RASSEGNA STAMPA

INTERNAZIONALE

(per non appiattirsi troppo)

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CONTATORE IN TEMPO REALE DI

MORTI IN IRAQ FINO AD OGGI

(secondo fonti ufficiali e giornalistiche)

Just Foreign Policy Iraqi Death Estimator

 

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L’ONU promuove ufficialmente il “gender diktat”

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L’ONU promuove ufficialmente il “gender diktat”Il nuovo rapporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sulle donne, intitolato Indagine mondiale sul ruolo delle donne nello sviluppo 2014: uguaglianza di genere e sviluppo sostenibile, delinea e ribadisce chiaramente quelle che sono le linee guida strategiche della politica dell’ONU per il prossimo futuro.

La tecnica utilizzata è sempre la stessa. Il documento adotta un linguaggio volutamente ambiguo e ambivalente per presentare e promuovere in maniera subdola il proprio programma radicale. L’obiettivo è quello di creare consenso attorno a concetti e vocaboli apparentemente innocui e ragionevoli che in realtà sottendono l’adesione ad un progetto di profonda rivoluzione culturale.

La parola che ricorre con maggiore frequenza nel documento è il termine gender. Tale vocabolo rappresenta, infatti, il cuore della strategia di azione delle Nazioni Unite fin dalla Conferenza mondiale delle donne di Pechino del 1995. Come ha scritto, a tale proposito, la studiosa belga Marguerite Peeters, nel suo libro Il gender. Una questione politica e culturale (Edizioni San Paolo, 2014), il gender può essere descritto come un insieme olistico di cerchi concentrici fornito di un nucleo duro radicale.

I cerchi esterni, i più visibili e i più lontani dal centro ideologico nascosto, rappresentano i progetti a più alto consenso e capaci di sedurre la maggioranza. Fanno parte di tale categoria, ad esempio, programmi di lotta contro lo stupro o la mutilazione, la richiesta di maggiori garanzie per le donne riguardo l’educazione, le cure mediche, lo sviluppo socio-economico ecc.

Tuttavia, come scrive la Peeters, una più attenta analisi dimostra che «il gender è un processo rivoluzionario centripeto, il nucleo duro ed ideologico attira verso sé e contamina tutti gli altri cerchi cosicché anche i progetti più esteriori e apparentemente più accettabili finiscono per essere contagiati dall’antropologia laicista, individualista ed edonista del centro».

La rivoluzione del gender avanza dietro una maschera di parole dal sapore altruistico e umanitario come uguaglianza, equità, parità di genere, libertà di scelta, diritti, dignità umana, progresso, autonomia, emancipazione, lotta contro le violenze, non discriminazione, salute riproduttiva, sviluppo sostenibile, ecc….

Il rapporto dell’ONU appena pubblicato rappresenta, in tal senso, un manuale emblematico di tale ipocrita e ambigua strategia d’azione. Per questo è interessante esaminare alcuni dei concetti esposti al suo interno per cercare di svelarne il significato reale e l’inganno linguistico intrinseco.

Una delle definizioni più ricorrenti nel documento è «salute riproduttiva», termine paradossale che nei fatti costituisce la negazione sia della salute che della riproduzione. Con tale definizione si vuole, infatti, stabilire il diritto all’aborto e alla contraccezione ai fini del controllo della propria sessualità. Per questo, a pagina 113 del rapporto, nella sezione «sullo sviluppo sostenibile», leggiamo la raccomandazione di «rispettare, proteggere e promuovere la salute e i diritti sessuali e riproduttivi per tutti, soprattutto per le donne e le ragazze, nel ciclo vitale».

Sempre a pagina 113 viene proposta l’ideologica uguaglianza di genere sottolineando la necessità di «riconoscere, ridurre e redistribuire il lavoro non pagato tra uomini e donne all’interno delle famiglie, e tra famiglie e Stato estendendo i servizi di base e le infrastrutture accessibili a tutti». Un’abolizione forzata della complementarietà fra i sessi in nome della parità di genere che svilisce la donna e perde di vista le naturali inclinazioni di ciascun sesso. A pagina 114 il documento promuove, inoltre, «politiche sulla popolazione sostenibili nella salute e nei diritti sessuali e riproduttivi, inclusa la fornitura accessibile a tutti… di un’educazione alla sessualità comprensiva e dell’aborto sicuro» introducendo il singolare concetto di «aborto sicuro», una contraddizione in termini che soggiace la legalizzazione dell’aborto a tutti i livelli.

Come anticipato la parola più ripetuta all’interno del rapporto delle Nazioni Unite è il termine “gender”. Vocabolo dal significato ideologico che sostituisce la parola sesso e mira a promuovere, all’interno di tutti gli Stati membri, la «prospettiva di genere» volta a rimuovere gli stereotipi di maschi e femmina, considerati superati e inadatti a rappresentare la complessità sociale contemporanea. L’agenda gender va a braccetto con l’agenda LGBTQ omosessualista, dettando la promozione e diffusione di qualsivoglia tendenza sessuale in nome di falsi e malintesi nuovi “diritti umani”. Il sesso di un individuo, l’essere maschio e femmina, lungi dall’essere un dato biologico, fisso e immutabile, diviene un dato socio-culturale e psicologico, da decostruire e ricostruire continuamente a proprio piacimento.

Il rapporto sulle donne dell’Organizzazione delle Nazioni Unite costituisce dunque un compendio significativo del programma di azione sovversivo degli ideologi del gender volto ad imporre attraverso una rivoluzione culturale globale “silenziosa” il nuovo paradigma etico fondato su un nuovo linguaggio, norme e valori. Un attacco infido e sleale il cui bersaglio principale sono il matrimonio e la famiglia naturale capisaldi vitali della nostra società. (Lupo Glori)

 

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Brasile, ok ai Viri Probati?

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Dal Brasile mi giunge una notizia che costituirebbe una vera rivoluzione nella Chiesa. E cioè che si sta cercando il modo, in dialogo con la Congregazione per il Clero, di ordinare “ad experimentum” “viri probati” per sopperire alla mancanza di sacerdoti nelle diocesi dell’Amazzonia, dove le distanze sono enormi, il numero dei sacerdoti sempre più scarso, e le possibilità per alcune comunità cristiane di avere i sacramenti estremamente ridotte.   

Il motore dell’iniziativa sarebbe il card. Claudio Hummes, già prefetto della Congregazione per il Clero, ora arcivescovo emerito di San Paolo, dove continua però, nonostante gli 80 anni appena compiuti, a essere attivo in un incarico diocesano analogo a quello di Vicario episcopale e che ha attinenza con la regione delle Amazonas. Claudio Hummes è il cardinale che Jorge Mario Bergoglio ha voluto accanto a sé quando è apparso subito dopo l’elezione alla Loggia della basilica di San Pietro. Secondo alcuni esperti sarebbe proprio Claudio Hummes uno dei principali fautori e organizzatori dell’elezione di papa Francesco.   

Hummes, quando era Prefetto del Clero, aveva l’idea di far andare avanti l’idea dell’ordinazione dei “viri probati”, ma non riuscì nel suo intento. Per “viri probati” ci si riferisce a uomini di provata fede, anziani, sposati o vedovi, che nelle antiche comunità cattoliche venivano ordinati come sacerdoti per supplire ai bisogni di comunità cristiane isolate generalmente situate in zone poco accessibili e lontane dal centro delle diocesi.  

Il card. Hummes oltre a essere in dialogo sull’argomento con la Congregazione per il Clero, guidata dall’uomo di fiducia del Papa, il card. Stella, ha naturalmente parlato con i vescovi dell’Amazzonia. Uno di loro, mons. Erwin Kraeutler, vescovo di origine austriaca, missionario in Brasile, prelato di Xingu nella regione amazzonica, nell’aprile scorso ha riferito di aver parlato con Papa Francesco dell'ipotesi che vengano ordinati i cosiddetti "viri probati" - per assicurare l'assistenza spirituale in un territorio sconfinato con 700mila fedeli, 800 comunità e soli 27 preti. 

"Ho riferito al Papa che sono il vescovo della diocesi più grande per estensione del Brasile con 700mila fedeli e che le nostre comunità possono celebrare l'eucaristia solo due o tre volte all'anno", ha detto mons. Kraeutler in un'intervista alla Salzburger Nachrichten. "In connessione con la necessità delle nostre comunità si è parlato anche dei viri probati, gli uomini sposati di sicura fede che vengono ordinati preti”.   

Se l’iniziativa del card. Hummes si concretizzerà, l’Amazzonia potrebbe essere il primo luogo al mondo in cui si avranno, nel rito latino, sacerdoti con famiglia. (Marco Tosatti) 

 

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Cittadini turchi in Europa senza visto (terroristi compresi)

(siamo alla demenza pura... Un motivo in più per uscire dalla dittatura di Bruxelles, ndr)

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zzmnstrtrchIl presidente turco, Recep Erdogan, nell’annunciarlo, non ha nascosto la propria euforia. Né, da musulmano, avrebbe potuto: «La porta d’Europa senza visto turistico – ha dichiarato – sta ormai per essere aperta». Lo ha sancito la firma di un accordo sottoscritto col Commissario per gli Affari Interni dell’Ue, Cecilia Malmström (nella foto). Dov’è il problema? Che le frontiere turche consentono il transito dei terroristi anti-Damasco; che la metà dei miliziani islamici del Fronte al-Nosra in Siria sono turchi; che turca è anche buona parte dei quadri degli altri gruppi armati jihadisti, dall’Isis al Fronte Islamico. E’ tutto questo a render pericolosissima la libera circolazione nello spazio Schengen ai cittadini di quel Paese.

E caso mai qualcuno nutrisse ancora dubbi, ecco i risultati di un recente sondaggio messo a punto dall’Università di Sanbancu: il 40% della popolazione turca ha «un’opinione negativa dei Cristiani». E l’Europa se li porta in casa, senza nemmeno chieder loro di bussare… incredibile! Chiunque e con qualunque intenzione, acquistando un banalissimo biglietto aereo, può automaticamente dalla Turchia raggiungere qualunque città europea, senza che alcuno Stato dell’Unione possa opporsi: a smorzar sul nascere qualsiasi titubanza ed a render violazione sanzionabile qualsiasi resistenza, provvedono la ratifica del trattato d’Amsterdam, avvenuta nel 1998, e quella del trattato di Lisbona, avvenuta nel 2007.

Per l’Italia, Cecilia Malmström, firmataria per l’Europa di questo accordo bilaterale effettivo dal primo gennaio, rappresenta una vecchia conoscenza: è la stessa che, sempre come Commissario per gli Affari Interni dell’Ue, ha avviato un’indagine contro il nostro Paese, contestandoci lo stato di degrado del centro d’accoglienza di Lampedusa. Ma, già in passato era assurta agli “onori” della cronaca, per aver salutato con entusiasmo due anni fa le dichiarazioni del Presidente Usa, Obama, a favore delle “nozze gay”, nonché per aver, come primo ministro svedese, preso parte a varie edizioni del Gay Pride, all’estero – Varsavia 2007, ad esempio – e in Patria – prima oratrice alla parata del 2008 -; oltre a distinguersi per una frenetica attività nel gruppo di lavoro per le questioni Lgbt, interno all’Europarlamento. Ed ora si cimenta in questa nuova apertura, stavolta verso l’islam militante. Apertura, il cui costo, in termini culturali, sociali e di sicurezza interna, potrebbe essere, ancora una volta, enorme.

 

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Primi spiragli di verità sull'abbattimento del volo malese MH17

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18 settembre 2014 (MoviSol) - La Commissione olandese per la Sicurezza dei Trasporti ha finalmente pubblicato la scorsa settimana un rapporto preliminare sul volo MH17, abbattuto sopra l'Ucraina il 17 luglio. Il rapporto sostiene che i danni alla fusoliera ed alla cabina di pilotaggio "sono coerenti con quelli che ci si potrebbe aspettare da un grande numero di oggetti ad alta energia che hanno penetrato l'aereo dall'esterno".

Il rapporto preliminare non fornisce prove di un ruolo russo nell'abbattimento del volo di linea, benché il presunto ruolo sia stato il motivo delle sanzioni dell'UE e degli USA ed anche per quelle imposte alla Russia più recentemente.

Esperti militari con cui abbiamo parlato indicano che le immagini alla cabina di pilotaggio danneggiata dell'MH17, diffuse in rete prima del rapporto olandese, non mostrano l'impatto di un missile, neanche uno esploso a una certa distanza dall'aereo, ma piuttosto l'impatto di una mitragliatrice che ha sparato da un altro aereo. Ciò, a sua volta, punta il dito sui caccia ucraini che potrebbero aver sparato, intenzionalmente o per errore, contro un aereo di linea civile. Queste prove sarebbero note, secondo una fonte, ai governi tedesco ed americano, che tentano di insabbiarle.

Un ex diplomatico europeo che ha studiato il caso è giunto alla conclusione che i caccia ucraini hanno abbattuto l'aereo di linea, e ritiene che questo traspaia anche dal rapporto olandese. Prima o poi ciò eserciterà pressioni sulle autorità olandesi che dovranno dire la verità, creando tensione col governo americano ed altri governi occidentali intenti ad insabbiare le prove. Paragonate a questo, ha aggiunto l'ex diplomatico, le tensioni anni fa sul rifiuto americano di riconoscere la Corte Internazionale di Giustizia all'Aia sembreranno un gioco da ragazzi.

 

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L’Ungheria caccia i massoni dalla nazione e

ora è sovrana! Emette moneta senza debito

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ungheria fmiL’Ungheria fa boom,caccia i massoni del FMI e banksters dalla nazione ed ora emette moneta senza debito,è SOVRANA DI SE STESSA,Li non comanda la sinistra…

Dopo che è stato ordinato  all’FMI di abbandonare il paese, la nazione adesso stampa moneta senza debito. L’Ungheria sta facendo la storia.

Teniamo a precisare che l’ UE si permette ancora di calcolare il debito ungherese anche se ora la nazione è sovrana fuori dal FMI e da tutti i vincoli europei debito pubblico compreso,considerandolo il più alto d’Europa,semplicemente perchè l’ Ungheria non fa nulla per ridurlo,non da un soldo all FMI,banche e UE perchè pensa ai cittadini,e quindi il “debito fantasma” cresce,ma nulla possono contro una nazione che li ha rifiutati a priori,possono solo conquistarla militarmente violando i trattati internazionali.

Quindi anche se rifiuti l’Europa lei ti costringe comunque a pagare… gli italiani ci cascano,gli ungheresi, svizzeri, islandesi, inglesi ecc no….

Mai più dagli anni ’30 con il caso della Germania un paese europeo aveva osato sfuggire alle grinfie dei cartelli bancari internazionali controllati dai Rothschilds. Questa è una notizia stupenda che dovrebbe incoraggiare i patrioti nazionalisti del mondo intero ad intensificare la lotta per la libertà dalla dittatura finanziaria. Già nel 2011 il primo ministro ungherese,  Viktor Orbán promise di ristabilire la giustizia sui predecessori socialisti che avevano venduto il popolo della nazione alla schiavità di un debito infinito con i vincoli del FMI (IMF) e lo stato terrorista d’Israele. Queste amministrazioni precedenti erano infiltrate da israeliani nelle alte cariche, in mezzo al furore delle masse che alla fine, in reazione, hanno votato il partito  Fidesz di Orban. Secondo una relazione sui siti germanofoni  del “National Journal”, Orbán si è accinto a scalzare gli usurai dal trono. Il popolare e nazionalista primo ministro ha detto all’FMI che l’Ungheria non vuole né richiede “assistenza” ulteriore dal delegato della Federal Reserve di proprietà dei Rothschild. Gli ungheresi non saranno più costretti a pagare esosi interessi a banche centrali private e irresponsabili.

Anzi, il governo ungherese ha assunto la sovranità sulla sua moneta e adesso emana moneta senza debito e tanta quanto ne ha bisogno. I risultati sono stati nientemeno che eccezionali. L’economia nazionale, che vacillava per via di un pesante debito, ha ricuperato rapidamente e con strumenti inediti dalla Germania nazionalsocialista. Il ministro per l’Economia ungherese ha annunciato che grazie a “una politica di bilancio disciplinato” ha ripagato il 12 agosto 2013 il saldo dei 2,2 bilioni di debito all’FMI, prima della scadenza ufficiale del marzo 2014. Orbàn ha dichiarato: “L’Ungheria gode della fiducia degli investitori” che non vuol dire né l’FMI né la Fed o altri tentacoli dell’impero finanziario dei Rothschild. Piuttosto si riferiva agli investitori che producono in Ungheria per gli ungheresi, creando crescita economica vera, e non già la “crescita di carta” dei pirati plutocratici, bensì quel tipo di produzione che assume realmente le persone e ne migliora la vita. Con l’Ungheria libera dalla gabbia della servitù agli schiavisti del debito non c’è da meravigliarsi che il presidente della banca centrale ungherese gestita dal governo per il bene pubblico e non per l’arricchimento privato abbia chiesto all’FMI di chiudere i battenti da uno dei paesi più antichi d’Europa. Inoltre, il procuratore generale, ripetendo le gesta dell’Islanda, ha accusato i tre precedenti primi ministri del debito criminale in cui hanno precipitato la nazione.

L’unico passo che rimane da fare per distruggere completamente il potere dei bancksters in Ungheria, è di attuare un sistema di baratto per lo scambio con l’estero come esisteva in Germania con i nazional socialisti e come esiste oggi in Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, i cosiddetti  BRICS, una coalizione economica internazionale. E se gli USA seguissero la guida dell’Ungheria, gli americani potrebbero liberarsi dalla tirannia degli usurai e sperare in un ritorno a una pacifica prosperità.

 

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La guerra sta arrivando (War is coming)

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La propaganda straordinaria condotta contro la Russia dai governi statunitense e britannico e dai ministeri della propaganda noti come "media occidentali" ha lo scopo di portare il mondo ad una guerra che nessuno potrà vincere. I governi europei devono scuotersi dalla noncuranza, perché l'Europa sarà la prima ad essere vaporizzata a causa delle basi missilistiche statunitensi che ospita per garantire la sua "sicurezza". Come riportato da Tyler Durden di Zero Hedge, la risposta russa alla sentenza extragiudiziale di un corrotto tribunale olandese, che non aveva alcuna giurisdizione sul caso che ha arbitrato, sentenza che ordina al governo russo di pagare 50 miliardi di dollari agli azionisti della Yukos (un'entità corrotta che stava saccheggiando la Russia ed evadendo le tasse), è molto significativa.

Quando gli è stato chiesto come la Russia si comporterà riguardo la sentenza, un consigliere del presidente Putin ha risposto: "C'è una guerra che sta arrivando in Europa. Crede davvero che questa sentenza abbia importanza?". L'Occidente si è coalizzato contro la Russia perché è totalmente corrotto. La ricchezza delle elite è ottenuta non solo depredando i paesi più deboli i cui leader possono essere comprati (per istruirvi su come funziona il saccheggio leggete "Confessions of an Economic Hit Man" di John Perkins), ma anche derubando i loro stessi cittadini. Le elite americane eccellono nel saccheggio dei loro connazionali e hanno spazzato via gran parte della classe media statunitense nel nuovo 21° secolo.

Al contrario, la Russia è emersa dalla tirannia e da un governo basato sulle menzogne, mentre gli USA e il Regno Unito sono sommersi da una tirannia schermata da menzogne. Le elite occidentali vorrebbero depredare la Russia, un premio succulento, e Putin sbarra loro la strada. La soluzione è sbarazzarsi di lui, come in Ucraina si sono sbarazzati del presidente Yanukovich. Le elite predatorie e gli egemonisti neoconservatori hanno lo stesso obiettivo: fare della Russia uno stato vassallo. Questo obiettivo unisce gli imperialisti finanziari occidentali con gli imperialisti politici. Ho raccolto per i lettori la propaganda che viene usata per demonizzare Putin e la Russia. Ma perfino io sono rimasto scioccato dalle strabilianti e aggressive bugie del giornale britannico The Economist del 26 luglio.

In copertina c'è il viso di Putin in una ragnatela, e, avete indovinato, il titolo di copertina è "Una rete di bugie". Dovete leggere questa propaganda per constatare sia il livello di spazzatura della propaganda occidentale, sia l'evidente spinta verso la guerra. Non viene presentata la minima prova per supportare le accuse estreme dell'Economist e la sua richiesta che l'Occidente smetta di essere conciliante con la Russia e intraprenda le azioni più dure possibili contro Putin. Questo genere di menzogne incoscienti e di lampante propaganda non ha altro scopo che di condurre il mondo alla guerra. Le elite occidentali e i governi non sono solo totalmente corrotti, sono anche pazzi. Come ho scritto precedentemente, non aspettatevi di vivere ancora a lungo. In questo video, uno dei consiglieri di Putin e alcuni giornalisti russi parlano apertamente dei piani statunitensi per attaccare la Russia.

 

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Ucraina: già militari occidentali sul campo

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Ucraina: già militari occidentali sul campoObama ha firmato l'ordine esecutivo per l'invio di cosiddetti "consiglieri militari" in Ucraina. L'escalation prende i suoi corpi.

Mi pare che in Ucraina (e in Europa) si vada a percorrere una strada dalla quale sarà difficile fare marcia indietro. Il tutto nella mestizia dei pochi che stanno seguendo l'evolversi delle cose e nella totale indifferenza dei tanti che ritengono di non essere interessati.

Lasciando perdere i tanti, troppi, civili morti su cui nessuno ai piani alti dei media spende una parola come fossero bestiame, dall'altro lato nei paesi nordici più legati agli USA continua l'isteria antirussa.

Eppure la Russia ha presentato i tracciati radar in suo possesso e ha fatto una ricostruzione ricca di dettagli, compresa l'esatta indicazione dei satelliti statunitensi in grado di vedere la stessa scena.

Questa ricostruzione è sbagliata? Perfetto. Gli americani presentino le loro prove e facciano vedere che Mosca mente.

Niente, accusano ma non mostrano nulla.

Per contro, le milizie filorusse hanno consegnato le scatole nere alle autorità malesi. Ben strano per essere dei colpevoli. Comunque.

Non basta, Obama ha firmato l'ordine esecutivo per l'invio di cosiddetti "consiglieri militari". Il Pentagono senza perdere tempo li ha già inviati (sempre che non fossero in loco sotto mentite spoglie) e oggi i media russi hanno diffuso la notizia che tra questi consiglieri si registrano le prime due vittime a Mariupol' (porto del sud est ucraino "filorusso" sul mare di Azov).

Si riscontrano inoltre ulteriori cannoneggiamenti ucraini in territorio russo. Sembra che gli ucraini non vedano l'ora che l'Orso esca dalla tana.

Tornando all'aereo malese, è davvero mirabile la decisione dei governi australiano e olandese: manderanno personale militare a guardia dei rottami del velivolo affinché nessuno "inquini" le prove.

Peccato che ci voglia poco a capire come queste piccole pattuglie di militari saranno alla mercé di qualsiasi malintenzionato che possa compiere attentati o addirittura bombardarli con l'intento di incolpare la parte avversa. Bel capolavoro di stupidità o di criminale malafede di questi governi.

Insomma, si va verso una brutta e pericolosa strada. Molto brutta e molto pericolosa. Una conferma che sta cambiando tutto rapidamente viene dalle dichiarazioni del capo dello stato maggiore congiunto, ossia l'ufficiale di più alto rango delle forze armate USA, il generale Martin Dempsey, il quale ha spiegato che Washington proprio alla luce della crisi ucraina sta aggiornando l'intero modello di intervento delle forze armate forgiato all'epoca della Guerra Fredda. Ulteriore segnale di dove si voglia spingere il destino dell'Europa.

 

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Washington. Marcia per il Matrimonio

AVESSIMO NOI IN ITALIA UNA conferenza EPISCOPALE E VESCOVI COSì!

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zzvsccrdln“Ogni bambino ha bisogno di una madre e di un padre”: è questo uno degli slogan della Marcia per il Matrimonio che si terrà a Washington il prossimo 19 giugno. Quella del 2014 è la seconda edizione; la prima si è svolta a Washington DC il 26 marzo 2013 e ha visto la partecipazione di 10mila manifestanti. La data del 26 marzo non fu casuale: proprio quel giorno del 2013 la Suprema Corte degli Stati Uniti diede inizio alla discussione del caso Perry vs California, riguardante la Proposition 8 della Costituzione della California.

Infatti nel novembre 2008 il 52.3% degli elettori californiani approvò tale proposizione che aggiungeva alla Costituzione della California la definizione di matrimonio come unione tra un uomo e una donna. L’anno successivo una corte distrettuale della California sentenziò che tale proposizione violava il 14mo Emendamento. La questione finì all’attenzione della Corte Suprema a seguito della causa intentata nel 2009 da Kristin Perry contro lo stato della California (Governatore Schwarzenegger compreso), che le aveva negato il diritto al matrimonio omosessuale con la sua compagna. Il dibattito era infuocato perché tutto il mondo LGBT premeva, supportato da una parte del mondo politico e della società statunitense, per l’abrogazione della Proposition 8 e, di conseguenza, il riconoscimento delle unioni omosessuali. Lo stesso presidente Obama e Hillary Clinton si erano schierati apertamente a favore dei matrimoni omosessuali.

La Marcia per il Matrimonio, sia nella prima che nella seconda edizione, è stata appoggiata apertamente dalla Conferenza Episcopale del Nord America, in particolare quest’anno dall’arcivescovo di San Francisco, Salvatore J. Cordileone, e dal vescovo di Buffalo (NY), Richard J. Malone. Motore dell’iniziativa la National Organization for Marriage (NOM).  Numerosi gli sponsor della Marcia, che percorrerà la  Constitution Avenue di Washington per terminare davanti alla Corte Suprema, tra cui arcidiocesi come quella di Philadelfia, il Family Research Council, la Coalition of Afro-American Pastors, The Heritage Foundation, un importante centro di ricerca e think tank conservatore.

I vescovi cattolici che si sono schierati apertamente a favore della Marcia hanno sottolineato che essa si terrà qualche giorno prima della terza Fortnight for Freedom, un’iniziativa di preghiera, formazione e sensibilizzazione della durata di due settimane, per promuovere la libertà religiosa negli USA e nel mondo.

Ha suscitato scalpore l’intervento dello speaker della Camera, Nancy Pelosi, democratica e nominalmente cattolica, che ha invitato l’arcivescovo di San Francisco a non intervenire alla Marcia. Cordileone non solo parteciperà alla marcia, ma terrà un discorso, che si prefigura di grande rilievo come indirizzo ai cattolici e ai presuli degli Stati Uniti: l’arcivescovo di San Francisco, di chiare origini italiane, si è battuto a favore della Proposition 8 ed ha contribuito a raccogliere 1,5 milioni di dollari a sostegno della Proposition 8. Egli ebbe a dire che “l’attacco finale del male è l’attacco al matrimonio”. La Pelosi, che ha definito la marcia “veleno mascherato da virtù”, ha scritto a Cordileone che la partecipazione alla marcia sarebbe un segno di “disdegno e odio verso le persone LGBT”. Altri politici democratici, come il sindaco di San Francisco, Ed Lee, e il governatore della California Gavin Newsome hanno chiesto all’arcivescovo di desistere e di “unirsi a noi nel cercare di promuovere riconciliazione piuttosto che divisione”. Tutti e tre hanno utilizzato, nei loro appelli, la frase di papa Francesco divenuta ormai un mantra: “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?”.

La risposta di Cordileone non si è fatta attendere. In una lettera del 16 giugno il presidente della commissione per la Promozione e la Difesa del Matrimonio della Conferenza Episcopale degli USA ha affermato che l’insegnamento della Chiesa stabilisce “l’intrinseca dignità di ogni persona, indipendentemente dal suo stato e condizione di vita”, ma ha anche aggiunto che “tale principio ci impone di rispettare e proteggere ogni membro della famiglia umana, dal prezioso bimbo nel ventre materno alla fragile persona anziana vicina alla morte. Ciò prescrive a me, come vescovo, di proclamare la verità, l’intera verità, sulla persona umana e la volontà di Dio riguardo la nostra prosperità. Devo farlo in ogni occasione opportuna e non opportuna (cfr 2Tim4,2), anche quando la verità che è mio dovere difendere e insegnare è impopolare, soprattutto la verità sul matrimonio come unione coniugale di marito e moglie. Questo è ciò che faremo il 19 giugno”.

Tra gli altri oratori sono attesi Mike Huckabee, ex governatore repubblicano dell’Arkansas e pastore battista, e Rick Santorum. Quest’ultimo, ex senatore cattolico della Pennsylvania, concorse per la candidatura repubblicana alle presidenziali del 2012. Antiaborista e oppositore dei matrimoni omosessuali, quando fu senatore si fece promotore del cosiddetto Santorum Amendment che promuoveva l’insegnamento dell’Intelligent Design, una teoria che sostiene l’esistenza di un disegno intelligente alla base dell’universo.

 

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Washington dietro gli attacchi dell’Isil?

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Washington dietro gli attacchi dell’Isil?L'improvviso crollo dello Stato iracheno viene presentato dalla stampa internazionale come la conseguenza dell'attacco del gruppo terroristico Lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isil). Ma chi può credere che uno Stato potente, possa crollare in meno di una settimana davanti a un gruppo terroristico apparentemetne indipendente da qualsiasi Stato? Inoltre, chi può credere che coloro che sostengono l' Isil in Siria condannino sinceramente le sue azioni in Iraq?

Fin dal 2001, lo stato maggiore degli Stati Uniti sta cercando di fratturare il "Medio Oriente allargato" in una moltitudine di piccoli stati etnicamente omogenei. La mappa della regione rimodellata è stata pubblicata nel luglio 2006.

Essa prevede di dividere l'Iraq in tre: uno stato sunnita, uno sciita e uno curdo.

Il fallimento di Israele di fronte a Hezbollah nell'estate del 2006 , e quello della Francia e del Regno Unito di fronte alla Siria nel 2011-14, hanno dato l'impressione che il piano fosse stato abbandonato. Niente affatto: lo stato maggiore USA tenta di riprenderlo tramite questi condottieri moderni che sono i terroristi.

Gli eventi sopravvenuti in Iraq la scorsa settimana devono essere visti in questa luce. La stampa internazionale insiste sull'offensiva del Emirato Islamico dell'Iraq e del Levante (ISIL o "Daesh" in arabo), ma è solo una parte della più vasta azione in corso.

In una settimana, l'ISIL ha conquistato quel che dovrebbe diventare un Emirato sunnita, mentre i peshmerga hanno conquistato quel che dovrebbe essere lo Stato curdo indipendente.

L'esercito iracheno, formato da Washington, ha dato Ninive ai primi e Kirkuk ai secondi. La sua stessa struttura di comando ha facilitato la sua disintegrazione: poiché gli alti ufficiali dovevano riferire al gabinetto del Primo Ministro prima di schierare le proprie truppe, si trovavano a essere sia privi d'iniziativa d'insieme globale, sia piazzati come altrettanti reucci sulle loro zone operative. Pertanto, è stato facile per il Pentagono corrompere alcuni ufficiali affinché incitassero i loro soldati a disertare.

I parlamentari, convocati dal Primo Ministro Nuri al-Maliki, hanno ugualmente disertato e non hanno votato lo stato di emergenza per mancanza di quorum, lasciando il governo senza possibilità di risposta.

Senza altra scelta per salvare l'unità del suo paese, al-Maliki ha fatto appello a tutti gli alleati immaginabili. In primo luogo ha sollecitato il suo popolo in generale e la milizia sciita del suo rivale Moqtada al-Sadr in particolare (l'Esercito del Mahdi), poi le Guardie Rivoluzionarie iraniane (il generale Qassem Suleimani, comandante della Forza Gerusalemme si trova attualmente a Baghdad), e, infine, gli Stati Uniti, cui ha chiesto di ritornare e di bombardare gli attaccanti.

La stampa occidentale sottolinea, non senza ragione, che il modo di governare del Primo Ministro ha spesso urtato sia la minoranza araba sunnita sia i laici del Baath, per come è apparso favorevole soprattutto agli sciiti. Questa constatazione, tuttavia, è relativa: gli iracheni hanno riconfermato, in occasione delle elezioni parlamentari del 30 aprile, la coalizione di Nouri al-Maliki. Questa ha ottenuto un quarto dei voti, tre volte di più del movimento di Moqtada al-Sadr, essendo i voti rimanenti sparpagliati tra una miriade di partitini.

 La preparazione dell'offensiva contro l'autorità di Baghdad

 L'offensiva dell'ISIL da una parte e dei Peshmerga dall'altra è stata preparata da lungo tempo.

Il Kurdistan iracheno ha cominciato a vedere la luce sotto la protezione degli Stati Uniti e del Regno Unito, con la no-fly zone istituita tra le due invasioni occidentali (1991-2003). Dopo il rovesciamento di Saddam Hussein, ha acquisito un alto grado di autonomia ed è entrato nella zona di influenza israeliana. Da questo punto di vista, è impensabile che Tel Aviv sia stata assente dalla presa di Kirkuk. Nondimeno, l'attuale governo regionale di Erbil ha esteso la propria giurisdizione su tutta quell'area irachena prevista dallo stato maggiore statunitense per formare il Kurdistan indipendente.

L'ISIL è una milizia tribale sunnita che ha integrato i combattenti di Al-Qa'ida in Iraq, dopo la partenza di Paul Bremer III e la cessione del potere politico agli iracheni. Il 16 maggio 2010, un responsabile di Al-Qa'ida in Iraq che era stato rilasciato in circostanze ignote, Abu Bakr al-Baghdadi, è stato nominato emiro e fatto ogni sforzo in seguito per mettere l'organizzazione sotto l'autorità di Al-Qa'ida.

