La tecnica utilizzata è sempre la stessa. Il documento adotta un
linguaggio volutamente ambiguo e ambivalente per presentare e promuovere in
maniera subdola il proprio programma radicale. L’obiettivo è quello di creare
consenso attorno a concetti e vocaboli apparentemente innocui e ragionevoli che
in realtà sottendono l’adesione ad un progetto di profonda rivoluzione
culturale.
La parola che ricorre con maggiore frequenza nel documento è il termine
gender. Tale vocabolo rappresenta, infatti, il cuore
della strategia di azione delle Nazioni Unite fin dalla Conferenza
mondiale delle donne di Pechino del 1995. Come ha scritto, a tale
proposito, la studiosa belga Marguerite Peeters, nel suo libro Il
gender. Una questione politica e culturale (Edizioni San Paolo, 2014), il
gender può essere descritto come un insieme olistico di
cerchi concentrici fornito di un nucleo duro radicale.
I
cerchi esterni, i più visibili e i più lontani dal centro ideologico nascosto,
rappresentano i progetti a più alto consenso e capaci di sedurre la maggioranza.
Fanno parte di tale categoria, ad esempio, programmi di lotta contro lo stupro o
la mutilazione, la richiesta di maggiori garanzie per le donne riguardo
l’educazione, le cure mediche, lo sviluppo socio-economico ecc.
Tuttavia, come scrive la Peeters, una più attenta analisi dimostra che
«il gender è un processo rivoluzionario centripeto, il nucleo duro
ed ideologico attira verso sé e contamina tutti gli altri cerchi cosicché anche
i progetti più esteriori e apparentemente più accettabili finiscono per essere
contagiati dall’antropologia laicista, individualista ed edonista del centro».
La rivoluzione del gender avanza dietro una maschera di
parole dal sapore altruistico e umanitario come uguaglianza, equità, parità di
genere, libertà di scelta, diritti, dignità umana, progresso,
autonomia, emancipazione, lotta contro le violenze, non discriminazione, salute
riproduttiva, sviluppo sostenibile, ecc….
Il rapporto dell’ONU appena pubblicato rappresenta, in tal senso, un manuale
emblematico di tale ipocrita e ambigua strategia d’azione. Per questo è
interessante esaminare alcuni dei concetti esposti al suo interno per cercare di
svelarne il significato reale e l’inganno linguistico intrinseco.
Una delle definizioni più ricorrenti nel documento è «salute
riproduttiva», termine paradossale che nei fatti costituisce la negazione
sia della salute che della riproduzione. Con tale definizione si vuole,
infatti, stabilire il diritto all’aborto e alla contraccezione ai fini del
controllo della propria sessualità. Per questo, a pagina 113 del rapporto, nella
sezione «sullo sviluppo sostenibile», leggiamo la
raccomandazione di «rispettare, proteggere e promuovere la salute
e i diritti sessuali e riproduttivi per tutti, soprattutto per le donne e le
ragazze, nel ciclo vitale».
Sempre a pagina 113 viene proposta l’ideologica uguaglianza di genere
sottolineando la necessità di «riconoscere,
ridurre e redistribuire il lavoro non pagato tra uomini e donne all’interno
delle famiglie, e tra famiglie e Stato estendendo i servizi di base e le
infrastrutture accessibili a tutti». Un’abolizione forzata della
complementarietà fra i sessi in nome della parità di genere che svilisce la
donna e perde di vista le naturali inclinazioni di ciascun sesso. A pagina 114
il documento promuove, inoltre, «politiche sulla popolazione
sostenibili nella salute e nei diritti sessuali e riproduttivi, inclusa la
fornitura accessibile a tutti… di un’educazione alla sessualità comprensiva e
dell’aborto sicuro»introducendo il singolare concetto di «aborto sicuro»,
una contraddizione in termini che soggiace la legalizzazione
dell’aborto a tutti i livelli.
Come anticipato la parola più ripetuta all’interno del rapporto delle Nazioni
Unite è il termine “gender”. Vocabolo dal significato ideologico che sostituisce
la parola sesso e mira a promuovere, all’interno di tutti gli Stati membri, la «prospettiva
di genere» volta a rimuovere gli stereotipi di maschi e femmina,
considerati superati e inadatti a rappresentare la complessità sociale
contemporanea. L’agenda gender va a braccetto con l’agenda
LGBTQ omosessualista, dettando la promozione e diffusione di
qualsivoglia tendenza sessuale in nome di falsi e malintesi nuovi “diritti
umani”. Il sesso di un individuo, l’essere maschio e femmina, lungi dall’essere
un dato biologico, fisso e immutabile, diviene un dato socio-culturale e
psicologico, da decostruire e ricostruire continuamente a proprio piacimento.
Il rapporto sulle donne dell’Organizzazione delle Nazioni Unite costituisce
dunque un compendio significativo del programma di azione sovversivo degli
ideologi del gender volto ad imporre attraverso una
rivoluzione culturale globale “silenziosa” il nuovo paradigma etico
fondato su un nuovo linguaggio, norme e valori. Un attacco infido e sleale il
cui bersaglio principale sono il matrimonio e la famiglia naturale capisaldi
vitali della nostra società. (Lupo Glori)
Dal
Brasile mi giunge una notizia che costituirebbe una vera rivoluzione nella
Chiesa. E cioè che si sta cercando il modo, in dialogo con la Congregazione per
il Clero, di ordinare “ad experimentum” “viri probati” per sopperire alla
mancanza di sacerdoti nelle diocesi dell’Amazzonia, dove le distanze sono
enormi, il numero dei sacerdoti sempre più scarso, e le possibilità per alcune
comunità cristiane di avere i sacramenti estremamente ridotte.
Il motore
dell’iniziativa sarebbe il card. Claudio Hummes, già prefetto della
Congregazione per il Clero, ora arcivescovo emerito di San Paolo, dove continua
però, nonostante gli 80 anni appena compiuti, a essere attivo in un incarico
diocesano analogo a quello di Vicario episcopale e che ha attinenza con la
regione delle Amazonas. Claudio Hummes è il cardinale che Jorge Mario Bergoglio
ha voluto accanto a sé quando è apparso subito dopo l’elezione alla Loggia della
basilica di San Pietro. Secondo alcuni esperti sarebbe proprio Claudio Hummes
uno dei principali fautori e organizzatori dell’elezione di papa Francesco.
