ed ha telefonato ai tre enti investigativi più celebri degli Stati Uniti, chiedendo: usate PROMIS? Lo stavate usando prima dell’11 settembre, per vedere in diretta le transazioni in corso? FBI e Dipartimento della Giustizia hanno risposto di «avere interrotto» l’uso di PROMIS. Quando all’addetto stampa della CIA Tom Crispell ha detto di più: l’uso da parte nostra del PROMIS «sarebbe illegale. Noi agiamo solo al di fuori degli Stati Uniti».
Risposta di esemplare correttezza: la CIA non può occuparsi di affari interni, è un servizio di spionaggio per l’estero.

Il fatto è che le indagini sulla speculazione finanziaria preveggente si è fermato proprio alla porta dell’Agenzia. Almeno una delle transazioni, è risultato, è stata fatta attraverso la «AB-Brown», una finanziaria americana acquistata dalla «Deutsche Bank» nel 1999. E presidente esecutivo della AB-Brown era, fino al 1998, l’attuale numero tre della CIA.
Si tratta di A.B. Krongard detto «Buzzy».Questo personaggio, quando capeggiava la AB-Brown, aveva la responsabilità delle «relazioni coi clienti privati». Un mestiere che lo metteva in rapporto con personalità fra le più ricche del mondo, i «clienti privati» anonimi a cui la banca fornisce una gestione personalizzata e molto riservata dei capitali.
(…)
La AB Brown conserva ancora due milioni e mezzo di dollari guadagnati dall’anonimo speculatore che sapeva tutto prima, che il misterioso operatore non ha potuto incassare in tempo (dopo il disastro Wall Street e i servizi finanziari non hanno funzionato per quattro giorni), e che ora non osa incassare per non essere colto con le mani sul malloppo. «Buzzy» Krongard era in quella banca. Vi dirigeva la gestione dei patrimoni riservati ai ricchi «clienti privati», ossia di quella categoria che può fare simili operazioni. La categoria, diciamolo, cui appartiene Osama bin Laden.
E la CIA conosce molto bene bin Laden." (…) (
Fonte web - Maurizio Blondet

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LaRouche: “Questa è un’operazione

strategica coperta contro gli USA”

 

Intervista a Lyndon LaRouche (più volte candidato alla presidenza degli Stati Uniti) alla radio WGIR-AM del New Hampishire, 12 settembre 2001, condotta dal giornalista Woody Woodland.

Dal momento in cui furono colpite le Torri Gemelle, LaRouche è stato il primo, e forse l'unico, a denunciare il tentativo di golpe condotto da "forze canaglia" dei servizi e dei militari USA camuffate dietro un paravento islamico e impegnate a provocare lo "scontro di civiltà".

Fonte webLYNDON LAROUCHE

WOODLAND: Lei è solito viaggiare in tutto il mondo e trascorre molto del suo tempo all'estero. Cosa puòdirci di coloro che potrebbero essere gli autori di questi misfatti terroristici? Si sente ovunque parlare di questo Osama Bin Laden, ma credo che sia dovuto al fatto che non conosciamo altri nomi. Che cosa ne pensa?

LAROUCHE: Voglio precisare che questa non è una operazione terroristica, ma si tratta piuttosto di una speciale operazione strategica coperta che presenta delle somiglianze con l'operazione della milizia contro il centro di Oklahoma City alcuni anni fa.

WOODLAND: Vuole dire che possono essere stati individui nel nostro stesso paese?

LAROUCHE: In parte debbono essere stati individui nel nostro paese. Ne abbiamo parlato in un'intervista ieri, iniziata un quarto dopo le nove. La trascrizione è disponibile sul sito internet LAROUCHEPUB.COM, il sito della mia campagna elettorale per le presidenziali del 2004.

Riconsiderando ciò che ho detto posso dire di non aver sbagliato niente. Sono stato colto un po' di sorpresa, dato che i fatti si stavano verificando in quel momento, ma il precipitare della situazione non mi ha sorpreso. Non mi ha sorpreso il fatto che si è trattato principalmente di una operazione speciale coperta, principalmente nata qui in America e condotta da gente che deve disporre della massima preparazione nelle operazioni speciali militari. Altrimenti non sarebbe potuto accadere.

WOODLAND: Se così fosse, quale sarebbe l'obiettivo di questa gente, a differenza degli obiettivi dei terroristi mediorientali?

LAROUCHE: Creare un effetto Pearl Harbor simulato per trascinare gli Stati Uniti in una guerra contro le nazioni del Medio Oriente.

WOODLAND: A me pare che questo sia un atto di guerra contro gli Stati Uniti da parte di qualcuno, ma non mi pare che si tratti di una nazione ben definita. Certo che ci sarà qualche nazione -- se si tratta di terroristi mediorientali ci sarà una qualche nazione che offre loro copertura...

LAROUCHE: No...

WOODLAND: Lei non crede che sia così.

LaROUCHE: Prendiamo Osama bin Laden. E' una creazione dei servizi segreti statunitensi, britannici e israeliani, nel contesto delle cosidette operazioni in Afghanistan. E' tutt'ora una pedina controllata da quegli interessi, che in larga misura si celano nelle sezioni delle operazioni speciali coperte di quei servizi. Pertanto i nostri vertici militari non hanno certamente niente a che fare con tutto questo. C'è invece gente che "sconfina dalla riserva", come abbiamo visto nella vicenda terroristica di Oklahoma City, e ci sono persone che sono sconfinate dalla riserva che vengono utilizzate, che possono essere sconfessate ...

WOODLAND: Ma chi sarebbe allora questa gente? Sta dicendo che abbiamo a che fare con dei terroristi che sono americani?

