INDEBITATI COL DIAVOLO

DEBITOCRAZIA, IL BUCO NERO CHE

INGHIOTTE INTERI PAESI

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

I cosiddetti "salvataggi" dei paesi non sono destinati, come ci si potrebbe aspettare, per soddisfare le esigenze di una popolazione in difficoltà, ma perché il Paese "salvato" affronti il pagamento d’interessi su un debito contratto con istituzioni finanziarie senza scrupoli. Questi "aiuti" sono condizionati da misure di adeguamento che soffocano ancora di più la popolazione, e anche, nel caso della Grecia, a compromessi, come l'acquisizione di armi, che non fanno altro che aumentare il deficit. Il denaro dei nuovi prestiti finisce così nelle mani di chi ha causato la crisi e dei fabbricanti di armi. Non sono salvataggi, sono truffe in piena regola.

Si consiglia di vedere questi due video poiché sono fatti bene e danno un quadro esauriente del tema di questa settimana.

 

 

 

 

 

DEBITOCRAZIA: LA NUOVA DITTATURA DELL'UE

Intervista con Aris Hatzistefanou, ideatore di Debtocracy – Il documentario rivoluzionario e sovversivo sulla crisi finanziaria che ha sconvolto l’opinione pubblica della Grecia.

di Stanislas Jourdan, owni.eu 6 maggio 2011

“Il nostro governo ci ha chiamato barboni, mangiapane a ufo, e coloro che ci hanno concesso prestiti ci hanno definito “PIIGS” *, proprio come tutti i paesi periferici dell’Unione europea. I nostri ministri hanno cercato di convincerci che ognuno di noi ha avuto una parte in questo”.

*La connotazione spregiativa è evidente dal fatto che pigs in inglese significa maiali, a suggerire il cattivo stato delle economie di tali paesi PIIGS (Portogallo-Italia-Irlanda-Grecia-Spagna).

Aris Hatzistefanou, 34 anni, ha l’abitudine di pubblicare documenti scomodi e fastidiosi. Giornalista fin dall’adolescenza, la sua trasmissione “infowar” in onda da lungo tempo su Sky Radio è stata sospesa subito dopo la pubblicazione del suo documentario Debtocracy, il cui contenuto e messaggio va decisamente contro-corrente rispetto al pensiero dominante.

Nato ad Atene, Hatzistefanou ha iniziato la sua carriera a Radio Sky, considerata la stazione radio più popolare in Grecia. Il suo ultimo progetto è stato visto da un milione di persone e ha suscitato una campagna che ha riscosso molti consensi a livello nazionale per lanciare un audit, una revisione contabile del debito pubblico del paese.

OWNI ha incontrato il creatore del documentario sovversivo che ha sconvolto l’opinione pubblica. 

Qual è la storia che sta dietro a Debtocracy?

L’idea è nata durante una trasmissione di Radio Sky, su come il presidente dell’Ecuador aveva affrontato il massiccio debito del paese. Aveva dato luogo ad una semplice verifica finanziaria del debito sovrano, ed era giunto alla conclusione che altri paesi avevano usato l’Ecuador come “schiavo”, come prima l’Argentina e molti altri paesi. L’amministrazione imponeva ai suoi creditori un taglio del 70%.

Nel frattempo, in Grecia, alcune persone erano alla ricerca di un sostegno per una simile iniziativa, e il mio programma su Radio Sky ha avuto un’eccezionale influenza. Molte persone sembravano chiedersi se avremmo potuto fare la stessa cosa nel nostro paese.

Katerina Kitidi – capo redattore di TV XS – e il sottoscritto abbiamo deciso di produrre il documentario. Abbiamo dovuto far fronte ad un serio problema di finanziamenti ma, per ovvie ragioni, non abbiamo chiesto nulla a partiti politici, ad imprese o, cosa peggiore, a banche; così abbiamo fatto ricorso alla ricerca di finanziamenti presso la gente. La nostra raccolta di fondi ha avuto un buon esito, abbiamo raccolto 8.000 euro in soli 10 giorni, una cifra senza precedenti per un paese come la Grecia, di fronte ad una grave crisi economica.

All’inizio questo progetto doveva concretizzarsi in un semplice video YouTube. Ma, poiché tanti professionisti hanno offerto il loro aiuto (musicisti, editori video), e tante persone hanno donato i loro soldi, il lavoro è diventato un documentario vero e proprio. Il denaro avanzato è stato investito nella promozione del film. Abbiamo cominciato con due persone, ma alla fine almeno 40 persone hanno lavorato al progetto.