Hummes, quando era
Prefetto del Clero, aveva l’idea di far andare avanti l’idea dell’ordinazione
dei “viri probati”, ma non riuscì nel suo intento. Per “viri probati” ci si
riferisce a uomini di provata fede, anziani, sposati o vedovi, che nelle antiche
comunità cattoliche venivano ordinati come sacerdoti per supplire ai bisogni di
comunità cristiane isolate generalmente situate in zone poco accessibili e
lontane dal centro delle diocesi.
Il card. Hummes
oltre a essere in dialogo sull’argomento con la Congregazione per il Clero,
guidata dall’uomo di fiducia del Papa, il card. Stella, ha naturalmente parlato
con i vescovi dell’Amazzonia. Uno di loro, mons. Erwin Kraeutler, vescovo di
origine austriaca, missionario in Brasile, prelato di Xingu nella regione
amazzonica, nell’aprile scorso ha riferito di aver parlato con Papa Francesco
dell'ipotesi che vengano ordinati i cosiddetti "viri probati" - per assicurare
l'assistenza spirituale in un territorio sconfinato con 700mila fedeli, 800
comunità e soli 27 preti.
"Ho riferito al
Papa che sono il vescovo della diocesi più grande per estensione del Brasile con
700mila fedeli e che le nostre comunità possono celebrare l'eucaristia solo due
o tre volte all'anno", ha detto mons. Kraeutler in un'intervista alla Salzburger
Nachrichten. "In connessione con la necessità delle nostre comunità si è parlato
anche dei viri probati, gli uomini sposati di sicura fede che vengono ordinati
preti”.
Se l’iniziativa del
card. Hummes si concretizzerà, l’Amazzonia potrebbe essere il primo luogo al
mondo in cui si avranno, nel rito latino, sacerdoti con famiglia. (Marco
Tosatti)
Il
presidente turco, Recep Erdogan, nell’annunciarlo, non ha nascosto la propria
euforia. Né, da musulmano, avrebbe potuto: «La porta d’Europa
senza visto turistico– ha dichiarato – sta
ormai per essere aperta». Lo ha sancito la firma di un accordo sottoscritto
col Commissario per gli Affari Interni dell’Ue, Cecilia Malmström (nella
foto). Dov’è il problema? Che le frontiere turche consentono il transito
dei terroristi anti-Damasco; che la metà dei miliziani islamici del Fronte
al-Nosra in Siria sono turchi; che turca è anche buona parte dei quadri degli
altri gruppi armati jihadisti, dall’Isis al Fronte Islamico. E’ tutto questo a
render pericolosissima la libera circolazione nello spazio Schengen ai cittadini
di quel Paese.
E caso mai
qualcuno nutrisse ancora dubbi, ecco i risultati di un recente sondaggio messo a
punto dall’Università di Sanbancu: il 40% della popolazione turca ha «un’opinione
negativa dei Cristiani». E l’Europa se li porta in casa, senza nemmeno
chieder loro di bussare… incredibile! Chiunque e con qualunque intenzione,
acquistando un banalissimo biglietto aereo, può automaticamente dalla Turchia
raggiungere qualunque città europea, senza che alcuno Stato dell’Unione possa
opporsi: a smorzar sul nascere qualsiasi titubanza ed a render violazione
sanzionabile qualsiasi resistenza, provvedono la ratifica del trattato
d’Amsterdam, avvenuta nel 1998, e quella del trattato di Lisbona, avvenuta nel
2007.
Per l’Italia,
Cecilia Malmström, firmataria per l’Europa di questo accordo bilaterale
effettivo dal primo gennaio, rappresenta una vecchia conoscenza: è la stessa
che, sempre come Commissario per gli Affari Interni dell’Ue, ha avviato
un’indagine contro il nostro Paese, contestandoci lo stato di degrado del centro
d’accoglienza di Lampedusa. Ma, già in passato era assurta agli “onori” della
cronaca, per aver salutato con entusiasmo due anni fa le dichiarazioni del
Presidente Usa, Obama, a favore delle “nozze gay”, nonché per aver, come primo
ministro svedese, preso parte a varie edizioni del Gay Pride, all’estero –
Varsavia 2007, ad esempio – e in Patria – prima oratrice alla parata del 2008 -;
oltre a distinguersi per una frenetica attività nel gruppo di lavoro per le
questioni Lgbt, interno all’Europarlamento. Ed ora si cimenta in questa nuova
apertura, stavolta verso l’islam militante. Apertura, il cui costo, in termini
culturali, sociali e di sicurezza interna, potrebbe essere, ancora una volta,
enorme.
18
settembre 2014 (MoviSol) - La Commissione olandese per la Sicurezza dei
Trasporti ha finalmente pubblicato la scorsa settimana un rapporto preliminare
sul volo MH17, abbattuto sopra l'Ucraina il 17 luglio. Il rapporto sostiene che
i danni alla fusoliera ed alla cabina di pilotaggio "sono coerenti con quelli
che ci si potrebbe aspettare da un grande numero di oggetti ad alta energia che
hanno penetrato l'aereo dall'esterno".
Il rapporto preliminare non fornisce prove di un ruolo russo nell'abbattimento
del volo di linea, benché il presunto ruolo sia stato il motivo delle sanzioni
dell'UE e degli USA ed anche per quelle imposte alla Russia più recentemente.
Esperti militari con cui abbiamo parlato indicano che le immagini alla cabina di
pilotaggio danneggiata dell'MH17, diffuse in rete prima del rapporto olandese,
non mostrano l'impatto di un missile, neanche uno esploso a una certa distanza
dall'aereo, ma piuttosto l'impatto di una mitragliatrice che ha sparato da un
altro aereo. Ciò, a sua volta, punta il dito sui caccia ucraini che potrebbero
aver sparato, intenzionalmente o per errore, contro un aereo di linea civile.
Queste prove sarebbero note, secondo una fonte, ai governi tedesco ed americano,
che tentano di insabbiarle.
Un ex diplomatico europeo che ha studiato il caso è giunto alla conclusione che
i caccia ucraini hanno abbattuto l'aereo di linea, e ritiene che questo traspaia
anche dal rapporto olandese. Prima o poi ciò eserciterà pressioni sulle autorità
olandesi che dovranno dire la verità, creando tensione col governo americano ed
altri governi occidentali intenti ad insabbiare le prove. Paragonate a questo,
ha aggiunto l'ex diplomatico, le tensioni anni fa sul rifiuto americano di
riconoscere la Corte Internazionale di Giustizia all'Aia sembreranno un gioco da
ragazzi.