Nei primi mesi del 2012, dei combattenti dell'ISIL in Siria creano Jabhat al-Nosra (ossia il Fronte di sostegno al popolo del Levante), quale ramo siriano di Al-Qa'ida. Questo gruppo si sviluppa con il rilancio dell'attacco franco-britannico contro la Siria nel luglio 2012. Infine, è classificato come "organizzazione terrorista" da Washington alla fine dell'anno, malgrado le proteste del ministro francese degli Affari esteri che in loro saluta "delle persone che lavorano sul campo" (sic). [3]

I successi dei ribelli in Siria, fino alla prima metà del 2013, hanno modificato l'attrattiva dei loro gruppi. Il progetto ufficiale di Al-Qa'ida di una rivoluzione islamista globale è apparso utopistico, mentre la creazione di uno stato islamico in un dato territorio sembrava a portata di mano. Da qui l'idea di affidare loro il rimodellamento dell'Iraq che le forze armate degli Stati Uniti non erano riuscite a raggiungere.

Il rilancio con rimodulazione dell'ISIL è stato realizzato nella primavera del 2014, con la liberazione dei prigionieri occidentali che aveva in detenzione, tedeschi, inglesi, danesi, americani, francesi e italiani. Le loro prime dichiarazioni confermavano in tutti gli aspetti le informazioni dei servizi segreti siriani: l'ISIL è inquadrato da ufficiali americani, francesi e sauditi. Tuttavia, i prigionieri liberati facevano rapidamente marcia indietro e smentivano le loro osservazioni sull'identità dei loro carcerieri.

È in questo contesto che l'ISIL ha rotto con Al-Qa'ida nel maggio 2014, ponendosi come un rivale, mentre Al-Nosra rimaneva il ramo ufficiale di Al-Qa'ida in Siria. Naturalmente tutto questo è solo uno schermo poiché, in realtà, questi gruppi, fin dalla loro creazione, sono sostenuti dalla CIA contro gli interessi russi (Afghanistan, Bosnia-Erzegovina, Cecenia, Iraq, Siria).

Ridiventata a maggio un'organizzazione regionale (e non più la sezione regionale di un'organizzazione globale), l'ISIL si preparava a svolgere il ruolo che i suoi sponsor le avevano assegnato da diversi mesi.

L'organizzazione è certamente comandata sul terreno da Abu Bakr al-Baghdadi, ma è sotto l'autorità del principe Abdul Rahman al-Faisal, fratello del principe Saud al-Faisal (ministro degli esteri saudita da 39 anni) e del principe Turki al-Faisal (ex direttore dei servizi segreti e attuale ambasciatore a Washington e Londra).

A maggio, al-Faisal ha acquistato una fabbrica di armi in Ucraina. Le scorte di armi pesanti sono state trasportate verso un aeroporto militare turco, dove gli uomini del MIT (i servizi segreti turchi) le hanno instradate con treni speciali per l'ISIL. Sembra improbabile che una tale catena logistica possa essere stata messa in opera senza la NATO.

 L'offensiva dell'ISIL

 Il panico che ha colpito la popolazione irachena è all'altezza dei crimini commessi dall'ISIL in Siria: sgozzamenti in pubblico dei "musulmani rinnegati" e crocifissione dei cristiani. Secondo William Lacy Swing (ex ambasciatore USA in Sud Africa, e poi alle Nazioni Unite, e attuale direttore dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni), almeno 550.000 iracheni sarebbero fuggiti dai terroristi.

Queste cifre dimostrano l'assurdità delle stime occidentali sull'ISIL secondo le quali disporrebbe solo di 20.000 combattenti totali in Siria e in Iraq. La verità è probabilmente di 3 volte superiore, ossia dell'ordine di 60.000 combattenti; la differenza si deve al fatto che l'armata è composta esclusivamente da stranieri reclutati in tutto il mondo musulmano e spesso non arabo. Questa organizzazione è diventata il più grande esercito privato del mondo, recitando in chiave moderna il ruolo dei condottieri del Rinascimento europeo.

Dovrebbe ulteriormente svilupparsi, tenuto conto dei suoi bottini di guerra. Così, a Mosul, si è impadronito del Tesoro del distretto di Ninive, ossia 429 milioni dollari in contanti (abbastanza da poter pagare i propri combattenti per un anno intero). Inoltre, si è impadronito di molti Humvee e di due elicotteri da combattimento che ha subito integrato nel proprio dispositivo. Poiché I terroristi non hanno i mezzi per addestrare i piloti, la stampa internazionale suggerisce che si tratti di ex baathisti del presidente Saddam Hussein. Questo è altamente improbabile data la guerra che oppone i baathisti laici ai miliziani come sfondo della guerra in Siria.

 L'offensiva dei Peshmerga e dell'ISIL era attesa dai sostenitori dell'Arabia Saudita nella regione. Così, il presidente libanese Michel Suleiman (che aveva concluso un discorso in gennaio con un sonoro "Viva l'Arabia Saudita!" anziché con un "Viva il Libano!") ha tentato con tutti i mezzi di ottenere una proroga del suo mandato (che scadeva il 25 maggio) per i sei mesi successivi, in modo da essere al timone durante l'attuale crisi.

In ogni caso, le reazioni internazionali alla crisi irachena sono incoerenti: tutti gli Stati senza eccezione condannano l'ISIL in Iraq e denunciano il terrorismo, allorché alcuni di loro - gli Stati Uniti e i loro alleati - considerano allo stesso tempo l'ISIL come un alleato oggettivo contro lo Stato siriano, mentre alcuni sponsorizzano questa offensiva: gli Stati Uniti, l'Arabia Saudita, la Francia, Israele e la Turchia.

Negli Stati Uniti, il dibattito politico pubblico oppone i Repubblicani, che richiedono un rinnovato dispiegamento militare in Iraq, ai Democratici, che denunciano l'instabilità causata dall'intervento di George W. Bush contro Saddam Hussein. Questo giochino retorico consente di occultare il fatto che gli eventi attuali servono gli interessi strategici dello stato maggiore e che questo vi è direttamente implicato.

Potrebbe essere, tuttavia, che Washington abbia intrappolato Ankara. L'ISIL avrebbe tentato allo stesso tempo di prendere il controllo della tomba di Suleyman Shah, in Siria nel distretto di Raqqa. Questa tomba è di proprietà dalla Turchia, che dispone di una piccola guarnigione in loco sotto la clausola di extraterritorialità del trattato di Ankara (imposto dai colonizzatori francesi nel 1921). Ma questa azione potrebbe essere stata sponsorizzata dalla stessa Turchia che aveva ipotizzato di trovare così un pretesto per un intervento aperto in Siria [4].

Peggio ancora, in occasione della presa di Mosul, l'ISIL ha fatto prigionieri 15 diplomatici turchi e le loro famiglie, nonché 20 membri delle forze speciali turche presso il loro consolato, facendo così infuriare Ankara. L'ISIL aveva fermato anche dei camionisti che sono stati in seguito rilasciati. La Turchia, che ha assicurato la logistica dell'attacco dell'ISIL, si sente tradita senza sapere ancora se lo sia stata da Washington, Riyadh, Parigi o Tel Aviv. Questo caso ricorda l'arresto, avvenuto il 4 Luglio 2003, di 11 membri delle forze speciali turche da parte dell'esercito statunitense a Sulaimaniyah (Iraq), reso popolare dal film La Valle dei Lupi Iraq. [5]

Questo episodio aveva provocato la più importante crisi degli ultimi sessanta anni tra i due paesi.

L'ipotesi più probabile è che Ankara non prevedesse di partecipare a un'offensiva così vasta e ha scoperto in corso d'opera che Washington programmava la creazione del Kurdistan. Tuttavia, secondo la mappa pubblicata nel 2006, quest'ultimo deve comprendere una parte della Turchia, poiché gli Stati Uniti hanno previsto di sezionare non solo i loro nemici, ma financo i loro alleati. L'arresto di forze speciali e diplomatici turchi sarebbe un modo di impedire ad Ankara di sabotare l'operazione.

Quando è arrivata giovedì ad Ankara proveniente da Amman, la rappresentante speciale degli Stati Uniti nel Consiglio di Sicurezza, l'ambasciatrice Samantha Power, ha ipocritamente condannato le azioni dell'EILL. La presenza in Medio Oriente della turiferaria dell'interventismo morale di Washington suggerisce che una reazione statunitense è stata prevista nello scenario.

Da parte sua, l'Iran si è detto pronto ad aiutare a salvare il governo dello sciita al-Maliki con l'invio di armi e consiglieri militari, ma non di combattenti. L'attuale ribaltamento dello stato iracheno avvantaggia l'Arabia Saudita, grande rivale regionale dell'Iran, mentre il ministro degli Esteri, il principe Saud al-Faisal (fratello del padrone dell'ISIL ) lo ha invitato a negoziare.

 

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Scie Chimiche: misteriosa influenza sta colpendo l’Italia

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Scie Chimiche: misteriosa influenza sta colpendo l’ItaliaCome pubblicato dal quotidiano “ilMattino” e riportato dal sito web tankerenemy.com, in provincia di Belluno si stanno diffondendo focolai di una polmonite anomala, i cui sintomi sono per lo più quelli descritti dal Dottor Leonard Horowitz, il medico statunitense che ha coniato l’espressione “influenza chimica” per designare una varietà di sindromi provocate direttamente o indirettamente dalle irrorazioni.

Le chemtrails – scirve la giornalista Eleonora Scarton del IlMattino.it -  da un lato deprimono il sistema immunitario, rendendo l’organismo vulnerabile a molte patologie, dall’altro contengono o veicolano microorganismi all’origine di varie infezioni batteriche. Anche le sempre più frequenti micosi dipendono in gran parte dalla geoingegneria clandestina, poiché nei serbatoi degli aerei, dai cui carburanti provengono i filamenti, tendono a proliferare le spore fungine.

Una polmonite atipica ha colpito il Feltrino, insinuandosi nelle persone in maniera subdola. “Non tutte le polmoniti sono uguali – spiega il primario di Pneumologia dell’A.S.L. 2, Franco Maria Zambotto – quella classica è nota a tutti e si manifesta improvvisamente con tosse, malessere e febbre molto alta. Il medico, durante la visita, riesce a sentire rumori polmonari e così elabora la diagnosi che va confermata con una radiografia”.

In questi ultimi tempi, però, alla normale polmonite si è affiancata anche una forma “atipica” che quest’anno sembra avere conosciuto un picco particolare, causato dai forti sbalzi termici (sic). “In questo caso – prosegue Zambotto – le persone colpite manifestano malessere generale, dolori ossei e muscolari simili a quelli causati dall’influenza, tosse secca e non catarrosa, con febbre non sempre alta”.

Le scie chimiche distruggono la vostra funzione immunitaria

Rammentiamo che nel corso degli ultimi 10 anni, Horowitz è diventato un’autorità controversa nel sistema medico statunitense. Con una formazione universitaria di ricercatore medico, Horowitz di 48 anni, accusa che alcuni elementi del governo degli Stati Uniti che cospirano assieme alle principali aziende farmaceutiche per ridurre ampi segmenti della popolazione all’infermità.
I media riportano che i pronto soccorso degli ospedali sono oberati da pazienti che soffrono di una strana infezione delle vie respiratorie superiori che non sembra essere provocata da un virus. Stanno inoltre segnalando che si tratta di una influenza “misteriosa” e che i consueti vaccini contro l’influenza sono inefficaci.

“Questo è tutto una sciocchezza, un falso”, dice il Dott. Leonard Horowitz. “Il fatto della questione è che abbiamo visto questo tipo di epidemia per la prima volta tra la fine del 1998 e l’inizio del 1999. Le persone sono state affette, con forte tosse, da questa malattia bizzarra che non sembra seguire l’insorgenza logica virale o batterica o rappresentare un periodo di transizione.

Se fosse davvero un’infezione batterica o virale, avrebbe causato la febbre, ma non è stato così. E’ durata per settimane, se non mesi. Congestione sinusale, drenaggio del setto nasale, tosse, stanchezza, malessere generale. Le persone si sono sentite ‘spente’. Il Research Institute of Pathology delle Forze Armate ha registrato un brevetto per un micoplasma patogeno che causa questo tipo di epidemia. È possibile visualizzare il report dei brevetti nel libro: codici per l’Apocalisse biblica.
Il micoplasma non è in realtà un fungo, non è proprio un batterio e non è proprio un virus. Non ha una parete cellulare. Va in profondità nel nucleo cellulare rendendo così molto difficile elaborare una risposta immunitaria contro di lui. Si tratta di una relazione di un brevetto per un’arma biologica che spiega come provocare infezioni croniche delle vie respiratorie superiori che sono praticamente identiche a quello che si sta riscontrando in questo momento.”

“Credo che le scie chimiche siano responsabili di una intossicazione chimica pubblica, che sarebbe poi in grado di causare una soppressione immunitaria generale, a basso o alto grado, a secondo dell’esposizione. La disfunzione del sistema immunitario mette le persone nella condizione di diventare sensibili alle infezioni opportunistiche, come questa di micoplasma ed altre infezioni opportunistiche “, così dice il Dr. Horowitz.

Ho iniziato a studiare le scie chimiche, quando sono state spruzzate sopra la mia casa nell’Idaho del Nord. Ho preso alcune immagini e poi ho contattato la Environmental Protection Agency dello stato che era all’oscuro dell’operazione così come l’Air Force. Mi hanno messo in contatto con il Centers for Disease Control, reparto di Tossicologia, e dopo circa una settimana ho ricevuto una lettera da uno dei loro principali tossicologi che affermava che, in effetti, era stata rilevata una certa quantità di dibromuro di etilene nel carburante degli aerei.
Il Dibromuro di etilene è un noto agente cancerogeno chimico per gli umani che è stato rimosso dalla benzina senza piombo a causa dei suoi effetti cancerogeni. Ora improvvisamente è apparso nei residui di carburante che ad alta quota gli aerei militari emettono!”
Il Dibromuro di etilene, che è venuto fuori dai carburanti per jet, causa immunosoppressione e indebolimento del sistema immunitario delle persone. Poi ti viene un microbo, un micoplasma oppure un fungo che ti causa una malattia delle vie respiratorie superiori. Improvvisamente si sviluppa una infezione batterica secondaria. Poi vieni colpito con antibiotici e gli antibiotici causano acidità nella chimica del vostro corpo, così ora puoi riscontrare eruzioni cutanee ed altri inconvenienti, il fegato si riempie di tossine che fuoriescono attraverso la pelle tramite eruzioni cutanee e si notano reazioni bicolore associate con altri prodotti chimici. Ho colleghi nelle Bahamas, alle Bermuda, a Toronto, nel British Columbia che segnalano tutti la stessa ‘semina’ bizzarra dell’atmosfera. Ciò che sta accadendo è solo spregevole.
Tutto ad un tratto gli esseri umani sono completamente fuori equilibrio e vengono infettati da due, tre o quattro microbi e co-fattori ed inoltre intossicati da una varietà di diverse sostanze chimiche … e qualcuno sta per essere considerato come malato cronico.

 

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Caos e terrore in Brasile: 170mila sfollati causa Mondiale

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caos brasile22 Jun. 07 11.06Forse il motto “One Universe, One People” (Un Universo, un Popolo) non sarebbe proprio adatto, rispetto a ciò che di vergognoso sta succedendo in Brasile. 170 mila persone, intere famiglie, sono state sfollate dal perimetro in cui ci sono i cantieri della Coppa del Mondo, che invce di portare equilibri, pace e fratellanza tra i popoli, ( si perchè lo sport dovrebbe essere l’esempio di UNIONE) ecco invece che lo Sport, soprattutto in questa circostanza il Calcio, sia diventato un deterrente mafioso degli Illuminati, una macchina da soldi e di violenza, dove trovano posto solo i politici corrotti e mafiosi, dove trovano posto solo quei personaggi dell’Elite della CABAL che terrorizzano per poi controllare. Questa gentaglia rappresenta lo Stato Nazi-Fascista degli Illuminati, del Potere dei pochi. Sono solo loro a voler tutto questo. Vediamo scene non da film dell’orror, forse anche peggio… Mamme con bambini sfrattati dalle proprie case, malmenati e violentati…

la maggior parte nelle loro baracche, si perchè sono solo povera gente che ha bisogno di tutto, di supporto, di amore, di comprensione. Queste sono le conseguenze piu’ drammatiche che accompagnano i preparativi per i Mondiali di calcio di Brasile 2014, una vergogna per il sistema di potere nei vertici brasialiani, dove vi è solo la rimozione forzata di migliaia di residenti in comunita’ povere situate in prossimita’ dei cantieri della Coppa. Una rete di attivisti impegnata nelle 12 citta’ sede di partite, dove alla fine,  si è calcolato che 170mila persone saranno sfollate dalle loro case per consentire l’accelerazione dei lavori per il Mondiale 2014 oramai alle porte, ma anche per le Olimpiadi di Rio 2016.

 

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Perché la Russia non interviene militarmente in Ucraina

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Un articolo che "si deve leggere", tratto da worldcrisis.ru, che spiega perché la Russia non interviene in Ucraina. È con immenso piacere che ringrazio "BM" che ha tradotto in inglese l'articolo originale russo che permette di spiegare i motivi della apparente "passività" della Russia in Ucraina. Raccomando di far circolare questa traduzione, perché è la miglior spiegazione della politica e degli interessi del Cremlino. - The Saker

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Il livello delle discussioni analitiche su Internet in Russia è descritto molto bene dal politologo Simon Uralov: "Se vogliamo credere che la crisi ucraina sia cominciata solo per una follia dei colleghi di Kiev e che questo li abbia fatti arrivare a crisi isteriche e alla sete di sangue, questa è una considerazione fondamentalmente sbagliata. Questa stessa idea passa per la mente anche ad un numero incredibile di colleghi di Mosca".
Lo scopo di questo articolo è fare un passo indietro, prima della crisi isterica, e fare una fredda analisi sul perché in Ucraina si è arrivati a questa situazione.

Comincerò con i primi chiarimenti su diversi argomenti che hanno una grande importanza emotiva:

Perché non c'è nessun intervento militare russo ?

Se questo testo fosse stato scritto qualche giorno prima, buona parte del suo contenuto sarebbe servito a spiegare perché inviare delle truppe in Ucraina sarebbe stato inadeguato e semplicemente stupido, anche dopo il referendum. Fortunatamente, il capo della resistenza in Slaviansk, Igor Strelkov, lo ha fatto molto meglio di me nel suo messaggio video, nel quale ha descritto molto chiaramente l'inerzia della popolazione locale di Lugansk e di Donetsk, in termini di azioni concrete prese per proteggere i loro interessi contro la giunta. Anticipando quel che dirò in seguito sul referendum, dico brevemente che mettere una croce sulla scheda elettorale, benché sia un atto importante, non ha un valore molto superiore a quello di un "mi piace" messo su Facebook. Perché un "mi piace" scritto su una scheda elettorale non cambia nulla. Il referendum è stato un atto necessario ma non sufficiente.

Il Cremlino era preparato ad affrontare gli eventi in Ucraina ?  e adesso sta improvvisando ?

Vi consiglio di leggere Wikileaks :wikileaks, dove c'è la prova che il Cremlino aveva già spiegato chiaramente agli americani, nel 2008, gli scenari che vediamo oggi:
"Gli esperti dicono che la Russia è fortemente preoccupata per le forti divisioni che esistono in Ucraina sulla decisione di aderire alla Nato, a causa della forte componente etnica russa che è contraria all'adesione e che potrebbe portare a forti opposizioni, violenze o nel peggiore dei casi, alla guerra civile. In questo caso la Russia dovrebbe decidere se intervenire, e questa è una decisione che la Russia non vuole dover prendere".
Pertanto è logico supporre che l'evoluzione degli eventi per il Cremlino non ha costituito nessuna sorpresa e che questa possibilità, anche se sgradevole, era già stata contemplata in uno scomodo "piano E".
Per capire quello che farà prossimamente il Cremlino partiamo dal definire quali sono i suoi obiettivi:

Non permettere l'ingresso dell'Ucraina nella NATO.
Non permettere l'istituzione e la stabilizzazione in Ucraina di un regime russofobo, filonazista (per evitare di doverlo poi denazificare).
Non consentire il genocidio della popolazione russa del Sud - Est.
La cosa ideale per la Russia sarebbe realizzare tutti e tre gli obiettivi contemporaneamente, evitando di bloccare l'economia russa durante il suo riorientamento verso l’Asia e, allo stesso tempo, evitando che gli americani risolvano i loro problemi economici a spese della UE .

Come si possono realizzare questi obiettivi ?

Prendiamo in esame lo scenario più semplice e vediamo quali sono i punti vulnerabili e le conseguenze negative: L'esercito russo entra in Ucraina e in pochi giorni dopo arriva a Kiev, poi sottomette tutta l'Ucraina. "I patrioti" giubilano ci sono le sfilate sulla Chreščatyk (strada principale di Kiev) ecc.

Sembra che tutti e tre gli obiettivi siano stati raggiunti, ma sorgono dei problemi:

 1.    Nell'Unione Europea dove da molto tempo la elite imprenditoriale ha pestato i piedi ai politici ed ha spinto il freno sulle sanzioni, il "partito della guerra" (alias il " Partito degli Stati Uniti " o meglio il "Partito della Pax Americana") sta evidentemente trionfando. Viene applicato contro la Federazione russa il massimo di sanzioni reali, con un effetto terrificante sull'economia europea, che immediatamente cade in recessione. Non c'è niente da stare allegri.

In questo contesto gli americani hanno gioco facile per spingere alla firma della loro versione del trattato per una partnership sugli investimenti e sul commercio transatlantico (Transatlantic Trade and Investment Partnership, TTIP, nota CdC), un patto commerciale che trasformerebbe la UE in un'appendice dell'economia USA. I negoziati su questo trattato sono ancora in corso e, per gli americani, l'entrata di truppe russe in Ucraina cadrebbe proprio a fagiolo. Le sanzioni (potenziate rispetto ad oggi, nota CdC) contro la Russia distruggerebbero gli affari europei e l'accordo commerciale con gli USA li finirebbe.

Alla fine siamo arrivati a: una Unione Europea che sembra uscire dalla guerra - con gli Stati Uniti, vestiti a festa, che potrebbero papparsi con gioia tutti i mercati europei, dove non avrebbero più concorrenza - con la Federazione russa non in perfetta forma. Non vi pare che in questa situazione qualcuno si fa fregare? E quel qualcuno non sono proprio  gli USA ?
Tra l'altro non bisogna neanche prendere in considerazione il fatto che i politici europei si dovrebbero rifiutare di vedere il suicidio della loro economia. Gli euro-burocrati sono capaci anche di fare peggio, come dimostra la pratica.

2.    Con un intervento in Ucraina, oltre al fatto che il Cremlino farebbe un favore a Washington, si sarebbe anche dovuto pensare agli effetti nella stessa Russia.

Se le sanzioni contro la Russia fossero state imposte prima della firma del mega-contratto trentennale del gas con la Cina, la Cina sarebbe stata in condizione di spuntare un prezzo migliore in una posizione di forza. Infatti, avrebbe potuto negoziare con un ricatto nell'aria (questo si può, comunque, vedere dal comportamento della Cina, anche se non chiaramente).
Se le sanzioni contro la Russia fossero state imposte prima della sigla del mega-contratto petrolifero con l'Iran, con cui la Rosneft potrà controllare altri 500.000 barili di petrolio al giorno, anche l'Iran sarebbe stato in grado di negoziare un prezzo migliore da una posizione di forza.
D'ora in poi tutti i tentativi (degli USA) di mettere in piedi qualcosa che possa ostacolare la consegna delle importazioni di cui abbiamo bisogno, saranno molto, molto costosi.
Se le sanzioni fossero state messe prima della firma dell'accordo sulla costituzione della Comunità Economica Eurasiatica, immaginate se Lukashenko e Nazarbaiev non avrebbero provato a tirare il collo a Putin durante i negoziati. C' è mancato veramente poco che Mosca, per creare l'EurAsEC, dovesse anche pagare per vendere il suo petrolio.

3.    La Federazione russa avrebbe dovuto assumersi la responsabilità di risanare l'economia ucraina e di doverla denazificare: dove avrebbe trovato gli uomini necessari da impiegare come " denazificatori", come "caschi polverosi" (se qualcuno avesse dimenticato, secondo Okudzhava, furono i commissari con i caschi polverosi che piegarono gli eroi morti nella guerra civile) per combattere gruppi compatti di ucraini-nazisti, e contro l’appoggio inviato dall'estero. Nel complesso, è chiaro che questo tipo di scenario sarebbe a tutto vantaggio deli Stati Uniti e della Cina. Alla Russia resterebbe solo il profondo senso di soddisfazione morale, e tutte le questioni economiche da risolvere, insieme alle future maledizioni dei " generosi" (щирых ) ucraini, infelici per dover vivere in un regime di "occupazione".

Che tempistica seguono i punti più sensibili dell’economia russa?

Contratto del gas con la Cina - maggio-giugno (firmato il 21 maggio)
Contratto petrolifero con l'Iran prossima estate (Ecco perché gli Stati Uniti hanno revocato l'embargo, per la maggior vicinanza della Rosneft alla BP e meno alla Exxon Mobil . Dove andrà il petrolio ? Verso la Cina).
Importante! Le elezioni per il Parlamento europeo, che hanno portato un sacco di voti euroscettici, alleati della Russia . Dopo le elezioni del 25 Maggio, cambierà la composizione della la Commissione Europea – e sarà molto più facile lavorare con i nuovi arrivati. Ancora più importante ! Il contratto del gas siglato con la Cina , i deputati neo-eletti saranno più disponibili per il South Stream.
Entro maggio raccolta dei documenti / permessi / etc , per la costruzione del South Stream -
Questo è solo quello che è visibile ad occhio nudo, ma ci sono altri aspetti, molto importanti, che non hanno ancora una scadenza definita sul calendario :

1 . Transizione verso i pagamenti per l'energia in rubli. Petrolio e gas non sono patate: per averli si stipulano contratti a lungo termine che non si possono modificare unilateralmente e che richiedono un lungo lavoro di ricerca nel caso si voglia sostituirli con altri tipi di carburanti o si vogliano cambiare le modalità e i paesi di approviggionamento.

2. Transizione alla quotazione dei prezzi dell’energia in rubli (per il commercio in rubli) sui mercati russi. È un lavoro assolutamente infernale, però, se non altro, nessuno mai ha fatto niente di simile.

3 . Creare un proprio sistema di pagamento.

4 . Preparazione di un sistema di importazioni sostitutivo definitivo e migliorativo con i fornitori asiatici (non come emergenza temporanea).
La lista può e deve continuare, questo è quello che vedo, il Cremlino ha orizzonti molto larghi.

Ora mettiamoci pure le interessanti iniziative del Ministero degli Esteri russo, che non sta certo fermo a guardarsi i pollici. Ad esempio il Vice Ministro Karasin lo scorso 6 maggio era a Doha, dove ha incontrato tutta l'elite del Qatar. I risultati, a mio parere, sono stati scioccanti. 

Secondo il Ministro degli Esteri, l'emiro del Qatar ha detto di apprezzare la "politica regionale convincente e coerente della federazione russa", affermazione molto inaspettata da un paese che non solo è alleato degli Usa e ramo politico della Exxon mobile in Medio Oriente ma è anche avversario assoluto della Russia in Siria.

Questo fa capire che c'è anche dell'altro nel cofanetto: il fatto è che i sogni americani di riempire il mondo con gas a basso prezzo, sarebbero una condanna a morte per il Qatar e la sua elite, senza prezzi del gas molto alti, il Qatar non solo perde ogni speranza di grandezza regionale, ma diventa un cadavere.
Doha si sta concentrando rapidamente per offrire qualcosa di interessante: "allo stesso tempo, è stata messa enfasi nell'accelerazione del coordinamento del Forum dei Paesi Esportatori di Gas (GECF)" , il prossimo vertice (Che coincidenza!) si terrà in Qatar. Il Forum dei Paesi Esportatori di Gas è un'organizzazione che comprende paesi come la Russia, Iran, Qatar, Venezuela, Bolivia e altri esportatori che il Cremlino, per lungo tempo, ma senza successo, ha cercato di trasformare in qualcosa di analogo all’OPEC, per il gas.

E' possibile che sia giunta l'ora per un potenziale cartello del gas. In primo luogo, i tre maggiori esportatori di gas : Russia, Qatar e Iran hanno interessi molto simili e dovrebbero essere in grado di lavorare con gli stessi obiettivi per condividere e "prendere in consegna le chiavi" del mercato del Gas Naturale (LNG) e delle pipeline del gas. 

Questo cartello del gas, anche se in formato ridotto (solo Russia, Qatar e Iran) controllerà almeno il 55 % delle riserve mondiali di gas e avrà notevoli opportunità di influenzare fortemente i mercati energetici della UE e dell'Asia. Naturalmente, un simile progetto comporterebbe un sacco di problemi e incontrerà tante opposizioni, nessuno può garantire che funzionerà , ma è importante vedere Mosca che sta cercando attivamente qualsiasi opportunità per prendere dei vantaggi strategici nella sua lotta contro gli Stati Uniti.

Speriamo che adesso sia chiaro di che cosa si sta occupando il Cremlino, che cosa sta cercando di guadagnare dalla situazione ucraina e perché questo sia tanto importante.

Torniamo ai problemi direttamente connessi all'Ucraina e vediamo che anche l'attuazione di tutti i più importanti progetti di politica estera non aiuterebbe a contribuire alla denazificazione di Kiev e non basterebbe a far acclamare le truppe russe o l'esercito ribelle della Novorossia, almeno nelle regioni centrali.

Se l' esercito della Novorussia ha problemi con le mobilitazioni di Lugansk e Donetsk, poi sarà molto, molto difficile lavorare dall'interno delle regioni zombificate. Tuttavia, sembra che presto, accanto alla Federazione russa, si schiereranno sul campo di battaglia il colonnello Fame e le Forze Speciali del Giperok ( l’"iperinflazione"), che cambieranno radicalmente gli equilibri di potere.

L'economia ucraina è finita. Le semine primaverili sono state disastrose, le coltivazioni di ortaggi distrutte (dalle gelate), nessuno fa più credito, ci sono problemi con il gas, il prezzo del carburante si è impennato, possiamo tranquillamente dire che l'economia sarà travolta da una bestia del nord, forte e soffice. 

Nessuno darà un soldo alla giunta, nemmeno il FMI, che ha promesso qualcosa intorno a 17 miliardi di dollari (solo la metà di quanto servirebbe all’Ucraina per quest'anno), ma con una "clausola di salvaguardia" nel contratto: se Kiev non controllerà tutte le regioni, non solo Kiev, non arriverà nemmeno un centesimo. Fame, freddo e iperinflazione (causata dal crollo della grivna) lavoreranno attivamente per indebolire la giunta e per far ragionare le menti dei " generosi" ( shchirykh ) ucraini : certo non arriveranno ad amare la Russia, ma questo è un dettaglio, basterà che comincino a ricordare il periodo Yanukovich, come dolce sogno irraggiungibile.

Il caos inevitabile e il collasso totale delle strutture sociali, insieme a una guerra civile strisciante garantiranno che la NATO continuerà a  non accettare l'Ucraina, fino a quando non sarà sullo stesso "binario dell’Europa", e anche i politici USA, più o meno moderati, non faranno nessuna mossa, perché ovviamente non sarebbe utile a far vincere gli Stati Uniti, anzi potrebbe solo trascinare il paese in una guerra nucleare.

Inoltre, nel contesto di un collasso economico totale per i minatori, i metalmeccanici e tutti gli altri lavoratori ucraini ora saldamente attaccati al loro lavoro - con la paura di perdere lavoro e speranza di "mandare avanti in qualche modo la baracca" - sarà tutta un'altra musica e dovranno partecipare in un modo o nell'altro a risolvere i problemi politici e economici della nuova Russia. E forse dovranno partecipare anche con le armi.

Allo stesso tempo, la Giunta– che si chiama Poroshenko – quella imposta (al paese) dall'Unione Europea, avrà un forte incentivo a negoziare con Mosca e a fare concessioni accettando dei compromessi. E poi i sarà la nuova Commissione Europea - che ha bisogno di pace e stabilità per far passare dall'Ucraina il gas che viene dall’est - che spingerà Poroshenko in questa direzione, che poi sarà  la stessa direzione verso cui spingeranno gli sconvolgimenti sociali causati dal colonnello fame e dall’iperinflazione, sabotandolo.

Tutti questi fattori, insomma, aprono grandi opportunità a un Cremlino che vuole riformattare l'ex Ucraina in qualcosa di appropriato per gli interessi della Federazione russa. E' proprio questo lo scenario che gli Stati Uniti stanno cercando di evitare ed è per questo che gli USA hanno seri motivi per accelerare la trasformazione del conflitto in una fase calda con l'impiego di truppe e un massiccio spargimento di sangue.

Se poi calcoliamo quanto tempo ci vorrà per far arrivare il paese alla "fame",  quello che ci vorrà per risolvere i problemi di politica estera alla Russia e quello per creare un sistema di collaborazione lavorativa con la Cina e l'Iran, indipendente dal dollaro e dal riposizionamento delle importazioni ecc..., approssimativamente si arriva alla conclusione che serviranno ancora da cinque a nove mesi (cioè si arriverebbe a quel mese di dicembre, che Yanukovich aveva tentato di negoziare) per uscire dal periodo di stallo per gli ucraini e per sbloccare le altre questioni che daranno il massimo vantaggio alla Russia.