Aris Hatzistefanou & Katerina KitidiCom’è stato accolto finora Debtocracy?

Abbiamo avuto più di mezzo milione di visualizzazioni in meno di una settimana, e stiamo ora raggiungendo le 700.000 presenze. Nonostante il suo successo, i media greci non hanno riportato una sola parola su di esso. Quando hanno visto che abbiamo avuto mezzo milione di visitatori, non hanno potuto più far finta che il documentario non esistesse - alcuni giornali hanno cominciato ad attaccare e screditare il documentario. Finora non un canale TV ha fatto menzione di Debtocracy, nemmeno in negativo. Il giorno in cui i principali canali televisivi parleranno di noi, questo costituirà il gradino ultimo verso la vittoria.

In poche parole, di cosa tratta Debtocracy?

Noi sosteniamo che la situazione attuale fa parte di un problema economico mondiale, oltre a costituire un problema dell’euro-zona. Poiché la zona euro è suddivisa in centro e periferia, siamo condannati a soffrire per le perdite di competitività nell’economia globale, e non possiamo svalutare la nostra moneta.

Quello che è successo non può essere tutto addossato ai “PIIGS” - come ci chiamano - anche se noi abbiamo la nostra parte di responsabilità. Il problema è che la Grecia ha creato uno stato sociale senza tassare di più le imprese. Quindi, il disavanzo è cresciuto. Inoltre, abbiamo seri problemi di corruzione, ma questi sono solo dettagli. Anche se tutti i politici fossero messi in prigione, la crisi rimarrebbe irrisolta.

In più, noi sosteniamo che la Germania non è un modello da seguire – loro hanno congelato gli stipendi per un intero decennio! Questo non è un modello sostenibile per tutta l’Europa.

Alcuni sostengono che il vostro documentario non è equilibrato. Come rispondete a queste affermazioni?

Non abbiamo mai pensato di essere equilibrati, al contrario, dal momento che le nostre controparti hanno avuto abbastanza tempo e spazio nei media per esprimere le loro opinioni. E nemmeno loro sono tanto equilibrati! I critici sostengono anche che l’Ecuador non è un esempio opportuno, perché è un paese in via di sviluppo e ha petrolio. Ma il petrolio rappresenta solo il 25% del loro PIL. D’altra parte, anche noi abbiamo il nostro petrolio: il turismo. Si potrebbe considerare un qualsiasi paese diverso dall’Ecuador, e ci verrebbe detto ancora che si tratta di due paesi diversi, anche se ci trovassimo di fronte a una situazione simile, con un debito in crescita e “soluzioni” identiche proposte dal Fondo Monetario Internazionale. Alla fine, stanno solo cercando di deviare la discussione per evitare di parlare del tema principale del film: la necessità di una commissione di revisione del debito.

Secondo la vostra opinione, cosa dovrebbe fare ora la Grecia?

È chiaro che la Grecia non può rimborsare il debito – sia secondo le norme giuridiche o meno, indipendentemente dal tasso d’interesse. 350 miliardi di dollari non crescono di sicuro sugli alberi (ed ironia della sorte, il mercato è stato il primo a raggiungere questa conclusione). Il governo continua a dire che troverà i soldi, ma il mercato non è stupido. Il piano di salvataggio progettato dall’Unione Europea e il FMI non comporta il salvataggio della Grecia - si tratta di salvare solo le banche tedesche e francesi, che subirebbero un collasso se la Grecia dichiarasse bancarotta.

Così, il nostro punto di vista è che non dobbiamo aspettarci nulla da loro. Sarà troppo tardi se noi ci attendessimo da loro l’adozione delle misure necessarie. Siamo noi che dobbiamo trovare le soluzioni per noi stessi e creare iniziative.

Consideriamo questo: prima di tutto dobbiamo effettuare la verifica del debito al fine di distinguere ciò che è legale o illegale. Ci sono indicazioni come un’enorme quantità del nostro debito pubblico sia dannosa o illegale. Ma solo una commissione di controllo dovrebbe determinare e dimostrare questo. È per questo che appoggiamo completamente questa proposta. Tuttavia, questa commissione dovrebbe essere condotta in modo democratico e trasparente, e non da parlamentari.