LAROUCHE: No, non si tratta di terroristi. Sicuramente terrorizzano la gente, ma non sono terroristi. Voglio dire che ritenere questa una operazione di terrorismo internazionale è una sciocchezza ed è molto pericoloso mettersi alla ricerca del nemico sbagliato e ignorare così quello vero. La questione è che vi sono delle persone molto potenti che agiscono dietro le quinte in diversi governi: il governo britannico, quello statunitense e quello israeliano -- non mi riferisco a Sharon, non credo che lui abbia niente a che fare con questo. Questa gente è determinata a fare in modo che gli Stati Uniti finiscano per condividere fino in fondo le ragioni del conflitto tra certe forze in Israele e i paesi vicini, e sfruttare questo per coinvolgere gli Stati Uniti in un conflitto geopolitico in Medio Oriente. E già abbiamo le reazioni degli sciocchi che abboccano, compreso il Presidente degli Stati Uniti che è un povero sprovveduto, che ieri è stato spinto in tale direzione.

WOODLAND: Lei non accetta l'opinione che qui è generalmente condivisa, che è stato Osama bin Laden o qualcuno della sua risma?

LAROUCHE: Non sono convinto che la gente che la condivide abbia cercato davvero di farsi una propria opinione. Alcune caratteristiche degli avvenimenti di ieri balzano subito agli occhi. Ieri abbiamo raggiunto alti ufficiali e specialisti, gente con tanta esperienza nel passato, in Russia, in Europa ed altrove, e così, abbiamo potuto fare un quadro di cosa è accaduto, avvalendoci di un punto di vista americano e del loro punto di vista, mettendo i vari punti di vista a confronto. La cosa appare impossibile; pensate, gli Stati Uniti non erano in grado di fare una cosa del genere all'Unione Sovietica neanche negli anni più roventi della guerra fredda. Noi non disponevano della capacità, allora, di fare all'Unione Sovietica ciò che oggi è stato fatto a noi.

 

 

11 settembre 2001 - strano oggetto sotto il boeing?

 

 

Alcune domande che ancora

attendono una risposta

 

Fonte web

Dalle consultazioni che l'EIR ha avuto con piloti professionisti ed esperti di sicurezza in merito agli episodi dell'11 settembre, nei primissimi giorni dopo quegli avvenimenti, sono emerse alcune domande che ancora non hanno ottenuto una risposta:

1) Come mai i preparativi di un'operazione tanto grande e sofisticata, a cui deve aver preso parte almeno un centinaio di persone, sono passati inosservati agli addetti dei servizi? Si tratta di un fallimento completo della struttura o anche tale fallimento è parte dell'operazione stessa?

2) Come hanno fatto i dirottatori a immobilizzare ben quattro equipaggi senza che nemmeno uno dei piloti riuscisse a battere quattro cifre nel risponditore del velivolo o dire qualcosa alla radio, informando così la Federal Aviation Agency (FAA)? O forse i piloti sedutisi al posto di guida erano sin dall'inizio i dirottatori? In tal caso dovevano conoscere alla perfezione le procedure, che sono precise e complicate, e specifiche per compagnia aerea.

Molti piloti hanno affermato che per effettuare una manovra del genere è sufficiente un addestramento minimo. Ma quante possibilità di riuscire alla perfezione avrebbero avuto dei dilettanti?

Il gen. Eiten Ben Eliahu, ex comandante dell'aviazione israeliana, si è detto convinto che i piloti erano americani e non stranieri.

3) Come mai tutte le procedure di emergenza hanno fallito? Secondo le procedure della FAA, nel momento in cui risulta che un aereo abbandona il proprio percorso di volo si cerca immediatamente di stabilire il contatto con i piloti. Nel caso non si ottenga risposta, scatta immediatamente l'allarme. In tal caso si procede a determinare se l'aereo è stato dirottato o è fuori controllo. Si tratta di procedure che sono standardizzate e regolarmente simulate, dato che il fattore tempo è cruciale. Nel caso di emergenze, specialmente di dirottamento, è previsto il collegamento con i militari. Un aereo intercettore richiede 15 minuti da quando scatta l'allarme per essere in volo.

E' stato riferito che i risponditori dell'aereo erano spenti. Questo di per sé doveva essere sufficiente a far scattare le procedure di emergenza. Anche a risponditore spento l'aereo è localizzabile dai radar, che consentono di individuarne la nuova rotta.

I voli 11 dell'American Airlines e 175 della United Airlines, quelli che sono stati dirottati su New York, sono decollati dall'aeroporto Logan di Boston alle 7,59 e alle 7,58. Il primo aereo si è schiantato sul WTC 46 minuti dopo e il secondo 66 minuti dopo. Ambedue hanno palesemente lasciato la rotta prestabilita, marcatamente il secondo. C'era tutto il tempo di intercettarli se fosse stato dato l'allarme secondo la procedura stabilita.

Ancor più sorprendente è stato il volo 77 della American Airlines che è decollato dal Dulles di Washington alla volta di Los Angeles. Ha volato nella direzione giusta per 40 minuti, per poi compiere un'inversione completa di rotta e tornare su Washington e schiantarsi sul Pentagono alle 9,40. Ha viaggiato per 40 minuti fuori dal controllo, ma non è stato intercettato.

La difesa dello spazio aereo interno degli USA e del Canada è affidata al North American Aerospace Defense (NORAD), il cui comando sostiene di non aver avuto il tempo per reagire. L'affermazione è molto dubbia, dato che la NORAD staziona alcuni velocissimi intercettori F-15 nella base della CIA a Langley, Virginia, vicinissima a Washington.

La questione della mancata reazione dei mezzi NORAD è stata posta al Senato il 13 settembre al gen. Richard Myers, capo di stato maggiore della Difesa, che ha dato risposte evasive.