L’Ungheria
fa boom,caccia i massoni del FMI e banksters dalla nazione ed ora emette moneta
senza debito,è SOVRANA DI SE STESSA,Li non comanda la sinistra…
Dopo che è stato ordinato all’FMI di abbandonare il paese, la nazione adesso
stampa moneta senza debito. L’Ungheria sta facendo la storia.
Teniamo a precisare
che l’ UE si permette ancora di calcolare il debito ungherese anche se ora la
nazione è sovrana fuori dal FMI e da tutti i vincoli europei debito pubblico
compreso,considerandolo il più alto d’Europa,semplicemente perchè l’ Ungheria
non fa nulla per ridurlo,non da un soldo all FMI,banche e UE perchè pensa ai
cittadini,e quindi il “debito fantasma” cresce,ma nulla possono contro una
nazione che li ha rifiutati a priori,possono solo conquistarla militarmente
violando i trattati internazionali.
Quindi anche se rifiuti l’Europa lei ti costringe comunque a pagare… gli
italiani ci cascano,gli ungheresi, svizzeri, islandesi, inglesi ecc no….
Mai più dagli anni
’30 con il caso della Germania un paese europeo aveva osato sfuggire alle
grinfie dei cartelli bancari internazionali controllati dai Rothschilds. Questa
è una notizia stupenda che dovrebbe incoraggiare i patrioti
nazionalisti del mondo intero ad intensificare la lotta per la libertà dalla
dittatura finanziaria. Già nel 2011 il primo ministro ungherese, Viktor Orbán promise
di ristabilire la giustizia sui predecessori socialisti che avevano venduto il
popolo della nazione alla schiavità di un debito infinito con i vincoli del FMI
(IMF) e lo stato terrorista d’Israele. Queste amministrazioni precedenti erano
infiltrate da israeliani nelle alte cariche, in mezzo al furore delle masse che
alla fine, in reazione, hanno votato il partito Fidesz di Orban. Secondo una
relazione sui siti germanofoni del “National Journal”, Orbán si è accinto a
scalzare gli usurai dal trono. Il popolare e nazionalista primo ministro ha
detto all’FMI che l’Ungheria non vuole né richiede “assistenza” ulteriore dal
delegato della Federal Reserve di proprietà dei Rothschild. Gli
ungheresi non saranno più costretti a pagare esosi interessi a banche centrali
private e irresponsabili.
Anzi,
il governo ungherese ha assunto la sovranità sulla sua moneta e adesso emana
moneta senza debito e tanta quanto ne ha bisogno. I risultati sono stati
nientemeno che eccezionali. L’economia nazionale, che vacillava per via di un
pesante debito, ha ricuperato rapidamente e con strumenti inediti dalla Germania
nazionalsocialista. Il ministro per l’Economia ungherese ha annunciato che
grazie a “una politica di bilancio disciplinato” ha ripagato il 12 agosto 2013
il saldo dei 2,2 bilioni di debito all’FMI, prima della scadenza ufficiale del
marzo 2014. Orbàn ha dichiarato: “L’Ungheria gode della fiducia degli
investitori” che non vuol dire né l’FMI né la Fed o altri tentacoli dell’impero
finanziario dei Rothschild. Piuttosto si riferiva agli investitori che producono
in Ungheria per gli ungheresi, creando crescita economica vera, e non già la
“crescita di carta” dei pirati plutocratici, bensì quel tipo di produzione che
assume realmente le persone e ne migliora la vita. Con l’Ungheria libera dalla
gabbia della servitù agli schiavisti del debito non c’è da meravigliarsi che il
presidente della banca centrale ungherese gestita dal governo per il bene
pubblico e non per l’arricchimento privato abbia chiesto all’FMI di chiudere i
battenti da uno dei paesi più antichi d’Europa. Inoltre, il procuratore
generale, ripetendo le gesta dell’Islanda, ha accusato i tre precedenti primi
ministri del debito criminale in cui hanno precipitato la nazione.
L’unico passo che rimane da fare per distruggere
completamente il potere dei bancksters in Ungheria, è di attuare un sistema di
baratto per lo scambio con l’estero come esisteva in Germania con i nazional
socialisti e come esiste oggi in Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, i
cosiddetti BRICS, una coalizione economica internazionale. E se gli USA
seguissero la guida dell’Ungheria, gli americani potrebbero liberarsi dalla
tirannia degli usurai e sperare in un ritorno a una pacifica prosperità.
La
propaganda straordinaria condotta contro la Russia dai governi statunitense e
britannico e dai ministeri della propaganda noti come "media occidentali" ha lo
scopo di portare il mondo ad una guerra che nessuno potrà vincere. I governi
europei devono scuotersi dalla noncuranza, perché l'Europa sarà la prima ad
essere vaporizzata a causa delle basi missilistiche statunitensi che ospita per
garantire la sua "sicurezza". Come riportato da Tyler Durden di Zero Hedge, la
risposta russa alla sentenza extragiudiziale di un corrotto tribunale olandese,
che non aveva alcuna giurisdizione sul caso che ha arbitrato, sentenza che
ordina al governo russo di pagare 50 miliardi di dollari agli azionisti della
Yukos (un'entità corrotta che stava saccheggiando la Russia ed evadendo le
tasse), è molto significativa.
Quando gli è stato chiesto come la Russia si comporterà riguardo la sentenza, un
consigliere del presidente Putin ha risposto: "C'è una guerra che sta arrivando
in Europa. Crede davvero che questa sentenza abbia importanza?". L'Occidente si
è coalizzato contro la Russia perché è totalmente corrotto. La ricchezza delle
elite è ottenuta non solo depredando i paesi più deboli i cui leader possono
essere comprati (per istruirvi su come funziona il saccheggio leggete "Confessions
of an Economic Hit Man" di John Perkins), ma anche derubando i loro stessi
cittadini. Le elite americane eccellono nel saccheggio dei loro connazionali e
hanno spazzato via gran parte della classe media statunitense nel nuovo 21°
secolo.
