NUOVA PREGHIERA PER I GIUDEI SECONDO IL MOTU PROPRIO DI BENEDETTO XVI (2008) «Oremus et pro Iudaeis ut Deus et Dominus noster illuminet corda eorum, ut agnoscant Iesum Christum salvatorem omnium hominum. Omnipotens sempiterne Deus, qui vis ut omnes homines salvi fiant et ad agnitionem veritatis veniant, concede propitius, ut plenitudine gentium in Ecclesiam Tuam intrante omnis Israel salvus fiat. Per Christum Dominum nostrum. Amen. » Secondo una traduzione non ufficiale la preghiera suona così: Preghiamo per gli Ebrei. Il Signore Dio nostro illumini i loro cuori perché riconoscano che Gesù Cristo è il salvatore di tutti gli uomini. Dio onnipotente ed eterno, Tu che vuoi che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità, concedi propizio che, entrando la pienezza dei popoli nella tua Chiesa, tutto Israele sia salvo. |
Necessità e natura della Conversione degli Ebrei
1 Parte
1. Lo Status quaestionis.
Le difficoltà maggiori del dialogo inter-religioso tra la Chiesa Cattolica e gli Ebrei non riguardano né la negazione della Shoah - che nessun cattolico sano di mente nega -, né il riconoscimento dello Stato di Israele – il cui stato di fatto, pur unito a riserve sui trattamenti riservati talvolta ai palestinesi cristiani e non, oggi nessuno contesta -, né le critiche al Pontificato di Pio XII (più conseguenza che causa di dissapori).
La difficoltà maggiore è data dalla questione se il Cattolicesimo e l’Ebraismo possano essere considerate due vie parallele di salvezza o meno; se per un cattolico gli Ebrei si debbano convertire o arrivare al Cattolicesimo, oppure possano o debbano rimanere nella loro religione.
La scelta della seconda soluzione comporterebbe la fine della missio ad Hebreos.
In questi termini, in riferimento al problema teologico, si esprimeva già - non so con quali auspici di soluzione - il Cardinale Etchegaray, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (e recentemente tornato agli onori della cronaca per la frattura al femore durante l’aggressione al Papa la sera del 24 dicembre 2009):
"Fino a quando la teologia non avrà risposto in modo chiaro e sereno al problema del riconoscimento da parte della Chiesa della vocazione permanente del popolo ebraico, il dialogo ebraico-cristiano rimarrà superficiale ed amichevole, pieno di restrizioni mentali” [1].
Il Rabbino Riccardo Di Segni poneva, qualche anno fa, la stessa questione in questo modo:
“Il dato che segnalo, è che a 39 anni dalla Nostra aetate (…) non mi è parso di vedere - e sarei lieto se qualcuno mi potesse contraddire - un solo articolo di un cattolico dove si dicesse che i tempi sono cambiati e che un rabbino che si converte al cristianesimo non è più un obbiettivo e un ideale per la Chiesa Cattolica”[2].
E ancora, recentemente, Il Card. Kasper ribadiva il medesimo concetto
“Con questo si affronta la questione teologica più fondamentale dell'attuale dialogo ebraico-cristiano: c'è una sola alleanza o ci sono due alleanze parallele per ebrei e cristiani?”[3]
Dunque il vero problema è il seguente: se oggi incontriamo un nuovo Ratisbonne, che viene a chiedere il Battesimo, gli dobbiamo dire: “Bravo, vieni che ti battezzo”, oppure: “Torna pure alla Sinagoga; dopo il Concilio abbiamo capito che puoi rimanere tranquillamente Ebreo”? E, ammesso che giustamente desideriamo che il maggior numero possibile di Ebrei entri nella Nuova Alleanza, dobbiamo darci da fare anche per cercare di convincere gli Ebrei stessi, annunciare loro Gesù Cristo, oppure dobbiamo limitarci ad una silenziosa testimonianza?
Il problema è acuito dalla forte pressione, esercitata tanto da Ebrei quanto da sedicenti cattolici, per una soluzione che vada in quest’ultimo senso: così scriveva qualche giorno fa Riccardo Cascioli:
“Lunedì 18, ad esempio, nel Giornale Radio di Radio 2 alle 7.30, lo storico Alberto Melloni ha affermato che il fatto più importante della visita è la chiara rinuncia alla conversione degli ebrei da parte della Chiesa, cosa che discenderebbe dalla affermazione della irrevocabilità dell’Alleanza tra Dio e il popolo di Israele. Il giorno successivo è toccato al presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, chiedere – come ulteriore passo nel cammino di avvicinamento tra ebrei e cristiani – una rinuncia esplicita alla conversione degli ebrei che, secondo lui, è già implicita”[4].
2. La risposta nei documenti ufficiali.
Benché la pressione mediatica presenti come dominante l’idea che Ebraismo e Cristianesimo siano due vie parallele di salvezza, i documenti ufficiali parlano chiaro:
“Chiesa ed ebraismo non possono essere presentati dunque come due vie parallele di salvezza e la chiesa deve testimoniare il Cristo redentore a tutti”[5].
Né si può far risalire al Concilio la teoria delle due vie parallele; una retta oggettiva interpretazione del testo conciliare ci viene proprio dal rabbino Di Segni:
“C’è una frase nella Nostra aetate che non viene quasi mai citata, ma rivela il nodo del problema: "E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio..." dice il documento. È in qualche modo una ripresa dell’antico tema del verus Israel, che nella sua formulazione conciliare lascia aperto il problema: se "nuovo" popolo di D. significa che il vecchio non lo è più, o se insieme vecchio e nuovo hanno un ruolo nella salvezza. Il card. Bea, coraggioso difensore del documento conciliare, (…) non aveva dubbi su questo punto: spiegava che "naturalmente è vero che il popolo ebraico non è più il popolo di D. nel senso di istituzione di salvezza per l’umanità"”[6]
Inoltre il rabbino capo di Roma fa notare come anche l’allora Card. Ratzinger sembrava anche lui “seguirne la dottrina (…) quando afferma che:
“Nell’Antico Testamento [il popolo di D.] era il popolo d’Israele, da Cristo in avanti il nuovo popolo è quello dei suoi seguaci”[7].