Siamo più radicali di altri nell’avanzare questa proposta, in quanto riteniamo che dovremmo smettere di pagare il debito, uscire dalla zona euro, e nazionalizzare il nostro sistema bancario. Non è una cosa facile ottenere il sostegno su questi provvedimenti, in quanto possono dare l’impressione di essere troppo radicali - ma anche alcuni politici ed economisti di punta stanno cominciando a considerarli. Nazionalizzare le banche potrebbe suonare come un’idea comunista, ma il problema è tanto serio e dobbiamo proteggere il paese. Se usciamo dalla zona euro, il sistema bancario molto probabilmente crollerà, e quindi dobbiamo proteggerlo da una fuga di capitali fuori dal paese.

Siete collegati ad altre iniziative di questo tipo in Europa?

Siamo stati contattati da un certo numero di gruppi e ci è stato chiesto di mettere i sottotitoli sul nostro film. Al momento, stiamo lavorando per diffonderlo in diverse lingue. In sé, non stiamo collaborando con qualcuno, ma abbiamo diffuso il documentario sotto una licenza Creative Commons (in modo che chiunque può utilizzare il nostro prodotto).

Come immaginate il futuro della Grecia?

L’anno scorso esisteva tanto fermento contro il piano di salvataggio del paese ma ora i cittadini greci sono troppo sfiduciati. Negli ultimi dieci anni, l’opposizione non ha messo a punto una proposta decente che potesse raccogliere il sostegno popolare. Alcune persone credono che le agitazioni si siano placate quando l’Unione Europea ha introdotto tassi di interesse nel pacchetto di salvataggio. Ma sento che il fermento sta ancora crescendo sotto i nostri piedi. E può ravvivarsi in qualsiasi momento.

Vale la pena notare che nessun partito politico ha il controllo dei movimenti di protesta, e nessuno è in grado di indirizzare in un alveo opportuno questi sentimenti. Quindi ho paura che probabilmente il malcontento esploderà improvvisamente e in modo violento, anche se non possiamo prevedere quando e perché. 

Quali sono le prospettive per Debtocracy?

Visto che tante persone hanno donato denaro, e dato che abbiamo raccolto fondi sufficienti per il film, abbiamo deciso di creare un conto speciale per depositare le donazioni, che saranno restituite se non usciremo con un progetto dettagliato e trasparente nei prossimi sei mesi. Non ci aspettavamo un tale successo con mezzi così modesti. Non è stato facile, ma abbiamo dimostrato a noi stessi che cose importanti possono essere realizzate con pochi mezzi - soprattutto quando si ha il supporto di persone di talento.

Internet ci ha aiutato molto, ma ora possiamo scorgere i suoi limiti. Anche se il nostro documentario è stato visto da quasi un milione di persone, dobbiamo raggiungere anche un pubblico che non ha una connessione Internet, soprattutto al di fuori di Atene. Abbiamo intenzione di distribuire DVD e di organizzare proiezioni di Debtocracy nei luoghi di spettacolo e nei cinema. Con Internet da solo, il nostro approccio finirebbe con l’essere elitario.

In definitiva, noi sicuramente vogliamo andare oltre, e affrontare i tabù che i più importanti mezzi di comunicazione della Grecia non osano denunciare. Se le persone non prendono parte alla produzione e alla diffusione delle informazioni, non troveranno mai qualcuno all’interno delle grandi corporazioni dei media disposto a parlare in loro nome.

 

 

 

 

Sovranità popolare - Cittadini, non sudditi

Fonte web

La “questione monetaria” è molto semplice: in qualunque economia si utilizza la moneta, non se ne può fare a meno, ma essendo questo “oggetto” un puro frutto della mente umana, e di nient’altro, occorre definirla, produrla, gestirla da parte di umani, con regole decise da umani.

Non sono tre fasi separate o separabili in compartimenti stagni, ma tre aspetti della questione che si compendiano reciprocamente in un tutt’uno. Tralasciamo inizialmente la definizione, per certi versi conseguenza delle altre due fasi operative, quelle che fanno della moneta un fatto concretissimo nella quotidianità di miriadi di vite individuali, relazionate tra loro nell’ordinamento sociale di fatto, sia localmente che ai livelli superiori, fino al livello planetario, o globale.

Niente di più immediato che esemplificare le fenomenologie di produzione e gestione della moneta al giorno d’oggi: l’euro per gli europei, lo yen per i giapponesi, la sterlina per gli inglesi, il renminbi (o più semplicemente yuan) per i cinesi, il dollaro per gli americani …. anzi no, il dollaro per tutti, ma questa è un’altra storia.