Al
contrario, la Russia è emersa dalla tirannia e da un governo basato sulle
menzogne, mentre gli USA e il Regno Unito sono sommersi da una tirannia
schermata da menzogne. Le elite occidentali vorrebbero depredare la Russia, un
premio succulento, e Putin sbarra loro la strada. La soluzione è sbarazzarsi di
lui, come in Ucraina si sono sbarazzati del presidente Yanukovich. Le elite
predatorie e gli egemonisti neoconservatori hanno lo stesso obiettivo: fare
della Russia uno stato vassallo. Questo obiettivo unisce gli imperialisti
finanziari occidentali con gli imperialisti politici. Ho raccolto per i lettori
la propaganda che viene usata per demonizzare Putin e la Russia. Ma perfino io
sono rimasto scioccato dalle strabilianti e aggressive bugie del giornale
britannico The Economist del 26 luglio.
In
copertina c'è il viso di Putin in una ragnatela, e, avete indovinato, il titolo
di copertina è "Una rete di bugie". Dovete leggere questa propaganda per
constatare sia il livello di spazzatura della propaganda occidentale, sia
l'evidente spinta verso la guerra. Non viene presentata la minima prova per
supportare le accuse estreme dell'Economist e la sua richiesta che l'Occidente
smetta di essere conciliante con la Russia e intraprenda le azioni più dure
possibili contro Putin. Questo genere di menzogne incoscienti e di lampante
propaganda non ha altro scopo che di condurre il mondo alla guerra. Le elite
occidentali e i governi non sono solo totalmente corrotti, sono anche pazzi.
Come ho scritto precedentemente, non aspettatevi di vivere ancora a lungo. In
questo video, uno dei consiglieri di Putin e alcuni giornalisti russi parlano
apertamente dei piani statunitensi per attaccare la Russia.
Obama
ha firmato l'ordine esecutivo per l'invio di cosiddetti "consiglieri militari"
in Ucraina. L'escalation prende i suoi corpi.
Mi pare che in
Ucraina (e in Europa) si vada a percorrere una strada dalla quale sarà difficile
fare marcia indietro. Il tutto nella mestizia dei pochi che stanno seguendo
l'evolversi delle cose e nella totale indifferenza dei tanti che ritengono di
non essere interessati.
Lasciando perdere i
tanti, troppi, civili morti su cui nessuno ai piani alti dei media spende una
parola come fossero bestiame, dall'altro lato nei paesi nordici più legati agli
USA continua l'isteria antirussa.
Eppure la Russia ha
presentato i tracciati radar in suo possesso e ha fatto una ricostruzione ricca
di dettagli, compresa l'esatta indicazione dei satelliti statunitensi in grado
di vedere la stessa scena.
Questa
ricostruzione è sbagliata? Perfetto. Gli americani presentino le loro prove e
facciano vedere che Mosca mente.
Niente, accusano ma
non mostrano nulla.
Per contro, le
milizie filorusse hanno consegnato le scatole nere alle autorità malesi. Ben
strano per essere dei colpevoli. Comunque.
Non basta, Obama ha
firmato l'ordine esecutivo per l'invio di cosiddetti "consiglieri militari". Il
Pentagono senza perdere tempo li ha già inviati (sempre che non fossero in loco
sotto mentite spoglie) e oggi i media russi hanno diffuso la notizia che tra
questi consiglieri si registrano le prime due vittime a Mariupol' (porto del sud
est ucraino "filorusso" sul mare di Azov).
Si riscontrano
inoltre ulteriori cannoneggiamenti ucraini in territorio russo. Sembra che gli
ucraini non vedano l'ora che l'Orso esca dalla tana.
Tornando all'aereo
malese, è davvero mirabile la decisione dei governi australiano e olandese:
manderanno personale militare a guardia dei rottami del velivolo affinché
nessuno "inquini" le prove.
Peccato che ci
voglia poco a capire come queste piccole pattuglie di militari saranno alla
mercé di qualsiasi malintenzionato che possa compiere attentati o addirittura
bombardarli con l'intento di incolpare la parte avversa. Bel capolavoro di
stupidità o di criminale malafede di questi governi.
Insomma, si va
verso una brutta e pericolosa strada. Molto brutta e molto pericolosa. Una
conferma che sta cambiando tutto rapidamente viene dalle dichiarazioni del capo
dello stato maggiore congiunto, ossia l'ufficiale di più alto rango delle forze
armate USA, il generale Martin Dempsey, il quale ha spiegato che Washington
proprio alla luce della crisi ucraina sta aggiornando l'intero modello di
intervento delle forze armate forgiato all'epoca della Guerra Fredda. Ulteriore
segnale di dove si voglia spingere il destino dell'Europa.
“Ogni
bambino ha bisogno di una madre e di un padre”: è questo uno degli slogan della
Marcia per il Matrimonio che si terrà a Washington il prossimo 19 giugno. Quella
del 2014 è la seconda edizione; la prima si è svolta a Washington DC il 26 marzo
2013 e ha visto la partecipazione di 10mila manifestanti. La data del 26 marzo
non fu casuale: proprio quel giorno del 2013 la Suprema Corte degli Stati Uniti
diede inizio alla discussione del caso Perry vs California, riguardante la
Proposition 8 della Costituzione della California.
Infatti nel
novembre 2008 il 52.3% degli elettori californiani approvò tale proposizione che
aggiungeva alla Costituzione della California la definizione di matrimonio come
unione tra un uomo e una donna. L’anno successivo una corte distrettuale della
California sentenziò che tale proposizione violava il 14mo Emendamento. La
questione finì all’attenzione della Corte Suprema a seguito della causa
intentata nel 2009 da Kristin Perry contro lo stato della California
(Governatore Schwarzenegger compreso), che le aveva negato il diritto al
matrimonio omosessuale con la sua compagna. Il dibattito era infuocato perché
tutto il mondo LGBT premeva, supportato da una parte del mondo politico e della
società statunitense, per l’abrogazione della Proposition 8 e, di conseguenza,
il riconoscimento delle unioni omosessuali. Lo stesso presidente Obama e Hillary
Clinton si erano schierati apertamente a favore dei matrimoni omosessuali.
La Marcia per il
Matrimonio, sia nella prima che nella seconda edizione, è stata appoggiata
apertamente dalla Conferenza Episcopale del Nord America, in particolare
quest’anno dall’arcivescovo di San Francisco, Salvatore J. Cordileone, e dal
vescovo di Buffalo (NY), Richard J. Malone. Motore dell’iniziativa la National
Organization for Marriage (NOM). Numerosi gli sponsor della Marcia, che
percorrerà la Constitution Avenue di Washington per terminare davanti alla
Corte Suprema, tra cui arcidiocesi come quella di Philadelfia, il Family
Research Council, la Coalition of Afro-American Pastors, The Heritage Foundation,
un importante centro di ricerca e think tank conservatore.