D’altronde, il Cardinale Ratzinger stesso si era espresso in modo inequivocabile prima di essere eletto Papa: dopo aver ribadito che “Israele ha ancora un tratto di cammino da compiere”, alla domanda “Questo significa che gli Ebrei devono o dovrebbero riconoscere il Messia ‘?”, il futuro pontefice rispondeva “Noi crediamo di sì”[8].
“Infine, il nostro sguardo non dovrebbe volgersi solo indietro, verso il passato, ma dovrebbe spingersi anche in avanti, verso i compiti di oggi e di domani. Il nostro ricco patrimonio comune e il nostro rapporto fraterno ispirato a crescente fiducia ci obbligano a dare insieme una testimonianza ancora più concorde, collaborando sul piano pratico per la difesa e la promozione dei diritti dell'uomo e della sacralità della vita umana, per i valori della famiglia, per la giustizia sociale e per la pace nel mondo. Il Decalogo (cfr Es 20; Dt 5) è per noi patrimonio e impegno comune”[10].
4. La verità senza sconti.
Il papa ha parlato chiaro; ermeneutica della Riforma non vuol dire assolutamente ritorno al passato, ma progredire senza rotture con lo stesso passato.
E allora, insieme a tanta pazienza e carità mostrata dal Papa in varie circostanze, il termine conversione, riferito agli Ebrei, è riapparso in un documento del magistero.
Infatti, ancor prima della tanto contestata preghiera “pro Iudeis” per la forma straordinaria del rito romano - preghiera a cui non è stata tolta l’indicazione rubricale Pro conversione Iudeorum[11] -, il Papa diceva:
”Con la loro stessa esistenza i Dodici - chiamati da provenienze diverse - diventano un appello a tutto Israele perché si converta e si lasci raccogliere nell'alleanza nuova, pieno e perfetto compimento di quella antica”[12].
La benefica influenza di questa impostazione comincia anche a vedersi nei documenti di alcuni episcopati.
Non si possono che valutare positivamente le ultime prese di posizione - quasi una metamorfosi - dei Vescovi statunitensi.
Se nelle “riflessioni cattoliche” del documento congiunto del 12-8-2002 Reflections on Covenant and Mission[13] si arrivava a dichiarare che “gli Ebrei già si trovano in una situazione di alleanza salvifica con Dio” [14], abbiamo, quasi sette anni dopo (19-6-2009) - meglio tardi che mai - una Nota dottrinale importantissima dello stesso episcopato nord-americano: A Note on Ambiguities Contained in «Reflections on Covenant ond Mission».
In questo documento si dichiara che, sebbene la partecipazione cristiana al dialogo inter-religioso “non include normalmente l’esplicito invito al Battesimo e all’entrata nella Chiesa, l’interlocutore cattolico offre sempre la testimonianza per la sequela di Cristo, alla quale tutti sono implicitamente invitati”; e ancora viene detto che alcune affermazioni del documento in questione “porterebbero erroneamente a trarre la conclusione che gli Ebrei hanno l’obbligo di non diventare Cristiani e che la Chiesa avrebbe un corrispondente obbligo di non battezzare gli Ebrei”[15].
La recente affermazione del Card. Bagnasco, secondo cui “la Conferenza Episcopale Italiana ribadisce che non è intenzione della Chiesa Cattolica operare attivamente per la conversione degli ebrei”[16], va intesa - se vogliamo salvarne l’ortodossia - non in senso assoluto; ma nel senso che non si deve fare proselitismo in modo scorretto; oppure nel senso delle dichiarazioni dei Vescovi statunitensi, che distinguono il dialogo inter-religioso dall’invito al Battesimo, senza però dichiararli incompatibili.
5. La nuova preghiera pro Iudeis.
6. In che senso si deve parlare di Conversione degli Ebrei ?
“Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore; ma quando ci sarà la conversione al Signore, quel velo sarà tolto”[18].
Però dobbiamo ben intendere questa parola, perché la conversione degli Ebrei non è della stessa specie della conversione di un peccatore in generale o di un pagano o di un eretico: si tratta una conversione differente rispetto alla conversione da altre specie di incredulità[19].
La parola conversione indica comunque l’abbandono di una strada sbagliata, e l’ingresso in una via giusta.
Qual è dunque il costitutivo formale dell’incredulità degli Ebrei, cioè il terminus a quo della loro conversione?
Lasciamo la parola a San Tommaso d’Aquino: troviamo una magnifica risposta a questa domanda nella Somma Teologica, I-II, q. 104, art. 4, co.; il titolo dell’articolo è il seguente: Se dopo la passione di Cristo si possano osservare le cerimonie legali senza peccato mortale (… de duratione caeremonialium praeceptorum … utrum sit peccatum mortale observare ea post Christum). Esaminiamo ora il corpo dell’articolo:
“Tutte le cerimonie sono altrettante professioni di quella fede, che costituisce il culto interiore di Dio. Ora, l'uomo può professare la sua fede interiore con gli atti e con le parole: e in entrambi i casi, se professa della falsità, pecca mortalmente. E sebbene la fede che noi abbiamo del Cristo sia identica a quella che di lui avevano i Patriarchi, tuttavia poiché essi precedettero il Cristo, mentre noi siamo a lui posteriori, la medesima fede viene espressa con verbi differenti. Essi infatti dicevano: "Ecco la Vergine concepirà e partorirà un figlio", usavano cioè verbi al futuro: invece noi ci serviamo del passato nell'esprimere la stessa cosa, dicendo che "concepì e partorì". Allo stesso modo, le cerimonie dell'antica legge indicavano il Cristo che doveva ancora nascere e patire: mentre i nostri sacramenti lo indicano già nato e immolato. Perciò, come peccherebbe mortalmente chi adesso, nel professare la fede, dicesse che Cristo deve nascere, cosa che gli antichi invece dicevano con tutta pietà e verità; così peccherebbe mortalmente chi osservasse ancora le cerimonie che gli antichi osservavano con pietà e con fede. Ciò corrisponde a quanto scrive S. Agostino: "Ormai non c'è più la promessa che Cristo deve nascere, patire e risorgere, come quei sacramenti in qualche modo ricordavano; ma c'è l'annunzio che egli è nato, ha patito ed è risorto, come dichiarano apertamente i sacramenti usati dai cristiani"[20].