Durante questo periodo, sarà necessario fare in modo che l’Ucraina mantenga uno stato di guerra civile (cioè appoggio a DNR  e LNR, e per la Russia non sarà necessario occupare Kiev troppo velocemente, per non crearsi altri inutili complicazioni ) e idealmente, in combinazione con la guerra civile, servirà avviare dei lunghi e faticosi negoziati all'interno dell'Ucraina, coinvolgendo gli osservatori internazionali, con un formato tipo 2 + 4, cioè, Poroshenko + Tsarev + Russia, UE, OSCE, USA ecc…

Il tocco finale. Negli ultimi mesi gli Stati Uniti hanno rallentato il lavoro della zecca riducendo il loro  "pump-priming" da 85 a 55 miliardi di dollari al mese. Molto molti si aspettano ( ad es. reuters), che la macchina smettesse di stampare per la fine di questo anno.  Un'altra volta, come gli anni passati.

Questo perché, anche se il dollaro è la valuta internazionale, gli USA non possono continuare a stampare cartamoneta all'infinito - è impossibile. Secondo varie fonti, gli Stati Uniti hanno quasi totalmente utilizzato la "forza della risorsa-dollaro” , con cui hanno fatto il bello e il cattivo tempo con la macchina della finanza. Inoltre, il corollario e l'effetto inevitabile di questi trucchetti sta riducendo i tassi sulle obbligazioni USA e questo, da un lato, aiuta Washington, che paga meno interessi per i suoi debiti, ma, d'altro, sta veramente soffocando l'intero sistema pensionistico e assicurativo statunitense che si basa sulla previsione di rendimenti molto diversi da quelli che attualmente hanno i titoli dei loro portafogli.

In parole povere, entro la fine dell'anno, gli Stati Uniti dovranno scegliere se far saltare in aria il loro sistema sociale per continuare a stampare soldi, o se ridurre notevolmente il loro appetito per dare una possibilità alla casa di non crollare. A giudicare dalla riduzione della quantità di dollari che sta buttando nel sistema, sembra che Washington abbia deciso che prevenire una esplosione interna sia più importante delle sue ambizioni di politica estera.

Ora per completare il puzzle , facciamo le nostre previsioni:
L'America cercherà con tutti i mezzi di far aggravare la crisi in Ucraina per indebolire la Russia e sottomettere l'intero mercato europeo, prima di dover fermare le sue macchine stampa-dollari.

Il Cremlino cercherà di trasformare la crisi in Ucraina da una fase acuta in una fase di guerra-civile-cronica, rallentando i negoziati nel mezzo del collasso economico del paese. Allo stesso tempo, il Cremlino cercherà di utilizzare il tempo per creare le condizioni più favorevoli per il passaggio da un confronto duro con gli Stati Uniti ad un lavoro di sganciamento dal dollaro nei suoi rapporti con Cina, Iran, Qatar e creare un nuovo rapporto con la UE ecc.
Far terminare completamente la crisi a dicembre 2014, forse anche prima se gli USA dovessero desistere dal tentativo di esacerbare le ostilità.

E se gli USA non desisteranno ? - Allora ... una grande guerra ... una guerra per le risorse, perché il  “boom dello shale” è solo una qualsiasi bolla, come dice William Engdahl in Washington's Shale Boom Going Bust.

 

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Bilderberg 2014:Le immagini mai viste e le prove del golpe dei banchieri

 

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Nei televisori di ultima generazione inserita tecnologia USA per manipolare il cervello

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Nei televisori di ultima generazione inserita tecnologia USA per manipolare il cervelloDi mezzo ci sono le ESSE ESSE, ma i nazisti questa volta non c’entrano, bensì criminali più pericolosi e subdoli che già quasi controllano economicamente il globo.

Il tema è un altro tabù, strettamente interconnesso all’aerosolterapia bellica realizzata in gran parte del mondo dal governo degli Stati Uniti d’America, a base di scie chimiche imbottite di sostanze tossiche, come ad esempio il bario che rende l’aria più elettroconduttiva.

 

Si chiama in gergo tecnico “Sistema di Gamma Acustica Silenziosa (SSSS)”. Così magari non dice niente ai più.

Ma se aggiungiamo l’espressione trasmissione tv digitale, qualcuno ricorderà la fretta per espanderla. Chi non rammenta la premura che hanno avuto anche in Italia, nel far sì che in un arco di tempo breve il segnale digitale raggiungesse ogni regione dello Stivale?

Per il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America è il “Sistema di gamma acustica silenziosa, chiamato Squad (squadra, sezione). Nel settore privato questa tecnologia è denominata sistema silenzioso di presentazione subliminale (Silent Subliminal Presentation System).

 In materia vengono usati nomi ingannevoli come parlare… cervello… subliminale… silenziosa (Speak Brain Silent Subliminals) per i prodotti basati su SSSS. In qualsiasi modo chiamiate questa tecnologia, SSSS usa un programma subliminale che emette delle onde a frequenze molto alte e potenti (Ultra High Frequency) UHF, inserendo dei messaggi direttamente nel subconscio umano.

È stato perfezionato due decenni fa dal Dipartimento della Difesa U.S.A. ed è stato testato sui soldati dell’esercito di Saddam Hussein durante la guerra del golfo del 1991. E in seguito anche in Somalia. SSSS è un’arma proibita a livello internazionale, sviluppata per una missione particolare: il graduale e totale controllo della popolazione occidentale, ed infine mondiale.

La tecnologia bellica SSSS dello zio Sam è collegata al nuovo sistema digitale tv. Vale a dire: può entrare nella mente della popolazione inconsapevole. Può essere amplificata con tanti dispositivi inclusi H.A.A.R.P. e le torri di GWEN (Ground Wave Emergency). Tradotto: significa centrare l’intera popolazione del pianeta Terra.

Il raggio di questa tecnologia attraverso i riscaldatori ionosferici (stazioni fisse e mobili) che sparano onde Elf nella ionosfera, poi rifratte sulla Terra, investono tutte le popolazioni senza distinzioni di confini statali. Il fenomeno sta accadendo sotto i nostri occhi distratti e penetrando nelle nostre menti, tranne che in quelle dei negazionisti, appunto dementi irreversibili.

Ma l’aspetto più pericoloso di SSSS è di non essere identificabile da chi è preso come bersaglio, perché esso trasmette il suo programma direttamente nel cervello umano tramite il senso dell’udito, delle frequenze non percepibili come suono. Ognuno di noi sul pianeta è sensibile al controllo della mente da SSSS. Le onde UHF possono essere trasmesse su lunghe distanze da fonti lontane e possono attraversare muri e oggetti come se non ci fossero, Le frequenze usate per la trasmissione TV si dividono in due gamme: VHF (Very High Frequency: frequenze molto alte) e UHF (Ultra High Frequency: frequenze ultra alte). SSSS è stato progettato per usare le UHF come onde portanti.

Comunque la cosa più insidiosa è il fatto che collegando degli schemi di un elettroencefalogramma (EEGs) di un individuo a dei super computers, questi possono essere digitalmente alterati ed archiviati per essere ritrasmessi via digitale UHF. Questo super computer può identificare ed isolare dal cervello gruppi di emozioni a bassa ampiezza, sintetizzarli ed archiviarli su un altro computer. In altri termini, studiando le caratteristiche delle onde cerebrali che si verificano quando un soggetto sperimenta un’emozione particolare, gli scienziati hanno identificato il modello di onda (frequenza) concomitante del cervello. Così possono adesso duplicarlo. Questi gruppi di emozioni firmati e modificati possono essere trasmessi da frequenze portanti come le UHF direttamente al cervello. Dove questi vettori silenziosi possono innescare la stessa emozione in un altro essere umano. In altre parole se il gruppo di emozioni trasmette un sentimento di disperazione, questo sarà direttamente alimentato nel cervello (cavia) tramite onde radio invisibili.

Il meccanismo che altera la mente si basa su una tecnologia portante subliminale: Spread Spectrum silenzioso suono (SSSS). È stata sviluppata da Oliver Lowery di Norcross, Georgia, ed è descritta nel brevetto US # 5.159.703, “Silent Subliminal Presentation System”, datata 27 ottobre 1992.

Nell’abstract del brevetto è scritto:

«Un sistema di comunicazione silenzioso in vettori non-fonetiche, nell’intervallo molto basso o molto alta frequenza audio o nell’adiacente spettro di frequenza ultrasonica sono in ampiezza o frequenza modulate con l’intelligenza desiderata e propagate acusticamente o vibrazionalmente, per incentivo in cervello, tipicamente attraverso l’uso di altoparlanti, cuffie, o trasduttori piezoelettrici. Le portanti modulate possono essere trasmessi direttamente e in tempo reale o possono essere comodamente registrati e conservati su supporti meccanici, magnetici o ottici per la trasmissione differita o ripetuta a chi ascolta».

Ecco cosa si legge su Revolution (anno 2012) di Dieter Broers, ricercatore in neurologia:

«Uno dei nostri risultati più sorprendenti è stato che le onde cerebrali dei soggetti partecipanti al test possono essere modificate attraverso l’esposizione del cervello alle onde elettromagnetiche. Abbiamo poi scoperto che potremmo anche controllare le onde cerebrali dei soggetti con l’uso di questi campi, per esempio elevando una frequenza cerebrale da 10 Hz a 12 Hz, utilizzando un campo elettromagnetico esogeno di 12 Hz. I campi di forza specifici e i livelli di intensità dei campi di forza inducono delle percezioni che altrimenti possono essere indotte dalla somministrazione di sostanze psicoattive. Un normale campo geomagnetico ci permette di mantenere un normale stato di coscienza vigile, compreso il nostro senso del tempo, mentre un campo geomagnetico gravemente anormale, o l’assenza di un campo magnetico terrestre, provoca degli stati mentali anormali e uno squilibrio del nostro senso del tempo. In altre parole, l’effetto dei disturbi geomagnetici è molto simile a quello dell’assunzione di droghe allucinogene».

Un’altra affermazione disarmante è stata fatta nello studio ON THE POSSIBILITY OF DIRECTLY ACCESSING EVERY HUMAN BRAIN BY ELECTROMAGNETIC INDUCTION OF FUNDAMENTAL ALGORITHMS (anno 1995). L’autore che si riferisce all’atmosfera di Gaia, è lo scienziato M.A. Persinger della Laurentian University:

«Negli ultimi vent’anni (Persinger, Ludwig, & Ossenkopp, 1973) è emerso un potenziale che era improbabile in passato ma che è ora marginalmente attuabile. Questo potenziale è la capacità tecnica di influenzare direttamente la maggior parte dei circa sei miliardi di cervelli della specie umana senza la mediazione delle modalità sensoriali classiche, mediante la generazione di informazione neurale all’interno di un mezzo fisico entro il quale sono immersi tutti i membri della specie».

Gli stimoli subliminali, (“sotto la soglia”), contrariamente a stimoli sovraliminali o “sopra la soglia”, sono tutti gli stimoli sensoriali al di sotto della soglia assoluta della percezione cosciente di un individuo. Nel 2007, come parte della “Ipnosi, innesco subconsciente e branding” 1.400 delegati sono stati esposti al film Picnic con 30 inserti subliminali in un periodo di 90 secondi. Quando fu loro chiesto di scegliere uno dei due marchi di fantasia, Delta e Theta, l’81 per cento di essi scelse il brand suggerito dai tagli subliminali, Delta. Gli stimoli visivi possono essere velocemente flashati prima che un individuo sia in grado di elaborarli, o flashati e poi mascherati, interrompendo così il processo. Gli stimoli uditivi possono essere riprodotti al di sotto del volume udibile, analogamente mascherati da altri stimoli o registrati al contrario in un processo chiamato backmasking.

Jeff Rense in “Educate Yourself” del 22 Dicembre 2008 offre una panoramica di una tecnologia psicotronica segreta del Pentagono conosciuta come Silent Sound Spread Spectrum pienamente operativa dal primi anni ’90:

«Gli effetti fisici, emotivi e psicologici di questa tecnologia furono così gravi che 75.000 e poi altri 125.000 (o più) membri delle truppe irachene uscirono dai loro bunker nel mezzo del deserto, sventolando bandiere bianche e cadendo in ginocchio davanti alle truppe statunitensi, baciando letteralmente gli stivali o le mani ai loro persecutori. Perché avrebbero mai dovuto farlo se questi veterani della guerra in Iran avevano promesso la “madre di tutte le battaglie”? Il 23 Marzo 1991 fu data una breve notizia sotto forma di servizio per un bollettino della ITV News Bureau Ltd, dal titolo La Guerra Psicologica High-Tech arriva in Medio Oriente “Operazione Desert Storm” in Iraq, in cui si scriveva che “un programma incredibile e altamente classificato di psy-ops che utilizza tecniche di ‘Silent Sound’ è stato implementato con successo”.

“Subliminalmente, una potente tecnologia era al lavoro. Un sofisticato sistema elettronico ideato per ‘parlare’ direttamente alla mente dell’ascoltatore, per alterare e trascinare le sue onde cerebrali, per manipolare i suoi modelli elettroencefafalografici (EEG) e quindi impiantare artificialmente stati emotivi negativi – sentimenti di intensa paura, ansia, disperazione e senso di impotenza sono stati creati nelle truppe irachene. Esso impianta tali emozioni nelle loro menti».

Mai sentito parlare delle di Torri GWEN? “Sound of Silence” è una parola in codice militare e di intelligence che definisce alcune armi psicotroniche di controllo mentale di massa, ampiamente utilizzata dal “moderno” esercito degli Stati Uniti. Questa arma segreta che altera la mente è basata su una cosa che si chiama tecnologia subliminale a vettore o Silent Sound Spread Spectrum (SSSS). Essa è descritta nel brevetto statunitense n. 5.159.703 – “Silent Subliminal Presentation System” per uso commerciale nel 1992. L’abstract del brevetto recita:

«Un sistema di comunicazione silenziosa in cui i vettori non acustici, nella gamma di frequenze molto basse (ELF) o ad altissima frequenza audio (VHF)… si propagano acusticamente o per via vibrazionale, per induzione nel cervello, in genere attraverso l’uso di altoparlanti, cuffie, o trasduttori piezoelettrici».

Questo dispositivo, il “Sound of Silence”, consente l’impianto ingiustificato di pensieri specifici ed emozioni in ignari esseri umani. In breve, ha la capacità reale di trasformare gli esseri umani in semplici marionette nelle mani di alcuni “controllori”, o burattinai.

I televisori di Stati Uniti e Canada sono diventati digitali al 100 per cento (obbligatori dal febbraio 2009 ma ormai siamo costretti al loro utilizzo anche in Europa), implementando il loro uso dei segnali delle frequenze Sound of Silence (al fine di collegare con successo le torri GWEN), che permetteranno il controllo illimitato, completo e massiccio della mente e della coscienza dei popoli. Esistono solide prove che alcuni elitisti progettano di estendere definitivamente la capacità di questa tecnologia H.A.A.R.P. fino a comprendere tutte le persone in ogni continente.

Secondo l’US Air Force (anno 1982), le onde ELF hanno un numero di potenziali usi militari, tra cui:

«il controllo della folla, il controllo della sicurezza delle installazioni militari, e delle tecniche anti-uomo nella guerra tattica – e la produzione di una distorsione percettiva o disorientamento da lieve a grave».

Le prime ricerche in effetti di stimolazione visiva e uditiva subliminali sono esemplificate da US Pat. No. 3.060.795 di Corrigan, et al. 3.278.676 e di Becker. US Pat. No. 4.395.600 di Lundy e Tyler è rappresentativo di successivi sviluppi nelle tecniche di messaggi subliminali di oggi.

 

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SCIE CHIMICHE: ora è ufficiale!

Gli USA hanno confermato l'utilizzo di sostanze chimiche per irrorare i cieli

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SCIE CHIMICHE: ora è ufficiale!Uno dei tempi più discussi degli ultimi anni forse ha la sua risposta, anzi, probabilmente l'ha già avuta, ancora nel 2011 quando il consigliere scientifico di Obama ha confermato l'utilizzo di sostanze chimiche come il sale di Bario, l'ossido di alluminio, il Torio, il Quarzo, il Potassio e il Magnesio per l'irrorazione dei cieli a favore della geoingegneria e la manipolazione del clima. Cosa che lascia sconcertati anche perchè gli scienziati fanno passare questa irrorazione come semplici scie di condensa, ma perchè queste possano avvenire ci sono delle condizioni ben definite, condizioni che non coincidono con le scie che spesso vediamo nei nostri cieli. 
Se la cosa fosse vera e ulteriormente confermata, non potremmo stare certo tranquilli dato che l'aria, oltre ad essere già inquinata per conto suo, lo diventerebbe ulteriormente e non solo, anche le colture presenti sul territorio verrebbero avvelenate da queste irrorazioni, colture che noi mangiamo ogni giorno.

 

 

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Nigel Farage: «L’Unione europea ha le mani insanguinate per la crisi in Ucraina»

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«L’Unione europea ha le mani insanguinate per la crisi in Ucraina» Parole di fuoco quelle pronunciate da Nigel Farage, il leader del partito euroscettico britannico (Ukip), alla fine del dibattito tv che lo ha contrapposto al vicepremier libdem Nick Clegg. La sua dichiarazione ha scatenato forti reazioni nel mondo politico britannico, a partire dal premier David Cameron, secondo cui le responsabilità di quanto accaduto nella crisi sono della Russia e dei sostenitori di Mosca in Crimea.

Farage mercoledì sera, nel primo di due confronti televisivi nella campagna per le europee che si terranno il prossimo maggio, ha affermato che il governo di Londra ha incoraggiato la Ue a portare avanti un piano «imperialista ed espansionista, per aver dato false speranze a un gruppo di persone in Ucraina» che hanno rovesciato il loro leader eletto. «Questo ha provocato la reazione di Putin – ha aggiunto – Ritengo che l’Unione europea, francamente, abbia le mani insanguinate per quanto riguarda l’Ucraina». Nel corso di un intervento radiofonico, Clegg ha fortemente criticato Farage, dicendosi scioccato dalle sue parole, e aggiungendo che il leader Ukip sta dalla parte di Putin. Intanto si apprende che, come da copione, l’ex pasionaria della rivoluzione arancione Iulia Timoshenko si candida alle presidenziali ucraine del prossimo 25 maggio. Lo ha annunciato la stessa Timoshenko in una conferenza stampa a Kiev.

L’Ucraina deve stringere la cinghia per evitare la bancarotta e rispettare le condizioni richieste dall’Fmi per un prestito biennale da 14-18 miliardi di dollari. Intervenendo in parlamento, il “premier” provvisorio Arseni Iatseniuk, ha proposto le prime misure di austerità, tra cui il congelamento, per quest’anno, del salario minimo e del livello minimo di sussistenza, un aumento del livello di tassazione per i più abbienti e la riduzione del 10% dei dipendenti pubblici in servizio. Intanto ci saranno nuove esercitazioni militari nella regione di Krasnodar, vicino alla Crimea, recentemente annessa da Mosca: il comando del distretto militare della Russia meridionale ha annunciato per questi giorni manovre diurne e notturne dell’aviazione, con 40 voli di caccia sukhoi-25 Smz e 50 lanci di bombe e missili terra-aria. I piloti si addestreranno anche per evitare i sistemi di difesa aerea. Lo riferisce l’agenzia di stampa russa Interfax.

 

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Vogliono ridurre l'Ucraina alla loro pattumiera di scorie nucleari.

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Per affiancare il Governo ad interim ucraino,USA e NATO hanno deciso di affiancare i suoi servizi militari di psy-op ed inviare sul terreno reparti di specialisti per migliorare la comunicazione tra i propri servizi di sicurezza(ossia convincerli ad obbedire agli ordini anti-russi)e le trasmissioni al pubblico generale.Lo ha rivelato il Segretario di Stato alla Difesa della Lettonia Janis Sartis: Stiamo mettendo a punto alcuni progetti insieme,sapendo che il fattore tempo è essenziale.Vogliamo aiutare gli ucraini a trattare la propaganda che sta accadendo.Alla domanda se questo comporterebbe la presenza di truppe o addestratori sul terreno,Sartis ha risposto:Sì,credo che aiuterebbe.La sola elencazione dei settori mobilitati,identificati dalle mostrine dei partecipanti, è notevole: Il gruppo tedesco Combat Camera,un reparto di comunicatori direttamente dipendente dalla Bundeswehr.Il gruppo belga di guerra psicologica(psy-op).Il gruppo Kunduz,tedesco,OPINFO(addetto a formare l’opinione pubblica),IEB,gruppo tedesco per la comunicazione intrerculturale,connesso con OPINFO.ISAF,il corpo di spedizione NATO in Afghanistan.Il Non Kinetic Working Group Advisory Team,109th AFGHAN Corps,reparto statunitense(non kinetik è l’originale denominazione per tutte le operazioni per i rapporti civili-militari(CIMIC),informazione e propaganda,propaganda nera,guerra psicologica);il Regional Command Public Affairs Office;il Tactical PSYOPS Team Task Force Northern Lights TPT 6C23.È il massimo atto di guerra in atto,appena un passo al disotto della guerra guerreggiata,che gli occidentalisti sanno di non poter combattere. Vengono qui a puntino alcune citazioni storiche che un amico da Washington mi ha giusto mandato.

Mi limito a tradurle:a voi sostituire Germania con il nuovo nemico,Russia.Delmer Sefton(1904-1979),responsabile della Black Propaganda per le forze armate britanniche,nel 1945,dopo la disfatta del Terzo Reich,conversando con il giurista tedesco di diritto interazionale Friedrich Grimm:È stata la nostra propaganda sulle atrocità(atrocity propaganda) che ci ha fatto vincere la guerra,e solo adesso comincia per davvero!Continueremo la atrocity propaganda,la intensificheremo fino a che nessuno accetterà più nemmeno una parola dei tedeschi come buona,fino a quando tutta la simpatia che possano ancora avere all’estero sarà distrutta,fino a quando loro stessi saranno così confusi da non saper più cosa fanno.E una volta compiuto questo,una volta che cominceranno disprezzare il loro stesso Paese e la loro stessa gente,non a malincuore ma con convinzione,per voler compiacere i vincitori,solo allora la nostra vittoria sarà completa.La rieducazione richiede una coltivazione accurata,come quella di un giardino inglese.Un attimo di negligenza,e le erbacce rispuntano,quelle indistruttibili erbacce della verità storica.Winston Churchill ovviamente,non era sottoposto alle cure di Sefton.

Così poté dire a Lord Robert Boothby la verità storica: Il delitto imperdonabile della Germania prima della seconda guerra mondiale,è stato il suo tentativo di svincolare la sua potenza economica dal sistema di mercato mondiale,creare il suo proprio meccanismo di cambi monetari,che avrebbe negato alla finanza del mondo la sua opportunità di profitto. (Sidney Rogerson,Propaganda in the Next War,Londra 2001,originalmente pubblicato nel 1938).Ancora Churchill:Dovete capire che la guerra non è contro Hitler o il Nazionalsocialismo,ma contro la forza del popolo tedesco,che deve essere sfasciata una volta per tutte,sia nelle mani di Hitler o,che so dei Gesuiti(Emrys Hughes,Winston Churchill - His Career in War and Peace).La Germania diventa troppo forte.Dobbiamo schiacciarla,disse ancora Churchill,allora primo ministro,al generale americano Robert E. Woods,nel novembre 1936(Peter H. Nicoll,Englands Krieg gegen Deutschland, p. 83). Bernard Lecache-Lifschitz, leader sionista,nel 1938:la nostra Causa è organizzare l’embargo morale e culturale della Germania,prendere e squartare (quarter)questa nazione.La nostra Causa è finalmente arrivare ad una guerra senza pietà(Bernard Lecache-Lifschitz,Le droitde vivre,18 dicembre 1938).Interessante anche rileggere quel che scrisse il periodico polacco Mocarstwowiec nel numero 3 del 1930,ossia tre anni prima che Hitler prendesse il potere:Siamo consapevoli che la guerra tra Polonia e Germania non può essere evitata.Dobbiamo prepararci a questa guerra energicamente e sistematicamente.

La generazione presente farà in modo che una nuova vittoria di Grunwald(la battaglia nel 1410 in cui polacchi e lituani distrussero i Cavalieri Teutonice,ndr),sia scritta nei libri di storia.Ma dobbiamo combattere questa Grunwald nei sobborghi di Berlino.La nostra ambizione è di allargare le frontiere polacche all’Oder in Occidente e al Neisse in Lusazia,reincorporare la Prussia dal Pregel alla Sprea.In questa guerra non si faranno prigionieri,non ci sarà spazio per sentimenti umanitari.Noi sorprenderemo il mondo intero nella nostra guerra alla Germania! (Citato da Bertram de Colonna, Poland from the Inside).Se la storia insegna qualcosa,vuol dire che le menzogne demonizzanti e disinformazioni che i nostri media bevono e diffondono contro Mosca,sono solo un antipasto leggero.Ci sentiremo spiegare ed elaborare in tutte le salse il tema lanciato da Economist l’8 marzo:Putin è diventato un autocrate,o da Obama nella recente dichiarazione:La Russia è sul lato sbagliato della storia(il lato giusto è quello che ha aggredito Iraq,Afghanistan,destabilizzato Libia e Siria e provocato un milione di morti e,decine di milioni di profughi,e spargendo su tutti migliaia di tonnellate di uranio impoverito e un futuro di figli e nipoti malformati,mostruosi,nati-morti e sterili).Stiamo vedendo la stessa propaganda usata già contro Gheddafi n preparazione e durante l’invasione,dai media anglo-americani.La verità storica è quella confessata da un articolo dello Spectator l’8 marzo:Putin has broken the consensus which arose after the end of the Cold War,come la Germania degli anni ’30 ruppe il consensus che consentiva alla finanza internazionale di estrarre l’opportuno profitto,secondo disse Churchill.

Attenzione alla atrocity propaganda,applicata contro i tedeschi negli anni ’40, che ci verrà fornita a scodelle (hanno già cominciato). Attenzione specialmente alla Black Propaganda: definita come «falsa informazione e materiali informativi che appaiono provenienti da una fonte del nemico,ma che vengono in realtà dalle nostre fonti,i britannici ne sono maestri(nella seconda guerra mondiale allestirono addirittura diverse stazioni-radio «naziste,la Gustav Siegfried Eins(GS1),o la Soldatensender Calais (G.9) che sembravano stazioni militari tedesche o del partito nazista, in tedesco, per demoralizzare i soldati germanici: le dirigeva quel Sefton Delmer sopra citato.Un buon esempio sono i misteriosi cecchini intervenuti a sparare alle due parti in piazza in Ucraina...è solo l’inizio.Tutto ciò viene a confermare la profonda analisi elaborata da Andrei Fursov,direttore degli Studi Russi all’Università di Mosca e membro dell’Accademia delle Scienze, nel febbraio scorso:una indispensabile lettura sia per comprendere il punto di vista delle dirigenza russa(di cui Fursov fa parte),sia per le informazioni stupefacenti e i dettagli ignorati che contiene sulla situazione interna ucraina,il clan,gli oligarchi,e i servizi stranieri che vi operano in questi mesi.Il discorso di Fursov è troppo lungo ed articolato per poterlo riportare interamente(cercheremo di tradurlo appena possibile);intanto lo potete trovare in lingua originale qui.

In questo articolo,riporto di Forsov alcuni specifici punti:Gli oligarchi ebrei.Il regime di Yanukovitc)il deposto governante, che ci fanno passare per filo-russo),ha molto favorito la crescita della classe dei miliardari.I principali sponsor di Yanukovitch sono stati Rinat Akhmetov e Dmitry Firtash(...)Firtash possiede(il conglomerato)RosUkrEnergo,produzione di energia e chimica...sono i partner principali di Rotschild in Ucraina.Uno dei principali consiglieri di Firtah è Robert Shetler-Jones;ne parlerò più tardi.È un imprenditore del gruppo Rotschild,ed è del MI6:in tutte le multinazionali inglesi,per occupare una posizione alta,è obbligatorio essere esaminati» dal MI6.L’altro gruppo è Privat.È il più interessante.È il gruppo di Ihor Kolomoisky. Kolomoisky vale 3 miliardi di dollari.Il suo socio è Gennady Bogolubov. Kolomoisky,è interessante,non solo perché ha chiamato il nostro presidente uno schizofrenico.È il motore dietro gli eventi in Ucraina.Nato nel 1963.Ebreo.Sostiene molto attivamente il gruppo hassidico Chabad(i Lubawitcher,potentissimi anche presso il Congresso USA),che non è una setta,ma un movimento.È il mecenate principale della comunità ebraica di Dnepropetrovsk.Vecchio amico di Berezovski.Possiede circa 200 ditte,controlla il 40% di Ukrnafta e i media.Grande fan del calcio,possiede varie squadre:FC Dnipro,di Dnepropetrovsk,Arsenal Kyiv,la Hapoel di Tel-Aviv(ecco dove finiscono i miliardi sifonati agli ucraini).

È vicepresidente della Federazione Football di Ucraina.Il presidente,Surkis,è anche lui un miliardario,benché non grosso come Kolomoisky;possiede la Dynamo Kiev.Lo dicono collegato col crimine oranizzato internazionale(...)è lo sponsor di Yushenko,Timoshenko e Kltschko,e per quanto sembri paradossale, dell’ultranazionalista Tyaghnibok.(...)Infine,un’altra parte dell’economia ucraina,di cui gli esperti preferiscono non scrivere:commercio di armi, tecnologie e stupefacenti.Decine i nomi.I principali sono Vadim Rabinovitch cittadino di Israele,Ucraina e Ungheria,Sergei Maximov,e la famiglia Derkatch:il più anziano è Leonid Derkatch,è stato il capo del servizio di sicurezza ucraino,SBU.Ha in mano tutte le carte adesso,e tratta in armamenti... Rabinovitch è molto interessante,sostiene il partito gay-lesbiche Raduga e il gruppo Femen nato a Kiev.Spesso litiga con gli altri oligarchi ebrei.Ciò che caratterizza la situazione in Ucraina,l’assenza di un centro politico unitario,tocca anche la comunità ebraica.Si scontrano spesso e gravemente i secolarizzati e i sostenitori dei Chabad hassidici.Hanno litigato forte anche per il monumento a Babi Yar(dove sarebbero avvenuti massacri di ebrei, ndr):Kolomoisky insisteva per elevare una sinagoga,Vitaly Nakhmanovitch si è opposto...Nel 2011,Kolomoisky ha creato lo European Jewish Parliament, che siede nel Parlamento Europeo(...).Avvengono situazioni umoristiche:per esempio,Kolomoisky sostiene Chabad.E Chabad ha sostenuto Yanukovych alle elezioni.Lo scontro(intra-giudaico)è diventato feroce.

Tanto più che l’avidità e stupidità del clan mafioso Yanukovich si è rivelata quando ha imposto tangenti non solo alle medie imprese,ma anche alle piccole:di fatto,dovevano versare il 60% alla famiglia.Dunque,si possono capire quelli che sono andati a protestare a Maidan;chi ha sfruttato la situazione,è un altro discorso:Sappiamo il ruolo che la stupidità gioca nelle rivoluzioni,hanno scritto Marx ed Engels nel 1848...Rockefellers,Rotschilds e le agenzie di spionaggio.Gli altri che giocano sul campo ucraino sono i Rockefeller e i Rotschild.I Rotschild sono entrati in Ucraina immediatamente dopo che si è liberata dall’Unione Sovietica;nel 1991-95 E al seguito,entrò anche l’MI6,avendo mano libera.Ma tutte le agenzie occidentali hanno in genere mano libera in Ucraina.La Cia ha un intero piano(nei suoi uffici),dedicato all’Ucraina.Ma i nostri operatori coperti già nei tardi anni ’90 ci dicevamo che il servizio ucraino SBU era una succursale dell’FBI e della Cia,che lavoravano là attivamente. Anche il BND(il servizio tedesco),è stato molto attivo con i suoi gruppuscoli clandestini nostalgici di Bandera(Stepan Bandera,1909-1959,è stato un capo ucraino che formò reparti militari a fianco del Terzo Reich).Il MI6 ha operato lasciando meno tracce.Non c’è nemmeno da dire che gli agenti israeliani (ne parlerò dopo)hanno mano completamente libera.

Firtash è diventato il principale socio dei Rotschild.Il suo socio,come ho detto, era Robert Shetler-Jones:considerato dai nostri esperti l’istigatore della guerra del gas che ha opposto l’Ucraina alla Russia.Tenete conto che il gruppo Rotschild sta operando nell’Est Ucraina.È la zona su cui vogliono mettere le mani,in particolare la regione di Dnepopetrovsk,dove opera la banca Rothschild Europe e la loro Royal Dutch Shell.Gli interessi dei Rotschild sono fortemente opposti a quelli della Russia.Considerate sempre che quando parliamo di «nteressi USA e interessi britannici,i gruppi d’interesse attivi là sono molti e diversi.Non per niente l’analista francese Alexandre del Valle parla non di politica estera Usa,ma di politici esteri»USA.Ci sono diversi clan.Il clan dietro Obama vuole una cosa.E i clan dietro i neocon ne vogliono un’altra,del tutto diversa.I Rotschild sfruttano crisi e caos che possono essere manipolati dagli attori globali per accaparrarsi attivi in Ucraina,in Asia centrale e se possibile,in Russia.I Rockefeller hanno interessi più modesti:per esempio la Chevron Corporation,che è nell’impero Rockefeller.La regione di Ivano-Frankivsk gli è stata praticamente dasta in mano da Yanukovich.E difficile dire ormai se Ivano-Frankivsk appartiene all’Ucraina o alla Chevron(...).Gli interessi di Israele in Ucraina...È rappresentato dal Mossad e praticamente da tutti i servizi di intelligence israeliani.C’è anche il Komemyiut,che è un’amministrazione interna al Mossad il cui compito è l’eliminazione fisica degli oppositori del Mossad.Per esempio è questo Komemiyut che ha ucciso gli scienziati atomici iraniani.La parola in ebraico significa sovranità,sono molto efficaci.Aman è l’intelligence militare agli ordini del primo ministro.Poi Shabat ,Shin Bet,Nativ,tutti sono presenti in Ucraina.