 

 

la Verità di Cristallo
 

 

 

Lo scenario dell'11 settembre

Fonte web

Il 28 novembre 2001 un migliaio di persone si erano radunate alla Portland State University per ascoltare Mike Ruppert, editore di "FTW".
Ruppert presentò oltre 40 episodi che alimentano dubbi e perplessità sull'atteggiamento del governo americano prima e dopo l'attacco terroristico dell'11 settembre.
Di seguito riportiamo la ricostruzione cronologica dei fatti sulla base delle dichiarazioni di Ruppert.
Iniziamo con l'elenco di principali protagonisti dell'attuale governo degli Stati Uniti che hanno avuto o che hanno tuttora rapporti con le lobby del petrolio.
George W. Bush, presidente degli Stati Uniti. Texano, il petrolio è da sempre la principale attività della famiglia Bush.
Condoleeza Rice, direttrice del Consiglio Nazionale della Sicurezza, già capo della Chevron, gruppo petrolifero con forti interessi in Kazakhistan e Pakistan. Già all'epoca della presidenza di Bush padre, collaborava con il Consiglio Nazionale della Sicurezza come esperta dell'area sovietica.
Dick Cheney, vicepresidente degli Stati Uniti, per lunghi anni direttore di Halliburton, leader mondiale per la fornitura di servizi all'industria petrolifera.
Donald Evans, segretario del Commercio, intimo amico di George Bush, ha compiuto la sua carriera nel settore petrolifero come presidente della Tom Brown. Lo stesso dicasi per Spencer Abraham, segretario dell'energia.
Kathleen Cooper, sottosegretario per il Commercio e gli Affari Economici, già amministratrice della Esso.
Christina Rocca, direttrice dell'Ufficio Affari Asiatici e responsabile dei rapporti con i talebani. In precedenza aveva mantenuto i rapporti, per conto della CIA, con la guerriglia antisovietica in Afghanistan.  
Laila Helms, nipote di Richard Helms, già direttore della CIA ed ex ambasciatore in Iran. E' nota come la "lobbista dei talebani" 

Cronologia antecedente all'attentato

1998 e 2000: l'ex presidente George H. W. Bush effettua due viaggi privati in Arabia Saudita per conto del Carlyle Group, l'undicesimo più grande contrattore di appalti USA per la difesa. In Arabia, incontra la famiglia reale saudita e quella bin Laden (1)
Gennaio 2001:l'Amministrazione Bush ordina all'FBI e alle altre agenzie di sospendere le investigazioni a carico della famiglia bin Laden, incluse quelle in corso nei confronti di due parenti di Osama bin Laden (Abdullah e Omar) che vivevano a Falls Church, Virginia - vicino al quartiere generale della CIA.
Quest'ordine seguiva ordini precedenti datati 1996, frustrando sforzi nell'indagare la famiglia bin Laden.
D'altra parte è ampiamente documentato come per i petrolieri statunitensi fosse indispensabile trattare con i talebani (2)
13 febbraio 2001: il corrispondente dell'"UPI Terrorism", Richard Sale - mentre segue un processo contro alcuni membri di Al Qaida - riporta che la National Security Agency è riuscita a intercettare le comunicazioni segrete di bin Laden. Anche se questo fatto potrebbe indicare che bin Laden cambiò sistema in febbraio, non coincide comunque con la tesi sostenuta dal governo americano che gli attacchi erano stati pianificati da anni.
Febbraio 2001: i talebani si dichiarano pronti a negoziare con gli Stati Uniti e a studiare una forma di estradizione internazionale.
Maggio 2001: il segretario si Stato Colin Powell decide lo stanziamento di 43 milioni di dollari a favore del regime talebano, come misura d'assistenza ai contadini che hanno distrutto le coltivazioni di oppio. (3)
Maggio 2001: il deputato Richard Armitage, ex agente segreto ed ex Navy Seal, si reca in India per un tour ampiamente pubblicizzato, mentre il direttore della CIA George Tenet è in visita in Pakistan. Dove incontra il leader pakistano generale Pervez Musharraf.
Armitage ha antiche e profonde frequentazioni con i servizi segreti pakistani, tanto da ricevere la più alta decorazione civile pakistana. E' ragionevole presumere che mentre è ad Islamabad, Tenet - in quello che è stato descritto come "un meeting stranamente lungo" - incontri anche il suo omologo pakistano, generale Mahmud Ahmad, capo dell' ISI. (4)  
Giugno 2001: i servizi segreti della Germania, il BND, avvisano la CIA e Israele che i terroristi del Medio Oriente stanno "pianificando il sequestro di aerei commerciali da usare come armi di attacco a simboli importanti della cultura americana e israelita" (5)
Contemporaneamente il Consiglio di Sicurezza americano comincia a prendere in seria considerazione un possibile intervento in Afghanistan.
In una riunione sul futuro dell'Afghanistan tra Condoleeza Rice e il rappresentante dell'ONU Francesc Vendrell, la logica della sicurezza energetica scivola ben presto verso una logica strettamente militare. A partire da quel momento l'Amministrazione Bush decide di mettere in campo un'alternativa: "o un tappeto d'oro o un tappeto di bombe".
(...)
Luglio 2001: tre ufficiali americani: Tom Simmons (ex ambasciatore USA in Pakistan), Karl Inderfurth (ex assistente del segretario di Stato per il Sud dell'Asia) e Lee Coldren, incontrano a Berlino ufficiali dei servizi segreti pakistani e russo, informandoli che gli USA stanno preparando un piano d'attacco militare contro l'Afghanistan per ottobre. 
Giornali inglesi confermano che l'ISI pakistano informò i talebani della minaccia (6)  
4-14 luglio 2001: Osama bin Laden si fa curare per una malattia al fegato nell'ospedale americano di Dubai e incontra un ufficiale della CIA che rientrerà al quartier generale CIA il 15 luglio (7)
Estate 2001: il capo dell'ISI pakistano general Mahmud ordina il trasferimento di 100.000 dollari a Mohammed Atta che era - secondo l'FBI - il capo dei terroristi nell'attacco suicida su Manhattan. Mahmud si è poi dimesso dopo che la storia del trasferimento è stata rivelata in India e confermata dall'FBI. (8)  
Estate 2001: un cittadino iraniano telefona al Law Enforcement americano per avvertire di un possibile ed imminente attacco al World Trade Center nella settimana del 9 settembre. La polizia tedesca conferma la chiamata, ma dichiara che i servizi segreti americani non rivelarono nessuna ulteriore informazione. (9)
Estate 2001: i servizi segreti russi informano la CIA che 25 terroristi, tutti piloti, sono stati specificamente addestrati per missioni suicide. Questa notizia è riportata dalla stampa russa e gli articoli sono tradotti per "FTW" da un ufficiale della CIA in pensione.
Agosto 2001: il presidente russo Vladimir Putin ordina ai servizi segreti russi di avvertire il governo USA "nei termini più incisivi", di imminenti attacchi a aeroporti e palazzi governativi (10)
Agosto-settembre 2001: Il Dow Jones Industrial Average, l'indice della borsa newyorkese, cade di 900 punti nelle tre settimane precedenti l'attacco. Un crash dello stock market è imminente
6-7 settembre 2001: 4744 opzioni "put" (speculazioni in attesa del calo dello stock market) sono acquistate sullo stock della United Airlines. (...) Molte delle United Airlines "puts" sono acquistate attraverso la Deutschebank/AB Brown, una compagnia gestita fino al 1998 dall'attuale direttore esecutivo della CIA A.B. "Buzzy" Krongard (11)
10 settembre 2001: acquistate 4516 opzione "put" dell'American Airlines. 
6-10 settembre 2001: anormali livelli di opzioni "put" vengono acquistate da Merrill Lynch, Morgan Stanley, AXA Re e Munich Re. Tutte queste compagnie sono direttamente colpite dagli attacchi dell'11 settembre. (12) 
(...)
I titoli su cui indagano le autorità sono in realtà 28. Tra questi ci sono anche General Motors e Boeing.
(...)
11 settembre 2001: il generale Mahmud dell'ISI, amico di Mohammed Atta, è a Washington per conto dei talebani (13)
11 settembre 2001: per 35 minuti, dalle 8:15 alle 9:05, sebbene ampiamente noto all'USAF Air Force e ai militari che quattro aerei sono stati sicuramente dirottati, nessuno informa il presidente degli Stati Uniti. Solo alle 9:30 gli aerei della Air Force si alzano per intercettare i velivoli dirottati, ma è già tardi.
Questo significa che la National Command Authority ha impiegato 75 minuti prima di intervenire, sebbene fosse ampiamente nota la notizia dei quattro dirottamenti simultanei, un evento che non ha precedenti nella storia. (14)