Cos’ hanno in comune le valute citate, e molte altre ancora, dal punto di vista gestionale? Che esiste un’unica tipologia di soggetto giuridico, sia pure in tante varianti, autorizzata alla gestione della moneta in rappresentanza della società tutta. E’ la Banca, che può essere “commerciale” (Istituto di Credito e servizi di pagamento-riscossione), “d’investimento o d’affari”, “mista”, “di clearing (internazionale)”, “privata”, “pubblica”, “Centrale”, “Mondiale”, ecc. ecc. Ma sempre di banca si tratta, in forma giuridica di S.p.A., Fondazione, Cooperativa, Holding, ecc. ecc. ecc.

In che modo le varie banche gestiscono la moneta? Registrandone la contabilità, il passaggio di possesso tra persone fisiche e giuridiche, come sostituti d’imposta per conto dello Stato, come amministratori del risparmio finanziario, come produttori e gestori di strumenti finanziari, come erogatori di credito, come gestori delle borse valori, come interlocutori dei governi sulle questioni economico-finanziarie, ecc. ecc. Ma soprattutto come produttori della moneta effettivamente in circolazione nei vari mercati, ovvero come emittenti della moneta.

Dal momento che ogni economia monetaria si basa su scambi reciproci tramite denaro, e dal momento che non vi sono limitazioni sostanziali alla geografia di questi scambi (salvo casi d’embargo), ecco che le miriadi di banche in tutto il mondo, di ogni genere e dimensione, sono di fatto strettamente connesse tra loro (telematicamente), a formare un’unica ragnatela di scambi monetari in tutte le valute, cioè un sistema bancario globale. Per questo i diversi sistemi monetari devono giocoforza relazionarsi tra loro, tendenzialmente adeguandosi ai criteri dei sistemi che dominano per dimensioni e per influenza politica, commerciale, militare. A tutt’oggi, nonostante già si avvertano sinistri scricchiolii, il sistema dominante è ancora il dollaro USA, la valuta che invade le altre economie con la famosa “dollarizzazione” del mondo intero, dagli “accordi” di Bretton Woods del ‘44, passando poi per la sospensione unilaterale della convertibilità (in oro) del dollaro nel 1971 (Nixon) e per le politiche di “deregulation” finanziaria e commerciale targate Reagan e Thatcher (anni ’80).

In pratica oggi il sistema bancario, nazionale e mondiale, produce e gestisce tutto il denaro in circolazione, realizzando il più grande trust, o monopolio (privato), della storia dell’umanità. Si può tranquillamente affermare come verità indiscussa che il controllo del denaro è affidato nei fatti al sistema bancario.

Ma chi controlla il sistema bancario, che è un misto di proprietà pubblica e privata, ma tendente alla riduzione a zero della partecipazione pubblica e politica sull’onda dell’ideologia liberista? Se pensiamo alla singola banca come ad un’azienda, interamente controllabile col pacchetto di maggioranza relativa (talvolta assai risicato, Tronchetti Provera docet), non è difficile intuire che i controllori primari delle politiche monetarie siano proprio quelle famiglie storiche, ormai transnazionali, che hanno consolidato le loro immense fortune proprio grazie all’esercizio del controllo finanziario tramite banche private, con i noti metodi tutt’altro che trasparenti e corretti, se pur leciti spesso in virtù delle loro capacità di controllo del legislatore stesso. Insomma siamo nelle mani dei campioni del privilegio finanziario, una strana forma di profitto, divenuta abnorme, che non ha mai reso in cambio alcun bene materiale per l’umanità, eccetto che per la minoranza di parassiti dell’economia altrui. Questo è l’esito scontato dell’ideologia dominante nel “mondo che conta”, interamente basata sulla logica del profitto competitivo all’interno di un utopistico “libero mercato”, che è sempre stato di tutto tranne che “libero” dallo strapotere finanziario.

E il “signoraggio”?
Che il signoraggio sia l’insieme dei redditi derivanti dall’emissione di moneta non ci piove. Questo non lo dico io ma i banchieri e perfino i debunkers del “complotto del signoraggio”. E credo che neppure i “complottisti”, dall’altro lato della barricata, abbiano nulla da eccepire nel merito della definizione del termine, almeno in questi termini così generali.