Innanzi tutto notiamo che l’Aquinate afferma che la fede che noi abbiamo del Cristo è identica a quella che di lui avevano i Patriarchi; e questo non si può dire di nessuna altra forma di incredulità: e per questo che la conversione degli Ebrei è una conversione specifica.
Allora da che cosa è necessaria la conversione? Dal dichiarare come ancora da venire gli eventi salvifici che si sono già realizzati nella storia.
Altrove lo stesso Aquinate – citando S. Agostino, afferma che l’antico popolo dell’Alleanza era tutto prefigurativo: “la vita stessa di quel popolo era profetica, e figurativa del Cristo”[21]: l’incredulità, da cui è necessaria la conversione, è il misconoscere che il tutto essere prefigurativo del popolo dell’Antica Alleanza si è ora compiuto in Gesù Cristo.
In base a quanto detto, parafrasando il testo di San Tommaso pecca mortalmente – e quindi necessita, oggettivamente, di una vera e propria conversione - chi adesso, nel professare la fede, dice che Cristo deve nascere (anziché è nato), cosa che gli antichi ebrei invece dicevano con tutta pietà e verità.
Dopo aver visto il terminus a quo della conversione degli Ebrei, vediamo ora il terminus ad quem.
Questo termine è indicato nella nuova preghiera pro Iudeis: “ut agnoscant Iesum Christum salvatorem omnium hominum”; la preghiera è perfettamente conforme con quanto afferma San Tommaso, nel commentare 2 Cor 3,16 (“ma quando ci sarà la conversione al Signore, quel velo sarà tolto”):
“affinché questo [velo] sia tolto, non resta altro da fare che convertirsi, ed è quanto egli dice: «quando ci sarà la conversione», ossia di qualcuno di loro a Dio mediante la fede in Cristo, con la stessa conversione «quel velo sarà tolto»”[22].
7. Conversione o compimento?
“I sottoscritti Padri, con umile e pressante preghiera, chiedono al Sacro Ecumenico Sinodo Vaticano che si degni di compiere un primo passo, con un invito del tutto paterno, nei confronti del sofferentissimo popolo ebreo: cioè di esprimere l’auspicio che essi, stremati da una lunga e vana attesa, si appressino infine, sollecitamente, al Messia Salvatore nostro, veramente promesso ad Abramo e preannuziato da Mosé: in questo modo non mutando, ma compiendo e coronando la religione Mosaica”[24].
Quanto sottoscritto dalla totalità dei Padri del Vaticano I, corrisponde ai sentimenti di Eugenio Zolli, ex rabbino capo di Roma: scrive a proposito Judith Cabaud:
«Quando gli chiedevano perché aveva rinunciato alla Sinagoga per entrare nella Chiesa, [Zolli] rispondeva: "Ma io non vi ho rinunciato. Il cristianesimo è il compimento della Sinagoga. La Sinagoga infatti era una promessa e il cristianesimo è il compimento di questa promessa. La Sinagoga indicava il cristianesimo; il cristianesimo presuppone la Sinagoga. Vedete, dunque, che l'una non può esistere senza l'altra. In realtà io mi sono convertito al cristianesimo vivente"»[25].
Dobbiamo quindi tenere presente che se, oggettivamente parlando, le cose stanno esattamente come le ha spiegate l’Angelico (cioè la negazione del compimento delle promesse antiche costituisce una colpa grave), non possiamo dire che tutti gli Ebrei dopo la venuta di Gesù Cristo siano nello stato soggettivo di peccato.
Per capire questi concetti, pensiamo a quegli Ebrei che frequentavano la sinagoga dopo la Resurrezione di Cristo, e ai quali Paolo insegnava nelle sinagoghe, argomentando che Gesù era il Cristo. L’Ebreo che aveva solo vagamente sentito parlare di Gesù Cristo e, soppesando le argomentazioni di San Paolo, accettava il Battesimo, non si è propriamente convertito (a differenza dei neofiti pagani), cioè non è passato da una falsa religione a quella vera, ma ha compiuto e coronato la sua religione.
Ma ora leggiamo un brano dagli Atti degli Apostoli:
“Percorrendo la strada che passa per Anfìpoli e Apollònia, giunsero a Tessalònica, dove c'era una sinagoga dei Giudei. Come era sua consuetudine, Paolo vi andò e per tre sabati discusse con loro sulla base delle Scritture, spiegandole e sostenendo che il Cristo doveva soffrire e risorgere dai morti. E diceva: "Il Cristo è quel Gesù che io vi annuncio". Alcuni di loro furono convinti e aderirono a Paolo e a Sila, come anche un grande numero di Greci credenti in Dio e non poche donne della nobiltà.”[26].
Ora, soggettivamente, ciò che accadde a Tessalonica pochi anni dopo la Resurrezione di Gesù, può accadere anche oggi.
Mi si potrebbe obiettare: “Ma sono duemila anni che gli Ebrei conoscono Gesù Cristo; ormai ne hanno sentito parlare abbastanza”.
Ricordiamo che è dottrina tradizionale che l’obbligo di assentire alla vera fede c’è quando la singola persona è in condizioni soggettive – conosciute solo da Dio – di poter emettere il cosiddetto giudizio di credendità, cioè quando, come direbbe San Tommaso, vede che deve credere[27].
“È evidente che, oggi come in passato, molti uomini non hanno la possibilità di conoscere o di accettare la rivelazione del vangelo, di entrare nella chiesa. Essi vivono in condizioni socio-culturali che non lo permettono, e spesso sono stati educati in altre tradizioni religiose.