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(1) "Wall Street Journal", 27 settembre 2001
(2) "BBC Newsnight", corrispondente Gregg Palast, 7 novembre 2001
(3) "The Los Angeles Times", 22 maggio 2001
(4) "The Indian SAPRA new agency", 22 maggio 2002
(5) "Frankfurter Allgemeine Zeitun", 14 settembre 2001
(6) "The Guardian", 22 settembre 2001, BBC, 18 settembre 2001 
(7) "Le Figarò", 31 ottobre 2001
(8) "The Times of India", 11 ottobre 2001
(9) "German news agency", 14 settembre 2001
(10) "MS-NBC", intervista a Putin, 15 settembre
(11) "The New York Times", "The Wall Street Journal".
(12) Idem
(13) "MS-NBC", 7 ottobre 2001
(14) "CNN", "ABC", "MS-NBC", 30 settembre 2001

 

 

La storia dei fatti...

 

 

 

La sbornia dell’11 settembre

“Il se ed il ma sono il pane dei grulli”
Proverbio toscano

Fonte web

Dopo le commemorazioni di rito per l’attentato “che ha cambiato il mondo”, dopo i mille “speciali” dei TG nazionali, dopo gli “esperti” che ci hanno mostrato anche l’ultimo pelo nell’uovo della vicenda (dov’erano durante la guerra in Libano?), dopo la retorica e la mistificazione, l’incenso e la polvere, cosa rimane?
Una sensazione d’inadeguatezza, confusione, sconcerto: la classica “sbornia mediatica”.
Ma, veramente, qualcuno ritiene di poter scrivere la verità sugli attentati dell’11 settembre 2001? Ci sono persone le quali ancora credono che, sapere tutta la verità su cosa successe, cambierebbe qualcosa? Conoscere i retroscena della vicenda muterebbe l’oggi?

Confesso che l’argomento mi ha appassionato assai poco, giacché chi ha vissuto la stagione italiana delle bombe e degli attentati, delle BR e dei servizi segreti deviati non ci ha messo molto a capire che si tratta del solito polverone, del medesimo garbuglio storico già visto tante volte, delle comuni mezze verità raccontate per alimentare per anni i “cercatori della verità”, che a loro volta finiscono proprio per essere utilissimi – nella miglior buona fede – per chi desidera nascondere la verità.
Apparente contraddizione? No, perché le “verità” importanti sono altre, e non serve andare a squartare il capello in quattro per verificare se gli attentatori fossero proprio quelli indicati, se gli aerei furono proprio quelli, se nessuno sapeva nulla, se, se, se…

Per gli amanti della Storia, possiamo citare alcuni eventi che illuminano quanto sia pieno di sfumature e contraddizioni ciò che ci raccontano.
Garibaldi fu il conquistatore del Regno delle Due Sicilie? E come fece a raggiungere Marsala – con due piroscafi praticamente rubati – se a contrastarlo c’era la Marina Partenopea , ossia la più forte ed organizzata Armata Navale italiana dell’epoca? Come mai le navi di Francesco II non fecero a pezzi il Piemonte ed il Lombardo?

Semplicemente perché nel porto di Marsala erano ormeggiate – casualmente – due fregate britanniche. Quando le navi borboniche giunsero nel luogo dello sbarco, non riuscirono a far molto per il timore di colpire i due legni inglesi – che a loro volta avrebbero chiamato qualche “fratello maggiore” della Flotta del Mediterraneo britannica – e Garibaldi riuscì ad inoltrarsi nell’interno indisturbato. Successivamente, parecchi alti ufficiali borbonici si fecero corrompere – ma qui entriamo già in aree dubbie – mentre la presenza delle due navi inglesi è inconfutabile. Molti, però, continuano a ritenere l’impresa dei Mille una semplice combinazione di coraggio e fortuna, mentre dietro all’impresa c’era la precisa volontà britannica, che vedeva in un futuro (e relativamente debole) stato italiano un contrasto all’espansione francese nel Mediterraneo.