Si è appena detto poco sopra che i “soldi veri” fatti dai banchieri storici (Rothschild, Rockefeller, Morgan, Warburgs, Lazard, ecc.), quelli in grado di controllare il trust bancario, e da lì le economie e le politiche mondiali al fine di consolidare il proprio potere, ovvero un sistema che si autodetermina circolarmente, sono soldi “fatti” soprattutto tramite speculazioni finanziarie, lecite o illecite, con moneta già esistente.
Perciò non ci sarebbe alcun bisogno di scomodare il concetto di signoraggio per spiegare le problematiche di fondo relative alla questione monetaria. Tuttavia si è anche detto che l’intera massa monetaria in circolazione, in tutte le sue forme (che vanno ben oltre i limiti dell’immaginario collettivo), è praticamente prodotta e messa in circolazione, oltre che gestita a posteriori, dallo stesso trust bancario mondiale controllato dall’ élite finanziaria. Sorge quindi spontanea la domanda se ci sia una relazione importante tra emissione monetaria e concentrazione di ricchezza tramite meccanismi finanziari in senso lato. E la risposta a questa domanda è certamente sì, esistono dinamiche finanziarie importanti in tal senso, direttamente legate all’emissione monetaria, che producono grandi spostamenti di ricchezza reale dall’economia fisica diffusa a quella virtual-finanziaria concentrata, sempre però convertibile in beni reali.

Basti pensare al tradizionale credito bancario di denaro “fiat”, che non esisteva prima del credito stesso, cioè della creazione dal nulla di massa monetaria circolante da parte di qualunque banca commerciale (le più “pulite”, che pure hanno questa “rogna”), operante in un sistema a riserva monetaria frazionaria e bassissima, dell’ordine del 2%. Tutti gli interessi sul denaro costato nulla alla banca mutuante sono di fatto un furto ai danni dei veri produttori di ricchezza fisica monetizzata, i mutuatari.

Per non parlare delle Banche Centrali che emettono “contante” dal nulla (o meglio da un finto indebitamento contabile), capitalizzandosi di pari importo (non a titolo di riserva a garanzia del contante emesso, ma in proprietà assoluta della BC, liberamente impiegabile al miglior rendimento).

C’è poi l’eclatante esempio in cronaca degli straordinari QE1 e QE2 della FED americana, denaro fiat distribuito “in prestito” alle banche in odore di default per mancanza di liquidità, in realtà destinato ad ulteriori speculazioni finanziarie (cosa che farebbe qualunque giocatore d’azzardo che ha perso tutto, in crisi d’astinenza dal rischio) e in ultima istanza all’acquisto di ulteriore debito pubblico, il che dimostra oltre ogni ragionevole dubbio che il “prestatore d’ultima istanza” reale è lo Stato con potere d’imposizione fiscale futura, e non una banca centrale privata che si fonda sul monopolio d’emissione del contante fiat.

Già m’immagino spiegazioni leguleie e contorcimenti mentali per “spiegare” che questi tre esempi sono falsi e fuorvianti, negando l’evidenza dei fatti, ma non importa, basta l’intuito di un bambino per capire che al casinò il banco vince sempre, perché è lui che conduce il gioco. E se c’è una crisi finanziaria mondiale, diversa e ben più profonda di quella del ’29 (quando le regole erano ancora “oneste” rispetto ad oggi), è perché il circo della finanza è del tutto assimilabile ad un casinò globale, dove i pochi gestori hanno quasi finito di spennare lo spennabile al resto del mondo. E proprio per questa evidenza, come in Grecia e in Islanda, questi nuovi re appaiono nudi nelle loro vergogne agli occhi dei semplici e degli innocenti.

 

 

Il mondo sempre più in catene da parte dell'alta finanza

 

 

Debitocrazia e debito detestabile

Fonte web

L’economia moderna è basata sul debito. Se da una parte nel mondo cresce il capitale necessariamente da un’ altra parte è nato un debito.  Questo  principio è la necessità logica della formula Money= debt.

Ma i debiti sono tutti uguali?

Nel 1927 Alexander Sack, dopo essere stato ministro nella Russia degli Zar ed esperto di diritto  e successivamente diventato insegnante nelle università europee e degli Stati Uniti, presentò la nozione di “Debito Detestabile”.

Alexander afferma che un  debito per essere detestabile deve possedere 3 prerequisiti:

1) Il governo deve aver conseguito prestiti senza che i cittadini ne fossero consapevoli e senza il loro consenso.

2) I prestiti devono essere stati utilizzati per attività che non hanno beneficiato la cittadinanza.

3) I creditori devono essere al corrente di questa situazione e disinteressarsene.

 

Molti Paesi nell’ultimo secolo  hanno pagato il proprio debito pubblico invocando questo principio.