I vescovi
cattolici che si sono schierati apertamente a favore della Marcia hanno
sottolineato che essa si terrà qualche giorno prima della terza Fortnight for
Freedom, un’iniziativa di preghiera, formazione e sensibilizzazione della durata
di due settimane, per promuovere la libertà religiosa negli USA e nel mondo.
Ha suscitato
scalpore l’intervento dello speaker della Camera, Nancy Pelosi, democratica e
nominalmente cattolica, che ha invitato l’arcivescovo di San Francisco a non
intervenire alla Marcia. Cordileone non solo parteciperà alla marcia, ma terrà
un discorso, che si prefigura di grande rilievo come indirizzo ai cattolici e ai
presuli degli Stati Uniti: l’arcivescovo di San Francisco, di chiare origini
italiane, si è battuto a favore della Proposition 8 ed ha contribuito a
raccogliere 1,5 milioni di dollari a sostegno della Proposition 8. Egli ebbe a
dire che “l’attacco finale del male è l’attacco al matrimonio”. La Pelosi, che
ha definito la marcia “veleno mascherato da virtù”, ha scritto a Cordileone che
la partecipazione alla marcia sarebbe un segno di “disdegno e odio verso le
persone LGBT”. Altri politici democratici, come il sindaco di San Francisco, Ed
Lee, e il governatore della California Gavin Newsome hanno chiesto
all’arcivescovo di desistere e di “unirsi a noi nel cercare di promuovere
riconciliazione piuttosto che divisione”. Tutti e tre hanno utilizzato, nei loro
appelli, la frase di papa Francesco divenuta ormai un mantra: “Se una persona è
gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?”.
La risposta di
Cordileone non si è fatta attendere. In una lettera del 16 giugno il presidente
della commissione per la Promozione e la Difesa del Matrimonio della Conferenza
Episcopale degli USA ha affermato che l’insegnamento della Chiesa stabilisce
“l’intrinseca dignità di ogni persona, indipendentemente dal suo stato e
condizione di vita”, ma ha anche aggiunto che “tale principio ci impone di
rispettare e proteggere ogni membro della famiglia umana, dal prezioso bimbo nel
ventre materno alla fragile persona anziana vicina alla morte. Ciò prescrive a
me, come vescovo, di proclamare la verità, l’intera verità, sulla persona umana
e la volontà di Dio riguardo la nostra prosperità. Devo farlo in ogni occasione
opportuna e non opportuna (cfr 2Tim4,2), anche quando la verità che è mio dovere
difendere e insegnare è impopolare, soprattutto la verità sul matrimonio come
unione coniugale di marito e moglie. Questo è ciò che faremo il 19 giugno”.
Tra gli altri
oratori sono attesi Mike Huckabee, ex governatore repubblicano dell’Arkansas e
pastore battista, e Rick Santorum. Quest’ultimo, ex senatore cattolico della
Pennsylvania, concorse per la candidatura repubblicana alle presidenziali del
2012. Antiaborista e oppositore dei matrimoni omosessuali, quando fu senatore si
fece promotore del cosiddetto Santorum Amendment che promuoveva l’insegnamento
dell’Intelligent Design, una teoria che sostiene l’esistenza di un disegno
intelligente alla base dell’universo.
L'improvviso
crollo dello Stato iracheno viene presentato dalla stampa internazionale come la
conseguenza dell'attacco del gruppo terroristico Lo Stato islamico dell'Iraq e
del Levante (Isil). Ma chi può credere che uno Stato potente, possa crollare in
meno di una settimana davanti a un gruppo terroristico apparentemetne
indipendente da qualsiasi Stato? Inoltre, chi può credere che coloro che
sostengono l' Isil in Siria condannino sinceramente le sue azioni in Iraq?
Fin dal 2001, lo
stato maggiore degli Stati Uniti sta cercando di fratturare il "Medio Oriente
allargato" in una moltitudine di piccoli stati etnicamente omogenei. La mappa
della regione rimodellata è stata pubblicata nel luglio 2006.
Essa prevede di
dividere l'Iraq in tre: uno stato sunnita, uno sciita e uno curdo.
Il fallimento di
Israele di fronte a Hezbollah nell'estate del 2006 , e quello della Francia e
del Regno Unito di fronte alla Siria nel 2011-14, hanno dato l'impressione che
il piano fosse stato abbandonato. Niente affatto: lo stato maggiore USA tenta di
riprenderlo tramite questi condottieri moderni che sono i terroristi.
Gli eventi
sopravvenuti in Iraq la scorsa settimana devono essere visti in questa luce. La
stampa internazionale insiste sull'offensiva del Emirato Islamico dell'Iraq e
del Levante (ISIL o "Daesh" in arabo), ma è solo una parte della più vasta
azione in corso.
In una settimana,
l'ISIL ha conquistato quel che dovrebbe diventare un Emirato sunnita, mentre i
peshmerga hanno conquistato quel che dovrebbe essere lo Stato curdo
indipendente.
L'esercito
iracheno, formato da Washington, ha dato Ninive ai primi e Kirkuk ai secondi. La
sua stessa struttura di comando ha facilitato la sua disintegrazione: poiché gli
alti ufficiali dovevano riferire al gabinetto del Primo Ministro prima di
schierare le proprie truppe, si trovavano a essere sia privi d'iniziativa
d'insieme globale, sia piazzati come altrettanti reucci sulle loro zone
operative. Pertanto, è stato facile per il Pentagono corrompere alcuni ufficiali
affinché incitassero i loro soldati a disertare.
I parlamentari,
convocati dal Primo Ministro Nuri al-Maliki, hanno ugualmente disertato e non
hanno votato lo stato di emergenza per mancanza di quorum, lasciando il governo
senza possibilità di risposta.
Senza altra scelta
per salvare l'unità del suo paese, al-Maliki ha fatto appello a tutti gli
alleati immaginabili. In primo luogo ha sollecitato il suo popolo in generale e
la milizia sciita del suo rivale Moqtada al-Sadr in particolare (l'Esercito del
Mahdi), poi le Guardie Rivoluzionarie iraniane (il generale Qassem Suleimani,
comandante della Forza Gerusalemme si trova attualmente a Baghdad), e, infine,
gli Stati Uniti, cui ha chiesto di ritornare e di bombardare gli attaccanti.