Spicchiamo un salto di quasi un secolo ed atterriamo a Pearl Harbour il 7 dicembre del 1941, quando gli aerei giapponesi stanno per attaccare le corazzate americane alla fonda. Nessuno sapeva nulla delle sei portaerei dell’ammiraglio Nagumo, che avevano attraversato completamente indisturbate il Pacifico?
Gli americani sapevano che le navi giapponesi erano scomparse dal loro ancoraggio nella baia di Hitokappu – nelle isole Kurili, Giappone settentrionale – il 23 di novembre
[1]: quando si presentarono alle Hawaii erano due settimane che lo Stato Maggiore Americano le aveva perse di vista. Tutto ciò avveniva proprio mentre Roosevelt attendeva una risposta all’ultimatum posto al Giappone, nel quale gli USA fissavano le quantità di materie prime (ferro, carbone, petrolio, ecc) che l’Impero del Sol Levante avrebbe potuto importare: Washington attendeva una risposta che poteva significare solo pace (ossia completa sottomissione) oppure guerra. E persero di vista per due settimane l’intera squadra di portaerei giapponesi?

Di più: l’ammiraglio Chester Nimitz – a quel tempo addetto alle operazioni navali a Washington – bramava per avere un comando in mare: l’occasione di Pearl Harbour gli consentì di superare l’ostracismo del presidente Roosevelt verso la sua persona, e “scalzò” lo sfiduciato Kimmel dalla poltrona di comandante della Flotta del Pacifico.
In questo caso, addirittura, ci furono più elementi a giocare a favore della sorpresa giapponese: la necessità di Washington d’entrare in guerra per dare finalmente la scalata al potere planetario ed anche un competitore interno che – pur di raggiungere quella poltrona – possiamo ipotizzare che “tifasse” giapponese.

Alberto Franceschini – uno degli storici fondatori delle BR – afferma nel suo libro[2] di memorie che riuscirono a scampare più volte alle trappole tese loro dalle forze dell’ordine, grazie alle “soffiate” ricevute niente di meno che dal Mossad. Quando furono catturati nel 1974, nei pressi di Pinerolo, erano di ritorno da Roma dove s’erano recati per preparare un agguato a Giulio Andreotti. Allora non esistevano i telefonini, ed un loro compagno che puntualmente ricevette la “soffiata” non riuscì a contattarli per avvertirli del pericolo prima che giungessero in Piemonte, dove i Carabinieri li attendevano.
Forse il Mossad riteneva che una sorta di “tanto peggio, tanto meglio” – vista la politica sfacciatamente filo-araba dell’Italia – potesse aprire la porta a soluzioni autoritarie più favorevoli per Israele, oppure colui che forniva le “soffiate” – sempre che Franceschini racconti la verità – usò la “copertura” del Mossad per proteggere le sue vere fonti?

Come si può notare, nonostante queste coincidenze, non è possibile dimostrare nulla: nessuno può sostenere un diretto coinvolgimento della Gran Bretagna nell’impresa dei Mille né, tanto meno, affermare che Nimitz si guardò bene dal rendere pubbliche eventuali informazioni in suo possesso. Chi era l’informatore delle BR? C’era veramente il Mossad dietro alle “soffiate”?
Stupisce osservare come tanti commentatori si consumino per dimostrare un coinvolgimento diretto dell’amministrazione Bush negli attentati dell’11 settembre, per un semplice motivo: anche se così fosse – ossia se gli USA avessero avuto proprio bisogno dell’attentato per partire alla conquista delle aree di produzione petrolifera – non avevano nessuna necessità di “sporcarsi le mani” e compierlo loro stessi.

Stupisce ancor più costatare che nella trappola cascano esperti giornalisti italiani: ma, abbiamo dimenticato cosa successe nel nostro paese fra il 1969 ed il 1980? Chi ha saputo indicare gli autori dell’attentato di Piazza Fontana? Dopo i vari processi-farsa, dopo Valpreda, Freda, Ventura, Giannettini, Zorzi…cosa rimane?
Nel giugno del 1980 un DC-9 sparì dagli schermi radar, e dai tabulati di tutti gli aeroporti del Tirreno scomparvero contemporaneamente tutti i tracciati radar di quella sera maledetta. Si trattò di una coincidenza del tutto normale? Pochi giorni prima o dopo (nessuno è nemmeno più in grado di sostenere con certezza una data!) un Mig libico si schiantò sulla Sila. E’ un fatto del tutto normale: i Mig libici ogni tanto cascano, cadono dove fa loro comodo.

Insomma, che questa gente ci sta prendendo in giro da decenni lo sappiamo, ma se commettiamo l’errore di correre dietro ai “fatti” – ossia al sofisticato caleidoscopio delle informazioni e delle smentite, dei processi, delle sentenze emanate e poi annullate, delle “gole profonde” e dei “dossier” segreti – sapete cosa combiniamo? Ci dissanguiamo in un assurdo teatrino, nel quale noi corriamo come pazzi per dimostrare la loro cattiva fede, mentre loro se la ridono beati e preparano per tempo la nuova “rivelazione”, il nuovo “agente all’Avana”, l’ennesima imitatrice di Mata Hari. E ci prendono per il sedere alla grande.
Qualcuno pensa veramente che, se gli USA avevano bisogno di un attentato eclatante per dare il via alla danza della guerra, dovevano per forza crearsi i “mostri” in casa? Dovevano andarli a pescare proprio dalle parti del socio in affari del presidente, nei rapporti fra il Saudi Binladin Group e la famiglia Bush?
Suvvia, signori, non crediamoli troppo fessi. Per fare queste cose non è necessario “fare”, è sufficiente “lasciar fare”.
Da qualche parte, nel pianeta, esisterà pure il più scalcinato gruppo terrorista del Medio Oriente – che so io…il “Donald Duck Fan Club” della valle della Bekaa – che si propone d’affondare la corazzata USA distruggendo tutte le copie esistenti dell’odiato “Topolino”. Basta lasciarli fare: è sufficiente fornire loro i mezzi economici e qualche “buon consiglio”. I buoni consiglieri militari non mancano mai: sono lì apposta per consigliare…