Io ritengo che moltissimi debiti nati negli ultimi decenni grazie alle teorie neoliberiste del FMI e della BM siano illegittimi e detestabili.

Vediamo ora come sono state  attuate queste teorie neoliberiste e le loro conseguenze.

Per prima cosa è stato comunicato che la globalizzazione sarebbe stata un’ opportunità planetaria per il miglioramento economico delle popolazioni.

In realtà è servita a mettere in competizione la classe lavoratrice dei Paesi industrializzati con quella schiavizzata dei Paesi emergenti. Il risultato ha inevitabilmente portato ad una progressiva demolizione del potere contrattuale degli operai dei Paesi “ricchi”.

Avendo spostato molte attività produttive in Paesi, come la Cina, caratterizzati da un costo della manodopera irrisorio gli stati europei hanno assistito ad una diminuzione del proprio gettito fiscale.

La prima reazione agli effetti delle teorie neoliberiste, ovvero alla diminuzione del potere di acquisto della popolazione e la conseguente contrazione dei consumi, fu favorire l’accesso al credito.

Fino a pochi anni fa gli economisti consideravano economicamente maturi quei Paesi i cui cittadini facevano un ampio ricorso al credito al consumo, in quanto questo garantiva un volano alle loro economie.

Tali teorie furono spazzate via dalla crisi dei Subprime del 2006.  Essendoci un differenziale tra  retribuzione e costo della vita ed essendo limitati gli anni lavorativi che una persona può ipotecare quando ricorre ad un prestito, chiunque poteva prevedere che questa soluzione economica del neoliberismo era destinata a fallire.

Ma per la popolazione dei Paesi più industrializzati e non il peggio doveva ancora venire.

Il potere bancario da sempre alleato e vicino alle corporation e alle multinazionali ha avuto modo di dimostrare quanto fossero influenti a livello economico-politico.

Dopo essere state le attrici principali della crisi grazie all’elargizione di prestiti a persone che loro ben sapevano essere incapaci di restituire sono riuscite a scaricare il peso dei loro errori sugli stati e spesso senza subire alcuna forma di statalizzazione. E’ il solito giochetto a cui siamo abituati in Italia: vengono privatizzati gli utili e socializzate le perdite.

Questa volta però lo si è attuato in America, e questo francamente non se lo aspettava nessuno…

Nei casi precedenti non si era intervenuti con aiuti di stato per salvare multinazionali del peso della Enron. Ma quando sono state toccate le Banche la Fed è intervenuta a salvarle comprando i titoli tossici ed immettendo come controparte nel mercato banconote a tutti gli effetti senza copertura. Non è facile quantificare quanto questa operazione abbia contribuito ad inflazionare il valore del dollaro, ma certamente ha avuto un ruolo non secondario.

Il fatto che queste banche fossero giunte sull’orlo del precipizio non ha portato loro in dote né riconoscenza, né saggezza tanto che è fortissimo il sospetto che siano loro stesse a finanziare le speculazioni che negli ultimi anni hanno investito i P.I.I.G.S.  Questi Paesi che per anni avevano compensato i propri guai strutturali svalutando la propria moneta in modo da recuperare competitività, si sono trovati ingessati nei parametri imposti dalla UE.

Senza il trucco della svalutazione e quindi senza la possibilità di aumentare la competitività e le esportazioni a questi Paesi ( ricordiamo che una delle “I” sta per Italia )   non rimanevano che 3 strade:

a) aumentare le richieste di prestiti dunque incrementare il debito pubblico.

b) privatizzare svendendole le industrie e le proprietà  statali

c)  smantellare il walfare, la sanità, l’istruzione, i servizi pubblici.

Ma sono  soluzioni temporanee ( prime due opzioni ) oppure difficili da far digerire alla popolazione.

Se una nazione  però è ricorsa per finanziare le proprie uscite a crediti di provenienza esterna ai propri confini nazionali paga il pegno di doversi sottoporre al giudizio di compagnie private di rating. Queste, nonostante si siano storicamente dimostrate  inaffidabili ( vedi caso Parmalat per esempio ), possono spingere uno stato sovrano a rischio default.

E’ a questo punto che interviene la mano armata del neoliberismo: FMI.

Dietro ad un’ immagine di facciata che lo dipinge come un ente predisposto alla salvaguardia economica dei Paesi sull’orlo della bancarotta è ormai sotto gli occhi di tutti che il suo operato ha i netti contorni di una agenzia di recupero crediti per salvaguardare gli interessi delle banche creditrici e delle corporation.