L’attuale ambasciatore in Ucraina è Reuven Din El,che è stato il residente del Mossad presso i paesi CIS(Comuità degli Stati Indipendenti,la lasca confederazione che unisce 11 repubbliche ex sovietiche attorno a Mosca);è stato espulso da Mosca,e subito ricevuto in Ucraina come ambasciatore.Vlad Lerner del Nativ è il primo segretario dell’ambasciata.Bisogna fare tanto di cappello agli israeliani, per come lavorano in Ucraina.Mossad, sia chiaro,opera in stretta connessione con CIA e MI6... Sono molto attivi nel settore dell’istruzione superiore. (...) In quasi tutte le istituzioni di istruzione superiore in Ucraina, specie a Kiev, c’è una stanza NATO, un dipartimento della Nato. Chi vuol far carriera deve partecipare a diversi dei loro programmi.Ecco cosa sta accadendo.Israele,sotto il pretesto di cercare studenti ebreo o con radici ebraiche, identifica e seleziona gli studenti con buone prospettive e li manda a studiare in Occidente.Di tutte le università occidentali dove ho insegnato, Columbia, Yale,New York,la più forte è la Central European University di Soros,che accetta solo ebrei,per di più i meglio preparati e accuratamente selezionati.Al corso che ho tenuto c’erano tre individui dalla Russia.Non da Mosca,ma da Arkhangelsk,Ivanovo e Pietroburgo Il ritmo di studi è 400 pagine al giorno,come ai tempi di Stalin da noi.Non tutti resistono.Gli scopi degli interessati in Ucraina(...).Spesso cito le parole di Brzezinski:Senza l’Ucraina,la Russia cessa di essere un impero europeo.(...)E Bismarck nel 19mo secolo:Dobbiamo coltivare fra gli ucraini una popolazione la cui coscienza è alterata fino al punto,che comincino ad odiare tutto ciò che è russo.(...)Lo scopo di lungo termine di questo stato antirusso è creare una pressione sulla Federazione Russa,una pressione continua.La finalità ultima è di spingere la Russia nel campo occidentale(...)per porre fine a questa pressione continua,che la Russia si rivolga all’Occidente,e diventi uno strumento occidentale per mettere sotto pressione la Cina.Se possibile,anche una guerra di Russia contro Cina,questo sarebbe il loro ideale.

Gli americani hanno bisogno di caos controllati e guerra civile.Gli europei vogliono l’Ucraina intera:un serbatoio di manodopera a basso prezzo e un mercato di consumo di 44 milioni di persone(ora,meno la Crimea),e dove gettare ogni genere di spazzatura.Fursov non intende solo merci di poco prezzo di cui inondare la popolazione ucraina.Intende rifiuti nucleari:La Timoscenko,per bisogno di denaro,ha fatto un contratto con gli europei,che l’Ucraina avrebbe immediatamente cominciato lo smaltimento del residui nucleari(delle centrali atomiche occidentali).Il fatto è che il Paese non ha gli apparati tecnologici per questo.Pensano semplicemente di seppelliremo.Seppellirlo nella Zona di Esclusione di Chernobyl.Lì è già inquinato.Seppelliamolo e nascondiamolo lì.A mia conoscenza,un treno carico di rifiuti nucleari è fermo alla frontiera polacco-ucraina;non va da nessuna parte,attende.L’Europa ha bisogno dell’Ucraina come discarica.Ciò che mi stupisce della dirigenza ucraina è:quelli che moriranno o saranno sterili mica sono solo le persone qualunque.Anche i figli dell’élite verranno colpiti....Fursov attribuisce a questo accordo per infossare i resti nucleari di tutto l’Occidente in Ucraina,anche il misterioso assassinio di Oleksandr Muzychko,uno dei capi del Pravi Sektor,avvenuto il 24 marzo scorso.Fanatico nazionalista ucraino,criminale e guerrigliero,(i russi lo accusano formalmente di aver ucciso almeno 20 soldati russi prigionieri durante la prima guerra cecena),Muzychko stava in un café di Rivno quel giorno,quando sono piombati su di lui degli uomini armati scesi da tre minivan, che gli hanno sparato al petto.Secondo l’indagine ufficiale del Governo ad interim di Kiev,il tipo si sarebbe sparato al petto per sottrarsi all’inseguimento della polizia.Un suicidio,dunque..Anche questa è disinformazione.(Notorious leader of Ukraine’s protests shot dead. Circumstances are in dispute).Secondo Fursov,invece,l’attivista è stato eliminato perché da nazionalista si opponeva a fare della Ucraina l’immondezzaio nucleare europeo,e stava mobilitando il Pravi Sektor contro questo progetto.

 

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

ALLA RIUNIONE DELLA CONGREGAZIONE PER I VESCOVI

Sala Bologna - Giovedì, 27 febbraio 2014

 Fonte web

1. L’essenziale nella missione della Congregazione

Nella celebrazione dell’Ordinazione di un Vescovo, la Chiesa riunita, dopo l’invocazione dello Spirito Santo, chiede che sia ordinato il candidato presentato. Chi presiede allora domanda: «Avete il mandato?». Risuona in tale domanda quanto fece il Signore: «Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due…» (Mc 6,7). In fondo, la domanda si potrebbe esprimere anche così: “Siete certi che il suo nome è stato pronunciato dal Signore? Siete certi che sia stato il Signore ad annoverarlo tra i chiamati per stare con Lui in maniera singolare e per affidargli la missione che non è sua, ma è stata al Signore affidata dal Padre?”.

Questa Congregazione esiste per aiutare a scrivere tale mandato, che poi risuonerà in tante Chiese e porterà gioia e speranza al Popolo Santo di Dio. Questa Congregazione esiste per assicurarsi che il nome di chi è scelto sia stato prima di tutto pronunciato dal Signore. Ecco la grande missione affidata alla Congregazione per i Vescovi, il suo compito più impegnativo: identificare coloro che lo stesso Spirito Santo pone alla guida della sua Chiesa.

Dalle labbra della Chiesa si raccoglierà in ogni tempo e in ogni luogo la domanda: dacci un Vescovo! Il Popolo santo di Dio continua a parlare: abbiamo bisogno di uno che ci sorvegli dall’alto; abbiamo bisogno di uno che ci guardi con l’ampiezza del cuore di Dio; non ci serve un manager, un amministratore delegato di un’azienda, e nemmeno uno che stia al livello delle nostre pochezze o piccole pretese. Ci serve uno che sappia alzarsi all’altezza dello sguardo di Dio su di noi per guidarci verso di Lui. Solo nello sguardo di Dio c’è il futuro per noi. Abbiamo bisogno di chi, conoscendo l’ampiezza del campo di Dio più del proprio stretto giardino, ci garantisca che ciò a cui aspirano i nostri cuori non è una promessa vana.

La gente percorre faticosamente la pianura del quotidiano, e ha bisogno di essere guidata da chi è capace di vedere le cose dall’alto. Perciò non dobbiamo perdere mai di vista le necessità delle Chiese particolari a cui dobbiamo provvedere. Non esiste un Pastore standard per tutte le Chiese. Cristo conosce la singolarità del Pastore che ogni Chiesa richiede perché risponda ai suoi bisogni e la aiuti a realizzare le sue potenzialità. La nostra sfida è entrare nella prospettiva di Cristo, tenendo conto di questa singolarità delle Chiese particolari.

2. L’orizzonte di Dio determina la missione della Congregazione

Per scegliere tali ministri abbiamo bisogno tutti noi di elevarci, di salire anche noi al “piano superiore”. Non possiamo fare a meno di salire, non possiamo accontentarci delle misure basse. Dobbiamo alzarci oltre e sopra le nostre eventuali preferenze, simpatie, appartenenze o tendenze per entrare nell’ampiezza dell’orizzonte di Dio e per trovare questi portatori del suo sguardo dall’alto. Non uomini condizionati dalla paura dal basso, ma Pastori dotati di parresia, capaci di assicurare che nel mondo c’è un sacramento di unità (Cost. Lumen gentium, 1) e perciò l’umanità non è destinata allo sbando e allo smarrimento.

È questo grande obiettivo, delineato dallo Spirito, che determina il modo con cui si svolge questo compito generoso e impegnativo, per il quale io sono immensamente grato a ognuno di voi, cominciando dal Cardinale Prefetto Marc Ouellet e abbracciando tutti voi, Cardinali, Arcivescovi e Vescovi Membri. Una speciale parola di riconoscimento, per la generosità del loro lavoro, vorrei rivolgere agli Officiali del Dicastero, che silenziosamente e pazientemente contribuiscono al buon esito del servizio di provvedere alla Chiesa con i Pastori di cui ha bisogno.

Nel firmare la nomina di ogni Vescovo vorrei poter toccare l’autorevolezza del vostro discernimento e la grandezza di orizzonti con la quale matura il vostro consiglio. Perciò, lo spirito che presiede i vostri lavori, dal compito arduo degli Officiali fino al discernimento dei Superiori e Membri della Congregazione, non potrà essere altro che quell’umile, silenzioso e laborioso processo svolto sotto la luce che viene dall’alto. Professionalità, servizio e santità di vita: se ci discostiamo da questo trinomio decadiamo dalla grandezza cui siamo chiamati.

3. La Chiesa Apostolica come fonte

Dove trovare allora questa luce? L’altezza della Chiesa si trova sempre negli abissi profondi delle sue fondamenta. Nella Chiesa Apostolica c’è quello che è alto e profondo. Il domani della Chiesa abita sempre nelle sue origini.

Pertanto, vi invito a fare memoria e “visitare” la Chiesa Apostolica per cercare lì alcuni criteri. Sappiamo che il Collegio Episcopale, nel quale mediante il Sacramento saranno inseriti i Vescovi, succede al Collegio Apostolico. Il mondo ha bisogno di sapere che c’è questa Successione ininterrotta. Almeno nella Chiesa, tale legame con l’arché divina non si è spezzato. Le persone già conoscono con sofferenza l’esperienza di tante rotture: hanno bisogno di trovare nella Chiesa quel permanere indelebile della grazia del principio.

4. Il Vescovo come testimone del Risorto

Esaminiamo pertanto il momento in cui la Chiesa Apostolica deve ricomporre il Collegio dei Dodici dopo il tradimento di Giuda. Senza i Dodici non può scendere la pienezza dello Spirito. Il successore va cercato tra chi ha seguito fin dagli inizi il percorso di Gesù e ora può diventare «insieme ai dodici» un «testimone della risurrezione» (cfr At 1,21-22). C’è bisogno di selezionare tra i seguaci di Gesù i testimoni del Risorto.

Da qui deriva il criterio essenziale per tratteggiare il volto dei Vescovi che vogliamo avere. Chi è un testimone del Risorto? È chi ha seguito Gesù fin dagli inizi e viene costituito con gli Apostoli testimone della sua Risurrezione. Anche per noi questo è il criterio unificante: il Vescovo è colui che sa rendere attuale tutto quanto è accaduto a Gesù e soprattutto sa, insieme con la Chiesa, farsi testimone della sua Risurrezione. Il Vescovo è anzitutto un martire del Risorto. Non un testimone isolato ma insieme con la Chiesa. La sua vita e il suo ministero devono rendere credibile la Risurrezione. Unendosi a Cristo nella croce della vera consegna di sé, fa sgorgare per la propria Chiesa la vita che non muore. Il coraggio di morire, la generosità di offrire la propria vita e di consumarsi per il gregge sono inscritti nel “DNA” dell’episcopato. La rinuncia e il sacrificio sono connaturali alla missione episcopale. E questo voglio sottolinearlo: la rinuncia e il sacrificio sono connaturali alla missione episcopale. L’episcopato non è per sé ma per la Chiesa, per il gregge, per gli altri, soprattutto per quelli che secondo il mondo sono da scartare.

Pertanto, per individuare un Vescovo, non serve la contabilità delle doti umane, intellettuali, culturali e nemmeno pastorali. Il profilo di un Vescovo non è la somma algebrica delle sue virtù. È certo che ci serve uno che eccelle (CIC, can. 378 § 1): la sua integrità umana assicura la capacità di relazioni sane, equilibrate, per non proiettare sugli altri le proprie mancanze e diventare un fattore d’instabilità; la sua solidità cristiana è essenziale per promuovere la fraternità e la comunione; il suo comportamento retto attesta la misura alta dei discepoli del Signore; la sua preparazione culturale gli permette di dialogare con gli uomini e le loro culture; la sua ortodossia e fedeltà alla Verità intera custodita dalla Chiesa lo rende una colonna e un punto di riferimento; la sua disciplina interiore ed esteriore consente il possesso di sé e apre spazio per l’accoglienza e la guida degli altri; la sua capacità di governare con paterna fermezza garantisce la sicurezza dell’autorità che aiuta a crescere; la sua trasparenza e il suo distacco nell’amministrare i beni della comunità conferiscono autorevolezza e raccolgono la stima di tutti.

Tutte queste imprescindibili doti devono essere tuttavia una declinazione della centrale testimonianza del Risorto, subordinati a questo prioritario impegno. È lo Spirito del Risorto che fa i suoi testimoni, che integra ed eleva le qualità e i valori edificando il Vescovo.

5. La sovranità di Dio, autore della scelta

Ma torniamo al testo apostolico. Dopo il faticoso discernimento viene la preghiera degli Apostoli: «Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostra quale di questi … tu hai scelto» (At 1,24) e «tirarono a sorte» (At 1,26). Impariamo il clima del nostro lavoro e il vero Autore delle nostre scelte. Non possiamo allontanarci da questo «mostraci tu, Signore». È sempre imprescindibile assicurare la sovranità di Dio. Le scelte non possono essere dettate dalle nostre pretese, condizionate da eventuali “scuderie”, consorterie o egemonie. Per garantire tale sovranità ci sono due atteggiamenti fondamentali: il tribunale della propria coscienza davanti a Dio e la collegialità. E questo garantisce.

Fin dai primi passi del nostro complesso lavoro (dalle Nunziature al lavoro degli Officiali, Membri e Superiori), questi due atteggiamenti sono imprescindibili: la coscienza davanti a Dio e l’impegno collegiale. Non l’arbitrio ma il discernimento insieme. Nessuno può avere in mano tutto, ognuno pone con umiltà e onestà la propria tessera di un mosaico che appartiene a Dio.

Tale visione fondamentale ci spinge ad abbandonare il piccolo cabotaggio delle nostre barche per seguire la rotta della grande nave della Chiesa di Dio, il suo orizzonte universale di salvezza, la sua bussola salda nella Parola e nel Ministero, la certezza del soffio dello Spirito che la spinge e la sicurezza del porto che la attende.

6. Vescovi “kerigmatici”.

Un altro criterio lo insegna At 6,1-7: gli Apostoli impongono le mani su coloro che devono servire le mense perché non possono «lasciare da parte la Parola di Dio». Poiché la fede viene dall’annuncio, abbiamo bisogno di Vescovi kerigmatici. Uomini che rendono accessibile quel “per voi” di cui parla san Paolo. Uomini custodi della dottrina non per misurare quanto il mondo viva distante dalla verità che essa contiene, ma per affascinare il mondo, per incantarlo con la bellezza dell’amore, per sedurlo con l’offerta della libertà donata dal Vangelo. La Chiesa non ha bisogno di apologeti delle proprie cause né di crociati delle proprie battaglie, ma di seminatori umili e fiduciosi della verità, che sanno che essa è sempre loro di nuovo consegnata e si fidano della sua potenza. Vescovi consapevoli che anche quando sarà notte e la fatica del giorno li troverà stanchi, nel campo le sementi staranno germinando. Uomini pazienti perché sanno che la zizzania non sarà mai così tanta da riempire il campo. Il cuore umano è fatto per il grano, è stato il nemico che di nascosto ha gettato il cattivo seme. Il tempo della zizzania tuttavia è già irrevocabilmente fissato.

Vorrei sottolineare bene questo: uomini pazienti! Dicono che il Cardinale Siri soleva ripetere: «Cinque sono le virtù di un Vescovo: prima la pazienza, seconda la pazienza, terza la pazienza, quarta la pazienza e ultima la pazienza con coloro che ci invitano ad avere pazienza».

Bisogna quindi impegnarsi piuttosto sulla preparazione del terreno, sulla larghezza della semina. Agire come fiduciosi seminatori, evitando la paura di chi si illude che il raccolto dipenda solo da sé, o l’atteggiamento disperato degli scolari che, avendo tralasciato di fare i compiti, gridano che ormai non c’è più nulla da fare.

7. Vescovi oranti

Il medesimo testo di At 6,1-7 si riferisce alla preghiera come ad uno dei due compiti essenziali del Vescovo: «Dunque, fratelli, cercate tra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola» (vv. 3-4). Ho parlato di Vescovi kerigmatici, adesso segnalo l’altro tratto dell’identità del Vescovo: uomo di preghiera. La stessa parresia che deve avere nell’annuncio della Parola, deve averla nella preghiera, trattando con Dio nostro Signore il bene del suo popolo, la salvezza del suo popolo. Coraggioso nella preghiera di intercessione come Abramo, che negoziava con Dio la salvezza di quella gente (cfr Gen 18,22-33); come Mosè quando si sente impotente per guidare il popolo (Nm 11,10-15), quando il Signore è stufo del suo popolo (cfr Nm 14,10-19), o quando gli dice che sta per distruggere il popolo e promette a lui di farlo capo di un altro popolo. Quel coraggio di dire no, non negozio il mio popolo, davanti a Lui! (cfr Es 32,11-14.30-32). Un uomo che non ha il coraggio di discutere con Dio in favore del suo popolo non può essere Vescovo - questo lo dico dal cuore, sono convinto -, e neppure colui che non è capace di assumere la missione di portare il popolo di Dio fino al luogo che Lui, il Signore, gli indica (cfr Es 32,33-34).

E questo vale anche per la pazienza apostolica: la medesima hypomone che deve esercitare nella predicazione della Parola (cfr 2 Cor 6,4) la deve avere nella sua preghiera. Il Vescovo dev’essere capace di “entrare in pazienza” davanti a Dio, guardando e lasciandosi guardare, cercando e lasciandosi cercare, trovando e lasciandosi trovare, pazientemente davanti al Signore. Tante volte addormentandosi davanti al Signore, ma questo è buono, fa bene!

Parresia e hypomone nella preghiera forgiano il cuore del Vescovo e lo accompagnano nella parresia e nella hypomone che deve avere nell’annuncio della Parola nel kerigma. Questo capisco quando leggo il versetto 4 del capitolo 6 degli Atti degli Apostoli.

8. Vescovi Pastori

Nelle parole che ho rivolto ai Rappresentanti Pontifici, ho così tracciato il profilo dei candidati all’episcopato: siano Pastori vicini alla gente, «padri e fratelli, siano miti, pazienti e misericordiosi; amino la povertà, interiore come libertà per il Signore e anche esteriore come semplicità e austerità di vita, che non abbiano una psicologia da “Principi”; … che non siano ambiziosi e che non ricerchino l’episcopato … siano sposi di una Chiesa, senza essere in costante ricerca di un’altra - questo si chiama adulterio. Siano capaci di “sorvegliare” il gregge che sarà loro affidato, di avere cioè cura per tutto che lo mantiene unito; … capaci di “vegliare” per il gregge» (21 giugno 2013).

Ribadisco che la Chiesa ha bisogno di Pastori autentici; e vorrei approfondire questo profilo del Pastore. Guardiamo il testamento dell’apostolo Paolo (cfr At 20,17-38). Si tratta dell’unico discorso pronunciato dall’Apostolo nel libro degli Atti che è diretto ai cristiani. Non parla ai suoi avversari farisei, né ai sapienti greci, ma ai suoi. Parla a noi. Egli affida i Pastori della Chiesa «alla Parola della grazia che ha il potere di edificare e di concedere l’eredità». Dunque, non padroni della Parola, ma consegnati a essa, servi della Parola. Solo così è possibile edificare e ottenere l’eredità dei santi. A quanti si tormentano con la domanda sulla propria eredità – “qual è il lascito di un Vescovo? L’oro o l’argento?” - Paolo risponde: la santità. La Chiesa rimane quando si dilata la santità di Dio nei suoi membri. Quando dal suo cuore intimo, che è la Trinità Santissima, tale santità sgorga e raggiunge l’intero Corpo. C’è bisogno che l’unzione dall’alto scorra fino all’orlo del mantello. Un Vescovo non potrebbe mai rinunciare all’ansia che l’olio dello Spirito di santità arrivi fino all’ultimo lembo della veste della sua Chiesa.

Il Concilio Vaticano II afferma che ai Vescovi «è pienamente affidato l’ufficio pastorale, ossia l’assidua e quotidiana cura del gregge» (Lumen gentium, 27). Bisogna soffermarsi di più su questi due qualificativi della cura del gregge: assidua e quotidiana. Nel nostro tempo l’assiduità e la quotidianità sono spesso associate alla routine e alla noia. Perciò non di rado si cerca di scappare verso un permanente “altrove”. Questa è una tentazione dei Pastori, di tutti i Pastori. I padri spirituali devono spiegarcelo bene, affinché noi lo capiamo e non cadiamo. Anche nella Chiesa purtroppo non siamo esenti da questo rischio. Perciò è importante ribadire che la missione del Vescovo esige assiduità e quotidianità. Io penso che in questo tempo di incontri e di convegni è tanto attuale il decreto di residenza del Concilio di Trento: è tanto attuale e sarebbe bello che la Congregazione dei Vescovi scrivesse qualcosa su questo. Al gregge serve trovare spazio nel cuore del Pastore. Se questo non è saldamente ancorato in sé stesso, in Cristo e nella sua Chiesa, sarà continuamente sballottato dalle onde alla ricerca di effimere compensazioni e non offrirà al gregge alcun riparo.

Conclusione

Alla fine di queste mie parole mi domando: dove possiamo trovare tali uomini? Non è facile. Ci sono? Come selezionarli? Penso al profeta Samuele alla ricerca del successore di Saul (cfr 1 Sam 16,11-13) che domanda al vecchio Iesse: «Sono qui tutti i suoi figli?», e sentendo che il piccolo Davide era a pascolare il gregge ordina: «Manda a prenderlo». Anche noi non possiamo fare a meno di scrutare i campi della Chiesa cercando chi presentare al Signore perche Egli ti dica: «Ungilo: è lui!». Sono certo che essi ci sono, perché il Signore non abbandona la sua Chiesa. Forse siamo noi che non giriamo abbastanza per i campi a cercarli. Forse ci serve l’avvertenza di Samuele: «Non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui». È di questa santa inquietudine che vorrei vivesse questa Congregazione.

 

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Ecco perché la mia Russia, a un passo dal

suicidio umano, ha deciso di dire sì alla vita

Fonte web

russia-bambini«Noi russi abbiamo vissuto sulla nostra pelle le conseguenze di un’ideologia che ci aveva fatto credere che saremmo stati felici senza Dio. Siamo arrivati a un centimetro dal suicidio umano e demografico. Adesso vogliamo tornare indietro». Alexey Komov è l’ambasciatore presso le Nazioni Unite delCongresso mondiale delle Famiglie, la più grande piattaforma internazionale per la difesa della famiglia naturale. In Italia per un convegno su Russia ed Europa organizzato a Rovereto dalla rivista Notizie Pro Vita, ha accettato di spiegare a Tempi le ragioni della svolta “life-friendly” di Mosca dopo il crollo del comunismo.

In effetti negli anni Novanta, dopo settant’anni di regime, la Russia aveva indici di sviluppo umano da agonia.
Fino alla vigilia della Rivoluzione bolscevica del 1917 il cristianesimo ortodosso era il fulcro della società russa. Nell’Ottocento l’ideologia marxista, partorita in Occidente, fece breccia nel cuore di alcuni intellettuali e borghesi russi. Secondo il materialismo comunista la scienza sarebbe riuscita a rendere l’uomo padrone di tutto. Non c’era più posto per la Chiesa che ricorda la dipendenza da Dio e dalle leggi naturali per la realizzazione dell’uomo e del bene comune. Perché la Russia ora guarda a queste idee con grande sospetto? Perché fummo i primi a conoscerle. Dopo la Rivoluzione d’ottobre fu legalizzato l’aborto, il divorzio, la famiglia come “affare” di Stato. Sull’orlo del precipizio ci siamo voluti fermare.

putin-kirillPerò la svolta “confessionale” di Putin e l’idea di fare della Russia una sorta di baluardo della cristianità non gode di buona stampa in Occidente.
Senta, innanzitutto il governo sta approvando leggi che proteggono l’essere umano, cosa che si dovrebbe pretendere da ogni sovrano. Poi la valorizzazione del cristianesimo deriva dal fatto che Putin si è accorto che nel degrado assoluto l’unica cosa che ha resistito è stata la Chiesa ortodossa. La Russia ha provato il dolore di vivere senza Dio, per questo non crede più al comunismo e rigetta l’ateismo. Non a caso oggi il 77 per cento dei russi dichiara di credere in Dio e il 69 per cento è battezzato. Negli ultimi vent’anni sono state ricostruite trentamila chiese, seicento monasteri e altre duecento chiese sorgeranno presto a Mosca. Capisco che l’Occidente non capisca, visto quello che succede da voi. Però è così, il governo non sta imponendo nulla. E Putin sta solo prendendo atto del sentimento religioso riemergente nel popolo russo.

In Russia vige ancora un sistema autoritario che ha ben poco di compatibile con la nostra democrazia.
La “vostra” democrazia? In Occidente siete arrivati al punto di vedervi costretti per legge, e senza che nessuno abbia chiesto il vostro parere, a insegnare ai vostri figli che secondo questa “teoria del gender” non esistono “la mamma” e “il papà”, ma solo genitori A e B, che possono essere anche dello stesso sesso, e che si deve “scegliere” se essere “bambini” o “bambine”. Però senza discriminazioni, perché tutti devono essere uguali… Ecco, quando sento queste cose, quando sento che questa sarebbe “democrazia”, ripenso a me bambino. Ricordo che camminando per strada vedevo gli edifici progettati dalla nostra “grande democrazia socialista”, ed erano tutti brutti, tutti grigi, tutti uguali. Poi da qualche parte spuntava ancora qualche chiesa, bellissima, e subito sorgeva in me il desiderio di entrarci, di andare a rifugiarmi lì. Oggi le parti si sono invertite. Il popolo russo non cede all’ideologia Lgbt perché è molto meno ingenuo di quello europeo. La gente sa bene come gli intellettuali possono arrivare a imporre ideologie disumane.

putin-bambiniÈ sufficiente legiferare secondo il diritto naturale per cambiare un paese?
Tuttora in Russia c’è una grande crisi demografica. Vent’anni fa siamo arrivati a quattro milioni di bambini abortiti ogni anno. Ora siamo scesi a circa due milioni. La politica da sola non basterà mai. Ma per fermare l’ingiustizia è necessario vietarla per legge. E comunque a ridurre i numeri dell’aborto sono stati anche il divieto del governo di pubblicizzarlo, il fatto che le leggi prevedano il finanziamento dei Centri di aiuto alla vita, lo stanziamento di una somma pari a dieci mila euro per il secondo figlio e concessioni demaniali a chi ne ha più di tre. Per il resto è compito dei cristiani e degli uomini di buona volontà ricostruire il tessuto sociale.

Qual è la situazione della famiglia oggi in Russia?
La situazione sta migliorando, ma ancora la metà dei matrimoni finisce in divorzi. La cultura di massa che passa attraverso la televisione, i film americani, le riviste e i media digitali condizionano le nuove generazioni. Anche in Russia i media restano i principali educatori…

La Russia rischia sanzioni per le sue leggi “contro la propaganda e il proselitismo gay”. Non teme il suo isolamento a livello internazionale?
No, perché la maggioranza dei russi la pensa esattamente come Putin. Il quale non ha nulla da temere perché il nostro paese dispone di un importante deterrente nucleare ed è lo snodo fra l’Europa e l’Asia. La nostra forza è sotto gli occhi di tutti. Basti pensare che insieme a papa Francesco siamo riusciti a frenare la guerra in Siria e a bloccare il piano di Obama di bombardare Damasco. E mi lasci dire che noi russi abbiamo anche un senso messianico della nostra presenza nel mondo. Messianismo che può essere pericoloso, come quando volevamo esportare ovunque il comunismo, ma che ritorna utile ora che vogliamo ritrovare le nostre radici cristiane.

E degli arresti delle Pussy Riot o degli attivisti di Greenpeace che dice? Non sono sintomi di un “regime”?
Le persone pensano anche che noi russi non abbiamo l’acqua, che viviamo in povertà e che c’è corruzione ovunque. Invece in Russia la qualità dei servizi è ottima, la tassazione è al 40 per cento, la popolazione sta mediamente bene, costruiamo molto, importiamo e la materia prima è sfruttata con intelligenza. C’è libertà di impresa e anche di espressione. Mentre in Occidente in certi ambienti non potete neppure indossare una croce.

 

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Ucraina-Russia, venti di guerra. Putin muove i blindati in Crimea

Kiev muove i primi passi nel dopo-Yanukovich, in un clima di grande tensione anche per la comparsa dei blindati russi nelle strade di Sebastopoli, la città della Crimea che ospita la flotta di Mosca nel Mar Nero. GEOPOLITICA: ecco perché l'Ucraina è strategica per Putin

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La nuova Ucraina muove i primi passi nel dopo-Yanukovich, in un clima di grande tensione anche per la comparsa dei blindati russi nelle strade di Sebastopoli, la città della Crimea che ospita la flotta di Mosca nel Mar Nero. La notizia, rilanciata da siti russi e locali, ha suscitato allarme, anche perche' poche ore prima il presidente del Parlamento e Capo dello Stato ad interim, Oleksander Turchinov, aveva lanciato l'allarme sui "pericolosi segnali di separatismo" emersi in alcune aree della repubblica ex sovietica. I carri armati starebbero presidiando il quartier generale della base navale russa. Il leader dell'estrema destra russa Oleg Tagnibok aveva preannunciato l'arrivo alla base navale dell nave russa Nikolai Filchenkov, con a bordo 200
soldati.

Il porto ucraino di Sebastopoli, nella penisola di Crimea, è strategico per la Russia, e questa non e' una notizia. Ma e' diventato ancora piu' strategico, di importanza cruciale, dal marzo del 2011, quando esplose il conflitto siriano. E da li', infatti, che Mosca coordina lo sforzo militare in Siria, e i movimenti nella sua base navale di Tartus e nel porto di Latakia, entrambi nel paese mediorientale. Ed e' il porto di Sebastopoli, sede della flotta russa del Mar Nero e diviso a meta' con le navi da guerra di Kiev (eredità dell'Urss), che assicura ai russi, attraverso il passaggio dagli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, uno sbocco nel mare caldo del Mediterraneo e nell'Oceano indiano in inverno, quando le acque nei porti del Baltico e del Mar Bianco congelano. La prevista formazione del nuovo governo transitorio e' stata rinviata a giovedi' un supplemento di consultazioni. Intanto, pero', il Parlamento ucraino ha approvato una mozione per chiedere al Tribunale penale internazionale all'Aja di processare Viktor Yanukovich per crimini contro l'umanita', una volta che il deposto presidente filo-russo verra' catturato. Con lui dovranno essere giudicati anche l'ex ministro dell'Interno, Vitaly Zakharchenko, e l'ex procuratore generale di Kiev, Viktor Pshonka.

La Rada suprema, come e' chiamato il Parlamento, ha anche fatto rimuovere la stella sovietica che da decenni adornava una guglia del palazzo. Intanto l'ex capo di gabinetto di Yanukovich, Andriy Kliyuev, ha denunciato di esser stato rapinato dell'auto e ferito a una gamba da un gruppo di 20 persone. Sul fronte politico, l'ex campione del mondo di pugilato Vitaly Klitschko ha ufficializzato la volonta' di candidarsi alle presidenziali anticipate del 25 maggio, data in cui e' stato annunciato che si terranno anche le elezioni comunali. Da Mosca, il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, ha messo in guardia sulla pericolosita' del tentativo di costringere l'Ucraina a scegliere da quale parte stare, se con l'Occidente o con Mosca. "E' pericoloso e controproducente", ha avvertito. Una delegazione di senatori russi domani sara' in Crimea. Il Cremlino ha inoltre denunciato la decisione di convocare per il maggio elezioni presidenziali anticipate, definendola una violazione dell'accordo tra le forze di opposizione e Yanukovich che prevedeva prima la riforma della Costituzione. Dalle statue di Lenin, alla stella d'oro: l'Ucraina del dopo-Yanukovich cancella le tracce del passato sovietico. Ma il Parlamento di Kiev ha rimosso la stella d'oro a cinque punte dalla guglia del palazzo, nel centro della capitale. Lo ha annunciato lo stesso Tyahnibok, in un video pubblicato su YouTube, in cui e' mostrata la rimozione della stella dal pennone della bandiera ucraina.