Basta spostare l’attenzione da Topolino ad un altro obiettivo…fornire un po’ di soldi…il necessario addestramento…fatto!
Dopo, si può gridare ai quattro venti che l’Islam ha colpito l’Occidente – come se i quattro scalzacani fossero l’Islam – e dare inizio alle grandi operazioni militari su larga scala. E chi glielo fa fare di preparare loro stessi una simile pantomima?
Di più: lasciano filtrare anche vecchi piani “segreti” dove si narra di missili contro il Pentagono, contro Paperino, contro Marte…e noi: giù per la china a correre loro dietro!
Piuttosto, la domanda da porre ai sostenitori della politica USA è: com’è possibile che la prima potenza mondiale – che può contare sull’FBI, sulla CIA, sui servizi di spionaggio e controspionaggio di Esercito, Marina, Aviazione e Marines e sulla rete consolare più ramificata del pianeta – non sia riuscita a sapere nulla del più eclatante attentato terroristico mai compiuto?

Questa domanda – solo apparentemente retorica – ne trascina una seconda: è sulla stessa rete d’informazioni e di elaborazione dei dati che poggia la cosiddetta “guerra al terrorismo”? In altre parole, è sotto il comando della stessa gente che le truppe ed i servizi di molti paesi dovrebbero contrastare il terrorismo mondiale? No, ditelo subito se è così, perché sarebbe meglio – a questo punto – chiamare subito il Mago Zurlì ed affidargli seduta stante tutta la faccenda.
Il tranello nel quale cade chi si presta a correre dietro a queste Fate Morgane è quello di farsi dare dell’idiota, del fantasticatore, del cantastorie e del terrorista in pectore da gente che dovrebbe invece rispondere dei massacri di Falluja e di Haditha, di Abu Graib, del disastro afgano, del nuovo “polpettone” in salsa ONU del Libano, della Jugoslavia, del Ruanda…dov’erano lor signori mentre migliaia di persone ci lasciavano la pelle per le loro belle pensate? Forse a preparare l’ennesima notizia/bufala da far filtrare abilmente per gli sciocchi che amano reti, ami e nasse mediatiche?

Se vogliamo tracciare le future linee della politica internazionale, non le troveremo certo andando a rovistare negli archivi che la CIA (guarda a caso!) ci consente di sbirciare; suvvia: sarebbe come se un potenziale uxoricida si mettesse a seminare per strada bigliettini con scritto “Ucciderò mia moglie”, firmato con nome, cognome ed indirizzo!
L’unica vera notizia è che il prezzo dell’energia aumenta a ritmi superiori al 15% annuo, perché sugli ultimi 50 anni d’estrazione petrolifera vogliono giocarsi tutto, fino all’ultimo centesimo. Passare alle rinnovabili? Perché farlo oggi quando c’è ancora tanto da lucrare?
I contratti d’estrazione del petrolio iracheno erano nelle mani di Francia e Russia? OK: facciamo una bella guerra all’Iraq e prendiamoci ‘sto petrolio. Punto. Cosa serve? Un po’ di polverone mediatico? E che ci vuole…date a Powell due fialette d’acqua distillata, scriveteci sopra “Antrace” e mandatelo all’ONU, ci cascheranno come degli idioti…

Per contrastare il passaggio d’eventuali oleodotti verso la Cina serve occupare l’Afghanistan? Ma sì, tanto racconteremo che andremo a prendere Bin Laden…
L’Iran vende il suo gas alla Cina e con i dollari che guadagna compra tecnologia da Mosca? Cosa si può trovare per bombardarlo? Costruiscono centrali nucleari? E voi raccontate che costruiscono bombe nucleari, tanto la gente quando sente la parola “nucleare” si spaventa e chiude le orecchie.
Il Pakistan ci ha costruito sotto gli occhi degli ordigni nucleari ed i relativi missili per la consegna? Perché, cosa c’entra il Pakistan? C’è petrolio in Pakistan?

No, in Pakistan abitano Bin Laden ed Ayman Al Zawahiri, ma non ce ne frega niente. Bin Laden era a libro paga della CIA? Ma lo sanno tutti, che notizia è? Iniziò in Afghanistan, poi in Bosnia ad organizzare i battaglioni dei mujaiddin, mentre l’inviato di Clinton – William Burns – compiva un lungo tour fra i clan dell’Albania e del Kosovo per preparare il gran finale del decennio balcanico, la guerra contro la Serbia.
Intanto, nel 1998 a Washington giungevano in visita i separatisti ceceni, accolti non proprio in pompa magna ma comunque con tutto il rispetto dovuto a chi combatteva l’orso russo: il nemico del mio nemico è in qualche modo il mio amico.
Anche in questo caso – però – giungere a concludere che oggi Al-Qaeda è a libro paga di Washington è un azzardo che non si può dimostrare, perché il miliardario saudita ed il medico egiziano hanno probabilmente deciso semplicemente di mettersi in proprio. Eh, dopo tanti anni “a bottega” il mestiere l’abbiamo imparato: se c’è da combattere almeno proviamo a farlo per qualcosa che renda – magari io mi prendo Ryad e tu Il Cairo, che ne dici Ayman? – mica per riempire le tasche delle corporation di quel bellimbusto di George.