Per essi la salvezza di Cristo è accessibile in virtù di una grazia che, pur avendo una misteriosa relazione con la Chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li illumina in modo adeguato alla loro situazione interiore e ambientale. Questa grazia proviene da Cristo, è frutto del suo sacrificio ed è comunicata dallo Spirito Santo: essa permette a ciascuno di giungere alla salvezza con la sua libera collaborazione”[30].
“Ma vedi molti gridan «Cristo Cristo!»
che saranno in giudizio assai men prope
a lui che tal che non conosce Cristo”[31].
Conclusione.
“Io amo moltissimo gli Ebrei, perché sono follemente innamorato di Gesù, che è Ebreo; non dico era, ma è: Iesus Christus heri et hodie, ipse et in saecula. Gesù Cristo è vivo ed è un ebreo proprio come te. E il secondo amore della mia vita è una donna ebrea, Maria Santissima, la Madre di Gesù; perciò rivolgo lo sguardo verso di te con grande affetto”[33].
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[11] La Nota della Segreteria di Stato riguardante le nuove disposizioni del Santo Padre Benedetto XVI per le celebrazioni della liturgia del venerdì santo (4-2-2008), dispone la sostituzione del testo della preghiera, e non dei titoli rubricali, di cui non si fa alcuna menzione e che perciò rimangono immutati. Cf. tinyurl.com/yb5x846, visitato l’ 8 marzo 2010.
[12] Benedetto XVI, Udienza Generale, Piazza San Pietro, Mercoledì, 15 marzo 2006
[13] Reflections on Covenant and Mission, Consultation of The National Council of Synagogues and The Bishops Committee for Ecumenical and Interreligious Affairs, USCCB, August 12, 2002. Un timido comunicato di pochi giorni dopo smentiva che le riflessioni cattoliche fossero una presa di posizione dell’intera Conferenza Episcopale degli Stati Uniti: “Press Release from the USCCB Office of Communications, August 16, 2002 [...] Cardinal Keeler, the U.S. Bishops' Moderator for Catholic-Jewish relations, said that the document, entitled Reflections on Covenant and Mission, does not represent a formal position taken by the United States Conference of Catholic Bishops (USCCB) or the Bishops' Committee for Ecumenical and Interreligious Affairs (BCEIA). The purpose of publicly issuing the considerations which it contains is to encourage serious reflection on these matters by Jews and Catholics in the U.S.” Cf. tinyurl.com/nxu4gl, visitato il 1 marzo 2010.
[14] “Thus, while the Catholic Church regards the saving act of Christ as central to the process of human salvation for all, it also acknowledges that Jews already dwell in a saving covenant with God”.
[15] "Though Christian participation in interreligious dialogue would not normally include an explicit invitation to baptism and entrance into the Church, the Christian dialogue partner is always giving witness to the following of Christ, to which all are implicitly invited"; e ancora “since this line of reasoning (alcune affermazioni del documento “Reflections on Covenant ond Mission") could lead some to conclude mistakenly that Jews have an obligation not to become Christian and that the Church has a corresponding obligation not to baptize Jews”; il corsivo è nostro.
[16] “22-9-2009, cf. tinyurl.com/yzfvelf, visitato il 14 marzo 2010.
[17] Variationes in Ordinem hebdomadae sanctae inducendae, (9 marzo e 19 marzo 1965).
[18] 2 Cor 3, 15-16: ἀλλ' ἕως σήμερον ἡνίκα ἂν ἀναγινώσκηται Μωϋσῆς κάλυμμα ἐπὶ τὴν καρδίαν αὐτῶν κεῖται: ἡνίκα δὲ ἐὰν ἐπιστρέψῃ πρὸς κύριον, περιαιρεῖται τὸ κάλυμμα.
[19] “… si infidelitas attendatur secundum comparationem ad fidem, diversae sunt infidelitatis species et numero determinatae”; San Tommaso d’Aquino, S. Th., IIª-IIae q. 10 a. 5 co.
[20] [38138] Iª-IIae q. 103 a. 4 co. Respondeo dicendum quod omnes caeremoniae sunt quaedam protestationes fidei, in qua consistit interior Dei cultus. Sic autem fidem interiorem potest homo protestari factis, sicut et verbis, et in utraque protestatione, si aliquid homo falsum protestatur, peccat mortaliter. Quamvis autem sit eadem fides quam habemus de Christo, et quam antiqui patres habuerunt; tamen quia ipsi praecesserunt Christum, nos autem sequimur, eadem fides diversis verbis significatur a nobis et ab eis. Nam ab eis dicebatur, ecce virgo concipiet et pariet filium, quae sunt verba futuri temporis, nos autem idem repraesentamus per verba praeteriti temporis, dicentes quod concepit et peperit. Et similiter caeremoniae veteris legis significabant Christum ut nasciturum et passurum, nostra autem sacramenta significant ipsum ut natum et passum. Sicut igitur peccaret mortaliter qui nunc, suam fidem protestando, diceret Christum nasciturum, quod antiqui pie et veraciter dicebant; ita etiam peccaret mortaliter, si quis nunc caeremonias observaret, quas antiqui pie et fideliter observabant. Et hoc est quod Augustinus dicit, contra Faustum, iam non promittitur nasciturus, passurus, resurrecturus, quod illa sacramenta quodammodo personabant, sed annuntiatur quod natus sit, passus sit, resurrexerit; quod haec sacramenta quae a Christianis aguntur, iam personant.