L’ FMI, dietro cui si nasconde la regia della BM e dietro la quale  si cela la politica neoliberista americana, impone subito politiche di deregolamentazione a vantaggio delle multinazionali ( spesso americane ) e di privatizzazione. Viene richiesta austerità… parola elegante che mal cela il vero significato di questa imposizione… la schiavizzazione di un popolo grazie al cappio di prestiti talmente elevati da divenire inesigibili ma funzionali ad una velata colonizzazione.

Nei Paesi in cui è intervenuta in soccorso l’ FMI le condizioni economiche sono peggiorate e la prospettiva di vita delle relative popolazione e scesa improvvisamente dai 5-10 anni!

La corruzione politica è il vero male che permette prima di cadere vittima della logica neoliberista e poi di finire nelle fauci  del Fondo Monetario Internazionale. Come ha ben spiegato l’ex sicario delle economie John Perkins i default di  moltissimi Paesi sono decisi a tavolino. Abbiamo una sola soluzione per impedire che vengano corrotti i nostri politici:

LA PUBBLICAZIONE SUI GIORNALI NAZIONALI DI OGNI VOCE RELATIVA ALLE SPESE PUBBLICHE.

Tale pubblicazione dovrebbe essere poi sottoposta all’approvazione pubblica per via telematica.

La delega temporaneamente  incondizionata  della spesa pubblica al potere politico è la porta principale da cui entra la corruzione. Al politico deve essere impedito di indebitare il popolo senza il proprio consenso.

 

 

Durante lo sciopero generale in Grecia

 

 

Chi detiene il debito pubblico italiano?

Fonte web

E’ noto a tutti che il debito pubblico italiano ha raggiunto livelli esorbitanti. Meno noti sono due aspetti: che per la metà è in mano a soggetti stranieri e le conseguenze che questo comporta.

1. Nel 1837 Benjamin Disraeli scriveva che “Il debito è il padre d’una numerosa figliolanza di follie e di delitti.” In altre parole, ogni debitore, specie se di lungo corso, finisce sempre per avventurarsi in comportamenti irrazionali. Soprattutto se si tratta di uno Stato sovrano, capace di impegnare la responsabilità delle proprie generazioni future.
Uno Stato in deficit, ossia che spende più i quanto incassa, copre l’ammanco emettendo titoli di debito. È risaputo che, più il debito cresce, più lo Stato debitore incontrerà delle difficoltà nel restituirlo.
Meno ovvio è che c’è molta differenza se i creditori sono i propri cittadini o soggetti stranieri.

2. Fino a poco tempo fa i titoli di Stato erano la forma d’investimento in cui confluivano i risparmi delle famiglie. Secondo la Banca d’Italia, nel 1995 il 90% del debito pubblico era nelle mani di investitori italiani.
La storia economica ci insegna che, dall’Illuminismo in poi, questo rapporto ha rappresentato il più forte legame tra gli Stati e i loro popoli nelle nazioni democratiche. Ciò perché i cittadini, essendo creditori dello Stato, erano cointeressati alla gestione delle finanze pubbliche. E lo Stato, dal canto suo, era in un certo senso “obbligato” a fare buon uso dei fondi introitati attraverso il debito. Gli interessi di governanti e governati finivano così per coincidere.
In Italia, dove più di ogni altro Paese in Europa tali interessi sono tra loro distanti, questo meccanismo ha portato ad alcune distorsioni.
Per coprire il deficit senza aumentare il debito si sarebbe potuto aumentare le tasse. Ma così i governi avrebbero perso voti. Quindi, meglio indebitare lo Stato, lasciando i soldi in tasca agli italiani e illudendoli che avrebbero potuto riempirsele investendo in Bot e Btp. Ma così facendo le tasse non potevano che aumentare comunque, poiché aumentando il debito, aumentano gli interessi da pagare. Con l’aggravante di appesantire il bilancio statale con un onere per gli interessi che oggi supera gli 82 miliardi di euro annui.
Nel frattempo ci hanno guadagnato i ricchi e ci hanno perso i poveri: i titoli di Stato sono stati accumulati da banche, assicurazioni o nababbi per avere una rendita sicura con interessi alti. Interessi, ovviamente, a carico dei contribuenti. Cioè dei lavoratori dipendenti, quelli che le tasse le pagano sempre. E che possedevano solo il 10% del debito totale.
La rendita sicura è stata garantita anche da una tassazione ridicola, fissata in un’aliquota unica del 12,5% dalla riforma Visco del 1997. Con buona pace del criterio di progressività sancito dalla Costituzione. In pratica gli italiani più ricchi hanno pagato meno tasse, in compenso facendo raddoppiare il debito.
Un cortocircuito finanziario che ha contribuito a rendere i ricchi ancora più ricchi e i poveri più poveri. Non è un caso se l’Ocse rivela che negli ultimi 15 anni in Italia la differenza tra ricchi e poveri è aumentata del triplo rispetto alla media europea. Alla faccia dei buoni propositi sulla redistribuzione della ricchezza.