La stampa
occidentale sottolinea, non senza ragione, che il modo di governare del Primo
Ministro ha spesso urtato sia la minoranza araba sunnita sia i laici del Baath,
per come è apparso favorevole soprattutto agli sciiti. Questa constatazione,
tuttavia, è relativa: gli iracheni hanno riconfermato, in occasione delle
elezioni parlamentari del 30 aprile, la coalizione di Nouri al-Maliki. Questa ha
ottenuto un quarto dei voti, tre volte di più del movimento di Moqtada al-Sadr,
essendo i voti rimanenti sparpagliati tra una miriade di partitini.
La
preparazione dell'offensiva contro l'autorità di Baghdad
L'offensiva dell'ISIL
da una parte e dei Peshmerga dall'altra è stata preparata da lungo tempo.
Il Kurdistan
iracheno ha cominciato a vedere la luce sotto la protezione degli Stati Uniti e
del Regno Unito, con la no-fly zone istituita tra le due
invasioni occidentali (1991-2003). Dopo il rovesciamento di Saddam Hussein, ha
acquisito un alto grado di autonomia ed è entrato nella zona di influenza
israeliana. Da questo punto di vista, è impensabile che Tel Aviv sia stata
assente dalla presa di Kirkuk. Nondimeno, l'attuale governo regionale di Erbil
ha esteso la propria giurisdizione su tutta quell'area irachena prevista dallo
stato maggiore statunitense per formare il Kurdistan indipendente.
L'ISIL è una
milizia tribale sunnita che ha integrato i combattenti di Al-Qa'ida in Iraq,
dopo la partenza di Paul Bremer III e la cessione del potere politico agli
iracheni. Il 16 maggio 2010, un responsabile di Al-Qa'ida in Iraq che era stato
rilasciato in circostanze ignote, Abu Bakr al-Baghdadi, è stato nominato emiro e
fatto ogni sforzo in seguito per mettere l'organizzazione sotto l'autorità di
Al-Qa'ida.
Nei primi mesi del
2012, dei combattenti dell'ISIL in Siria creano Jabhat al-Nosra
(ossia il Fronte di sostegno al popolo del Levante), quale ramo siriano di
Al-Qa'ida. Questo gruppo si sviluppa con il rilancio dell'attacco
franco-britannico contro la Siria nel luglio 2012. Infine, è classificato come
"organizzazione terrorista" da Washington alla fine dell'anno, malgrado le
proteste del ministro francese degli Affari esteri che in loro saluta "delle
persone che lavorano sul campo" (sic). [3]
I successi dei
ribelli in Siria, fino alla prima metà del 2013, hanno modificato l'attrattiva
dei loro gruppi. Il progetto ufficiale di Al-Qa'ida di una rivoluzione islamista
globale è apparso utopistico, mentre la creazione di uno stato islamico in un
dato territorio sembrava a portata di mano. Da qui l'idea di affidare loro il
rimodellamento dell'Iraq che le forze armate degli Stati Uniti non erano
riuscite a raggiungere.
Il rilancio con
rimodulazione dell'ISIL è stato realizzato nella primavera del 2014, con la
liberazione dei prigionieri occidentali che aveva in detenzione, tedeschi,
inglesi, danesi, americani, francesi e italiani. Le loro prime dichiarazioni
confermavano in tutti gli aspetti le informazioni dei servizi segreti siriani:
l'ISIL è inquadrato da ufficiali americani, francesi e sauditi. Tuttavia, i
prigionieri liberati facevano rapidamente marcia indietro e smentivano le loro
osservazioni sull'identità dei loro carcerieri.
È in questo
contesto che l'ISIL ha rotto con Al-Qa'ida nel maggio 2014, ponendosi come un
rivale, mentre Al-Nosra rimaneva il ramo ufficiale di Al-Qa'ida in Siria.
Naturalmente tutto questo è solo uno schermo poiché, in realtà, questi gruppi,
fin dalla loro creazione, sono sostenuti dalla CIA contro gli interessi russi
(Afghanistan, Bosnia-Erzegovina, Cecenia, Iraq, Siria).
Ridiventata a
maggio un'organizzazione regionale (e non più la sezione regionale di
un'organizzazione globale), l'ISIL si preparava a svolgere il ruolo che i suoi
sponsor le avevano assegnato da diversi mesi.
L'organizzazione è
certamente comandata sul terreno da Abu Bakr al-Baghdadi, ma è sotto l'autorità
del principe Abdul Rahman al-Faisal, fratello del principe Saud al-Faisal
(ministro degli esteri saudita da 39 anni) e del principe Turki al-Faisal (ex
direttore dei servizi segreti e attuale ambasciatore a Washington e Londra).
A maggio, al-Faisal
ha acquistato una fabbrica di armi in Ucraina. Le scorte di armi pesanti sono
state trasportate verso un aeroporto militare turco, dove gli uomini del MIT (i
servizi segreti turchi) le hanno instradate con treni speciali per l'ISIL.
Sembra improbabile che una tale catena logistica possa essere stata messa in
opera senza la NATO.
L'offensiva
dell'ISIL
Il panico che ha
colpito la popolazione irachena è all'altezza dei crimini commessi dall'ISIL in
Siria: sgozzamenti in pubblico dei "musulmani rinnegati" e crocifissione dei
cristiani. Secondo William Lacy Swing (ex ambasciatore USA in Sud Africa, e poi
alle Nazioni Unite, e attuale direttore dell'Organizzazione internazionale per
le migrazioni), almeno 550.000 iracheni sarebbero fuggiti dai terroristi.
Queste cifre
dimostrano l'assurdità delle stime occidentali sull'ISIL secondo le quali
disporrebbe solo di 20.000 combattenti totali in Siria e in Iraq. La verità è
probabilmente di 3 volte superiore, ossia dell'ordine di 60.000 combattenti; la
differenza si deve al fatto che l'armata è composta esclusivamente da stranieri
reclutati in tutto il mondo musulmano e spesso non arabo. Questa organizzazione
è diventata il più grande esercito privato del mondo, recitando in chiave
moderna il ruolo dei condottieri del Rinascimento europeo.
Dovrebbe
ulteriormente svilupparsi, tenuto conto dei suoi bottini di guerra. Così, a
Mosul, si è impadronito del Tesoro del distretto di Ninive, ossia 429 milioni
dollari in contanti (abbastanza da poter pagare i propri combattenti per un anno
intero). Inoltre, si è impadronito di molti Humvee e di due elicotteri da
combattimento che ha subito integrato nel proprio dispositivo. Poiché I
terroristi non hanno i mezzi per addestrare i piloti, la stampa internazionale
suggerisce che si tratti di ex baathisti del presidente Saddam Hussein. Questo è
altamente improbabile data la guerra che oppone i baathisti laici ai miliziani
come sfondo della guerra in Siria.