[21] “… vita illius populi prophetica erat, et Christi figurativa”: Summa Theologiae, Iª-IIae q. 100 a. 12 co. Ecco il testo esatto di S. Agostino (Contra Faustum, 22, 24), citato a senso da S. Tommaso: “Qua in re hoc primum dico, illorum hominum non tantum linguam, verum etiam vitam fuisse propheticam; totumque illud regnum gentis Hebraeorum, magnum quemdam, quia et magni cuiusdam, fuisse prophetam. Quocirca quod ad eos quidem attinet, qui illic erant eruditi corde in sapientia Dei, non solum in iis quae dicebant, sed etiam in iis quae faciebant; quod autem ad caeteros ac simul omnes illius gentis homines, in iis quae in illis vel de illis divinitus fiebant, prophetia venturi Christi et Ecclesiae perscrutanda est. Omnia enim illa, sicut dicit Apostolus: Figurae nostrae fuerunt” (trad.: Su tale argomento, dico in primo luogo che di quegli uomini fu profetica non solo la lingua, ma anche la vita, e che l'intero regno del popolo ebraico fu in qualche modo un grande profeta, in quanto profetizzò qualcuno di grande. Riguardo dunque a coloro che lì avevano il cuore istruito nella sapienza di Dio, bisogna cercare la profezia di Cristo che stava per venire e della Chiesa non solo in ciò che dicevano, ma anche in ciò che facevano; riguardo invece agli altri e ai componenti di quel popolo presi nell'insieme, essa va cercata nei fatti che per volere di Dio accadevano fra loro o rispetto a loro. Tutte quelle cose, infatti, come dice l'Apostolo, avvennero come figure per noi”.
[22] Super II Cor., cap. 3 l. 3 “Et ideo, ad hoc ut removeatur, nihil restat, nisi quod convertantur, et hoc est quod dicit cum autem conversus fuerit, scilicet aliquis eorum ad Deum per fidem in Christum, ex ipsa conversione auferetur velamen”.
[24] “A Sacra œcumenica Synodo Vaticana infra scripti Patres humillima instantique postulant prece ut et miserrimam Hebreorum gentem paterna quadam invitatione dignetur prœvenire : scilicet votum exprimere, ut tandem longissima inutilique expectatione lassati, ad Messiam Salvatorem nostrum vere promissum Abrahae et a Mose praenuntiatum festinent accedere : sic perficientes coronantesque religionem Mosaicam, non mutantes”. Cf: Ibidem, pp. 91-92.
[25] Judith Cabaud, Il rabbino che si arrese a Cristo. La storia di Eugenio Zolli, rabbino capo a Roma durante la seconda guerra mondiale, prefazione di Vittorio Messori, Cinisello Balsamo (MI): San Paolo, 2002, p. 98.
[27] "…non enim crederet nisi videret ea esse credenda"; S. Th. II-II, 1, 4, 2.
[32] Rom 1, 16.
[33] Testo estratto da un video; vedi www.opusdei.us/art.php?p=24902
***
La prossima tappa del nostro cammino di
approfondimento della nuova preghiera per la conversione degli Ebrei sarà
chiederci quando dobbiamo sperare questa medesima conversione. Si può sapere
qualcosa di quando accadrà? Sarà solo contemporanea alla seconda venuta di Gesù
Cristo, oppure avverrà nelle ultime fasi del tempo della storia che stiamo
vivendo? E del piccolo resto d’Israele, che continuamente arriva nella Chiesa,
dai tempi della predicazione di San Paolo nelle sinagoghe fino ai giorni nostri,
quale cura pastorale si deve avere?
Parte II
La santa speranza della conversione degli Ebrei.
Non temere, perché io sono con te;
dall'oriente farò venire la tua stirpe,
dall'occidente io ti radunerò.
Dirò al settentrione: “Restituisci”,
e al mezzogiorno: “Non trattenere;
fa' tornare i miei figli da lontano
e le mie figlie dall'estremità della terra” (Is
43, 5-6)
Ritornano a sera (Sal 58,7)
Verrà un mattino in cui saranno saziati col pane di vita e di sapienza, quando tutte le genti saranno entrate e tutto Israele sarà salvato. Alla fine del mondo infatti Israele si convertirà: il salmista parla di questa conversione quando dice “Ritorneranno a sera”. La “sera” qui è la fine del mondo, che diverrà mattino per i Giudei convertiti, illuminandoli coi primi raggi della grazia.
(Baldovino di Ford )[1]
1. Lo status quaestionis.
Dopo aver visto che è necessario credere
che gli Ebrei si debbano convertire, e che cosa intende con il termine
conversione degli Ebrei stessi, ci chiediamo ora quando dobbiamo
sperare che questa conversione accada.
Non pretendo certo di indicarne con precisione i modi e il momento: in questo
sottoscrivo in pieno quanto diceva l’allora Card. Joseph Ratzinger, nei suoi
colloqui con Peeter Seewald:
“... il come e il quando dell’unificazione di Ebrei e pagani, della ricostituzione di un unico popolo di Dio, sta nella mani di Dio”[2].
Il problema sorge dal fatto che non mancano tentativi tendenti ad escatologizzare la conversione degli Ebrei; cioè a differirla in tempi finali oltre i tempi di questa storia, che, invece, come diceva S. Giovanni Apostolo è già “l’ultima ora”[3], e, come spiegava S. Agostino: “un'ora assai lunga ma è pur sempre l'ultima”[4].
2. Le affermazioni del Card. Walter Kasper
Mi riferisco ad alcune affermazioni del
Card. Walter Kasper, in un articolo sull’Osservatore Romano, pubblicato
nel 2008.
Ci sono due asserti che meritano di essere presi in esame.
Il primo, nel corpo dell’articolo, suona:
“Solo Colui che ha indurito la maggior parte d'Israele, può anche scioglierne l'indurimento. Lo farà, quando «il liberatore» uscirà da Sion ([Rom]11, 26). Costui, secondo il linguaggio paolino (cfr 1 Tessalonicesi, 1, 10), non è nessun altro se non il Cristo che ritorna. Ebrei e pagani, infatti, hanno lo stesso Signore (10, 12)”[5].
Il Card. Kasper si riferisce a Rom 11, 26-27, dove viene detto:
"Allora tutto Israele sarà salvato, come sta scritto:
Da Sion uscirà il liberatore,
egli toglierà l'empietà da Giacobbe.
Sarà questa la mia alleanza con loro
quando distruggerò i loro peccati "(Is 59, 20-21).
Secondo Kasper, il liberatore è Gesù Cristo alla sua seconda venuta: e questa è un’affermazione in parte non provata, e in parte errata.
L’affermazione è non provata perché è tutto da dimostrare che il liberatore sia Gesù Cristo: in San Paolo, il verbo ruesthai (liberare con forza, da cui il liberatore, o ruomenos) viene usato sia con Gesù Cristo (1 Ts 1, 10; 2 Ts 3,29) che con Dio (2 Cor 1, 10; Col 1, 13).