Nelle proteste degli ultimi mesi, che hanno portato alla deposizione del presidente filo-russo, Viktor Yanukovich, numerose statue di Lenin sono state abbattute e danneggiate dai manifestanti. L'Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue, Catherine Ashton, ha ribadito in una conferenza stampa a Kiev che i Ventotto vogliono preservare l'integrita' territoriale ucraina. In settimana, poi, l'Ue presentera' un primo pacchetto di aiuti a breve termine, ha annunciato Elmar Brok, presidente della Commissione Esteri dell'Europarlamento.

L'arcivescovo della Chiesa greco-cattolica Sviatoslav Shevchuk, oggi a Roma, ha lanciato un appello all'Europa che "non deve avere paura degli ucraini respingendoli alle frontiere. Abbiamo bisogno di aiuti economici ma anche di solidarieta' diplomatica. I nostri giovani stanno costruendo in Ucraina l'Europa". Anche l'Ucraina ha i suoi desaparecidos, ha inoltre avvertito l'arcivescovo, parlando di tante persone scomparse nel Paese, "rapite dalle forze speciali, i berkut, assoldate dal governo".

UCRAINA: PORTO SEBASTOPOLI CRUCIALE, DA LI' MOSCA VA IN SIRIA

Il porto ucraino di Sebastopoli in Crimea e' strategico per la Russia, e questa non e' una notizia. Ma e' diventato ancora piu' strategico, di importanza cruciale, dal marzo del 2011, quando esplose il conflitto siriano. E da li', infatti, che Mosca coordina lo sforzo militare in Siria, e i movimenti nella sua base navale di Tartus e nel porto di Latakia, entrambi nel paese mediorientale. Ed e' il porto di Sebastopoli che assicura ai russi, attraverso il passaggio dagli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, uno sbocco nel mare caldo del Mediterraneo e nell'Oceano indiano in inverno, quando le acque nei porti del Baltico e del Mar Bianco congelano. L'accordo in base al quale l'Ucraina concede il porto ai russi scade nel 2017, ma nel 2010 Vladimir Putin e il presidente oggi deposto Viktor Yanukovich firmano un accordo per il prolungamento di venti anni della concessione.

 

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9 Banchieri morti in un mese. Coincidenze?

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Nel giro di 1 mese sono morti 9 banchieri. Ecco l'elenco riassunto:

1 - William Broeksmit , 58 anni, ex alto dirigente di Deutsche Bank AG, è stato trovato morto nella sua casa dopo un apparente suicidio a South Kensington, nel centro di Londra, il 26 gennaio.

2 - Karl Slym, 51 anni amministratore delegato Tata Motors è stato trovato morto al quarto piano dell'hotel Shangri-La a Bangkok il 27 gennaio.


3 - Gabriel Magee , un 39enne dipendente di JP Morgan, è morto dopo essere caduto dal tetto del quartier generale di JP Morgan europea a Londra il 27 gennaio.

4 - Mike Dueker , 50 anni, capo economista di una banca di investimento statunitense è stato trovato morto nei pressi del ponte di Tacoma nello Stato di Washington.

5 - Richard Talley, 57 anni, fondatore dell'American Title Services in Centennial, in Colorado, è stato trovato morto all'inizio di questo mese dopo essersi apparentemente sparato con una pistola sparachiodi.

6 - Tim Dickenson , un regista della comunicazione della società Swiss Re AG con sede nel Regno Unito è morto il mese scorso, ma le circostanze della sua morte sono ancora sconosciute.


7 - Ryan Henry Crane , un dirigente di 37 anni della JP Morgan è morto in un presunto suicidio solo poche settimane fa. Nessun dettaglio è stato rilasciato sulla sua morte a parte questo piccolo annuncio di un al Stamford giornaliera Voice.

8 - Li Junjie , 33 anni, banchiere di Hong Kong saltato dalla sede della JP Morgan nel quartier generale a Hong Kong questa settimana.

 

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LA GEOPOLITICA CHE PORTA ALLA GUERRA TERMONUCLEARE

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Le nazioni occidentali, guidate dall’Unione Europea e dall’amministrazione Obama, sostengono un tentativo di golpe apertamente neonazista in Ucraina. Se riusciranno nell’intento, le conseguenze andranno ben oltre i confini dell’Ucraina e degli stati limitrofi. Per la Russia, tale colpo di stato costituisce un casus belli, in quanto esso avviene nel contesto dell’espansione della difesa antimissile della NATO in Europa centrale e dell’evoluzione della dottrina USA e NATO del “Prompt Global Strike,” secondo cui gli Stati Uniti possono lanciare un primo attacco nucleare preventivo contro Russia e Cina e sopravvivere ad una rappresaglia.

Gli avvenimenti in Ucraina costituiscono la potenziale miccia di una guerra globale che potrebbe rapidamente degenerare in un olocausto termonucleare. Alla conferenza sulla Sicurezza Europea che si è tenuta a Monaco di Baviera i primi di febbraio, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha avuto un vivace scambio di battute con il Segretario Generale della NATO Generale Anders Fogh Rasmussen, dopo che quest’ultimo aveva accusato la Russia di “retorica bellicosa”. Lavrov ha risposto citando il programma europeo di difesa antimissile come un tentativo di garantire un potenziale di primo colpo nucleare contro la Russia.

Nel suo intervento a Monaco ed una settimana prima al World Economic Forum a Davos, in Svizzera, Lavrov ha accusato i governi occidentali di sostenere organizzazioni terroristiche neonaziste nel loro tentativo di porre l’Ucraina sotto il controllo dell’Unione Europea e della Troika rafforzando così l’accerchiamento della NATO intorno alla Russia.

Ma lungi dall’esagerare, Lavrov ha forse sminuito il problema.

I nazisti prendono la guida delle manifestazioni

Da quando il Presidente Janukovič ha annunciato che l’Ucraina non avrebbe accettato l’accordo associativo con l’Unione Europea, il 21 novembre 2013, organizzazioni di reduci di guerra e collaborazionisti nazisti dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN-B) ed i loro successori, sostenute dall’occidente, hanno lanciato una campagna di provocazioni mirante non solo a far cadere il governo del Primo Ministro Mykola Azarov, ma anche a rovesciare il Presidente Janukovič, democraticamente eletto.

Il Partenariato Orientale dell’UE fu avviato nel dicembre 2008 da Carl Bildt e Radek Sikorski, ministri degli Esteri di Svezia e Polonia, sull’onda dello scontro militare tra Georgia e Russia nel Sud Ossezia. Il Partenariato prese di mira sei ex repubbliche sovietiche: tre nella regione del Caucaso (Armenia, Azerbaijan, Georgia) e tre in Europa Centro Orientale (Bielorussia, Moldavia, Ucraina). L’idea era non di invitarle ad entrare a far parte dell’UE, ma di sottoporle ugualmente alla morsa di quest’ultima tramite cosiddetti accordi associativi, ciascuno incentrato su un Deep and Comprehensive Free Trade Agreement (DCFTA, ampio accordo di libero scambio). Il principale bersaglio era l’Ucraina. Con l’accordo associativo negoziato ma non firmato, l’economia industriale dell’Ucraina sarebbe stata smantellata, riducendo drasticamente l’interscambio con la Russia (che avrebbe messo fine al proprio accordo di libero scambio con l’Ucraina per impedire l’invasione di articoli europei sui suoi mercati tramite), ed i mercati europei avrebbero preso il controllo delle esportazioni ucraine di prodotti agricoli e materie prime. Lo stesso regime mortale di austerità imposto dalla Troika alla Grecia ed altri paesi del Mediterraneo sarebbe stato imposto anche all’Ucraina.

Inoltre l’accordo associativo imponeva anche una “convergenza” sulle questioni di sicurezza e l’integrazione nel sistema di difesa europeo. Secondo tale accordo, l’Ucraina avrebbe dovuto recedere dai trattati a lungo termine che concedono a Mosca l’uso dei porti del Mar Nero, cruciale per la Marina Militare russa, dando alla NATO una base avanzata sul confine con la Russia.

Anche se i media occidentali hanno raccontato che le manifestazioni in piazza dell’Indipendenza a Kiev (Maidan Nezalezhnesti, o Euromaidan come viene chiamata adesso) fossero inizialmente pacifiche, sta di fatto che fin dall’inizio le proteste includevano un nocciolo duro di estrema destra e neonazisti, hooligans e reduci delle guerre in Afghanistan, Cecenia e Georgia. Stando al parlamentare ucraino Oleg Tsariov, trecentocinquanta ucraini sono tornati dalla Siria nel gennaio 2014, dopo aver combattuto insieme ai ribelli siriani, inclusi gruppi terroristici legati ad al-Qaeda quali il Fronte al-Nusra e lo Stato Islamico di Iraq e Siria (ISIS).

Già nel weekend del 30 novembre-1 dicembre i rivoltosi gettavano cocktail Molotov ed hanno occupato il Municipio di Kiev dichiarandolo “quartier generale rivoluzionario”. I manifestanti del partito di opposizione Svoboda, che prima si chiamava nazionalsocialista, hanno marciato dietro la bandiera rossonera dell’ Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini di Stepan Bandera (OUN-B), ovvero i collaboratori nazisti che durante la seconda guerra mondiale sterminarono ebrei e polacchi per conto della macchina da guerra hitleriana, ispirati dall’ideologia della razza pura.

Lo slogan del partito Svoboda, “l’Ucraina agli ucraini”, era il grido di battaglia di Bandera durante la collaborazione tra l’OUN-B ed Hitler dopo l’invasione nazista dell’Unione Sovietica. Sotto quello slogan i combattenti fascisti di Bandera commisero esecuzioni di massa e pulizie etniche. Fonti ucraine riferiscono che già nell’estate del 2013, mesi prima che il Presidente Janukovič decidesse di rifiutare l’accordo associativo con l’UE, il partito Svoboda teneva dei campi di addestramento paramilitare.

Il carattere neonazista, razzista ed antisemita di Svoboda non ha impedito però ai diplomatici occidentali, inclusa Victoria Nuland, la vice di Kerry per gli affari europei ed asiatici, di incontrare pubblicamente il leader del partito Oleg Tjaghnìbok, che nel 2004 era stato buttato fuori dal movimento La Nostra Ucraina per i suoi discorsi contro “moscoviti ed ebrei” in cui usava termini offensivi e insulti per entrambi.

Il revival fascista di Bandera è evidente fin dalla Rivoluzione Arancione del 2004, quando Viktor Juščenko fu installato come Presidente dell’Ucraina con una campagna sostenuta dall’estero e finanziata dall’International Renaissance Foundation di George Soros e da oltre 2.000 ONG da Europa ed America, dopo aver perso ufficialmente le elezioni presidenziali contro Viktor Janukovič. Il 22 gennaio 2010, uno degli ultimi anni di Juščenko come Presidente, dopo la vittoria presidenziale di Janukovič con un ampio margine, fu quella di nominare Stepan Bandera un Eroe dell’Ucraina, che è il massimo onore di stato. Stando a notizie di stampa, la seconda moglie di Juščenko, Katerina Čumačenko, era anche lei membro del gruppo giovanile banderista OUN-B nella sua città di nascita, Chicago. Negli anni Ottanta, la Čumačenko presiedeva gli uffici di Washington dell’Ukrainian Congress Committee of America (su cui aveva grande influsso l’OUN-B, stando al Canadian Institute of Ukrainian Studies dell’Università di Alberta) e presiedeva anche il National Captive Nations Committee, prima di passare all’Ufficio del Dipartimento di Stato per i Diritti Umani. Nel gennaio 2011, il Presidente Janukovič revocò a Bandera l’onorificenza di Eroe dell’Ucraina.

L’OUN-B: un po’ di storia

Il retaggio dell’OUN-B è cruciale per comprendere la natura dell’insurrezione armata attualmente in corso in Ucraina. L’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini fu fondata nel 1929 e nel giro di quattro anni Bandera ne divenne il capo. Nel 1934 Bandera ed altri leader dell’OUN furono arrestati per l’assassinio di Bronislaw Pieracki, Ministro dell’Interno polacco. Bandera fu scarcerato nel 1939 ed avviò subito i contatti con il Quartier Generale dell’Occupazione tedesca, ricevendo fondi e organizzando l’addestramento nella Abwehr per 800 guastatori delle sue truppe. Quando ci fu l’invasione nazista dell’Unione Sovietica nel 1941, le forze di Bandera consistevano in almeno settemila combattenti organizzati in “gruppi mobili” coordinati con le forze tedesche. Bandera ricevette 2,5 milioni di marchi per condurre operazioni sovversive all’interno dell’Unione Sovietica. Dopo aver dichiarato lo stato indipendente ucraino sotto la sua direzione nel 1941, Bandera fu arrestato e mandato a Berlino. Ma mantenne i contatti coi nazisti che continuarono a finanziarlo, ed i suoi “gruppi mobili” ricevettero copertura aerea dai tedeschi per tutta la durata della guerra.

Nel 1943, l’OUN-B di Bandera iniziò una campagna di sterminio di massa di polacchi ed ebrei, uccidendo qualcosa come 70.000 civili solo durante l’estate di quell’anno. Anche se Bandera guidava ancora le attività dell’OUN-B da Berlino, la pulizia etnica veniva guidata da Mykola Lebed, capo del Sluzhba Bespeki, la polizia segreta dell’OUN-B. Nel maggio 1941, ad una sessione plenaria dell’OUN a Cracovia, l’organizzazione pubblicò un documento, “La lotta e l’azione dell’OUN durante la guerra” che dichiarava, tra l’altro, che “moscoviti, polacchi e ebrei ci sono ostili e vanno sterminati in questa lotta” (usando per moscoviti il nomignolo derogatorio “Moskal”).

Con la sconfitta dei nazisti, Bandera e molti leader dell’OUN-B furono mandati in vari campi di prigionia in Germania ed Europa centrale. Stando a Stephen Dorrill ed alla sua autorevole storia del servizio segreto inglese MI6, MI6: Inside the Covert World of Her Majesty’s Secret Intelligence Service, Bandera fu reclutato dall’MI6 nell’aprile 1948. Il collegamento coi britannici fu stabilito da Gerhard von Mende, un gerarca nazista che aveva diretto la Divisione Caucasica del Ministero del Reich per i Territori Orientali occupati (Ostministerium). Von Mende reclutò musulmani dal Caucaso e dall’Asia Centrale per farli combattere insieme ai nazisti durante l’invasione dell’Unione Sovietica. Alla fine della seconda guerra mondiale, lavorò per i britannici tramite una società di copertura, la Research Service on Eastern Europe, che era in realtà un ente di reclutamento per gli insorti musulmani all’interno dell’Unione Sovietica. Von Mende fu strumentale nel creare covi della Fratellanza Musulmana a Monaco di Baviera e Ginevra.

Tramite von Mende, l’MI6 addestrò agenti dell’OUN-B e li infiltrò in Unione Sovietica per condurre operazioni di sabotaggio ed assassinio tra il 1949 ed il 1950. Un rapporto dell’MI6 del 1956 loda Bandera come “un agente clandestino professionista con un background terroristico e spregiudicato nelle regole del gioco”.

Nel marzo 1956, Bandera andò a lavorare con l’equivalente tedesco della CIA, il BND, allora diretto dal Gen. Reinhardt Gehlen, capo dei servizi segreti militari sul fronte orientale durante la seconda guerra mondiale. Ancora una volta, von Mende fu uno dei suoi sponsor e protettori. Nel 1959, Bandera fu assassinato dal KGB in Germania occidentale.

Il principale sicario di Bandera, Mykola Lebed, comandante della polizia segreta dell’OUN-B, fece una carriera più lunga. Alla fine della seconda guerra mondiale fu reclutato dai Corpi di Counterintelligence dell’esercito americano e nel 1948 era sulla busta paga della CIA. Lebed reclutò gli agenti dell’OUN-B che non erano andati con Bandera e l’MI6, e partecipò ad un programma di sabotaggio dietro la Cortina di Ferro, che incluse la “Operation Cartel” e la “Operation Aerodynamics.” Lebed fu quindi trasferito a New York, dove diede vita ad una società di facciata della CIA, la Prolog Research Corporation, ed operò sotto il controllo di Frank Wisner, che era a capo del Direttorato per la Pianificazione della CIA negli anni Cinquanta. La Prolog continuò ad operare fino alla fine degli Anni Novanta, quando fu promossa e sostenuta da Zbigniew Brzezinski, consigliere del Presidente Jimmy Carter per la sicurezza nazionale.

Nel 1985, il Dipartimento di Giustizia USA lanciò un’inchiesta sul ruolo di Lebed nel genocidio in Polonia ed Ucraina occidentale durante la guerra, ma la CIA la bloccò e l’inchiesta fu abbandonata. Ciononostante, nel 2010, dopo la pubblicazione di migliaia di pagine di documenti di guerra, gli Archivi Nazionali pubblicarono un rapporto, Hitler’s Shadow: Nazi War Criminals, U.S. Intelligence, and the Cold War (l’ombra di Hitler: criminali di guerra nazisti, intelligence USA e guerra fredda), scritto da Richard Breitman e Norman Goda, che includeva un resoconto dettagliato sulla collisione tra Bandera, Lebed ed i nazisti e sul loro coinvolgimento nelle esecuzioni di massa di ebrei e polacchi.

Questo retaggio Bandera-Lebed e le reti intessute nel dopoguerra sono al centro degli avvenimenti attuali in Ucraina.

La denuncia dei leader ucraini

Il 25 gennaio ventinove partiti e organizzazioni politiche in Ucraina hanno lanciato un appello al Segretario Generale dell’ONU, alla dirigenza dell’UE ed agli Stati Uniti affinché prendano misure per “fermare i saccheggi da parte dei guerriglieri, l’incitamento alla guerra civile, un colpo di stato e la disintegrazione del paese”. L’appello fornisce dettagli cruciali sulla natura neo-coloniale ed anti-russa dell’accordo di associazione con l’UE, che l’attuale governo ucraino ha congelato, ma anche sulle organizzazioni neofasciste che prendono parte alle proteste. Una dei firmatari è l’economista Natalia Vitrenko, leader del Partito Socialista Progressista Ucraino, che più di un anno fa aveva messo in guardia da questi gruppi che, con l’incoraggiamento ed i fondi delle cosiddette ONG “per la democrazia” provenienti dall’occidente, avrebbero posto una minaccia al governo ucraino.

La dichiarazione esordisce: “La crisi politica ucraina peggiora di giorno in giorno, portando il paese verso una guerra civile fratricida, la perdita della sovranità e la disintegrazione dello stato. Si tratta di un progetto straniero per prendere il controllo dell’Ucraina. Viene attuato contro gli interessi e le esigenze del nostro popolo. Viene portato avanti violando la Costituzione e le norme e princìpi internazionali, basati sull’azione pacifica, sulle libere elezioni, la libertà di parola ed il rispetto dei diritti umani. Giacché i media internazionali riportano informazioni deliberatamente distorte sull’Ucraina, diffuse da politici e funzionari dell’UE e degli Stati Uniti, e queste vengono usate a sostegno di azioni illegali di guerriglia, ci vediamo costretti a lanciare il seguente appello”.

Quanto all’ideologia ed ai simboli neonazisti e neofascisti dell’Euromaidan, i firmatari si rivolgono direttamente ai leader occidentali: “Dovreste capire che, sostenendo le azioni di guerriglia in Ucraina, accordando loro lo status di ‘attivisti Euromaidan’ che prendono parte a presunte azioni pacifiche, state di fatto proteggendo, incitando ed istigando i neonazisti e i neofascisti ucraini”.

“Nessun leader dell’opposizione (Iatseniuk, Klitsčko e Tjaghnìbok) nasconde il fatto di continuare l’ideologia e le pratiche dell’OUN-UPA…. Ovunque vadano i teppisti di Euromaidan disseminano gli slogan citati prima e simboli nazisti (…) A conferma della natura neonazista di Euromaidan c’è l’uso costante di ritratti dei carnefici del nostro popolo, Bandera e Šukhevič—agenti dell’Abwehr.”

Solo alla fine di gennaio, quando le scene delle violenze di massa e dei manifestanti armati hanno finalmente spezzato la cortina fumogena dei media, i media occidentali hanno parlato del carattere neonazista della destabilizzazione in corso. La rivista Time, il 28 gennaio, ha titolato su Kiev “banditi di estrema destra prendono il controllo delle rivolte liberali in Ucraina”, pubblicando il profilo di un gruppo di nazisti detto Spilna Sprava (“Causa comune” ma la sigla è “SS”), al centro delle proteste.

Il giorno dopo il Guardian ha titolato: “In Ucraina, fascisti, oligarchi e l’espansione occidentale sono al centro della crisi” col sottotitolo: “La storia che ci viene raccontata sulle proteste a Kiev ha un rapporto molto lontano con la realtà”. L’inviato del Guardian Seumas Milne scrive onestamente: “Dagli articoli pubblicati finora non si sa che nazionalisti di estrema destra e fascisti erano al centro delle proteste e degli attacchi contro gli edifici del governo. Uno dei tre partiti di opposizione alla guida della campagna è il partito di estrema destra ed antisemitico Svoboda, il cui leader Oleg Tjaghnìbok sostiene che una ‘mafia moscovita ed ebraica’ controlli l’Ucraina. Il partito, che ora controlla la città di Leopoli, ha guidato una fiaccolata di 15.000 persone all’inizio del mese in memoria del leader fascista ucraino Stepan Bandera, le cui milizie combatterono coi nazisti nella seconda guerra mondiale, e che prese parte alle stragi di ebrei.”

Anche Counterpunch ha pubblicato il 29 gennaio un articolo di Eric Draitser, “L’Ucraina e la rinascita del Fascismo”, che inizia con il monito: “La violenza nelle strade dell’Ucraina è più di un’espressione di rabbia popolare contro il governo. Anzi, è solo l’ultimo esempio dell’ascesa della forma più insidiosa di fascismo che l’Europa abbia mai visto dalla caduta del Terzo Reich… nel tentativo di strappare l’Ucraina dalla sfera di influenza russa, Stati Uniti, UE e NATO si sono alleati, per la prima volta, con dei fascisti.”

 

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Tocca ai vescovi Usa difendere la dottrina

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Mons. KurtzSe l'episcopato tedesco è quello che ha colto l'occasione del Sinodo per fare da apripista a una profonda rivisitazione della morale sessuale cattolica (per farsene un'idea basta rileggere le dichiarazioni in serie del cardinale Reinhard Marx, del presidente della conferenza episcopale Robert Zollitsch, del vescovo di Treviri mons. Stephan Ackermann), ce n'è un altro che pare sempre più arroccato sul fronte opposto. Potente e ricco tanto quello tedesco, l'episcopato degli Stati Uniti è quello che meno si è sintonizzato sulle frequenze del nuovo Pontefice.

L'agenda impressa con forza e carisma da Francesco ha creato ben più di un mal di pancia tra le gerarchie americane. Un malcontento nient'affatto celato, ma che invece si è materializzato già pochi mesi dopo l'elezione al Soglio pontificio di Jorge Mario Bergoglio. E – fatto di un certo rilievo – a farsi carico delle perplessità non sono stati vescovi di piccole diocesi sperdute tra le Montagne Rocciose, bensì il cardinale arcivescovo di New York, Timothy Dolan, e l'arcivescovo di Philadelphia, Charles Chaput.

Qualche giorno fa, poi, era intervenuto con un’intervista sul Boston Globe il cardinale Sean O’Malley, cappuccino e unico statunitense incluso nella speciale commissione cardinalizia istituita da Francesco lo scorso aprile e incaricata di riformare la curia romana. O’Malley ha invitato alla prudenza e alla calma, spiegando che di cambiamenti alla morale sessuale della chiesa cattolica non ce ne saranno. Non è questa l’intenzione del Papa, spiegava l’arcivescovo di Boston, che conosce Bergoglio da molti anni. E anche a proposito della riammissione dei divorziati ai sacramenti, O’Malley è stato molto chiaro: «Non vedo alcuna giustificazione teologica per cambiare l’atteggiamento della chiesa - su questo argomento, anche perché - la chiesa non può cambiare le sue posizioni a seconda dei tempi».

Aveva fatto un certo clamore, la scorsa estate, l'intervista concessa da Dolan (all'epoca ancora presidente della conferenza episcopale statunitense) a John Allen. Conversando con il celebre vaticanista, il porporato diceva: «Noi volevamo anche qualcuno con buone capacità manageriali e di leadership, e fino ad oggi questo si è visto poco…». Il riferimento era a Tarcisio Bertone, che mesi dopo l'uscita di scena di Benedetto XVI ricopriva ancora la carica di Segretario di Stato. «Mi aspetto che dopo la pausa estiva si concretizzi qualche segnale in più in merito al cambiamento della gestione», aggiungeva Dolan e venendo in un certo senso accontentato.

Ancor più duro era stato l'arcivescovo Charles Chaput, cappuccino ed esponente di punta della linea conservatrice dell'episcopato a stelle e strisce. Lo scorso luglio, mentre si trovava a Rio de Janeiro per la Giornata mondiale della Gioventù, il presule affermava che «l’ala destra della Chiesa non ha mostrato felicità per l’elezione» di Bergoglio. Il motivo, secondo Chaput, era da cercare anche nella posizione considerata soft del Pontefice argentino circa i cosiddetti princìpi non negoziabili: «Non si può immaginare che il Papa non sarà così pro life e a favore del matrimonio tradizionale come i pontefici del passato», notava maliziosamente l'arcivescovo di Philadelphia, che constatava comunque che «al momento Francesco non ha espresso queste cose in modo combattivo». Questioni «come l’aborto e il matrimonio non sono questioni politiche. Sono questioni di dottrina e morale. E noi vescovi, tutti, dobbiamo parlare di queste cose», aggiungeva ancora.

Era la spia di un malcontento che si sarebbe palesato in maniera ancor più forte dopo l'intervista concessa dal Papa alle riviste gesuite, lo scorso agosto. Quell'invito a non parlare sempre di aborto, nozze gay e contraccezione e a non «ossessionare con la trasmissione disarticolata di dottrine» i fedeli segnava un chiaro cambiamento di passo. Per la chiesa americana che per anni aveva assunto una posizione battagliera in difesa della vita, proprio portando tale questione nel dibattito pubblico e usando assai spesso toni forti nei confronti del potere politico civile, si trattava di posizionarsi su un sentiero diametralmente opposto. Un'inversione di priorità che comportava l'attenuazione dei toni e una ricerca il più possibile fruttuosa di un dialogo con le istituzioni.

Non a caso, tra i più ferventi ammiratori di Francesco c'è Obama, che oltre a inserire nei propri discorsi intere frasi pronunciate dal Papa argentino su economia e povertà, vede in Bergoglio la possibilità di rompere l’arcigno fronte conservatore che dal 2009 si oppone in modo fermo alle sue politiche. Nozze omosessuali, aborto e, da ultimo, la riforma sanitaria. Tutti provvedimenti che hanno scavato un solco profondo tra la Casa Bianca e la conferenza episcopale, fin dalla presidenza del cardinale Francis George (2007-2010) schierata a destra. Ecco perché il presidente degli Stati Uniti aveva giudicato positiva l’elezione di mons. Joseph Kurtz, arcivescovo di Louisville, a capo della conferenza episcopale in sostituzione del cardinale Dolan, avvenuta lo scorso novembre. Il profilo del presule, dopotutto, induceva a ben sperare la Casa Bianca: moderato, estraneo alla logica muscolare del predecessore, flessibile e portato alla ricerca del dialogo. Non si poteva sperare di meglio, visto che difficilmente si sarebbe potuto sperare in un nuovo Bernardin, l’arcivescovo di Chicago scomparso nel 1996, icona del cattolicesimo progressista americano.

Ma è bastato solo un mese e mezzo per vedere infrante le speranze. A fine anno, mons. Kurtz ha accusato Obama di mettere in pericolo la libertà religiosa sancita dalla Costituzione, imponendo di fatto anche agli enti religiosi di sottoscrivere assicurazioni che coprono prestazioni abortive o legate alla contraccezione. Una lettera dai toni duri e pesanti, che ha confermato come la linea dell’episcopato sia ancora quella tracciata da Dolan e – ancor prima – da George.

E proprio sulla successione di questo a Chicago si giocherà una partita importante, forse “decisiva per capire cosa pensa davvero Francesco della chiesa americana”, notava sul suo blog lo storico del cristianesimo di Scuola Vaticano II, Massimo Faggioli. La scelta si avvicina, il cardinale George è già in proroga da due anni, e nei prossimi mesi il Papa nominerà il successore. Non si tratta di una decisione semplice, che riguarda una piccola diocesi.

Si tratta di scegliere se proseguire sull’impostazione conservatrice data dall’attuale arcivescovo o se tornare al progressismo di Bernardin, così tanto apprezzato da Obama e dai cattolici liberal à la Nancy Pelosi. Si capirà anche chi ha un peso concreto nel consigliare e suggerire al Papa i profili per le cariche episcopali d’America, ora che il conservatore Raymond Leo Burke è stato rimosso dalla congregazione per i Vescovi. Il chiaro ridimensionamento di quest’ultimo, già arcivescovo di St. Louis prima di essere chiamato qualche anno fa da Benedetto XVI a presiedere il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, indica già che Francesco ha intenzione di svoltare. Il porporato, infatti, era tra i più ascoltati da Ratzinger quando si trattava di nomine episcopali negli Stati Uniti.

 

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Chomsky: padroni dell’umanità, hanno ucciso l’Europa

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Noam ChomskySi credono i padroni dell’umanità, e purtroppo lo stanno diventando: la politica democratica ha cessato di resistere loro, spianando la strada alla dittatura incondizionata dei poteri forti, economici e finanziari, che ormai dettano le condizioni della nostra vita pubblica. Parola di Noam Chomsky, considerato il maggior linguista vivente, autore del capolavoro “Il linguaggio e la mente”. A 86 anni, il professore statunitense dimostra una lucidità di pensiero e di visione che non lascia spazio a dubbi. Nessuna illusione: «Le nostre società stanno andando verso la plutocrazia. Questo è il neoliberismo», dice Chomsky, in Italia per il Festival delle Scienze di Roma, gennaio 2014. Il titolo dell’ultima raccolta di testi inediti tradotti in italiano è estremamente esplicito: loro, gli oligarchi globali, signori delle multinazionali e grandi banche d’affari, sono “I padroni dell’umanità”.

«La democrazia in Italia è scomparsa quando è andato al governo Mario Monti, designato dai burocrati seduti a Bruxelles, non dagli elettori», afferma Chomsky. In generale, come risporta il newsmagazine “Contropiano”, per Chomsky «le democrazie europee sono al collasso totale, indipendentemente dal colore politico dei governi che si succedono al potere». Sono “finite”, le democrazie del vecchio continente – Italia, Francia, Germania, Spagna – perché le loro sorti «sono decise da burocrati e dirigenti non eletti, che stanno seduti a Bruxelles». Decide tutto la Commissione Europea, che non è tenuta a rispondere al Parlamento Europeo regolarmente eletto. Puro autoritarismo neo-feudale: «Questa rotta è la distruzione delle democrazie in Europa e le conseguenze sono dittature».

Per Chomsky, il neoliberismo che domina la dottrina tecnocratica di Bruxelles è ormai un pericolo planetario. Il fanatismo del “libero mercato” come via naturale per un’economia sana poggia su dogma bugiardo e clamorosamente smentito: senza il supporto pubblico (in termini di welfare e di emissione monetaria) nessuna economia privata può davvero svilupparsi. Oggi il neoliberismo si configura come «un grande attacco alle popolazioni mondiali», addirittura «il più grande attacco mai avvenuto da quarant’anni a questa parte». Desolante il silenzio dell’informazione, che coinvolge gli stessi “new media”: la loro tendenza è quella di «sospingere gli utenti verso una visione del mondo più ristretta». In modo sempre più automatico, «le persone sono attratte verso quei nuovi media che fanno eco alle loro stesse vedute», quelle cioè dei “padroni dell’umanità”.

 

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Gli Stati Uniti ed Israele si preparano a muovere

 un attacco preventivo contro l’Iran

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http://2.bp.blogspot.com/-uboei5N9sEg/TsASGSMSliI/AAAAAAAAHOE/Z0QLhG9hKFk/s1600/iran-next.jpgLo spettro di un nuovo conflitto dagli esiti imprevedibili si sta avvicinando a grandi passi in Medio Oriente.
Riepiloghiamo in sintesi i fatti : a Ginevra venivano condotti una serie di negoziati, presente la delegazione dell’Iran, a cui partecipavano gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, la Francia e la Gran Bretagna ( le potenze denominate il gruppo dei 5+1) circa la questione del nucleare iraniano. Era stato raggiunto un primo accordo a fine dello scorso Novembre per il quale l’Iran essenzialmente accettava di interrompere il processo di arricchimento dell’uranio superiore al 5% ed a smantellare una parte dei suoi impianti, ad interrompere la costruzione del nuovo reattore di Arak e si impegnava nel permettere l’accesso ai siti ai funzionari dell’AIEA.