L'offensiva dei
Peshmerga e dell'ISIL era attesa dai sostenitori dell'Arabia Saudita nella
regione. Così, il presidente libanese Michel Suleiman (che aveva concluso un
discorso in gennaio con un sonoro "Viva l'Arabia Saudita!"
anziché con un "Viva il Libano!") ha tentato con tutti i
mezzi di ottenere una proroga del suo mandato (che scadeva il 25 maggio) per i
sei mesi successivi, in modo da essere al timone durante l'attuale crisi.
In ogni caso, le
reazioni internazionali alla crisi irachena sono incoerenti: tutti gli Stati
senza eccezione condannano l'ISIL in Iraq e denunciano il terrorismo, allorché
alcuni di loro - gli Stati Uniti e i loro alleati - considerano allo stesso
tempo l'ISIL come un alleato oggettivo contro lo Stato siriano, mentre alcuni
sponsorizzano questa offensiva: gli Stati Uniti, l'Arabia Saudita, la Francia,
Israele e la Turchia.
Negli Stati Uniti,
il dibattito politico pubblico oppone i Repubblicani, che richiedono un
rinnovato dispiegamento militare in Iraq, ai Democratici, che denunciano
l'instabilità causata dall'intervento di George W. Bush contro Saddam Hussein.
Questo giochino retorico consente di occultare il fatto che gli eventi attuali
servono gli interessi strategici dello stato maggiore e che questo vi è
direttamente implicato.
Potrebbe essere,
tuttavia, che Washington abbia intrappolato Ankara. L'ISIL avrebbe tentato allo
stesso tempo di prendere il controllo della tomba di Suleyman Shah, in Siria nel
distretto di Raqqa. Questa tomba è di proprietà dalla Turchia, che dispone di
una piccola guarnigione in loco sotto la clausola di extraterritorialità del
trattato di Ankara (imposto dai colonizzatori francesi nel 1921). Ma questa
azione potrebbe essere stata sponsorizzata dalla stessa Turchia che aveva
ipotizzato di trovare così un pretesto per un intervento aperto in Siria [4].
Peggio ancora, in
occasione della presa di Mosul, l'ISIL ha fatto prigionieri 15 diplomatici
turchi e le loro famiglie, nonché 20 membri delle forze speciali turche presso
il loro consolato, facendo così infuriare Ankara. L'ISIL aveva fermato anche dei
camionisti che sono stati in seguito rilasciati. La Turchia, che ha assicurato
la logistica dell'attacco dell'ISIL, si sente tradita senza sapere ancora se lo
sia stata da Washington, Riyadh, Parigi o Tel Aviv. Questo caso ricorda
l'arresto, avvenuto il 4 Luglio 2003, di 11 membri delle forze speciali turche
da parte dell'esercito statunitense a Sulaimaniyah (Iraq), reso popolare dal
film La Valle dei Lupi Iraq. [5]
Questo episodio
aveva provocato la più importante crisi degli ultimi sessanta anni tra i due
paesi.
L'ipotesi più
probabile è che Ankara non prevedesse di partecipare a un'offensiva così vasta e
ha scoperto in corso d'opera che Washington programmava la creazione del
Kurdistan. Tuttavia, secondo la mappa pubblicata nel 2006, quest'ultimo deve
comprendere una parte della Turchia, poiché gli Stati Uniti hanno previsto di
sezionare non solo i loro nemici, ma financo i loro alleati. L'arresto di forze
speciali e diplomatici turchi sarebbe un modo di impedire ad Ankara di sabotare
l'operazione.
Quando è arrivata
giovedì ad Ankara proveniente da Amman, la rappresentante speciale degli Stati
Uniti nel Consiglio di Sicurezza, l'ambasciatrice Samantha Power, ha
ipocritamente condannato le azioni dell'EILL. La presenza in Medio Oriente della
turiferaria dell'interventismo morale di Washington suggerisce che una reazione
statunitense è stata prevista nello scenario.
Da parte sua,
l'Iran si è detto pronto ad aiutare a salvare il governo dello sciita al-Maliki
con l'invio di armi e consiglieri militari, ma non di combattenti. L'attuale
ribaltamento dello stato iracheno avvantaggia l'Arabia Saudita, grande rivale
regionale dell'Iran, mentre il ministro degli Esteri, il principe Saud al-Faisal
(fratello del padrone dell'ISIL ) lo ha invitato a negoziare.
Come
pubblicato dal quotidiano “ilMattino” e riportato dal sito web tankerenemy.com,
in provincia di Belluno si stanno diffondendo focolai di una polmonite anomala,
i cui sintomi sono per lo più quelli descritti dal Dottor Leonard Horowitz, il
medico statunitense che ha coniato l’espressione “influenza chimica” per
designare una varietà di sindromi provocate direttamente o indirettamente dalle
irrorazioni.
Le chemtrails – scirve la
giornalista Eleonora Scarton del IlMattino.it - da un lato deprimono il sistema
immunitario, rendendo l’organismo vulnerabile a molte patologie, dall’altro
contengono o veicolano microorganismi all’origine di varie infezioni batteriche.
Anche le sempre più frequenti micosi dipendono in gran parte dalla geoingegneria
clandestina, poiché nei serbatoi degli aerei, dai cui carburanti provengono i
filamenti, tendono a proliferare le spore fungine.
Una polmonite atipica ha colpito il
Feltrino, insinuandosi nelle persone in maniera subdola. “Non tutte le polmoniti
sono uguali – spiega il primario di Pneumologia dell’A.S.L. 2, Franco Maria
Zambotto – quella classica è nota a tutti e si manifesta improvvisamente con
tosse, malessere e febbre molto alta. Il medico, durante la visita, riesce a
sentire rumori polmonari e così elabora la diagnosi che va confermata con una
radiografia”.
In questi ultimi tempi, però, alla
normale polmonite si è affiancata anche una forma “atipica” che quest’anno
sembra avere conosciuto un picco particolare, causato dai forti sbalzi termici
(sic). “In questo caso – prosegue Zambotto – le persone colpite manifestano
malessere generale, dolori ossei e muscolari simili a quelli causati
dall’influenza, tosse secca e non catarrosa, con febbre non sempre alta”.