Inoltre, molto probabilmente qui con il liberatore si deve intendere Dio per mezzo di Gesù Cristo: cf. Rom 2, 16 (“Dio giudicherà i segreti degli uomini … per mezzo di Cristo Gesù”) e 7, 24-25 (“Chi mi libererà da questo corpo di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!”).
La affermazione è errata perché l’ipotesi di un liberatore escatologico per l’Israele etnico va contro una condizione imprescindibile perché i rami di olivo recisi (gli Israeliti infedeli) siano re-innestati: che non permangano nella incredulità, cioè che accettino Gesù Cristo come Messia: leggiamo infatti poco prima, in Rom 11, 23:
“Anch'essi, se non persevereranno nell'incredulità, saranno innestati; Dio infatti ha il potere di innestarli di nuovo!”
Non perseverare nell’incredulità significa avere fede, e la fede non è cosa da evento escatologico, ma da tempo prima dell’evento escatologico; la fede è solo dell’uomo viatore, perché dopo o c’è la visione beatifica, o la dannazione.
Anche gli Ebrei dovranno mettere olio nella lampada prima che si chiudano le porte[6]!
Ma ancora più discutibile è una seconda affermazione dello stesso Card. Kasper, offerta in una nota del medesimo articolo:
“Nel senso dell'apostolo Paolo si dovrebbe piuttosto dire che la salvezza della maggior parte degli ebrei viene comunicata attraverso Cristo, ma non attraverso l'entrata nella Chiesa. Alla fine dei giorni, quando il Regno di Dio si realizzerà definitivamente, non ci sarà più una Chiesa visibile. Si tratta quindi del fatto che alla fine dei giorni l'unico Popolo di Dio composto di ebrei e pagani divenuti credenti sarà di nuovo unito e riconciliato”[7].
Che dire: che ci vuole un bel coraggio a pensare che San Paolo possa disgiungere Cristo dalla Chiesa!
Inoltre il Card. Kasper si arrampica sugli specchi dicendo che non ci sarà più una Chiesa visibile, ma poi parla di ebrei e pagani divenuti credenti.
I credenti sono solo in questa vita e in questa storia, perché dopo non c’è più la fede: quando la Chiesa non sarà più visibile, ma sarà sotto la specie di Gerusalemme celeste, non ci saranno più credenti, ma comprensori!
Come spiegare le suddette affermazioni del Card. Kasper? Egli aveva dichiarato nel 2001:
“La sola cosa che desidero dire è che il documento Dominus Iesus non afferma che tutti debbano diventare Cattolici per essere salvati da Dio. Al contrario, dichiara che la grazia di Dio - che, secondo la nostra fede, è la grazia di Gesù Cristo - è a disposizione di tutti. Di conseguenza, la Chiesa crede che l'Ebraismo, cioè la risposta fedele del Popolo ebreo all'alleanza irrevocabile di Dio, è per esso fonte di salvezza, perché Dio è fedele alle sue promesse”[8].
e nel 2002:
“Questo non significa che gli Ebrei per essere salvati devono diventare cristiani: se questi seguono la loro coscienza e credono nelle promesse di Dio e le comprendono nelle loro tradizioni, essi sono il linea con il piano di Dio, che per noi perviene al suo compimento storico in Gesù Cristo”[9].
È evidente come il Cardinale Kasper simpatizzi per la tesi della duplice via di salvezza; e allora escatoligizzando, spingendo fuori dalla storia - da questa pur lunga ma ultima ora - la conversione degli Ebrei, cerca vanamente di far rientrare dalla finestra quello che la nuova preghiera pro Iudeis ha cacciato dalla porta.
3. La speranza della conversione degli Ebrei
Essendo debitori della carità nei confronti dei chiunque, Ebrei compresi, la carità ci spinge a sperare nella loro conversione prima della seconda venuta di Gesù Cristo.
Scrive San Tommaso:
“... la speranza riguarda direttamente il proprio bene, non già quanto può interessare altri. Però, presupposta l'unione affettiva con altri, uno può desiderare e sperare qualche cosa per essi come per se medesimo. In tal senso uno può sperare ad altri la vita eterna, in quanto è unito ad essi con l'amore. E come è identica la carità con la quale uno ama Dio, se stesso e il prossimo, così è identica la virtù della speranza con la quale si spera per sé e per altri”[10].
4. “Allora tutto Israele sarà salvato”
È comune sentire della tradizione della Chiesa che gli Ebrei si convertiranno prima della fine del mondo, e allora ci sarà ciò che San Paolo chiama Tutto Israele.
Scrive S. Agostino:
“È assai ricorrente nelle parole e nei sentimenti dei fedeli che i Giudei, nell'ultimo tempo prima del giudizio, crederanno nel Cristo vero, cioè nel nostro Cristo...”[11]
Quanto scrive il grande Vescovo di Ippona non è altro che l’interpretazione più semplice e corretta dei capitolo XI della lettera ai Romani, dove ci viene rivelato il mistero del sapiente e misericordioso piano di Dio per cui, prima della fine del mondo, tutto Israele sarà salvato[12].
Cosa significa questa espressione? Vale la pena cercare di spiegarla, anche perché viene usata nella nuova preghiera pro Iudeis.
Diamo ora una breve explicatio terminorum:
Israele etnico: i discendenti di Giacobbe; quelli, per intenderci, di cui San Paolo diceva:
“Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne”[13].
A questo Israele sono state fatte le promesse irrevocabili:
“Essi sono Israeliti e hanno l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; 5a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen”[14].
Il resto di Israele: una minoranza rispetto a tutto l’Israele etnico, che ha creduto in Gesù Cristo: la Madonna, gli Apostoli, i primi discepoli giudeo-cristiani: di questi San Paolo dice:
"E quanto a Israele, Isaia esclama:
Se anche il numero dei figli d'Israele
fosse come la sabbia del mare,
solo il resto sarà salvato"[15].