Questo in cambio di un alleggerimento delle sanzioni da parte degli USA e dei paesi occidentali, dell’ONU e lo sblocco di oltre 4 miliardi di dollari, proventi della vendita del petrolio iraniano, fatti congelare dagli USA.
Si sapeva comunque che questo accordo che era favorito dalla maggiore apertura della nuova dirigenza iraniana e da evidenti interessi delle potenze occidentali a sdoganare un paese potenzialmente ricco come mercato per lo sviluppo dell’interscambio, oltre che per alleggerire le tensioni internazionali.
Inflessibile invece l’atteggiamento di Israele che ha manifestato tutta la sua ostilità al negoziato spingendo anche la Francia, totalmente appiattita sulle posizioni israeliane tramite il ministro Laurent Fabius (un ministro con passaporto israeliano in tasca) ad una posizione intransigente fin dall’inizio del negoziato. D’altra parte Israele aveva provveduto a mobilitare, tramite l’AIPAC e le altre organizzazioni della potente lobby israeliana negli USA , i personaggi che contano nel fare pressioni e ricattare i senatori da loro controllati (molti eletti grazie all’appoggio della lobby) per far sabotare l’accordo al Congresso.

Questo in effetti è stato l’esito finale: il sabotaggio del negoziato e la decisione di nuove sanzioni all’Iran comunicata ieri da Obama in occasione della visita del presidente francese Hollande. Obama rimane ostaggio della lobby israeliana e viene travolto da questa.
Hanno prevalso i “falchi” e si arenano di fatto i negoziati con l’Iran che difende la sua posizione di principio del suo diritto ad arrivare a disporre di energia nucleare mentre Israele preme su Washington per l’attacco preventivo all’Iran, timoroso di perdere la superiorità militare sulla regione a favore del suo principale nemico: l’Iran.

Gli analisti indipendenti hanno già segnalato vari indizi di preparativi militari fatti sia dagli USA sia da Israele e di dislocazione di basi missilistiche nella regione in vista di un probabile attacco all’Iran che potrebbe avere conseguenze devastanti ,visto il rafforzamento di capacità militare e missilistica da parte degli iraniani i quali, in caso di conflitto, bloccherebbero lo stretto di Hormutz, strangolando i rifornimenti petroliferi da cui dipende l’economia europea. L’Iran non è un piccolo paese ed ancora una volta il Pentagono sottovaluta la capacità di reazione dell’apparato militare iraniano.
Nel frattempo continua la guerra in Siria con il nuovo rifornimento di armi ai ribelli, da parte degli USA attraverso la Giordania ,documentato qualche giorno fa anche da questo sito.

Obama ha dichiarato di non ritenere soddisfacente il processo di smantellamento delle armi chimiche svolto dal regime di Assad e che si riserva (dichiarazione di ieri) l’opzione dell’intervento militare in ogni caso. Si manifesta la doppia faccia di Obama: da un lato si dispone a negoziare con l’Iran e con il regime di Assad, dall’altra fornisce armi ai terroristi che operano in Siria per rovesciare il regime (terroristi che promuovono la Jihad e non “ribelli” come li definiva la stampa occidentale) e si prepara ad un confronto militare con l’Iran.
La situazione appare estremamente complicata anche per il fatto che in Siria è stato accertato che operano, tra milizie integraliste dei takfiri di varie nazionalità, circa 15.000 ceceni, cittadini russi islamici con i quali la Russia di Putin ha un conto da saldare per gli ultimi episodi di terrorismo. Dietro i miliziani, che sarebbe più corretto definire mercenari, c’è l’Arabia Saudita che recluta e finanzia le milizie tramite il suo servizio di intelligence e i gruppi terroristi, fanatici integralisti hanno ampliato il loro campo di azione anche in Iraq e nel Libano seminando autobombe ed attacchi contro obiettivi sciiti. Vedi la denuncia del primo ministro irakeno Nuri al -Maliki.

Sembra evidente quindi che tutta la regione è ormai una polveriera che non trova pace e, se come sembra, i piani di Washington e di Tel Aviv sono di un intervento diretto probabilmente prima in Siria per isolare l’Iran, poi direttamente su Teheran, questa volta ci sarà una reazione immediata da parte Russia, visto che Putin ha dislocata buona parte della sua flotta davanti alle coste della Siria e non è disposto a dare il via libera agli USA ed alla NATO come avvenne in Libia.
Ancora una volta saranno gli americani ed Israele a scatenare una guerra con l’appoggio dei loro impresentabili amici della monarchia saudita, uno stato assolutista e retrogrado, che fomenta il terrorismo in tutta la regione e che dispone di copertura nelle capitali occidentali grazie ai suoi petroldollari.

Questo non impedirà agli americani di montare un’altra campagna a pretesto della guerra adducendo la necessità di “portare la democrazia” e “difendere il mondo libero dal pericolo dell’Iran atomico”.
Si sta mobilitando tutto l’apparato propagandistico occidentale quello dei mega media, le TV, i giornali, gli opinionisti, persino la filmografia di Holliwood, per preparare l’opinione pubblica all’ineluttabile guerra contro l’Iran degli Ayatollah, un paese dipinto come il “male assoluto”, dove vengono violati i diritti umani in particolare quelli dei gay , tanto cari agli opinionisti occidentali. Gli stessi opinionisti occidentali, giornalisti ed intellettuali come il Bernard Levy in Francia o il Roberto Saviano in Italia, sionisti per vocazione, i quali, sempre in prima linea a difendere Israele, si guardano bene dal commentare quale sia la natura assolutista e tirannica del regime saudita e delle altre petromonarchie del Golfo, quanto a rispetto di diritti umani, visto che questi stati sono alleati dell’Occidente ed i loro petroldollari servono per alimentare le “democrazie”. “Pecunia non olet”dicevano i latini che avevano già capito come va il mondo circa 2000 anni fa.
Gli americani ed i sionisti non permetteranno interferenze sui loro piani di guerra ed hanno già iniziato a mettere sull’avviso i governi dei vari paesi occidentali che si preparavano allo sblocco delle sanzioni all’Iran.
Un avvertimento è giunto dall’ONU anche al Vaticano, sottoforma di condanna per la questione dei preti pedofili: anche il Papa è avvisato non si intrometta con i suoi appelli alla pace perché gli potrebbe essere scatenato contro tutto l’apparato mediatico e propagandistico per presentare la Chiesa romana come un covo di preti pedofili. Le centinaia di agenzie internazionali, come Human Rights Watch, finanziate dai vari Soros, sono già all’opera, per recriminare a tutti i nemici dell’America e di Israele il mancato rispetto dei “diritti umani” e per sobillare rivolte arancioni e primavere arabe come già avvenuto in Ucraina, in Nord Africa e come da tempo cercano di sobillare anche in Russia ed in Iran. Il nemico si attacca prima con la propaganda e poi con l’aviazione.

 

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AMERICANI E EUROPEI FINANZIANO ANCHE I

NEONAZISTI UCRAINI PUR DI FARLA PAGARE A PUTIN

Ucraina, Usa e Ue elaborano pacchetto di aiuti finanziari all'opposizione

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INCHIESTA ESPLOSIVA / LA CDU DI ANGELA MERKEL ORGANIZZA PARTITI NEONAZISTI IN UCRAINA. TUTTI I NOMI E RESPONSABILITA'L’Europa e gli Stati Uniti possono offrire un significativo aiuto economico all’Ucraina. Questo verosimile sviluppo degli eventi è stato annunciato dal capo della diplomazia UE Catherine Ashton. A sua detta è già in elaborazione non solo un programma di intervento finanziario diretto, ma anch un sistema complesso di misure.

Ieri il capo della diplomazia europea Catherine Ashton è giunta in a Kiev dove ha incontrato i leader dell'opposizione: l'ex pugile Vitali Klitschko, Arseni Iatseniuk, capogruppo del partito della Timoshenko, e il capo del partito ultranazionalista 'Svoboda' (già partito socialnazionalista), Oleg Tiaghnibok.

I paesi occidentali continuano a intensificare la collaborazione con l’opposizione ucraina. Ma è difficile stimare i passi reali, commenta il dottore in scienze politiche Vladimir Shtol’.

Tutto mentre allo stesso tempo i problemi finanziari della stessa Europa non sono definitivamente risolti. La Grecia ha ancora bisogno di sostegno finanziario. I greci promettono di estinguere i debiti in miliardi di euro solo nel 2016. Ma rimangono in difficoltà paesi quali la Spagna e il Portogallo. E mentre la “Troika” dei crediti respinge la raffica di critiche ad essa indirizzate, i politici europei cercano ulteriori 15 miliardi per l’Ucraina.

 

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Insider vuota il sacco sull’imminente

crollo dei mercati finanziari

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Lavoro come agente di borsa di Piper Jaffray, Los Angeles. Quello che è successo ieri mi ha lasciato assolutamente sbalordito, incredulo. Gestisco i portafogli per più della metà dei nostri clienti più ricchi e il mio capo mi ha chiamato nel suo ufficio e mi ha detto di vendere subito tutto. Il mio pensiero ovvio era che ci sarebbe stato un problema grosso, ma era strano che lui era così sicuro di ciò che stava facendo. Gli chiesi spiegazioni, ”stiamo andando in una crisi valutaria”, mi rispose. Le principali banche stanno andando in default nelle prossime tre settimane.
I mercati azionari stanno per andare in una violenta tendenza al ribasso non solo qui ma in tutto il mondo. Le valute di tutto il mondo stanno per muoversi in ogni direzione e non si può minimamente predire quali saranno ancora in piedi dopo che tutto questo sarà finito. Molti investitori verseranno tutto nei mercati obbligazionari, sarà interessante vedere cosa farà la FED. Tutto ciò che fecce in questi ultimi mesi per questa situazione non fu fatto certamente per aiutare o risolvere alcun problema.

Gli chiesi chi gli aveva dato tale informazione, e che cosa sta innescando la crisi valutaria, ”Ho parlato con un mio amico che è dirigente di JP Morgan,” fu la risposta, ” La fiducia cinese è ai minimi storici, ciò sta per causare un effetto domino che si riverserà in ogni mercato e ogni valuta nel mondo”.. Ha anche detto che la prossima settimana dal 27 al 31 ci sarà un trading volatile e che questo crollo è imminente entro le prossime tre settimane. Sto cercando di liberarmi di tutte le mie azioni e obbligazioni, ma il problema è che il dollaro non è un rifugio sicuro. Sono in procinto di acquistare metalli preziosi, immobili, franchi svizzeri, Dong vietnamita, Naira Nigeriana, Rublo russo, e Pesi messicani. Perché acquistare valuta dei paesi del terzo mondo? Non hanno molta industria, perciò rischiano di meno. La loro economia è prettamente agricola ed energetica.

 

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Il grande olocausto dei nativi americani

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LO STERMINIO DEGLI INDIANI DELL’AMERICA DEL NORD

Come di consueto il 27 Gennaio di ogni anno si celebra la “Giornata della Memoria” per ricordare gli ebrei deportati e uccisi dal regime nazista. Va detto innanzitutto che chi scrive allontana qualunque accusa di negazionismo o di razzismo nei confronti di quanti persero la vita o furono sottoposti ad orribili torture nei campi di concentramento del Terzo Reich, poiché ad essi come a tutti gli altri sventurati che hanno subito simili abomini deve essere riconosciuto rispetto ed onore. Ciò che si vuole quantomeno osservare con occhio critico è come tale vicenda sia ormai da molti anni posta all’attenzione generale dei media che si prodigano in tutti i modi a ribadire il martirio del popolo ebraico (sempre che dell’esistenza di un tale popolo si possa parlare), e tacciando di razzismo ed antisemitismo chiunque metta anche solo semplicemente in discussione questioni come la legittimità o le singole azioni di Israele o la validità dei contenuti dell’ideologia sionista. Ogni qualvolta una persona o un gruppo politico della più diversa natura accenna anche ad un minimo discorso a riguardo, partono le solite accuse di complicità con chi negli anni del dominio hitleriano ha pianificato l’omicidio di numerosi innocenti. Sotto tale luce risulta quantomeno sospetto come invece altri e ben più vasti genocidi sono stati rimossi completamente dalla coscienza comune oppure, ancor peggio, giustificati in vario modo. Per vastità e modalità di esecuzione, il più noto è senza dubbio quello dei nativi che popolavano l’America settentrionale e che vengono normalmente chiamati Indiani o pellerossa. I motivi per cui tale genocidio sia passato in secondo piano, quando non del tutto dimenticato, sono molti, ma nessuno assolutamente giustificabile. Il massacrò iniziò praticamente pochi anni dopo la scoperta del continente americano e si concluse alla soglia della Prima Guerra Mondiale, quindi si sviluppò lungo un periodo di tempo molto vasto e difficilmente delimitabile. Le modalità del genocidio poi sono state molte, dall’eccidio vero e proprio di intere comunità sterminate sistematicamente con le armi da eserciti regolari o da soldataglie criminali assoldate alla bisogna per mantenere pulita l’immagine dei governi ufficiali, alla diffusione intenzionale di malattie endemiche come il vaiolo. A testimonianza di ciò vale la pena di riportare le parole del generale inglese Jeffrey Amherst nell’impartire un ordine al colonnello Bouquet durante la rivolta di Pontiac nel 1763: “Farete bene a tentare di contaminare gli Indiani mediante coperte in cui abbiano dormito malati di vaiolo, oppure con qualunque altro mezzo a sterminare questa razza esecrabile…”. Altri metodi di genocidio furono la fame, bruciando intenzionalmente i frutti della terra, o le deportazioni forzate attraverso territori enormi per mezzo di estenuanti marce forzate in pessime condizioni igieniche e climatiche.

Moltissimi furono poi gli Indiani che perirono nelle guerre tra le varie potenze europee che occupavano il suolo americano (Spagna, Impero britannico, Francia) e successivamente durante la guerra d’indipendenza delle colonie americane. In questi casi gli Indiani che scelsero di servire dalla parte della causa poi rivelatasi perdente (e purtroppo la maggioranza fece questa scelta prima con i francesi e poi con le forze lealiste all’Impero britannico) andarono incontro a durissime conseguenze. I coloni di origine europea non perdevano nessuna occasione di provocare gli Indiani spingendoli a commettere azioni violente, attirandoli in risse, violando i loro territori di caccia, abbattendo in massa i bisonti, vendendo loro alcool. I popoli indigeni di queste terre avevano una lunghissima tradizione guerriera e una psicologia molto semplice, per cui un torto fatto ad un membro di una tribù equivaleva per loro ad un atto di guerra scatenando la reazione indiana verso il “nemico bianco”, e in questi casi vittime di tale reazione erano anche molti innocenti. Del resto queste reazioni violente verso i coloni si dimostrarono ben più perniciosi verso gli Indiani che non verso i coloni stessi, i quali venivano aizzati volutamente da pochi interessati alla vendetta e alla rappresaglia contro i “selvaggi”, rei di terribili colpe, deumanizzati e dipinti agli occhi dell’opinione comune come belve feroci da abbattere ad ogni costo. Un altro pretesto che veniva usato contro gli Indiani era l’accusarli di “insensato tradizionalismo” ossia la loro legittima ostilità a sottomettersi ad usi e costumi che non gli appartenevano e il rivendicare diritti (se di rivendicazione si può parlare, perché chi da secoli vive in un determinato territorio ed esercita la sua sovranità su di esso, lo può ben considerare la propria Patria) su enormi porzioni di territorio, che i coloni non potevano sfruttare. Evidentemente la violazione della sovranità nazionale degli altri Paesi e la pretesa superiorità di uno stile di vita rispetto ad altri giudicati selvaggi e l’intervento violento per imporre quello stile di vita è una tradizione ben radicata nella cultura statunitense che perdura ancora oggi!

A tutto questo si aggiungeva poi l’idea che la storia umana è fatta di scontri di civiltà, e quindi una società più evoluta e più potente ha il legittimo diritto di sottomettere con ogni mezzo, civiltà e culture più deboli e arretrate: quindi gli Indiani, ritenuti inferiori e refrattari alla modernizzazione anglosassone, non avevano alcun diritto ad ostacolare lo sviluppo del futuro stato americano.

Altro aspetto che pesa sulla vicenda del genocidio è che gli Indiani, contrariamente ad altri casi similari, non si sono affatto rassegnati più o meno passivamente allo sterminio, ma hanno reagito con coraggio affrontando la violenza dei colonizzatori con continui tentativi di liberazione sfruttando al meglio le loro antiche abilità guerriere, compensando con l’astuzia e l’abilità l’enorme divario di forze in campo, riuscendo in più occasioni a sconfiggere i loro avversari.

Come purtroppo spesso accade, chi reagisce ad una violenza allo stesso modo è vittima del diffuso ed ipocrita pensiero pacifista, quindi spesso si sentono discorsi insensati nei quali gli Indiani assumono il ruolo dei “cattivi”, dei guerrieri sanguinari, quindi la reazione dei colonialisti viene tutto sommato giudicata legittima perché difensiva e questo getta ulteriore polvere sulla vicenda rendendo difficile un giudizio obiettivo.

La stessa cosa avviene spesso quando si considera il lungo conflitto israelo-palestinese, dove le forze di resistenza all’aggressore sionista vengono accusate di terrorismo o di guerrafondaismo, come se questo bastasse a fare passare in secondo piano l’aggressione e la violenta e progressiva privazione di territorio di cui la popolazione palestinese è tuttora vittima, e che giustamente reagisce nell’unico modo possibile.

Dopo aver tratteggiato questo quadro, legato per lo più alla visione della società di allora, va quindi analizzato il perché questo avvenimento così tragico sia tuttora molto poco trattato dalle presunti “menti aperte” della civiltà odierna. Se consideriamo i sopravvissuti al plurisecolare massacro vediamo che essi si attestano su circa 800.000 individui, di cui solo la metà di genetica a prevalenza indiana e che costoro coprono la fascia più povera della popolazione statunitense. Basti pensare che il reddito medio settimanale di una famiglia indiana negli USA è di 30 dollari (contro una media nazionale di 130);che hanno una speranza di vita di 42 anni (contro i 67 della media nazionale); una mortalità infantile e un tasso si suicidi tra gli adolescenti rispettivamente di 5 e 10 volte superiore alla media nazionale; che i 45% degli abitanti delle riserve è disoccupato e il 42% di essi è analfabeta. Va poi sottolineato che i territori delle riserve sono ricchissimi di materie prime:l’80% dell’uranio, il 40% del petrolio e il 75% del carbone, estratti negli USA provengono dalle riserve, ma lo sfruttamento di tali risorse è appannaggio di una ventina di grandi compagnie che se ne dividono i profitti, mentre agli Indiani non spettano che ridottissime provvigioni. Per coloro che cercano una via di fuga dalle riserve, la situazione non migliora di certo: dispersi in tristi realtà di degrado urbano, a cui ben pochi offrono un lavoro stabile, emarginati e disprezzati, i discendenti delle antiche tribù indiane diventano facili prede della droga, dell’alcolismo e della malavita. E’ logico quindi che a ben pochi importa della loro sorte o dei soprusi subiti in secoli di aggressione coloniale e di certo sono ben pochi tra di loro quelli che possono usufruire dei mezzi di comunicazione di massa per far conoscere a quante più persone i gravissimi torti subiti. Del resto gli Stati Uniti, in questa fase storica di progressivo appannamento della loro immagine a livello internazionale e dei loro aggravati problemi socioeconomici, hanno ben poco interesse a farsi ulteriore cattiva pubblicità, mostrando una delle più sanguinose basi su cui è stata costruita la loro attuale potenza.

Stridente è il contrasto con l’olocausto della comunità ebraica, i cui appartenenti oggi in buona parte ricoprono cariche istituzionali importanti in molti organismi politici ed economici a livello nazionale ed internazionale, sono proprietari di banche, imprese multinazionali, radio, giornali e televisioni oltre all’acquisizione di parecchie simpatie negli ambienti più disparati. Se poi paragoniamo il territorio-simbolo della comunità ebraica internazionale, ossia lo Stato di Israele, potenza regionale militare ed economica, con le poverissime e dimenticate riserve indiane, la misura è colma. In altre parole tutto è riconducibile a un preciso calcolo economico e geopolitico delle potenze imperialiste: ricordare il genocidio degli Indiani non rende, non rafforza l’immagine di queste potenze, né genera profitti, mentre ricordare il genocidio ebraico è utile a tali scopi.

Tutte queste motivazioni sono necessarie per capire come mai il genocidio dei nativi americani sia passato in secondo piano rispetto ad altri, ma per chi è ancora scettico riguardo all’entità e alle modalità di tale disastro umanitario è sufficiente citare le tappe più importanti della sua esecuzione.

MILIONI DI NATIVI D’AMERICA STERMINATI

La conquista del suolo americano si può suddividere in cinque grandi fasi.

La prima fase (1512-1689) è caratterizzate dalle imprese isolate di pionieri di varia origine (in genere spagnoli, inglesi, olandesi e francesi),molti dei quali erano persone che avevano scelto questa via per sfuggire ad un destino di prigionia in Europa. Inizialmente i nativi furono accoglienti verso questi nuovi arrivati, ma in breve, di fronte alle mire egemoniche di cui presto diedero mostra, mutarono ben presto atteggiamento opponendo una dura resistenza all’avanzata dei conquistatori, ma venendo infine sconfitti dalla superiorità bellica di questi ultimi.

L’episodio che caratterizzò più di tutto questa fase fu la vittoriosa resistenza all’invasione francese da parte degli Irochesi. Essi erano al tempo i più evoluti fra i nativi nordamericani e costituivano la “Lega della lunga casa”, con un ordinamento giuridico evoluto e comprendevano cinque tribù (per questo vennero chiamati anche “Lega della Cinque Nazioni”: Mohawk, Oneida, Onondaga, Cayuga e i Seneca, questi ultimi i più numerosi e agguerriti. Va detto che in genere i rapporti dei nativi con i francesi fu relativamente buono (soprattutto con le tribù Algonchine, nemiche storiche degli Irochesi). Questo, non perché i francesi fossero migliori ma semplicemente perché i loro interessi erano più volti al commercio, che all’acquisizione di terre. Tuttavia i capi Irochesi erano lungimiranti e sapevano bene che la presenza dei nuovi arrivati avrebbe portato loro solo sciagure. Essi contavano 12.000 individui, di cui circa 1200 guerrieri. Le prime azioni degli Irochesi furono dirette contro le tribù vicine, amiche dei francesi, in maggioranza Huroni, che vennero quasi completamente annientati. Poi i guerrieri delle cinque nazioni diressero i loro attacchi contro i Neutral e gli Erie, che fecero analoga fine e i cui resti andarono ad ingrossare le fila irochesi.  La guerra vera e propria contro i francesi iniziò nel 1652, quando un Seneca venne arrestato e arso vivo dai francesi a Trois-Rivieres.  Bramosi di vendetta,  600 guerrieri irochesi devastarono la località. Nel 1660 un’armata di 1200 Irochesi guidati da Aharihon tentarono l’assalto a Quebec, ma incontrarono una forte resistenza che li costrinse a limitarsi a tenere sotto assedio la città per un anno. In seguito all’arrivo di tre nuovi comandanti francesi:Talon, Tracy e Courcelles, i francesi contrattaccarono con alterne fortune, ma senza mai spezzare la resistenza nemica che li logorava con continui attacchi seguiti da rapidissime ritirate. Nel 1684 gli Inglesi costruirono un’alleanza con gli Irochesi, fornendo loro armi in quantità. Nonostante fossero state avviate dei tentativi di pacificazione, un’azione vergognosa del nuovo governatore Denonville le fece fallire. Costui invitò 60 Indiani ad un banchetto con la scusa di negoziare, ma invece li fece spedire come schiavi in Francia. I futuri schiavi però non videro mai la loro destinazione: morirono tutti durante il viaggio a causa di un’epidemia contratta sulla nave. Gli Irochesi non dimenticarono mai questo affronto. Ebbri di vendetta piombarono il 5 agosto 1689 sul villaggio di Lachine, radendolo al suolo, uccidendo o catturando tutti gli abitanti. Nessun altro tentativo francese spezzò la loro resistenza. Ad aggravare la situazione, in quell’anno l’Inghilterra dichiarò guerra alla Francia.

Mentre questo accadeva nel Nord del continente, a Sud, negli stessi anni, gli Inglesi della Virginia, in seguito ad alcuni incidenti di bassa entità (alcuni Indiani rubarono dei maiali in seguito ad un mancato pagamento da parte dei virginiani e questi ultimi si vendicarono uccidendo molti indigeni), scoppiò una rivolta nota come “rivolta di Bacon”. Ancora una volta i coloni accesero la scintilla uccidendo sei capi della tribù dei Susquehanna, scatenando la loro reazione. Contro la linea pacificatrice del governatore della Virginia, si scagliò un colono recentemente sbarcato, Nathaniel Bacon, che non riconosceva ai nativi alcun diritto su quelle terre. Alla guida di 440 mercenari attaccò un villaggio vicino a Richmond uccidendo 150 persone, senza nessuna distinzione di età o sesso, proseguendo poi su questa linea, sino alla sua morte per malaria. Prima di morire però, la sua azione devastatrice costò il quasi annientamento delle tribù locali, che non si ripresero mai più.

Le due guerre di sterminio più terribili della storia della colonizzazione avvennero in questo periodo e furono caratterizzate dalla presenza dei predicatori religiosi, che costituirono una miccia devastante per i popoli nativi. La nuova Inghilterra era infatti caduta in mano a fanatici puritani che si consideravano “popolo eletto”, scelto da Dio per creare in quei luoghi una nuova civiltà dopo averli liberati dai “pellerossa figli di Satana”. Tristemente scolpiti nella storia resteranno i momenti di preghiera delle truppe prima dei massacri, o i ringraziamenti rivolti a Dio dopo la battaglia per aver dato loro l’occasione di uccidere così tanti di quegli “esseri immondi” in una sola volta.

L’uso della religione per giustificare azioni disumane sarà una costante della storia della conquista dell’America. Una simile mentalità pregiudicò qualsiasi buon rapporto con i nativi, anche perché chi ci provava veniva subito allontanato e perseguitato dalla comunità.

Naturalmente va detto che non tutti i religiosi che raggiunsero l’America erano di questa risma: molti erano personalità sincere e mosse dai più nobili sentimenti che spesso presero posizione a fianco degli Indiani, pagando sovente questa loro scelta con la vita.

La tribù più numerosa del luogo era quella di Pequod, guerrieri che avevano subito percepito la presenza britannica come ostile. Alcuni incidenti tra cacciatori Pequod e marinai inglesi furono il pretesto per scatenare una brutale repressione. Dopo avere bruciato alcuni villaggi e raccolti abbandonati, la spedizione punitiva britannica forte di 90 soldati regolari e affiancati da 70 guerrieri di etnia Mohegan del capo Uncas e altri guerrieri Narraganset, piombò di sorpresa sul villaggio Pequod sul Mystic River. Era il 26 maggio 1637 e passò allo storia come una delle giornate più nere per la lotta contro i colonialisti.

Dopo aver fatto irruzione nel villaggio e sparato su chiunque capitasse loro davanti, gli assalitori bruciarono l’intero villaggio: chi cercò di scappare all’esterno veniva immediatamente abbattuto.

Quel giorno morirono 600 Pequod di ogni età e sesso. I capi inglesi esultavano inneggiando alla grazia di Dio. I sopravvissuti iniziarono un terribile esodo, inseguiti dalle forze inglesi. Coloro che non fuggirono vennero tutti uccisi, esclusi 80 donne e bambini che furono ridotti in schiavitù.

Gli ultimi sopravvissuti, fuggiti in una palude vicino a Fairfield furono a loro volta circondati e sconfitti dopo una breve e furiosa battaglia. Dei 200 che si arresero e sopravvissero, poco dopo si perse ogni traccia. Una nazione era stata completamente estinta.

Di episodi analoghi si macchiarono anche gli olandesi che si erano stanziati nei pressi delle aree che oggi sono note col nome di Maine e Connecticut, che sotto la guida del feroce governatore Willem Kieft iniziarono una violenta guerra di sterminio iniziata sempre con futili pretesti o episodi isolati. Vennero così annientati diversi villaggi con sistemi che definire barbari è ben poca cosa: si provi soltanto ad immaginare decine di uomini, donne e bambini mutilati, bruciati vivi nelle proprie abitazioni o feriti a morte con armi di ogni sorta. Questa campagna di sterminio durò dal 1640 al 1645 e costò la vita a più di mille Indiani (più quelli ridotti in schiavitù).

Come però abbiamo visto poc’anzi, anche in territorio britannico i nativi non si piegarono alla conquista senza resistere. Fu proprio un atto di resistenza a segnare l’inizio della seconda grande guerra indiana. Alla guida della fazione indiana vi era un grande condottiero: Metacomet, appartenente alla tribù dei Wampanoag, passato alla storia come un capo estremamente capace, coerente e tenace. Egli capì subito che con 30.000 stranieri già sul proprio territorio, per loro non vi sarebbe stato scampo. La conferma si ebbe quando i coloni si spinsero fino sul Mount Hope, luogo natale di Metacomet. Alcuni incidenti tra i due fronti, come sempre scatenarono l’ira indiana. Di fronte all’abbattimento non autorizzato da parte indiana di alcuni capi di bestiame, i coloni uccisero molti di loro, scatenando la guerra. Il comando inglese venne assunto dallo spietato Benjamin Church. Il suo avversario intanto lanciava continui attacchi alle località inglesi arrivando a distruggerne ben venti nell’estate del 1675.  Contro di lui, i coloni mobilitarono 1000 miliziani, tra cui alcuni pirati delle Antille, con diritto di saccheggio. Gli inglesi fecero poi pressioni sulla tribù dei Narraganset cercando di costringerli a partecipare alla repressione, ma costoro rifiutarono dichiarandosi neutrali e si rinchiusero in una fortezza nei pressi del luogo in cui pochi anni prima erano stati annientati i Pequod. Gli inglesi li punirono per questa presa di posizione. Il 19 dicembre 1675 un esercito di 970 miliziani e 150 Mohegan guidati dal generale Winslow e da Oneco, figlio di Uncas, attaccarono il forte (in cui erano stimate 3500 anime) e lo distrussero massacrando nei modi più feroci 600 Narraganset e ferendone altri 300 mortalmente.  Tutti gli altri vennero ridotti in schiavitù. I pochi superstiti dei Narraganset si unirono così alla rivolta di Metacomet. La reazione degli Indiani fu immediata. Delle 90 località della Nuova Inghilterra, 50 erano state assalite e 20 totalmente distrutte. La colonia era ad un passo dalla sua distruzione. Ironia della sorte, tuttavia, il colpo che ribaltò l’esito della guerra di liberazione, venne proprio dai fratelli di razza di Metacomet.  Mentre quest’ultimo arruolava oltre 500 nuovi guerrieri, i Mohawk si fecero convincere dal governatore di New York a prendere le difese dei coloni. Un’offensiva improvvisa dei Mohawk, costrinse i seguaci di Metacomet a disperdersi. Gli inglesi ripresero l’offensiva con rinnovata energia, e sebbene la loro avanzata fu sempre molto dura, l’esito della ribellione era sempre più a favore dei coloni. Le tribù alleate di Metacomet, i Nipmuc e i Narraganset, abbandonarono la lotta lasciandolo solo con i suoi soli Wampanoag.  In successive diverse battaglie, in cui gli inglesi uccisero altri 500 Indiani riducendone altrettanti in schiavitù, l’avanzata delle forze di Church proseguì inarrestabile fino all’ultimo rifugio di Metacomet, vicino al suo luogo natale, Mount Hope. Il 12 Agosto del 1676 fu il giorno della battaglia finale: circondato dai suoi pochi superstiti, Metacomet cadde con onore. Ma l’europeo Church, alla vista del suo cadavere, lo definì: “Una grossa, sporca bestia triste e nuda”. Il corpo del capo indiano venne smembrato e i suoi pezzi appesi in varie località della Nuova Inghilterra come monito. La guerra costò in tutto 3000 morti nativi.

FURONO TRATTATI ALLA STREGUA DI ANIMALI

La seconda fase (1689-1763) è ricordata come la fase dei grandi scontri tra le potenze europee, durante i quali i nativi vennero chiamati a sopperire alla scarsità di effettivi degli eserciti regolari.

Le potenze colonizzatrici in questa fase sfruttarono in modo vergognoso l’antagonismo che opponeva le varie tribù indiane per i propri scopi, spingendo spesso i nativi a vere e proprie guerre intestine che costarono migliaia e migliaia di morti. Fu in questo modo che molte nazioni indiane scomparvero: i primi furono gli Abenaki, che combattevano al fianco dei francesi, stroncati da decenni di guerriglia, poi fu la volta dei Choktaw e dei Chickasaw, sfruttati rispettivamente da francesi ed inglesi. Per avere un’idea dell’entità di questo coinvolgimento, sono emblematiche le parole del generale inglese James Wolfe che dichiarò: “Gli Irochesi hanno conquistato un impero alla corona britannica”, in seguito alla sconfitta francese di Quebec nel 1759. Così come emblematica resterà la disfatta del generale inglese Edward Braddock nel 1755 sul fiume Monongahela, in cui il contributo degli Indiani che combattevano da parte francese fu determinante. La fine di questa fase coincide praticamente con l’abbandono della scena americana da parte della Francia, ormai definitivamente sconfitta.