Perché hanno deciso di mettersi in proprio?
Osserviamo chi ha debiti e chi invece ha crediti nel pianeta, chi vorrebbe acquistare beni e servizi con quei crediti e chi vorrebbe invece calmierare la sua situazione debitoria con i crediti altrui.
A quanto ammonta il debito pubblico italiano? All’incirca al 110% del PIL, qualcosa come 1.400 miliardi di euro. Bel colpo.
E quello americano?
Sommando il debito interno, quello con l’estero e l’indebitamento delle famiglie americane potremmo ipotizzare una cifra fra i 15.000 ed i 20.000 miliardi di dollari, un voragine. Francia e Germania stanno un poco meglio, ma circa mille miliardi di euro di debito li hanno anch’esse sul groppone.

Chi ha dei crediti?
La consistenza delle riserve di petrolio nel Medio Oriente ammonta a circa 700.000 milioni di barili
[3] – ed è una cifra molto prudente, senz’altro sottostimata – che tradotti in dollari ad un prezzo medio di 70 $/barile fanno la rispettabile cifra di 49.000 miliardi di dollari, ossia quanto basta per “rimpinguare” l’immaginario conto in banca dell’Occidente e tornare ad osservare il mondo “in rosa”. C’è poi il gas naturale, e circa un terzo del metano presente nel pianeta è sempre da quelle parti: altre migliaia di miliardi di dollari.

E, attenzione: quelle riserve sono beni, non pezzi di carta di dubbio valore, sono il motore con il quale alimentare il pianeta nei prossimi 40 anni (forse meno, ma non ha soverchia importanza).
Avendo la possibilità di mettere le mani su un simile tesoro, c’è da preoccuparsi su come accendere la miccia che consentirà di mettere le mani sul malloppo?
A fronte di simili cifre tutto torna comodo: grattacieli, navi, attentati vari…anche un pestone su un callo al presidente USA può essere utile per rimpinguare la sciaguratissima economia americana e l’asfittico sistema produttivo europeo.
In definitiva, il lupo perde il pelo ma non il vizio: dopo aver trascorso quattro secoli a depredare le ricchezze altrui, USA ed Europa tornano sui loro passi e riprendono l’andazzo coloniale e neocoloniale che, tradizionalmente, ha sempre dato buoni frutti.

Iniziarono subito dopo la scoperta delle Americhe con il cosiddetto “triangolo degli schiavi”: le navi europee portavano mercanzie di scarso valore in Africa, le scambiavano con gli schiavi neri razziati dagli arabi, poi prendevano il mare per le Americhe e scambiavano la carne umana con zucchero, cotone, tabacco, ecc. che rivendevano in Europa.
Con quella bella trovata campammo tre secoli: l’esperienza qualcosa insegna. Dopo, venne la stagione dell’energia: lo scambio di petrolio contro dollari, tecnologia ed armi segue praticamente lo stesso schema. L’unica cosa da non permettere è che qualcuno che possiede l’energia sia in grado di trasformarla in tecnologia, altrimenti il giocattolo – il nuovo “triangolo degli schiavi” – si rompe: vedi la questione iraniana.

Per mantenere in vita il nuovo “triangolo” servono delle truppe d’occupazione? Pazienza, si raccattano negli slums di New York i poveracci – come un tempo venivano raccattati nei bassifondi di Liverpool per schiaffarli in India – e con un po’ di fregnacce li si convince che l’Iraq non è poi tanto male: tanto, quando ritorneranno in un sacco di plastica non potranno più obiettare. I soldati USA in Iraq sono i nostri eroi: sono loro che consentono alla massaia americana di comprare pane e latte anche domani.
Per la stessa ragione, l’unico accordo che sta bene agli occidentali è quello con i paesi arabi “moderati” (e Musharraf?), ossia con quei dittatori (Mubarak, gli Al-Saud, ecc) che non si fanno problemi di “democrazia” pur di vivere nel lusso sfrenato che la corruzione occidentale loro concede.

Chi si oppone alla legge dei colonialisti viene via via accusato di terrorismo, di non essere “democratico”, d’essere uno “stato canaglia”, mentre i sauditi che continuano a tagliare le teste dei condannati a morte in piazza – come nel Medio Evo – non sono mai menzionati.
Perché Ryad non è uno “stato canaglia”?
Poiché i sauditi – dopo gli accordi che misero fine ai contrasti degli anni ’70 – compresero che per vivere tranquilli bastava vendere il proprio petrolio in dollari e riconsegnare gli stessi dollari ai grandi gruppi finanziari ed alle corporation americane – questo è il senso dei petroldollari – cosicché Washington scambia il petrolio con della pura e semplice carta.

Di più: se domani, per caso, Ryad meditasse di cambiare alleato, verrebbe accusata subito di terrorismo e si vedrebbe congelare all’infinito le enormi ricchezze che ha negli USA. 15 degli attentatori dell’11 settembre erano sauditi? Ma davvero? Cheney mi ha raccontato che erano tutti iracheni, ed io credo a Cheney: è il miglior amico di papà.
Queste sono le ragioni che stanno alla base di Al-Qaeda, che non lavora per l’Occidente, anche se in passato lo ha fatto perché i suoi interessi e quelli USA coincidevano. Finché c’era da ricevere rifornimenti ed armi dagli USA per combattere i russi od i serbi tutto filò liscio, ma quando s’iniziò a parlare di petrolio la questione divenne più complessa.

Osama Bin Laden sentenziò che i mujaiddin non dovevano colpire gli impianti petroliferi, perché – a suo dire – rappresentano la fonte di reddito della futura nazione araba che vorrebbe edificare. In Iraq vengono attaccati gli oleodotti per rallentare l’esportazione del greggio iracheno verso gli USA e l’Europa, ma non vengono attaccate le aree di produzione: la ragione della guerra è tutta qui, ed il vincitore potrà mettere le mani su un gruzzolo che non riusciamo nemmeno a quantificare in beni. Con 49.000 miliardi di dollari ci si può permettere d’acquistare 200 milioni di Ferrari, centinaia di flotte mercantili o militari, addirittura degli Stati, tutto compreso nel prezzo.
Ovviamente, tutti sono interessati a questo piatto di poker: arabi ed europei, americani e russi, giapponesi e cinesi; tutti “lavorano” in qualche modo per raggiungere i propri scopi. Non crederemo mica che la Francia e la Russia si siano limitate a protestare all’ONU per essere state “scippate” dei contratti che avevano per l’estrazione del greggio iracheno?