Questo resto continua ad esistere come tale:
“Così anche nel tempo presente vi è un resto, secondo una scelta fatta per grazia”[16].
Questo resto è formato dal numero relativamente piccolo degli Ebrei che continuamente si convertono: Zolli, Edith Stein, Padre Liebermann, Ratisbonne, i fratelli Lémann, etc. et
Israele tout-court: i credenti in Cristo, provenienti tanto dall’Israele etnico, quanto dalla gentilità: di questi l’Apostolo dice: “Infatti non tutti i discendenti d'Israele sono Israele”[17] e “i figli della promessa sono considerati come discendenza”[18]. L’Israele tout-court comprende dunque il relativamente piccolo resto dell’Israele etnico che ha creduto e i figli della promessa.
Tutto Israele: prima della fine del mondo l’Israele etnico, non perseverando nell’incredulità, verrà reinnestato e allora avremmo Tutto Israele, cioè quella totalità a cui mira il piano salvifico di Dio: tutto Israele sarà salvato
5. Un primo bilancio.
Baldovino di Ford (1120-1190), abate di Ford e poi successore di San Tommaso Beckett a Canterbury, descrive mirabilmente l’illuminazione del cuore degli Ebrei al momento della loro conversione: si tratta di un commento al versetto “Ritornano a sera” (Sal 58,7); viene quasi da pensare che chi ha redatto la preghiera potesse avere in mente questo brano:
“Verrà un mattino in cui saranno saziati col pane di vita e di sapienza, quando tutte le genti saranno entrate e tutto Israele sarà salvato. Alla fine del mondo infatti Israele si convertirà: il salmista parla di questa conversione quando dice “Ritorneranno a sera”. La “sera” qui è la fine del mondo, che diverrà mattino per i Giudei convertiti, illuminandoli coi primi raggi della grazia”[19].
... ut agnoscant Iesum Christum salvatorem omnium hominum.
Vengono così escluse le vie parallele di salvezza: tutti si salvano riconoscendo Gesù come Cristo Salvatore. Non si prega solo perché gli Ebrei siano salvati da Gesù Cristo: se fosse così si lascerebbe aperte una pur ingiustificata seconda via; ma si prega proprio perché gli Ebrei riconoscano Gesù Cristo. E sarebbe assurdo pregare perché lo conoscano solo alla fine e non adesso.
Oremus. Flectamus genua. Levate.
Omnipotens sempiterne Deus, qui vis ut omnes homines salvi fiant et ad agnitionem veritatis veniant...
Una altro passo di San Paolo che esclude le due vie parallele di salvezza: Dio vuole che non solo gli uomini siano salvi, ma che giungano alla conoscenza della verità[20], secondo la preghiera di Gesù: Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo[21].
E come potrebbe il buon Dio predisporre positivamente un piano di salvezza alternativo in cui alcuni fratelli verrebbero lasciati in uno stato di non conoscenza della verità?
... concede propitius, ut plenitudine gentium in Ecclesiam Tuam intrante omnis Israel salvus fiat. Per Christum Dominum nostrum. Amen.
Ecco la richiesta finale: il Corpo di Cristo che ha raggiunto - secondo il beneplacito divino - la sua pienezza, che comprende tutti i popoli, di cui nessuno si può vantare davanti a Dio, ma tutti sono salvi per la sua sola misericordia.
Il secondo argomento è, niente meno, quello che viene usato dai sostenitori delle due vie parallele per suffragare le loro tesi: la cosiddetta Alleanza mai revocata: i sostenitori delle due vie si fanno forza anche delle parole di Giovanni Paolo II, in particolare dell’espressione “Vecchio Testamento, da Dio mai denunziato” (Mainz, 17-11-1980) e di Alleanza “mai revocata” (Miami, 11-9-1987).
Il giro mentale di tutti coloro che sostengono le due vie è il seguente: visto che l’antica Alleanza non è stata mai revocata, allora gli Ebrei possono vivere in questa alleanza, giacché essa ha sempre un suo valore.
In realtà il contenuto del concetto ”Alleanza mai revocata” non è la permanenza di ciò che con Cristo è “prossimo a scomparire” (Eb 8, 13)[22], trovando compimento in Cristo stesso “termine della legge” (Rom 10,4); ma sono le promesse di Dio all’Israele etnico, le quali, siccome “la parola di Dio non è venuta meno” (Rom 9, 6), permangono.
Il Messia è offerto prima all’Israele etnico (Cf. Rom 1, 16), e questa offerta da parte di Dio rimane nonostante il rifiuto della maggior parte dell’Israele etnico stesso. Questa tensione verso Gesù che l’Israele etnico ha ricevuto da Dio nella Antica Alleanza, inerisce a tal punto nello stesso Israele che, prima della fine del mondo, esso riconoscerà il Messia e formerà con tutti i credenti in Cristo un unico “tutto Israele”.
Una promessa di Dio, anche se non accolta, non sparisce: San Tommaso, commentando la lettera ai Romani, circa le promesse di Dio di reinnestare l’Israele etnico, dice a questo proposito:
“Ciò che Dio promette, già lo dà in qualche modo: e coloro che sceglie, già in qualche modo li fa oggetto di vocazione”[23].
E non si può affermare che l’Antica Alleanza in quanto tale può essere ora una via di salvezza, perché se è vero l’Antica Alleanza non è mai stata revocata, non si può dire che non è mai stata rifiutata: giacché, siccome “Cristo è fine della legge” (Rom 10, 4), chi rifiuta Cristo di fatto rifiuta tutta la legge. E non può essere una via di salvezza il sostanziale rifiuto della Antica Alleanza, che, se non fosse rifiutata, sfocerebbe inevitabilmente nella fede in Gesù Cristo.
“se sono carissimi al Signore è ragionevole che siano salvati”[24].
Ho fatto questo esempio perché la sostanza della tesi tomista è che le promesse di Dio fatte ai Padri non sono grazie da nulla, tipo le grazie attuali parvae dei giansenisti. La rivelazione ci dice che quella grazia particolarissima e abbondantissima costituita dalle promesse ai Padri comunque porterà frutto: “se sono carissimi al Signore è ragionevole che siano salvati”.