Passando in rassegna gli eventi che caratterizzarono la conquista del territorio americano in questa fase durante cui la sovranità degli Indiani venne ancora una volta calpestata, troviamo la guerra dei Cherokee. Questa nazione indiana del territorio nord-americano sud-orientale era molto potente e gli inglesi dapprima cercarono un’alleanza con loro sottoscrivendo un trattato nel 1645. Tuttavia in seguito, un fatto accaduto nel 1751 segnò la fine del precario accordo. Alcuni Cherokee avevano rubato cavalli per rimpiazzare quelli perduti nel corso di alcuni scontri con gli Shawnee. In reazione i miliziani della Virginia assalirono un gruppo di Cherokee pacifici, uccidendoli e scotennandoli. Una rappresaglia Cherokee costata la vita a 19 coloni segnò lo scoppio delle ostilità. Dopo alterni attacchi,  il comandante inglese Amherst inviò un’armata di 1700 uomini a sterminare per sempre i Cherokee. Durante l’avanzata iniziale gli inglesi distrussero quattro villaggi Indiani, uccidendo tutti gli abitanti. Di fronte al rifiuto degli Indiani di arrendersi, le forze britanniche proseguirono l’avanzata ma vennero fermati nei pressi del villaggio indiano di Etchoe, nel quale riuscirono a penetrare solamente dopo aver subito pesanti perdite e poco dopo si ritirarono. La nuova avanzata inglese del 1761 fu però decisiva per le sorti del conflitto. Amherst, che ora disponeva di molti uomini in seguito alla resa della Francia, respinse ogni proposta di pace del capo Attakullakulla e formò un’armata di 2800 uomini che penetrò come un coltello nel paese dei Cherokee, malgrado l’accanita difesa di questi ultimi, che furono costretti a ritirarsi sulle montagne più alte. Gli inglesi devastarono ogni cosa radendo al suolo ogni costruzione e distruggendo ogni forma di coltivazione. I Cherokee, colpiti da una durissima carestia, morirono in massa e i pochissimi sopravvissuti dovettero chiedere una pace che costò loro altri milioni di kilometri quadrati di territorio.

La terza fase (1763-1840), dopo la scomparsa della presenza francese, vede dunque l’espansione delle colonie britanniche, ormai incontrastate. Per evitare ulteriori contrasti con queste ultime, il re britannico dichiarò la catena degli Allegheny e il corso dell’Ohio confine perpetuo tra coloni e nativi, ma la trasgressione di qualsiasi forma di accordo o trattato del genere diventò col tempo una costante della storia nordamericana. Da questo momento in poi tale consuetudine si ripete tragicamente seguendo questo ciclo: i coloni si spingono sempre più ad Ovest alla conquista di nuove terre e nuovi profitti costruendo forti e imponendosi con la forza sui nativi. Questi ultimi reagiscono attaccando i coloni che si ritirano lasciando il campo a forze armate regolari. Dopo uno scontro, sempre impari, gli Indiani vengono cacciati, uccisi, privati di ogni forma di sostentamento e costretti alla firma di un trattato in cui sono costretti a cedere vasti territori. Dopodiché, i coloni avanzano di nuovo ripetendo tutto da capo.

L’episodio che aprì questa fase fu la famosa rivolta di Pontiac, capo degli Ottawa. Di fronte alla prepotenza dei colonialisti britannici, molto più avidi di terre dei loro predecessori francesi, questo capo mise in campo il progetto di un’unione di tutte le tribù del Nord-Ovest contro gli inglesi. Egli riuscì di fatto ad unire 12 nazioni indiane (Chippewa, Ottawa, Delaware, Shawnee, Fox, Kickapoo, Miami, Potawatomi, Menomini, Irochesi, Seneca,Mingo e Huroni) per un totale di 10.000 guerrieri, con lo scopo di cacciare i coloni ad est della catena degli Allegheny. Nei mesi di maggio e giugno del 1763, vere e proprie armate di guerrieri Indiani assaltarono tutte le principali fortificazioni della zona. In questi combattimenti trovarono la morte 2000 coloni e altri 20.000 si ritirarono ad Est. La controffensiva inglese iniziò nel luglio del 1763. Al comando dell’armata britannica c’era ancora il generale Jeffrey Amherst, sempre più crudele e privo di remore. Fu dato ordine di diffondere il vaiolo tra i nativi, definiti, sempre per bocca di Amherst: “Non un nemico, ma la razza più vile che abbia mai contaminato la Terra, la cui eliminazione va considerata come un atto di liberazione a vantaggio dell’umanità”.

L’armata inglese rioccupò prima Detroit e poi cercò di fare lo stesso con Fort Pitt. Dopo una violentissima battaglia nei pressi della località in cui morirono 110 inglesi e 60 Indiani, questi ultimi furono costretti a ritirarsi e Fort Pitt tornò in mano agli Inglesi. Dopo altre violente battaglie, nel settembre del 1763, gli Inglesi prepararono una enorme spedizione per reprimere una volta per tutte la rivolta. Del resto anche i seguaci di Pontiac erano sempre più logorati e sfiduciati. Molti dei suoi seguaci lo abbandonarono firmando paci separate con gli inglesi. Rimasto con pochi fedeli, anche Pontiac capitolò nel 1766.

Nonostante la sconfitta tuttavia, Pontiac aveva fatto capire alle nazioni Indiane quanto l’unità contro il comune nemico fosse importante per una resistenza meglio organizzata agli invasori. Nel 1773 scoppiava la guerra d’Indipendenza americana, che coinvolse in modo evidente gli Indiani.  Infatti il governo britannico era propenso alla conservazione della pace in America, imponendo di rispettare i diritti dei nativi sul proprio territorio, limitando di fatto la spinta espansionistica delle colonie. Visto che sia l’esercito continentale di George Washington, sia le forze degli inglesi lealisti erano esigue, entrambe le parti cercarono ipocritamente ed in ogni modo di ingraziarsi gli Indiani spingendoli ciascuno a scegliere la propria parte. Timorosi di ritrovarsi da soli contro l’avidità dei colonizzatori, la maggior parte scelse, suo malgrado, di parteggiare per i lealisti. Coloro che misero in campo la più grande forza a questo scopo furono gli Irochesi, che erano ancora la nazione indiana più potente. Sotto la guida del loro capo Joseph Brant (così chiamato per via del padre adottivo di origine inglese, ma il cui vero nome era Thayendanegea) avrebbero portato avanti una lotta sanguinolenta contro i coloni di Washington. Per alcuni anni lo scontro si mantenne alla pari tra le due fazioni, ma la sconfitta del generale inglese Burgoyne a Saratoga il 17 Ottobre del 1777 segnò per gli Irochesi l’inizio della fine della loro potenza. Nel 1779 Washington mandò contro di loro un’armata di 4600 uomini al comando del generale Sullivan con l’ordine preciso di invadere il territorio irochese, bruciare tutti i villaggi e catturare tutti gli Indiani che avrebbe incontrato, senza distinzioni di sorta, abbattendo chiunque accennasse ad un tentativo di resistenza. Contro di loro Brant opponeva 1000 guerrieri Indiani aiutato da 500 inglesi. Di fronte ad uno squilibrio di forze così grande, l’esito era scontato. Malgrado un’eroica resistenza, gran parte della terra degli Irochesi venne invasa: 50 villaggi furono totalmente rasi al suolo e tutte le derrate alimentari, le coltivazioni e il bestiame distrutti. Durante questa spedizione Sullivan uccise o catturò ben pochi Indiani, poiché questi si erano ritirati dopo l’esito disastroso dei primi scontri, ma a decimarli furono freddo, fame ed epidemie di varia natura. Nonostante questo colpo durissimo, gli Irochesi non si piegarono e reagirono nella primavera successiva, dopo avere riunito 1500 guerrieri che attaccarono la vallata dello Schoharie, distruggendo tutti i forti statunitensi ad eccezione di uno: fu però un successo di breve durata, perché già nel 1781, l’esercito contrattaccò scacciandoli e respingendoli fino ad Oswego. Dopo la sconfitta inglese del 1783, gli Irochesi si divisero: alcuni seguirono Brant in Canada, dove ottennero delle terre su cui oggi vivono ancora i loro discendenti, mentre altri rimasero negli Stati Uniti. Questi ultimi vennero completamente spogliati dei loro beni e confinati in piccole riserve.

Un altro episodio che merita di essere citato è l’eccidio del 1782 contro una comunità di Indiani della tribù dei Delaware, convertiti al cristianesimo e assolutamente pacifici. Costoro, entrati in contatto con i frati moravi, vivevano in due villaggi sul fiume Muskingum, e paradossalmente fu proprio la loro sostanziale neutralità a segnarne la sorte, poiché gli americani trovavano più facile colpire degli inermi che dei guerrieri. Nel marzo di quell’anno il comandante americano di Fort Pitt, Irvine diede ordine di distruggere i villaggi. I rastrellamenti provocarono la scomparsa di 62 adulti e 34 bambini. Si decise poi di ucciderli tutti: solo due bambini fintisi morti, riuscirono a scampare al massacro coloniale. Il compito infame fu portato a termine dal colonnello Crawford impegnato a massacrare un gruppo di Delaware, che aveva cercando scampo su un isola del fiume Allegheny. Il risultato di questa barbarie fu che i Delaware, che avevano fino ad allora combattuto a fianco dei continentali, ripresero le ostilità contro questi ultimi. Una colonna statunitense comandata da Crawford, composta di 480 soldati, inviata a distruggere quanto restava dei Delaware e degli Huroni venne attaccata nei pressi di Sandusky: circa 180 soldati, tra cui lo stesso Crawford, persero la vita nell’assalto. I Delaware, vittime della sete di potere dei colonizzatori, per il momento avevano avuto giustizia.

Intanto i coloni, che si erano scrollati di dosso l’ostacolo della madrepatria, potevano scatenare la loro avanzata criminale verso i territori del nord-ovest, strappandoli alle tribù indiane che vi vivevano da sempre. Inizialmente l’avanzata statunitense incontrò una resistenza durissima da parte di tutte le tribù della zona che, consapevoli del pericolo mortale che correvano, erano decise a non cedere la loro amata terra di fronte all’arroganza dei conquistatori: dal 1783 al 1790 ben 1500 colonizzatori furono uccisi o catturati dagli Indiani e molti di questi attacchi erano condotti dal capo della tribù dei Miami, Little Turtle, uno dei più grandi di tutti i tempi. Contro le tribù da lui riunite, i comandanti statunitensi inviarono delle spedizioni imponenti, ma non ottennero il successo sperato: la prima, al comando del generale Harmar, ritornò alla base con un bilancio di 183 morti e 31 feriti, mentre al suo successore, il generale Saint-Clair, andò ancora peggio. Quest’ultimo affrontò gli Indiani di Little Turtle in un’epica battaglia sul fiume Wabash, avvenuta il 4 novembre 1791, e si rivelò la più grande vittoria indiana di tutti i tempi: le truppe di Saint-Clair lasciarono sul campo 637 caduti e rientrarono alla base con 263 feriti. Galvanizzata da questo successo, la coalizione di Little Turtle decise a contrattaccare per espellere definitivamente i colonizzatori dal loro territorio e in questo caso commise l’unico, ma purtroppo fatale errore della sua vita, attaccando Fort Recovery e ignorando che fosse difeso da cannoni, così subendo una dura sconfitta. I bianchi ne approfittarono per scendere a patti con i capi delle singole tribù che componevano le forze di Little Turtle, firmando delle paci separate. Rimasto solo alla testa sella tribù dei Miami, Little Turtle propese anch’egli per la firma di un trattato, ma, dietro le pressioni degli inglesi del Canada che predicavano ad ogni costo l’eliminazione, alcuni suoi seguaci lo deposero e lo sostituirono con Turkey Foot, che si ostinò in una vana resistenza, venendo definitivamente sconfitto negli scontri successivi con le truppe del generale Wayne. La pace firmata a Fort Greenville nel 1795 assegnò “per sempre” agli Indiani le terre al di là del fiume Ohio. In realtà l’espressione “per sempre” avrebbe assunto il triste significato di “50 anni”.

VENNERO ELIMINATI FISICAMENTE PER IMPOSSESSARSI DELLE LORO TERRE, CON LA BIBBIA NELLA MANO

Altri che in questo periodo si opposero alla colonizzazione furono i Creek del capo Red Eagle, noti come “Red Sticks”, per la caratteristica di piantare dei paletti rossi all’ingresso dei loro villaggi, che li distingueva dagli altri Creek, noti come “bianchi”, che invece erano per la collaborazione con i bianchi. Va detto che la loro rivolta fu di breve durata e molto costosa in termini di vite umane, specie perché contro i Creek “rossi” si mossero non solo gli americani, ma anche i Cherokee, loro nemici storici, che fra l’altro miravano ormai alla collaborazione con i coloni, visti i precedenti disastrosi e dolorosi tentativi di resistenza. A questi si unirono poi anche numerosi Creek “bianchi”, pensando così d’esser risparmiati. Dopo averli decimati in diversi scontri, il generale Jackson impose loro uno dei trattati più vergognosi che la storia ricordi, che venne siglato il 9 Agosto 1815: ai Creek furono confiscati 93.000 km2 di territorio, mentre coloro che avevano appoggiato i bianchi ottennero dei fazzoletti di appena 2,5 km2. Negli anni dal 1802 al 1825, i Creek firmarono altri trattati per effetto dei quali dovettero cedere altri 60.000 km2 di territorio in cambio di un posto sicuro in una riserva a Indian Springs e 25.000 dollari. Con questi accordi, il destino di questa tribù fu segnato per sempre.

La stessa sorte toccata a questi Indiani fu praticamente identica per tutte le tribù dell’Est. La “soluzione finale”, ossia la deportazione di tutti gli Indiani residenti nelle colonie al di là della “frontiera permanente” nelle grandi pianure disabitate, venne programmata dal presidente Jefferson ed attuata a partire dal 1825 durante la presidenza Monroe sotto la spinta del “partito del Bisonte”: con questo nome erano noti alcuni membri del Congresso. Il loro portavoce Brackenbridge dichiarò che: “Non avendo fatto buon uso della loro terra coltivabile per secoli, gli indigeni avevano perduto ogni diritto su di essa, altrimenti si sarebbe dovuto ammettere anche un diritto dei bisonti sulla terra”. Secondo Brackenbridge quindi gli Indiani non avrebbero dovuto godere che dei diritti che si concedono ai bisonti e il loro sterminio sarebbe stato utile al progresso civile e persino un onore per chi avesse provveduto a compierlo.

Il piano di deportazione conobbe il suo apice sotto la presidenza del già citato Jackson, allorquando il Congresso approvò il “Removal Act”, un documento che predisponeva la deportazione di tutti gli Indiani ad Ovest di una linea chiamata “frontiera permanente”. Questa linea partiva dal Lago Superiore, attraversava Iowa e Wisconsin, seguendo i fiumi Arkansas e Mississippi giungendo fino al Red River. Va detto che fino ad allora la dirigenza coloniale aveva spinto gli Indiani a seguire la via della “civilizzazione” e a fondersi con la cultura “bianca”, ma ora iniziava una vera inversione di tendenza. Molte tribù avevano recepito il messaggio assumendo comportamenti pacifici e operosi, avviando un progressivo abbandono dell’uso delle armi. Ma fu soltanto un pretesto, un inganno, tutto quanto proveniva da parte bianca era falso ed pianificato per altri obiettivi. Lo scopo dei colonizzatori era solo quello di espandersi, conquistare e saccheggiare: nessun atteggiamento da parte indiana poteva considerarsi soddisfacente dinnanzi ai criminali anglofoni. La deportazione degli Indiani fu uno degli atti più infami mai perpetrati da esseri umani a danno di loro simili: milioni di persone furono così strappate alla loro terra natale sino a diventare dei profughi nel loro stesso Paese. Furono programmate le distruzioni di culture e tradizioni millenarie, sostituendole con un tentativo di “fusione a freddo” che avrebbe comunque assorbito e annullato le usanze native nella cultura anglosassone coloniale dominante sul piano della forza politica e militare: era l’embrione di un atteggiamento che avrebbe forgiato col tempo la condotta degli Stati Uniti d’America in politica estera nei secoli successivi, e che continua ai nostri giorni nella stessa identica maniera, sebbene in forme nuove e più “edulcorate”.

Ma se odiosi sono i fini di questi assassini, forse ancora peggiori sono i mezzi: la deportazione fu infatti eseguita con calcolata crudeltà. L’Ohio, che era molto fertile, divenne subito una preda ambita dei nuovi padroni: le tribù che lo popolavano (Delaware, Huroni, Shawnee e Miami, più altri rifugiati di tribù smembrate) avevano combattuto per gli inglesi e la loro sorte era segnata. I Delaware partirono spontaneamente nell’inverno del 1809, per sottrarsi ai continui soprusi e a causa del freddo e delle malattie arrivarono decimati al di là del Mississippi, dove incontrarono solo altra miseria. Gli Shawnee, i Potawatomi e i Winnebago si rifiutarono di partire, ma furono costretti dai soldati coloniali conoscendo analoga sorte dei loro predecessori. I Cherokee, che avevano pure aiutato gli americani contro i Creek di Red Eagle e che ormai vivevano in modo del tutto uguale ai coloni, ricostruendo un’economia prospera e pacifica – con tanto di scuole, città, fattorie e che avevano raggiunto un livello di cultura molto elevato – vennero colpiti dal provvedimento. Inizialmente solo 2000 individui accettarono di andarsene, ma più tardi nelle loro regioni fu scoperto l’oro. Fu la fine. Contro i soprusi degli avidi cercatori del prezioso metallo, sostenuti dal governo centrale americano, i Cherokee erano senza tutele. Stretti in una morsa agghiacciante, questi Indiani furono costretti a firmare un trattato che imponeva loro di abbandonare la loro terra entro tre anni. Alla scadenza di tale data, poiché quasi nessuno accettò di andarsene, 7000 soldati americani penetrarono nel loro territorio e scacciarono le persone dalle proprie case con inaudita ferocia, costringendole all’esodo, secondo un percorso ricordato con il marchio di “Pista delle Lacrime”. Durante questa drammatica stagione morirono nei modi peggiori ben 4000 Cherokee. Identico fu l’esodo forzato dei Creek, che morirono in 3500, e simili furono le storie dei Choktaw e dei Chickasaw. I Sauk e i Fox invece scelsero di opporsi e resistere, ma furono sconfitti e seguirono il destino delle tribù scomparse, dopo aver fatto comunque pagare con 200 caduti un duro prezzo agli americani. La resistenza più dura fu però quella dei Seminole della Florida che, sfruttando la migliore abilità in un territorio paludoso ed infido, intrapresero una guerriglia, di cui le forze armate statunitensi ebbero ragione solo dopo molte campagne militari perdendo quasi 3500 unità tra regolari e miliziani. Quanto ai Seminole, dopo aver pianto la morte di circa 2000 individui, 3200 di loro vennero deportati ad Ovest. Resta tuttavia il ricordo di un eroismo scolpito nella storia, nella misura in cui un pungo di combattenti aveva per molti anni tenuto testa ad un esercito potentissimo. Finisce così l’era delle guerre dell’Est, con tutte le tribù di questo territorio deportate al di là della “Frontiera Permanente”.

Lo scavalcamento di questo nuovo confine, beffandosi ancora una volta degli accordi conclusi, dà il via alla quarta fase (1840-1865). Questo nuovo sopruso fu ufficializzato con il famigerato “Atto di prelazione”, un’autorizzazione per i coloni ad acquistare terreni immensi a pochissimo prezzo, rispettando l’unica condizione che i diritti dei nativi dovessero essere “estinti” prima dell’acquisto. In pratica, più che i loro diritti, i coloni trovarono molto più semplice estinguere direttamente i nativi: si trattava di autorizzare un genocidio, né più né meno. I primi a pagare furono i membri della ormai dimenticata tribù dei Karankawa, stanziati nella zona orientale nelle Grandi Pianure, che si scontrarono con i coloni. La ragione per la quale oggi questi Indiani non sono noti ai più è molto semplice: gli ultimi membri vennero avvistati nel 1855 ed erano rimasti solo in sei. Ma ben più numerosi e organizzati dei Karankawa erano i Comanche, che costituivano una vera e propria nazione indiana. Essi godevano dell’emblematico appellativo di Spartiati delle Pianure. All’inizio, contrariamente a quanto il cinema e i libri sul tema ci abbiano mostrato, i rapporti tra Comanche e coloni furono buoni e nel 1835 le parti avevano firmato un trattato con il quale si accordava libero passaggio ai coloni sui territori Indiani, ma l’enorme aumento del numero dei nuovi arrivati portava inevitabilmente questi ultimi a estendere continuamente il proprio dominio guastando così il clima di convivenza. A migliorare le cose non contribuì certo il governatore del Texas Lamar, salito al potere nel 1838, il quale dichiarò che: “L’uomo bianco e l’uomo rosso non potranno mai vivere insieme in armonia, per cui lasciate che la spada faccia il suo lavoro”. Lamar fu anche il creatore del corpo dei “Texas Ranger”, la cui funzione fu quella di “cacciatori di Indiani” e in questo si mostrarono mortalmente efficienti: armati con le nuove pistole Colt a cinque colpi (i Comanche e le altre tribù delle pianure del Sud disponevano quasi solamente di archi) fecero vere e proprie stragi tra i Comanche, che pure si battevano al meglio delle loro capacità. Ma se in qualche modo gli attacchi ai Comanche venivano giustificati agli occhi dei coloni dalla loro condotta bellicosa, di sicuro nessun motivo può essere valido per giustificare l’ulteriore deportazione e la decimazione degli Indiani che vivevano pacificamente nelle terre da loro assegnate in seguito al Removal Act.  Questi Indiani erano un’unione di 19 tribù guidate dal capo Cherokee Takatoka e avevano fatto rendere al meglio il loro pur piccolo territorio, ma nemmeno questo era sufficiente per far desistere i coloni dalla loro brama di conquista. Lamar accusò gli Indiani di collaborare con il Messico e così decise di espellerli dalle terre che occupavano, nonostante il trattato avesse stabilito i loro diritti. I Cherokee non si piegarono a questo nuovo sopruso e misero in campo 700 guerrieri per affrontare i 500 soldati inviati contro di loro. Nonostante il loro coraggio fu un’ecatombe per gli Indiani. Dopo averli sconfitti in battaglia, i “nuovi americani” rasero al suolo i villaggi e li costrinsero ad una nuova emigrazione verso il Territorio Indiano, l’attuale Oklahoma. Poco dopo vennero seguiti dal resto delle tribù alleate.

Lamar, “risolto questo problema”, si concentrò contro i Comanche e l’azione che aprì questa nuova fase fu tra le più orrende e meschine mai viste nella storia del nuovo Stato americano.

Di fronte alla disponibilità dei Comanche a trattare, Lamar fece convocare i loro capi a San Antonio dal colonnello Fisher. Ma non appena i capi Comanche non risposero come il colonnello si aspettava, quest’ultimo decise di imprigionarli tutti. Naturalmente gli Indiani reagirono con violenza e morirono in 33. Dopo questo affronto, i Comanche non scesero mai più a patti con i bianchi. Gli scontri ripresero con rinnovata violenza: il 24 ottobre 1840 un gruppo di miliziani attaccò un villaggio Comanche in piena notte, mentre gli abitanti dormivano; 130 Indiani vennero sterminati, naturalmente senza distinzioni di sorta.

Altra grande tribù delle pianure che pagò un alto tributo di sangue furono i Cheyenne che, dopo alcune ostilità, firmarono un accordo che lasciava loro buona parte delle terre del Colorado e del Kansas. Nel 1858 in Colorado fu trovato un vasto giacimento d’oro e di fatto ogni accordo veniva a cadere: 150.000 coloni in preda alla “febbre dell’oro” vi accorsero in quel solo anno. Un nuovo accordo impose agli Indiani di cedere quei territori, ma la maggior parte dei capi non firmò.

La situazione era molto tesa e come al solito fu un incidente a dare il pretesto per gli scontri: in questo caso del bestiame lasciato vagare per la pianura venne raccolto dagli Cheyenne, che furono accusati di averli rubati e ne seguirono dei violenti scontri, nel più duro dei quali venne distrutto in villaggio Cheyenne in cui morirono 50 Indiani inermi. Tuttavia il capo dei Cheyenne del sud, Black Kettle, scelse di trattare. Allo scopo, gli venne concesso di alzare le sue tende nei pressi di Fort Lyon assieme agli Arapaho di Left Hand. Com’è logico che sia, questi Indiani si sentivano assolutamente al sicuro, ma si sbagliavano: non sapevano quanto era grande l’infamia dei loro avversari. La notte del 19 novembre 1864, 750 tra miliziani e soldati al comando del colonnello Chivington li assalirono con l’ordine di non risparmiare nessuno. Il massacro, in cui vennero letteralmente fatti a pezzi circa 300 Indiani, praticamente disarmati, finì solo alle quattro del pomeriggio del giorno successivo. Ogni possibilità di pacificazione era praticamente annullata e del resto era proprio ciò che i colonizzatori volevano. Il nuovo comandante militare del distretto del Missouri (del quale faceva parte la zona delle pianure), il generale Sherman dichiarò che: “Più Indiani uccideremo quest’anno, meno ne dovremo uccidere l’anno prossimo”. Il fatto che molti decenni dopo, gli Stati Uniti battezzeranno un loro famoso carro armato con il nome di questo generale è altamente significativo. Da parte loro, gli Cheyenne e i Kiowa erano decisi a non cedere la terra nella quale erano vissuti liberi per secoli. Del resto per chi pretende di fare la morale ancora una volta agli Indiani basti citare questo fatto, che fu poi una delle cause scatenanti del conflitto: mentre gli Indiani uccidevano i bisonti, di cui le pianure brulicavano, nella misura strettamente necessaria al loro fabbisogno, i coloni riuscirono a sterminarne quasi quattro milioni tra il 1872 e il 1874, estinguendoli e riducendo di conseguenza gli Indiani alla miseria, poiché il bisonte era alla base della loro vita. Dopo numerose battaglie che consacrarono alla storia nomi quali Satanta, Kicking Bird, Tall Bull, Lone Wolf – solo per citarne i più famosi – nel 1880 praticamente tutti gli Indiani delle Pianure del Sud erano confinati nelle riserve o uccisi. Dei 12.000 nativi Comanche, al momento dell’internamento definitivo nella riserva ne restavano solo 1.650.

Nel deserto che occupa la parte meridionale degli attuali Stati Uniti, il destino dei nativi è identico a quanto visto precedentemente. In questa terra vivevano numerose etnie, tra le quali la più numerosa era quella degli Apache suddivisi in numerose tribù. Dopo avere inizialmente resistito vittoriosamente ai colonialisti spagnoli e ai loro eredi messicani, la loro vita fu sconvolta dalla scoperta di numerosi giacimenti minerari in quelle aree.

Le autorità del resto non misero mai veramente freno alle ambizioni dei cercatori: basti pensare alle ricche taglie che i vari Stati americani offrivano per gli scalpi Indiani. Proprio queste taglie furono alla base di uno dei più efferati crimini. Nel 1837 un minatore americano, John Johnson, finse di organizzare una festa a cui parteciparono diverse centinaia di Indiani. Quando questi ultimi erano ormai ubriachi, John Johnson ordinò ai suoi degni compari di aprire il fuoco sulla folla; dopo la sparatoria, questi “esempi di civiltà evoluta” si gettarono sugli Indiani completando l’opera con le armi bianche: alla fine dell’orrendo scempio, a terra giacevano i corpi scotennati di circa 400 Apache. Tra coloro che riuscirono a fuggire vi fu il capo Dasoda-Hae, noto tra i bianchi come Mangas Colorado, che in quel macello aveva perso le sue due mogli e che da quel giorno giurò guerra agli invasori. Nel 1840, lo stesso Mangas Colorado, che si era recato per parlamentare con alcuni minatori, venne catturato e orrendamente torturato. Molti “occhi bianchi” negli anni a venire conosceranno la vendetta di questo capo Apache. Simile fu la storia di un altro capo degli Apache, Go-Ya-Thle, passato alla storia con il nome di Geronimo, che, durante un massacro compiuto da soldati messicani, perse l’intera famiglia. Lo stesso dicasi per Cochise (il suo vero nome era She-ka-she),che ebbe il padre e quattro fratelli uccisi a tradimento dai messicani.

Nonostante questo episodio del suo passato, Cochise dapprima fu favorevole all’arrivo degli statunitensi, ma cambiò radicalmente opinione quando venne accusato ingiustamente di un rapimento e si cercò di arrestarlo. Egli riuscì tuttavia a fuggire nonostante fosse stato ferito da tre proiettili e giurò di vendicarsi. Dopo molti altri anni di aspre battaglie, Mangas Colorado, nel 1863 decise si firmare una pace con il nemico. Gli americani non si smentirono, e dopo aver dato il proprio consenso, invitarono Mangas a Fort MacLane. Tuttavia appena il capo si presentò venne immediatamente arrestato, accusato di vari crimini e fatto prigioniero. La notte stessa, venne uccise con un pretesto da una sentinella e il suo cadavere orrendamente brutalizzato. Cochise e Geronimo presero il suo posto lanciando continui attacchi agli insediamenti dei coloni. La reazione del governo degli Stati Uniti fu durissima e venne pianificata una campagna di sterminio vera e propria con l’ordine di annientare tutti gli Indiani che venissero trovati. Nel 1869 il generale Ord, incaricato delle operazione nell’“Apacheria”, scrisse: “Ho incoraggiato le truppe a catturare e sterminare gli Apache con tutti i mezzi e a cacciarli come bestie feroci. Tutto ciò, essi l’hanno fatto con vigore instancabile. Dal mio ultimo rapporto, più di 200 di loro sono stati uccisi, generalmente da distaccamenti che avevano seguito le loro tracce per giorni o per settimane nei loro rifugi di montagna, nella neve, tra gole e precipizi”.

Mentre questi eventi sanguinosi mettevano progressivamente fine alla fiera nazione degli Apache, a Sud Ovest un dramma ancor più brutale si andava consumando. Gli Indiani che vivevano in California, dopo aver subito lo schiavismo e i soprusi dei conquistatori spagnoli, conobbero un ancor più crudele destino sotto il dominio statunitense. I fatti precipitarono quando nel 1848, quando in California venne scoperto l’oro: questo fatto portò sulle terre indiane ben 250.000 coloni nel giro di quattro anni. Per avere un’idea di cosa costò questa scoperta ai nativi californiani basti dire che erano circa 150.000 prima dell’arrivo dei colonizzatori: nel 1884 erano rimasti in 12.000, confinati in microscopiche riserve in cui imperversavano la fame e le malattie. Per non lasciare niente di intentato, i coloni americani vendevano di proposito bevande alcoliche a bassissimo costo con il preciso scopo di estinguerli definitivamente.

E LE PRATERIE DIVENNERO PROPRIETÀ….

La quinta fase (1865-1891) è quella che consolida definitivamente la conquista del West attraverso un massiccio movimento migratorio, incoraggiato dal “Homestead Act” del 1863, che dichiarava proprietario di un terreno chi vi risiedeva stabilmente per almeno cinque anni. Di fronte a questo movimento migratorio, i territori Indiani vennero progressivamente sempre più ridotti e schiacciati verso la costa occidentale degli Stati Uniti. Il governo non trovò altra soluzione che rinchiudere ciò che restava dei nativi nelle famigerate riserve: territori piccoli in cui gli Indiani erano costretti a una povera sussistenza attraverso gli aiuti federali, che erano per lo più inconsistenti. Spinti più dalla fame che non dà altro, gli abitanti delle riserve spesso sconfinavano alla ricerca di alimenti arrivando di conseguenza allo scontro con i coloni e con le immaginabili conseguenze. Gli Indiani in vita all’inizio di questa fase erano circa 175.000 nelle pianure e altri 75.000 nelle Montagne Rocciose (a fronte di oltre un milione all’inizio della colonizzazione) costituendo di fatto l’ultimo “Territorio Indiano” (corrisponde circa all’attuale Oklahoma). Delle tribù facenti parti di questi ultimi sopravvissuti ve ne erano di pacifiche (che progressivamente si estinsero) e di più bellicose (Sioux, Cheyenne , Comanche, Apache per citare solo le più note). Queste ultime furono protagoniste degli ultimi episodi di resistenza agli invasori e vennero definitivamente sconfitte nel 1891. Nel 1899 anche il Territorio Indiano fu aperto alla colonizzazione (chiamate ipocritamente “civilizzazione”) terminando definitivamente il processo di conquista del Nord America.

L’evento che aprì questa fase avvenne nell’Arizona, dove nei pressi di Tucson si consumò un orrendo massacro. Nei pressi della città si era insediata una tribù di Indiani Arivaipa, dell’ etnia degli Apache, in tutta legalità e disarmati, guidati dal capo Eskimizin.  Dal momento che in Arizona, alcune bande Apache avevano compiuto delle scorrerie, un gruppo di delinquenti (che si facevano chiamare Tucson Ring, che fomentava volutamente lo scontro allo scopo di trarne profitto) aizzò gli abitanti della città contro la tribù di Eskimizin. I suoi membri vennero assaliti nel sonno e 144 di essi vennero uccisi: tutti donne e bambini, visto che i guerrieri erano assenti per la caccia. Eskimizn venne poi sconfitto in altri scontri e alla fine la sua tribù chiese la pace. Stessa cosa fece Cochise.

Quasi tutti gli Apache ormai erano confinati nelle riserve. A coloro che si rifiutarono, il generale Crook diede una caccia spietata, finché li costrinse all’internamento o li uccise. Le condizioni di vita all’interno delle riserve erano comunque al limite della sopportazione umana e a rendere ancora peggiore la situazione contribuivano agenti governativi a cui in realtà non importava nulla delle condizioni degli Indiani lì rinchiusi, ed anzi approfittavano della loro posizione per arricchirsi vendendo i beni destinati agli Indiani. Ben presto alcuni gruppi di guerrieri guidati da capi quali Victorio, Geronimo, Juh, Natche (figlio di Cochise) uscirono dalle riserve e presto nacquero i soliti scontri con i coloni. Messicani e americani si accordarono per mettere fine alle scorribande degli Apache: si contò un totale di circa 10.000 uomini tra soldati e volontari alla caccia di poche decine di guerrieri Indiani. Dopo anni di caccia continua, gli Indiani si arresero nel 1886 e vennero deportati in Florida in un minuscolo territorio dove la fame e gli stenti contribuirono a decimarli definitivamente.