La guerriglia in Iraq va avanti da anni, e ci raccontano che sono “poche migliaia” di fanatici che tengono in scacco con il terrorismo il più potente esercito del pianeta. Prima considerazione: se fossero veramente “poche migliaia” di terroristi, l’Iraq oramai sarebbe più tranquillo di un cantone svizzero; è evidente a tutti che così non è.
Domanda: chi rifornisce – da anni – la guerriglia irachena con esplosivo, munizioni, lanciarazzi RPG, missili contraerei spalleggiabili ed infine la merce più preziosa, ossia i dollari per vivere e corrompere?

Risposta: chi non vuole consegnare nelle mani USA la fonte primaria d’energia del pianeta.
Vogliamo i nomi ed i cognomi?
Ecco dove inizia il campo minato, perché nessuno – nel sottobosco internazionale dei servizi segreti – vi racconterà mai la verità: anzi, racconteranno soltanto ciò che a loro conviene in quel momento.
Qual è l’obiettivo di Europa, USA e Giappone? Garantire un flusso costante di petrolio, possibilmente a prezzi non esorbitanti. Qual è l’obiettivo degli arabi e della Russia? Regolare i flussi e mantenere il prezzo il più elevato possibile. Qual è l’obiettivo della Cina? Sottrarre petrolio all’Occidente per alimentare la “fame” d’energia del nuovo colosso industriale del pianeta. Mescoliamo in un bussolotto i tre ingredienti, con tutti i loro derivati, ed osserviamo il risultato: le briciole di questi colossali interessi sono sufficienti ad alimentare terrorismo e guerriglia per decenni.

Veniamo ora all’ultimo atto, ossia al nostro “armiamoci e partite” verso il Libano: ci siamo illusi d’andare in Libano al comando della missione, ma quando i francesi hanno mostrato il cappello di Napoleone ci siamo debitamente inchinati; comme vous voulez, mon colonel.
Subito si sono levate voci accusatorie: gli italiani vanno a fare gli scagnozzi per gli americani in Libano!
A parte il fatto che andiamo a farlo per i francesi, non mi sembra proprio che gli interessi della Francia e degli USA coincidano perfettamente. Dopo essere stata scippata del petrolio iracheno, la Francia accetterebbe un ruolo subalterno ad USA e GB? Suvvia: chi conosce un minimo la politica estera francese non può sostenere una simile fandonia.

La Francia ritorna semplicemente nei territori (Libano e Siria) che le furono assegnati dagli accordi di Sèvres del 1920: la “magra” figura di Israele nella recente guerra ha aperto uno spiraglio che né gli americani e né gli inglesi potevano occupare, un’occasione da non perdere per tornare ad occupare il “salotto buono” della geopolitica.
Quali sono gli obiettivi?

Troppo presto per dirlo: senz’altro, però, la Francia non ha nessun interesse a consegnare nelle mani degli USA e di Israele un Libano “demilitarizzato” ed una Siria prona ai desideri di Washington. Perché mai Parigi dovrebbe andare a fare il “lavoro sporco” per gli americani? Semmai, un solido ancoraggio nel Vicino Oriente potrà essere prezioso, qualora gli USA fossero obbligati a lasciare l’Iraq (e prima o dopo dovranno farlo), per giocare nuove carte in una nuova partita della quale non conosciamo ancora, oggi, i giocatori.
Una prova che l’attuale momento è un periodo d’attesa ce lo fornisce una fonte affidabile: il prezzo del greggio, che è in calo. Se fosse in preparazione il grande assalto a Siria ed Iran, i future sul greggio sarebbero così bassi?

In definitiva, il cui prodest non fornisce prove concrete, ossia nomi e cognomi, mentre “l’andar per prove” significa soltanto assaggiare ad uno ad uno l’infinita serie di esche che i nostri amabili governi ci preparano tutti i giorni.
Chiediamo ai nostri magistrati – senz’altro preparati e con molti mezzi a disposizione – com’è finita la “partita” per chiarire Piazza Fontana, Brescia, l’Italicus, Bologna, Ustica…chiediamo loro se sono riusciti a ricostruire un quadro coerente di quegli avvenimenti.
A parte Vinciguerra, reo confesso della strage di Peteano, ed una condanna per la strage di Bologna assegnata alla banda Fioravanti – una sentenza che lascia parecchi dubbi ancora aperti – nulla.

Almeno, chi scelse il cui prodest qualche idea di cosa avvenne riuscì a farsela, ma nessuno se la sentì d’interrogare ad uno ad uno i componenti della famosa “lista” della P2 ritrovata a villa Wanda – in quel di Castiglion Fibocchi – l’abitazione di Licio Gelli. C’era la “crema” della Repubblica.
Anzi, ai due magistrati che scesero da Milano a Roma per consegnare la lista della P2 nelle mani dell’allora ministro Forlani, il leader democristiano rispose “che, in quei casi, era consuetudine che lo Stato fornisse il volo di ritorno con un aereo di Stato: ma non era quello il caso”. Che caso.
Nemmeno il viaggio di ritorno si videro pagare i due magistrati che erano “andati per prove”: i miei più sinceri auguri a chi desidera calcare quei sentieri.

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[1] John Toland – I primi sei mesi di guerra nel Pacifico – Longanesi. 
[2] Alberto Franceschini – Mara, Renato e io. Storia dei fondatori delle BR – Mondadori, Milano, 1999.
[3] Fonte: BP, Statistical Review.

 

 

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Dopo l'11 Settembre 2001

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