Ma non basta agli Ebrei essere carissimi a Dio per essere salvati; l’Alleanza mai revocata non esime gli Ebrei dall’atto fede in Gesù Cristo. E così siamo giunti a una seconda affermazione dell’Aquinate:
“lo stesso dono temporale di Dio e la vocazione temporale di Dio non vengono ad essere indisponibili per un mutamento di Dio che si pente, ma per il mutamento del’uomo che trascura la grazia di Dio”[25].
Conclusione
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1] Baldovino di Ford, Tractatus de Sacramento altaris, S.C. 94, 423. cit in Dom Jean-Claude Nesmy (a c. di), I Padri commentano il Salterio della Tradizione, ed. it. a c. di Paolo Pinelli e Luisa Volpi, Torino 1983, p. 260.
[2] J. Ratzinger, Dio e il mondo: Essere cristiani nel nuovo millennio, in colloquio con Peter Seewald, Cinisello Balsamo: San Paolo, 2001, p. 134.
[3] 1 Gv 2, 18.
[4] “Ipsa novissima hora diuturna est; tamen novissima est”; In Ep. Johannis. 3, 3.
[5] W. Kasper, «La discussione sulle recenti modifiche della preghiera del Venerdì Santo per gli ebrei», L’Osservatore Romano, 10-4-2008.
[6] Cf. Mt 25, 1-13.
[7] Ibidem, nota 6.
[8]
“The only thing I wish to say is that the Document Dominus Iesus does
not state that everybody needs to become a Catholic in order to be saved by God.
On the contrary, it declares that God’s grace, which is the grace of Jesus
Christ according to our faith, is available to all. Therefore, the Church
believes that Judaism, i.e. the faithful response of the Jewish people to God’s
irrevocable covenant, is salvific for them, because God is faithful to his
promises.” Walter KAsper, «Dominus Jesus» New York, 1 maggio 2001
, Sessione "Scambio d'informazioni" sulla Dominus Jesus. Testo reperito al sito:
tinyurl.com/ycprvnk;
trad it al sito
tinyurl.com/yh4o8ba,
visitati il vistato il 16 marzo 2010.
[9] “This does not mean that Jews in order to be saved have to become Christians; if they follow their own conscience and believe in God's promises as they understand them in their religious tradition they are in line with God's plan, which for us comes to its historical completion in Jesus Christ”. Walter Kasper, «The Commission for Religious Relations with the Jews: A Crucial Endeavour of the Catholic Church», conferenza preso il Boston College, 6-11-2002. Testo reperito al sito: tinyurl.com/yfzroj3, vistato il 16 marzo 2010.
[10] ”... spes directe respicit proprium bonum, non autem id quod ad alium pertinet. Sed praesupposita unione amoris ad alterum, iam aliquis potest desiderare et sperare aliquid alteri sicut sibi. Et secundum hoc aliquis potest sperare alteri vitam aeternam, inquantum est ei unitus per amorem. Et sicut est eadem virtus caritatis qua quis diligit Deum, seipsum et proximum, ita etiam est eadem virtus spei qua quis sperat sibi ipsi et alii” S. Th. IIª-IIae q. 17 a. 3 co..
[11] “...ultimo tempore ante iudicium Iudaeos in Christum verum, id est in Christum nostrum, esse credituros, celeberrimum est in sermonibus cordibusque fidelium...” De Civ. Dei, XX, 29.
[12] Rom 11, 26
[13] Rom 9, 3.
[14] Rom 9, 3.
[15] Rom 9,27.
[16] Rom 11, 5.
[17] Rom 9, 6.
[18] Rom 9, 8.
[19] Baldovino di Ford, Tractatus de Sacramento altaris, S.C. 94, 423. cit in Dom Jean-Claude Nesmy (a c. di), I Padri commentano il Salterio della Tradizione, ed. it. a c. di Paolo Pinelli e Luisa Volpi, Torino 1983, p. 260.
[20] 1 Tim 2, 4.
[21] Gv 17, 3.
[22] Eb 8,13: “Dicendo alleanza nuova, Dio ha dichiarato antica la prima: ma, ciò che diventa antico e invecchia, è prossimo a scomparire”.
[23] “... quod Deus promittit, iam quodammodo dat: et quos elegit, iam quodammodo vocat”; Super Rom., cap. 11, l. 4, 926.
[24] “...Si autem sunt Domino charissimi, rationabile est quod a Deo salventur”; Super Rom., cap. 11 l. 4 (923).
[25] “Et tamen ipsum temporale Dei donum et temporalis vocatio, non irritatur per mutationem Dei quasi poenitentis sed per mutationem hominis, qui gratiam Dei abiicit”; Super Rom., cap. 11 l. 4 (926).
[26] Rom 10, 14.
APPROFONDIMENTO
Un imbarazzato silenzio è sceso da decenni sulla vicenda di Israel Zolli, rabbino capo di Roma che nel 1945 aderì al cattolicesimo. Alla diffamazione di cui fu fatto oggetto all’epoca, si aggiunge la “censura” dei suoi scritti. Adesso, un libro francese tradotto in italiano fa riscoprire la sua ricca figura. Nell’aprile del 1986 quando Giovanni Paolo II, primo Papa nella storia, entrò in una sinagoga – quella di Roma, della cui diocesi è vescovo – sulla porta fu accolto dalla massima autorità religiosa, il rabbino capo, allora (e per molti anni ancora, malgrado l’età già avanzata) Elio Toaff. Nei molti commenti di stampa e di televisione dell’epoca, non ricordiamo di averne trovato uno, che pure sarebbe stato assai significativo: se il professor Toaff era lì, assai cordiale nonché vivo e vigoroso, il merito lo si doveva a un uomo di Chiesa, a un prete. L’episodio, in effetti, era già noto ma è stato raccontato ancora una volta dall’interessato in una intervista al quotidiano la Repubblica del 27 gennaio 2001. Ecco le parole testuali: «Non potrò mai dimenticare chi mi salvò la vita quando ero ....