Per quanto riguarda le pianure del Nord (la famosa “Prateria”), gli avvenimenti furono praticamente identici. In questa zona, già devastata dalle epidemie degli anni passati, le nazioni indiane rimaste erano quelle dei Sioux, degli Arapaho e degli Cheyenne del Nord.  I Sioux, i più numerosi, a loro volta suddivisi in sette tribù, divennero presto tenaci avversari dei colonizzatori avanzanti. Visto il gran numero di emigranti che si era trasferito sulle loro terre, gli Indiani capirono che per la loro sopravvivenza era necessario non permettere ai bianchi (che i Sioux chiamavano “Wasichu”, ossia “ladri di grasso”), di espandersi ulteriormente nelle loro terre. Venne così firmato il trattato di Fort Laramie nel 1851, che assegnava agli Indiani un vasto territorio e 50.000 dollari annui. Naturalmente, questo trattato non soddisfaceva le mire espansionistiche degli statunitensi che cercarono subito un pretesto per riaprire le ostilità. Bastò un piccolo incidente: una vacca di proprietà di un agricoltore mormone, si era sperduta nel campo dei Brulè (una delle sette tribù dei Sioux) nei pressi di Fort Laramie, dove fu abbattuta e consumata dalla tribù. I bianchi pretesero violentemente la consegna del colpevole e, durante la trattativa, partì un colpo di fucile che uccise il fratello del capo della tribù, Stirring Bear.  Ad una minima reazione indiana seguì una violenta sparatoria in cui poi lo stesso Stirring Bear rimase ucciso, così come tutti i militari che erano intervenuti. Ora i bianchi avevano il pretesto che cercavano. Il generale Harney, incaricato della spedizione di rappresaglia dichiarò prima della partenza, che “voleva il sangue” e lo ebbe: una volta rintracciati i Brulè, attaccò il loro campo lasciando sul terreno 136 cadaveri Indiani, soprattutto civili.

 

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Spagna: PIL in ripresa, e tutti in coda alla Caritas...

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Quella che si vede non è la coda per uno spettacolo, un avvenimento sportivo o un concerto: è la coda per la distribuzione di alimenti davanti a una Caritas. E non è un foto scattata in qualche paese in guerra o in qualche campo profughi, ma a Madrid, capitale della “Spagna”, parola con cui molti politici si riempono la bocca dimenticandosi però degli spagnoli, o perlomeno della maggior parte di essi.

Leggo centinaia di tweets e post su Facebook su che cosa dovremmo fare, però siamo incapaci di metterci d’accordo e non abbiamo intenzione di fare troppi sacrifici, ci limitiamo semplicemente a parlare.

Faccio un esempio personale:

Nonostante il calcio sia il mio sport preferito, da anni non vedo una partita, allo stadio o in televisione. Ho smesso di seguirlo perché trovo completamente ingiusto che le società calcistiche debbano più di 800 milioni di contributi per la Sanità, e che i giocatori, nonostante i lauti stipendi, paghino meno tasse di me.

So che non serve a nulla, ma cosa succederebbe se tutti smettessimo di seguire il calcio?

Eppure, perfino questo sembra impossibile.

Semplici azioni collettive, come spegnere la luce dieci minuti al giorno, non usare il cellulare un giorno alla settimana e non utilizzare la macchina durante i week-end per non consumare combustibile, creerebbero più problemi che una manifestazione o uno sciopero. Se solo ritirassimo tutti, ogni giorno, 20 Euro dagli sportelli bancari provocheremmo un intasamento del sistema finanziario.

Ma non ne siamo capaci e chi è al potere se ne approfitta.

Tutto quello per cui abbiamo lottato durante anni se ne sta andando velocemente in malora, con leggi degne dell’epoca medioevale e di una qualunque passata dittatura. Se restiamo inerti continueremo a essere ciò che siamo adesso, nient’altro che marionette.

 

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La nuova croce americana

Fonte web

«L’unico modo per impedire alla democrazia di suicidarsi è limitare il voto ai soli fedeli cattolici. L’unico modo di guidare una nazione è una “dittatura benevola” – un monarca cattolico che protegga le sue genti da loro stesse, e dia loro quello di cui bisognano, non necessariamente quello che esse vogliono. Qualcuno che protegga i loro diritti in quanto esseri umani. Questo è stato il sistema politico che ha consentito all’Europa di emergere dalla devastazione della barbarie e di creare la Civiltà Occidentale – un nobile monarca cattolico che porta avanti il bene comune, mentre ama e protegge il suo popolo».

burke_ProVita_Bergoglio_Stati_Uniti_omosessuali_gay_gesuitiPer quanto possa sembrarvi incredibile, a parlare così non è un nostalgico degli Asburgo con il monocolo e la mantella, non è un Cavaliere di Malta seduto sul retro della sua limousine con targa diplomatica, non è un ispirato liderino di Forza Nuova, né un appassionato di revival medievali. Queste parole sono di un presentatore TV americano. Le ha pronunziate sul suo canale, già qualche anno fa, Michael Voris. http://www.youtube.com/watch?v=SSnJi6SpzLo, Voris somiglia vagamente al Robert Redford dei tempi andati, e secondo me un po’ se ne approfitta. Ha passato la vita a lavorare alla Fox, vincendo negli anni Novanta perfino quattro Emmy, l’Oscar per la TV americana. Per la fine del decennio era già un produttore indipendente di successo. Poi, nel 2003, in un breve lasso di tempo, suo fratello muore di infarto. La madre segue poco dopo. Qualcosa in Voris cambia per sempre. Da ragazzino, ricorda, era un altar boy, un chierichetto: una volta, a San Francisco servì messa con il leggendario arcivescovo di Nuova York Fulton J. Sheen (in particolare, Voris racconta di quando Sheen buttò fuori a calci dalla sagrestia un capellone entrato per mostrargli un libro dove si spiega che «Gesù Buddha e Shiva sono la stessa cosa»). Per il resto, negli anni del grande successo televisivo, Voris era stato al massimo un lukewarm catholic. Un cattolico tiepido. La morte dei familiari lo cambia totalmente. Riabbracciata l’Unica Vera Fede, va a Roma a studiare teologia, torna in America e investe ogni risparmio per mettere in piedi un network che si possa dire veramente cattolico. Dove per cattolico, si intende cattolico-cattolico. Tradizionale, intransigente. Sì quando è sì, no quando è no – come insegnatoci dal Maestro.

Con l’aiuto di un analista finanziario di Moody’s legato all’Opus Dei, ecco che viene lanciata RealCatholicTV: una web TV interamente cattolica. Voris non si fa pregare per dire la sua anche su svariati temi centrali della vita cristiana. «Il riscaldamento globale è l’evoluzione dei programmi eugenetici del XX secolo». http://www.youtube.com/watch?v=uMFAhW_ZmV8, Chiaro. «Nessun tempio, nessun sacrificio, nessun sacerdozio, nessun giudaismo. Cosa lo ha rimpiazzato nella Storia è ciò che vediamo oggi: il giudaismo rabbinico. Questo non è il giudaismo dell’alleanza. È una religione fatta dall’uomo». http://www.youtube.com/watch?v=AY1GG0dyU9Y,


Chiarissimo. Non pago, paragona il giudaismo moderno al protestantesimo. Poi il discorso sulla dittatura benevola: negli USA, Mecca della Vacca Sacra della Democrazia, è uno schiaffo in pieno volto, a tutti. Lo massacrano in mille, perfino Russia Times, che è un po’ la BBC del nostro tempo, l’unico canale TV che dice obbiettivamente qualcosa che somigli alla verità (il proprietario, ovviamente, è Putin). Le gerarchie cattoliche guardano al successo di RealCatholicTV con seria preoccupazione: come preservare i buoni rapporti con il vicinato rabbinico? Come nascondere ai moderni che San Tommaso prevede la monarchia cattolica come miglior forma di governo? Come conciliare questa bordata di fuoco che viene direttamente dal magistero e dalla dottrina con i catto-democratici, catto-ecologici, catto-abortisti che infestano le parrocchie ma soprattutto le stanze dei bottoni? Partì subito il Vescovo Scranton, bandendo ogni attività di Voris nella sua diocesi. Dovette cancellare una conferenza in una parrocchia e spostarsi in un hotel. Il vescovo, ovviamente, aveva placidamente consentito che una leader lesbica del movimento LGBT parlasse l’anno prima all’Università di Scranton, che è retta dai Gesuiti. Andò quindi all’attacco il piranha più grosso, l’arcidiocesi di Detroit: in un caso senza precedenti nella storia del diritto commerciale (sezione «marchi e brevetti»), gli uffici dell’arcivescovo emisero un comunicato con cui proibiva l’uso della parola «cattolico» nel lavoro di Voris.

Il nome RealCatholicTV, insomma, non poteva più essere utilizzato. Pur di impedire che si possa raccontare il Magistero perenne senza giri di parole, la Chiesa deposita il suo trademark: strabuzzarono tutti gli occhi, ma alla fine Michael dovette cambiare nome al suo progetto – ora si chiama ChurchMilitantTV – ma non mancò di notare come lo stesso arcivescovo nulla aveva contro l’Università gesuita di Detroit, dove le agenzie abortiste sono partner, le suore pro-gay sono nel board, i professori espongono adesivi pro-choice e si fanno giochi per insegnare agli studenti il sesso protetto.

Eppure, un vescovo dalla sua parte Michael lo aveva. Anzi, un arcivescovo. Anzi, un cardinale.

Raymond Leo Burke, arcivescovo emerito di Saint Louis e attuale Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, lo ha incoraggiato sin dal principio, andando perfino a benedire gli studi televisivi. http://www.youtube.com/watch?v=4L4UgVGYTVI, Sì, proprio quel Burke. Quello fatto fuori – senza motivo apparente – dalla Congregazione dei Vescovi. Il dicastero che ha il compito di nominare i nuovi vescovi. Nel concreto, uno degli organismi più importante di tutto l’apparato cattolico.

Ebbene, l’evento della cacciata di Burke è stato sicuramente il più significativo di questi tempi. I giornali non hanno mancato di sottolinearlo.

«Bergoglio rimuove il cardinale antiabortista» ha gongolato immediatamente il Corriere. «Papa Francesco sta facendo una purga dei cardinali conservatori?» si chiede il Los Angeles Times, forse senza neppure essere cosciente che la parola «purga» richiama un po’ Stalin. Mentre Giuliano Ferrara, ricordandosi le fatiche della sua lista antiabortista, pare spiritato: «Papa Francesco ha dato nuovi segnali di avere in uggia chi rompe i coglioni contro l’aborto».

In effetti, il segno non è da poco. Burke in Italia era il cardinale della Marcia per la Vita. Unico ecclesiastico a partecipare. C’est-à-dire: non c’erano praticamente altri vescovi, tra le 40.000 persone che hanno marciato per Roma lo scorso maggio chiedendo la fine dell’aborto in Italia. No. Né vescovi, né arcivescovi, cardinali: solo lui, Burke, un cardinale arcivescovo (tre cose in una) ma proveniente dall’altra sponda dell’Oceano. Ha tenuto, la sera prima dell’evento, una adorazione eucaristica toccante, con il santissimo trasportato sotto l’ombrello. « Xé come che se fazeva ‘na volta», mi ha detto con le pupille luccicanti una signora veneta non italofona che avevo portato alla Marcia. La bellezza della liturgia tradizionale, lei non la vedeva dai cinquant’anni.

L’indomani, il cardinale ha camminato in mezzo alla gente, senza codazzo di sorta.

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(*) Rilanciamo una prima parte dell’ottimo articolo di Roberto Dal Bosco: per completarne la lettura si consiglia di iscriversi al portale Effedieffe.com

 

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Finlandia in grave crisi economica per colpa dell'Euro!

(Svezia e Norvegia senza Euro vanno benissimo)

Fone web

Mentre l'eurozona stenta a riemergere dalla peggiore crisi che abbia mai conosciuto, il paese membro con il rating più alto, nonché uno dei principali sostenitori dell'austerità, sta perdendo posti di lavoro e vede aumentare il suo debito.

Le sfide che la Finlandia - un'economia con un saldo rating AAA -  deve affrontare sono "storiche", ha detto il ministro delle finanze Jutta Urpilainen ad Helsinki. "Vorrei promettere che la crisi dell'euro finirà

quest'anno, che le mutazioni strutturali dell'industria finiranno e che la crescita del debito pubblico si arresterà. Ma sfortunatamente non posso."

La Finlandia, unico paese dell'eurozona ad avere il massimo del rating da quando nel 2012 Moody's ha rivisto al ribasso le prospettive della Germania, è in una condizione "depressa", ha detto la scorsa settimana il premio Nobel Paul Krugman, durante il suo tour nei paesi nordici. Krugman accusa il governo del primo ministro Jyrki Katainen di aver imposto politiche di austerità che hanno minato la domanda senza peraltro rivelarsi in grado di ridurre il peso del debito pubblico.

Il destino della Finlandia conferma i dubbi sulla validità di politiche che si focalizzano sulla riduzione del debito mentre l'economia sta perdendo posti di lavoro. Il paese è uno degli otto membri tra i 18 che compongono l'eurozona ad aver visto l'economia contrarsi sia nel 2012 che nel 2013, secondo la Commissione Europea. Il tasso di disoccupazione dell'intera eurozona rimane alla cifra record del 12,1 percento con una disoccupazione giovanile al 24,2 percento a novembre, secondo le stime Eurostat.

I POSTI DI LAVORO PERDUTI

Ora la coalizione di governo del primo ministro Katainen, formata da sei partiti, afferma che si rischia lo sforamento dei parametri dell'Unione Europea sul debito, che limitano il debito pubblico al 60 percento del prodotto interno lordo. A novembre la disoccupazione è salita al 7,9 percento, mentre il mese precedente era al 7,4 percento, secondo le stime dell'ufficio finlandese di statistica. L'indicatore del PIL ad ottobre segnava un calo dello 0,6 percento su base annua.

"La Finlandia è ancora significativamente depressa," ha detto Krugman, che ha messo in discussione la validità della scelta di sacrificare l'indipendenza della politica monetaria per aderire all'eurozona.

L'economia del paese arranca a fatica dietro quelle dei suoi vicini del Nord, la Svezia e la Norvegia, paesi esportatori che hanno scelto di stare fuori dall'euro. La Svezia si sostiene con la domanda interna, mentre la Norvegia si difende con il più grande fondo sovrano del mondo: 820 miliardi di dollari di investimenti accumulati coi profitti della vendita di petrolio e gas. Sebbene l'economia norvegese abbia rallentato l'anno scorso, la crescita del suo prodotto, prevista al 3 percento per l'anno in corso, supera decisamente la crescita dell'1,3 percento prevista per la Finlandia, dall'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. La previsione di crescita per la Svezia è del 2,3 percento.

I TAGLI ALLA SPESA PUBBLICA

I tagli alla spesa del primo ministro Katainen hanno coinciso con il declino delle maggiori industrie finlandesi. La Nokia Oyj (NOK1V), un tempo l'enfant prodige dell'ingegnosità finlandese, nel 2013 ha coronato anni di perdite vendendo le sue migliori attività di telefonia mobile alla Microsoft, mentre l'intero paese perde colpi sul fronte della crescita tecnologica.

Un altro elemento chiave per la creazione di lavoro in Finlandia è l'industria forestale, che sta annaspando, poiché le cartiere chiudono e libri e riviste cartacee vengono sostituiti dai dispositivi elettronici. Ciò ha spinto le due maggiori cartiere europee, Stora Enso Oyj (STERV) e UPM-Kymmene Oyj (UPM1V) a tagliare posti di lavoro, nello sforzo di sopravvivere.

"Quando la recessione colpisce una determinata industria, l'impatto in Finlandia è molto duro," ha detto ieri Katainen durante un'intervista a YLE Radio Suomi. "Abbiamo un problema strutturale che dobbiamo riuscire a risolvere."

DIETRO ALLA SPAGNA

La Finlandia è indietro di almeno mezzo decennio rispetto alla Spagna e al Portogallo  quanto all'adeguamento degli stipendi alla produttività, e sta dietro all'Europa del sud in quanto a incremento delle esportazioni, ha detto l'Istituto di Ricerca dell'Economia Finlandese (ETLA) in agosto.

"Durante il periodo della moneta unica il costo del lavoro in Finlandia è cresciuto più che in tutto il resto dell'eurozona" ha detto il presidente della Nordea Bank AB, Bjoern Wahlroos, in un'intervista alla televisione YLE TV1 dell'11 gennaio. "È estremamente difficile esportare la produzione finlandese." 

Lo sforzo dell'eurozona di tenere il debito pubblico sotto controllo ha raccolto consensi in tutta la ragione, ha detto oggi il ministro delle finanze olandese, Jeroen Dijsselbloem, in un'intervista a Bloomberg Television ad Hong Kong. "La volontà di cooperare è più forte che mai - il divario nord-sud è di fatto svanito," ha detto Dijesselbloem.

L'Olanda, come la Finlandia, ha scelto l'austerità anziché lo stimolo, perché due anni di declino economico hanno svuotato le casse dello stato.

PIU' ASTERITA'

Il governo finlandese intraprenderà "ulteriori misure di austerità, il che significa tagli alla spesa e forse alcuni aumenti delle tasse" in marzo, da cui ci si aspetta un "impatto economico negativo nel breve termine," ha detto ieri Katainen. Il suo consiglio dei ministri si riunirà oggi per discutere di come reagire alle sfide dell'economia. Ma nessuna decisione sarà presa, secondo un'affermazione del governo.

L'anno scorso la Finlandia aveva definito un piano da 9 miliardi di euro (12,3 miliardi di dollari) che includeva interventi strutturali per affrontare i costi derivanti dall'invecchiamento della popolazione. Il piano consiste in diverse misure che verranno inviate al parlamento un pezzo per volta. Alcune delle proposte, incluse modifiche alle pensioni e alle strutture sanitarie, sono ancora in fase di definizione.

"L'attuale problema di competitività della Finlandia non sarà risolto con una decisione sul dilemma delle pensioni, deve essere risolto qui ed ora, nel prossimo anno o due," ha detto Wahlroos, che è anche presidente di UPM-Kymmene e della compagnia assicurativa Sampo Oyj.

La cattiva situazione dell'economia finlandese ha costretto i leader politici a rivedere i loro impegni per il welfare. E mentre Urpilainen dice che il suo Partito Socialdemocratico ha scelto di difendere il diritto dei Finlandesi ai benefici pubblici, dice anche che il suo paese "dovrà trovare delle risposte alle sfide della società del welfare, e immaginare che tipo di stato sociale sarà possibile nel futuro."

"La globalizzazione e la divisione internazionale del lavoro hanno avuto un impatto, così come lo hanno avuto il progresso tecnologico e la crescente automazione," ha detto Urpilainen. "Queste sono delle sfide per il mercato del lavoro finlandese."

 

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Fukushima: “pericolo di evacuazione dell’emisfero nord della Terra"

Fonte web

Sta facendo il giro del mondo la notizia, trascurata dalla maggior parte dei media internazionali, compresa l’Italia. Come pubblicato dal quotidiano on-line losaioggi.it, si parla del pericolo Fukushima e che solo adesso il governo del Giappone non sa come affrontarlo.

Le autorità hanno finora mentito, ai giapponesi e al mondo intero: Fukushima era una struttura a rischio, degradata dall’incuria. Un impianto che andava chiuso molti anni fa, ben prima del disastro nucleare del marzo 2011. Da allora, la situazione non è mai stata sotto controllo: la centrale non ha smesso di emettere radiazioni letali. Tokyo finalmente ammette che, da mesi, si sta inquinando il mare con sversamenti continui di acqua radioattiva, utilizzata per tentare di raffreddare l’impianto. Ma il peggio è che nessuno sa esattamente in che stato siano i reattori collassati: si teme addirittura una imminente “liquefazione” del suolo. L’operazione più pericolosa comincerà a novembre, quando sarà avviata la rimozione di 400 tonnellate di combustibile nucleare. Operazione mai tentata prima su questa scala, avverte la “Reuters”: si tratta di contenere radiazioni equivalenti a 14.000 volte la bomba atomica di Hiroshima. Enormità: bonificare Fukushima – ammesso che ci si riesca – richiederà 11 miliardi di dollari. Se tutto va bene, ci vorranno 40 anni.

Scienziati non hanno idea del vero stato dei nuclei dei reattori, riassume il “Washington’s Blog” in un lungo reportage tradotto da “Megachip”: le radiazioni potrebbero investire la Corea, la Cina e la costa occidentale del Nord America. Perché il peggio deve ancora arrivare: gli stessi tecnici incapaci, che hanno prima nascosto l’allarme e poi sbagliato tutte le procedure di emergenza, ora «stanno probabilmente per causare un problema molto più grande». Letteralmente:

«La più grande minaccia a breve termine per l’umanità proviene dai bacini del combustibile di Fukushima: se uno dei bacini crollasse o si incendiasse, questo potrebbe avere gravi effetti negativi non solo sul Giappone, ma sul resto del mondo».

Se anche solo una delle piscine di stoccaggio dovesse crollare, avvertono gli esperti in materia di allerta nucleare Arnie Gundersen e il medico Helen Caldicott, non resterebbe che «evacuare l’emisfero nord della Terra e spostarsi tutti a sud dell’equatore».

 

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L’argentina dice no alla Monsanto.

Bloccata costruzione fabbrica transgenici

Fonte web

Ogni tanto arriva qualche buona notizia. La Monsanto, il gigante cattivo dell’agricoltura transgenica, è stata bloccata dalla giustizia argentina, che le ha vietato di costruire una fabbrica di mais geneticamente modificato a Malvinas Argentinas, un municipio della provincia di Cordoba, a circa 650 km da Buenos Aires.

La sentenza della Sala Segunda de la Cámara del Trabajo di Cordoba è arrivata lo scorso 8 Gennaio (ho pubblicato il .pdf della sentenza a fondo articolo, ndr), in seguito alle proteste di migliaia di argentini, stufi dei soprusi e dell’ipocrisia di una delle peggiori aziende con cui dobbiamo fare i conti oggigiorno.

La Monsanto ha dovuto abbandonare i cantieri e non potrà continuare a costruire la nuova fabbrica, almeno fino a che non venga realizzato uno studio sull’impatto ambientale e sanitario.

Ovviamente, la Monsanto ha cercato di difendersi dicendo che ha soddisfatto “tutti i requisiti legali” e che ha già a disposizione il rapporto (che avranno comprato a qualche ricercatore ed analista corrotto, ndr) e che “è in processo di valutazione da parte della Segreteria per l’Ambiente della provincia”.

La fabbrica avrebbe dovuto produrre circa 60mila tonnellate di mais transgenico all’anno e continuare ad avvelenarci.

Lo scorso Maggio 2013, circa 3 milioni di persone di ben 52 Paesi diversi, si sono unite in una protesta mondiale contro la Monsanto, per ricordare a questi signori che il geneticamente modificato non piace e fa male.

Per conoscere di più sulle efferatezze della Monsanto, potete leggere gli studi del prof. Raúl Montenegro, presidente della fondazione argentina FUNAM, che lotta per la difesa dell’ambiente e della salute delle persone.

Se volete boicottare la Monsanto, sappiate che controlla tutti i prodotti che riporto nella tabella qua sotto e che tutti contengono materie prime transgeniche.

 

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Microchip – Obbligatorio per tutti i Neonati da Maggio 2014

Fonte web

Il microchip è un circuito integrato applicato nel tessuto sottocutaneo. I microchip sono delle dimensioni circa di un chicco di riso e sono basati su una tecnologia passiva NWO. I microchip sono particolarmente utili in caso di rapimento o scomparsa dei bambini.Molte nazioni già utilizzano e richiedono il microchip insieme alla vaccinazione.

Da Maggio 2014 entrerà in vigore, in tutta Europa, l’obbligatorietà di sottoporre

i neonati all’installazione del microchip sottocutaneo che dovrà essere applicato negli ospedali pubblici al momento della nascita.

Il microchip in questione è dotato, oltre che di una scheda tecnica con le informazioni relative all’individuo, (nome, cognome, gruppo sanguigno, data di nascita ecc) anche di un potente rilevatore GPS che funzionerà con una micro batteria sostituibile ogni 2 anni presso i centri ospedalieri statali. Il GPS all’interno del microchip è di nuova generazione e dunque consente un margine di errore del rilevamento pari o inferiore ai 5 metri. Sarà collegato direttamente ad un satellite, che gestirà le connessioni. Chi vorrà, potrà farsi impiantare gratuitamente (o far impiantare ai propri figli) il microchip, anche se nato/i prima del Maggio 2014, compilando un modulo di richiesta all’ASL di appartenenza.

La CCCP (Comitato Consultivo per il Controllo della Popolazione) ha preso in considerazione l’obbligatorietà di installazione anche ai cittadini nati prima della suddetta data, ma ciò non avverà prima del 2017. L’istallazione sarà totalmente indolore grazie al fatto che il chip verrà impiantato sotto pelle nel gomito sinistro, privo di terminazioni nervose.


Finalmente una buona notizia dal mondo della tecnologia. Grazie a questo chip, finalmente, si eviteranno tutti i casi di scomparsa o rapimenti che hanno turbato il mondo in tutti questi anni. Inoltre sarà possibile, grazie a questa tecnologia, nel futuro,
rintracciare facilmente tutti i criminali latitanti.
 

 

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Siria, cristiani in trappola nel loro villaggio: rischio massacro a Kanaye

Fonte web

Siria_assad_russia_cristiani_salafiti_persecuzione_Kanaye_Stati_UnitiSono in duemila le persone nel mirino dei miliziani di Al Nusra e salafiti vicini ad Al Qaeda. Monsignor Nazzaro lancia l’allarme e chiede l’aiuto delle forze internazionali per salvare la piccola comunità

Duemila cristiani sono in trappola dalla sera del 14 dicembre nel loro villaggio di Kanaye, in Siria, occupato militarmente da gruppi di miliziani di Al Nusra e salafiti. Rischiano di essere massacrati se non si convertiranno all’Islam o se non abbandoneranno le proprie case. Un abitante è riuscito a telefonare di nascosto al vescovo emerito di Aleppo, mons. Giuseppe Nazzaro, il quale lancia l’allarme e chiede aiuto per salvare la piccola comunità.

“Temiamo – ha detto il presule – che la popolazione sia costretta a fuggire in massa o a convertirsi all’Islam se non vuol essere trucidata. In base alle informazioni ricevute – riferisce mons.Nazzaro – gli al qaedisti stranieri sono entrati nel villaggio e hanno impedito al parroco di suonare le campane per avvertire del pericolo i suoi compaesani. Poi hanno bloccato le vie di accesso e ordinato alla popolazione di adeguarsi alla legge coranica. Se anche una sola donna dovesse uscire senza il velo islamico, tutti gli abitanti del villaggio verrebbero passati per le armi”.

“La gente era terrorizzata – prosegue il vescovo – ma purtroppo da stanotte non sono più riuscito a mettermi in contatto con loro e non ho ulteriori notizie”. Nella regione di Idlib, prima che scoppiasse la guerra, vivevano 60mila cristiani. Già lo scorso anno, gruppi di fondamentalisti avevano conquistato un altro villaggio della zona, Ghassanieh, costringendo la popolazione civile cristiana a fuggire, sotto minaccia di morte. In quell’occasione, intere famiglie avevano abbandonato le case e tutti i loro beni nel giro di una notte.

I ribelli, dopo aver saccheggiato abitazioni e luoghi sacri, avevano trasformato l’abitato in una loro roccaforte. “Anche Kanaye rischia la stessa sorte – osserva mons.Nazzaro – ed è assurdo che nessuno muova un dito per proteggere i cristiani siriani”. Il presule, ormai settantottenne, è stato arcivescovo di Aleppo fino al marzo scorso, ed è tornato in Siria anche in ottobre, senza però riuscire a raggiungere né la zona di Idlib né la sua ex sede vescovile. Dall’inizio del conflitto, su oltre due milioni di cristiani siriani, circa 500mila hanno lasciato il Paese, mentre altre centinaia di migliaia sono profughi all’interno della Siria. “A minacciarli – sottolinea mons. Nazzaro – non sono i musulmani siriani, con i quali hanno convissuto in armonia per tanti secoli, ma gli estremisti islamici provenienti dall’estero. Questa – conclude – è una guerra di potenze straniere, in prima fila l’Arabia Saudita e il Qatar, contro la Siria”. TGcom24 16 dicembre 2013
 

 

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In Grecia un fenomeno nuovo:

aziende cercano personale senza stipendio!

Fonte web

La nuova regolamentazione del lavoro raccomandata dalla Trojka in Grecia produce i suoi frutti... che si cominciano a vedere anche da noi. Nella Grecia della recessione e dei nuovi accordi di finanziamento col FMI la realtà del mercato del lavoro si è trasformata nel nostro peggiore incubo. I datori di lavoro non solo pagano i propri dipendenti con fino a sei mesi di ritardo. Un nuovo fenomeno si è presentato recentemente nel mercato del lavoro greco. Offerte di posti di lavoro su base volontaria. In tempi di debiti, disoccupazione e disperazione, i cittadini europei sono costretti non solo a lavorare per un pezzo di pane in un paese onerato dai debiti con i prezzi al consumo che restano spudoratamente alti. Ora, i dipendenti sono anche invitati a lavorare senza stipendio, a lavorare per niente. Per nessuno stipendio affatto, su base volontaria. L'unico premio per il dipendente disperato è la brillante prospettiva di essere scelto come volontario dell'anno.

Pubblico alcuni esempi dei più recenti sviluppi nel mercato del lavoro greco, nella speranza che qualcuno si rivolga alla Corte europea dei diritti dell'uomo.

Lavorare per niente

Nella Grecia del capitalismo sfrontato e selvaggio, gli interessi privati e il profitto diventano luoghi di sfruttamento selvaggio e di condizioni precarie del mercato del lavoro, mentre allo stesso tempo si asseconda la nobile causa del volontariato, un'attività altruistica per il miglioramento della vita umana e la promozione della buone cause.

Società privata di Atene cerca volontari per il Dipartimento di Marketing, orario di lavoro 09:00-17:00, almeno per quattro giorni al mese.
Conoscenze richieste : lavoro di squadra, voglia di imparare, ecc.
Offerte: esperienza di vita, soddisfazione morale, contatto con altri volontari, certificazione di volontariato, "volontario dell'anno" . (fonte)

Lavorare per vitto e alloggio

Nel migliore dei casi, i datori di lavoro offrono un pasto e un alloggio gratuiti, come nel caso di un albergo sull'isola di Egina.

"Hotel cerca cameriera di piano per lavoro volontario a Egina, offre vitto e alloggio."

Lavorare e restituire parte dello stipendio al datore di lavoro
I datori di lavoro sembrano non essere mai a corto di idee quando si tratta di sfruttare le forze di lavoro. Un'addetta alle pulizie ha denunciato la scorsa settimana che il datore di lavoro stava richiedendo indietro parte dello stipendio.

La donna era stata assunta da una società privata che aveva un contratto con un ospedale pubblico di Atene. "Solitamente versavano sul mio conto in banca € 800 al mese, ma un paio di giorni dopo, due signore mi venivano a trovare e mi chiedevano 200 € in contanti ", ha detto l'addetta alle pulizie a skai TV. . Ha aggiunto che questa era la prassi comune per tutto il personale e che i lavoratori erano costretti a restituire 200-300 euro a seconda del loro stipendio.

Lavorare e attendere tre mesi per ricevere il salario.

Con l'abolizione della contrattazione collettiva imposta dal FMI, operai e impiegati in Grecia si trovano ad affrontare le nuove regole del lavoro, come la settimana di sei giorni, orari di lavoro flessibili, lavoro a rotazione di 3 o 4 giorni la settimana, senza indennità né remunerazione del lavoro straordinario.

Uno degli ultimi esempi della nuova morale nel mercato del lavoro greco è stato firmato all'inizio di novembre:

I dipendenti di una compagnia di assicurazioni sono stati costretti a firmare contratti di lavoro in base ai quali il pagamento dello stipendio avviene regolarmente con un ritardo di 90 giorni!

" Il pagamento degli stipendi per il personale avverrà entro 90 giorni dalla fine del mese in cui è stato prestato il lavoro, sia tramite bonifico sul conto corrente del dipendente sia in contanti o in combinazione dei due." (imerisia.gr)

Lavorare per dei buoni pasto

Nel settore dei trasporti internazionali della Grecia una nuova contrattazione collettiva prevede che i dipendenti saranno pagati in base al fatturato dell'impresa. Se il fatturato diminuisce per un periodo di nove mesi, gli stipendi saranno ridotti del 4 per cento. Se il suo fatturato aumenta, verrà dato un bonus sotto forma di denaro o buoni pasto.

KeepTalkingGreece conclude così:

Ma lo sapet qual'è la cosa più strana e vergognosa di tutta la situazione? Che il settore pubblico greco, lo stato cosìprofondamente indebitato, mantiene ancora dei salari più alti e pensioni più alte rispetto al settore privato.

...Mi chiedo come mai questa debba essere vista come una vergogna, invece che come l'ultimo baluardo di riconoscimento della dignità del lavoro in un paese catturato e svenduto. (La forza del lavaggio del cervello).

 

 

 

 
Ultimo aggiornamento: giovedì 30 ottobre 2014