3. Oggi la situazione è mutata. Complice la sopraggiunta “povertà” delle famiglie italiane, queste ultime hanno drasticamente ridotto la loro percentuale di risparmio in titoli di Stato, mentre è enormemente cresciuta la quota di debito in mano a soggetti stranieri. Esponendo il Paese al rischio di gravissimi problemi.
Il Bollettino statistico della Banca d’Italia1 sottolinea che dal 1995 ad oggi la percentuale del nostro debito pubblico detenuto da soggetti non residenti è progressivamente cresciuta dal 10% al 50%. E il debito attuale ammonta a 1.844 miliardi di euro, oltre il 120% del PIL, che ci porta ad essere l’ottavo Paese più indebitato al mondo2. Questo significa che, ragionando per assurdo, anche se noi italiani per amor di patria regalassimo allo Stato tutto il credito concesso, il debito resterebbe almeno per la metà dell’attuale valore. Per assurdo, perché la maggior parte di quei denari sono costituiti da fondi pensione o assicurativi. E dunque, intoccabili.

4. A chi appartiene oggi il debito pubblico italiano?
La risposta l’ha data il New York Times, in seguito alla crisi greca dello scorso anno3. La Francia detiene 511 miliardi del nostro debito, pari al 30% del debito stesso e al 20% del PIL d’oltralpe. Il quotidiano della Grande Mela voleva evidenziare che, se il nostro Paese piombasse in una crisi di liquidità, ne soffrirebbe tutta l’area euro, al punto da metterne a rischio la stessa esistenza.
Ma c’è un altro aspetto da considerare. Che ci riguarda molto da vicino.
Un Paese che sottoscrive il debito pubblico di un altro, oltre ad investire la propria liquidità e garantirsi un flusso di cassa pluriennale, ne ricava un altro effetto positivo. Calcolabile nel lungo periodo.
Se gli acquisti del Paese creditore sono fatti durante un periodo di crisi (come sappiamo ne è in corso una, e ci siamo dentro fino al collo), il potere negoziale esercitabile è notevole. Il creditore può ottenere in contropartita delle clausole nei trattati commerciali. La Cina, ad esempio, sottoscrivendo il debito greco ha chiesto l’uso del porto del Pireo e che le future navi in dotazione alla marina di Atene siano comperate in Cina.
Il debito ha l’effetto di incrementare le esportazioni dal Paese creditore al debitore, favorendo la competitività delle proprie industrie. E orientando le scelte commerciali (e strategiche) del debitore a proprio vantaggio.

5. Alla luce di queste considerazioni possiamo comprendere perché il governo non fa nulla per impedire che i colossi francesi acquisiscano aziende italiane. Ma sopratutto perché ha tanta premura di tornare al nucleare, acquistando le centrali dalla francese EDF.
Ora che il nostro debito non è più “in famiglia”, potrebbero essere proprio le famiglie italiane a pagarne le conseguenze, a cominciare dalle pensioni. E nella peggiore delle ipotesi, con le radiazioni.
I 511 miliardi di debito che pesano come un macigno sulle nostre spalle, a parere della maggioranza, sono una ragione sufficiente per svendere il nostro futuro e la nostra sicurezza.
Come sa bene Beppe Grillo, che nel suo blog aveva già denunciato a suo tempo: “EDF è il mandante, Berlusconi e la Confindustria gli esecutori materiali interessati”4.
Il ritorno al nucleare potrebbe rivelarsi la più drammatica delle “follie del debitore” di cui Disraeli parlava, e a pagare sarebbe l’Italia di domani. Quella dei nostri figli.
Che schiava di Roma Iddio la creò, declamava Mameli. E che il debito rese l’ombra della Tour Eiffel.

 

 

APPROFONDIMENTO VIDEO

 

Video integrale in lingua greca con sottotitoli in italiano