Le scie chimiche distruggono la
vostra funzione immunitaria
Rammentiamo che nel corso degli
ultimi 10 anni, Horowitz è diventato un’autorità controversa nel sistema medico
statunitense. Con una formazione universitaria di ricercatore medico, Horowitz
di 48 anni, accusa che alcuni elementi del governo degli Stati Uniti che
cospirano assieme alle principali aziende farmaceutiche per ridurre ampi
segmenti della popolazione all’infermità. I media riportano che i pronto
soccorso degli ospedali sono oberati da pazienti che soffrono di una strana
infezione delle vie respiratorie superiori che non sembra essere provocata da un
virus. Stanno inoltre segnalando che si tratta di una influenza “misteriosa” e
che i consueti vaccini contro l’influenza sono inefficaci.
“Questo è tutto una sciocchezza, un
falso”, dice il Dott. Leonard Horowitz. “Il fatto della questione è che abbiamo
visto questo tipo di epidemia per la prima volta tra la fine del 1998 e l’inizio
del 1999. Le persone sono state affette, con forte tosse, da questa malattia
bizzarra che non sembra seguire l’insorgenza logica virale o batterica o
rappresentare un periodo di transizione.
Se fosse davvero un’infezione
batterica o virale, avrebbe causato la febbre, ma non è stato così. E’ durata
per settimane, se non mesi. Congestione sinusale, drenaggio del setto nasale,
tosse, stanchezza, malessere generale. Le persone si sono sentite ‘spente’. Il
Research Institute of Pathology delle Forze Armate ha registrato un brevetto per
un micoplasma patogeno che causa questo tipo di epidemia. È possibile
visualizzare il report dei brevetti nel libro: codici per l’Apocalisse biblica. Il micoplasma non è in realtà un
fungo, non è proprio un batterio e non è proprio un virus. Non ha una parete
cellulare. Va in profondità nel nucleo cellulare rendendo così molto difficile
elaborare una risposta immunitaria contro di lui. Si tratta di una relazione di
un brevetto per un’arma biologica che spiega come provocare infezioni croniche
delle vie respiratorie superiori che sono praticamente identiche a quello che si
sta riscontrando in questo momento.”
“Credo che le scie chimiche siano
responsabili di una intossicazione chimica pubblica, che sarebbe poi in grado di
causare una soppressione immunitaria generale, a basso o alto grado, a secondo
dell’esposizione. La disfunzione del sistema immunitario mette le persone nella
condizione di diventare sensibili alle infezioni opportunistiche, come questa di
micoplasma ed altre infezioni opportunistiche “, così dice il Dr. Horowitz.
Ho iniziato a studiare le scie
chimiche, quando sono state spruzzate sopra la mia casa nell’Idaho del Nord. Ho
preso alcune immagini e poi ho contattato la Environmental Protection Agency
dello stato che era all’oscuro dell’operazione così come l’Air Force. Mi hanno
messo in contatto con il Centers for Disease Control, reparto di Tossicologia, e
dopo circa una settimana ho ricevuto una lettera da uno dei loro principali
tossicologi che affermava che, in effetti, era stata rilevata una certa quantità
di dibromuro di etilene nel carburante degli aerei. Il Dibromuro di etilene è un noto
agente cancerogeno chimico per gli umani che è stato rimosso dalla benzina senza
piombo a causa dei suoi effetti cancerogeni. Ora improvvisamente è apparso nei
residui di carburante che ad alta quota gli aerei militari emettono!” Il Dibromuro di etilene, che è
venuto fuori dai carburanti per jet, causa immunosoppressione e indebolimento
del sistema immunitario delle persone. Poi ti viene un microbo, un micoplasma
oppure un fungo che ti causa una malattia delle vie respiratorie superiori.
Improvvisamente si sviluppa una infezione batterica secondaria. Poi vieni
colpito con antibiotici e gli antibiotici causano acidità nella chimica del
vostro corpo, così ora puoi riscontrare eruzioni cutanee ed altri inconvenienti,
il fegato si riempie di tossine che fuoriescono attraverso la pelle tramite
eruzioni cutanee e si notano reazioni bicolore associate con altri prodotti
chimici. Ho colleghi nelle Bahamas, alle Bermuda, a Toronto, nel British
Columbia che segnalano tutti la stessa ‘semina’ bizzarra dell’atmosfera. Ciò che
sta accadendo è solo spregevole. Tutto ad un tratto gli esseri umani
sono completamente fuori equilibrio e vengono infettati da due, tre o quattro
microbi e co-fattori ed inoltre intossicati da una varietà di diverse sostanze
chimiche … e qualcuno sta per essere considerato come malato cronico.
Forse
il motto “One Universe, One People” (Un Universo, un Popolo) non sarebbe proprio
adatto, rispetto a ciò che di vergognoso sta succedendo in Brasile. 170 mila
persone, intere famiglie, sono state sfollate dal perimetro in cui ci sono i
cantieri della Coppa del Mondo, che invce di portare equilibri, pace e
fratellanza tra i popoli, ( si perchè lo sport dovrebbe essere l’esempio di
UNIONE) ecco invece che lo Sport, soprattutto in questa circostanza il Calcio,
sia diventato un deterrente mafioso degli Illuminati, una macchina da soldi e di
violenza, dove trovano posto solo i politici corrotti e mafiosi, dove trovano
posto solo quei personaggi dell’Elite della CABAL che terrorizzano per poi
controllare. Questa gentaglia rappresenta lo Stato Nazi-Fascista degli
Illuminati, del Potere dei pochi. Sono solo loro a voler tutto questo. Vediamo
scene non da film dell’orror, forse anche peggio… Mamme con bambini sfrattati
dalle proprie case, malmenati e violentati…
la maggior parte
nelle loro baracche, si perchè sono solo povera gente che ha bisogno di tutto,
di supporto, di amore, di comprensione. Queste sono le conseguenze piu’
drammatiche che accompagnano i preparativi per i Mondiali di calcio di Brasile
2014, una vergogna per il sistema di potere nei vertici brasialiani, dove vi è
solo la rimozione forzata di migliaia di residenti in comunita’ povere situate
in prossimita’ dei cantieri della Coppa. Una rete di attivisti impegnata nelle
12 citta’ sede di partite, dove alla fine, si è calcolato che 170mila persone
saranno sfollate dalle loro case per consentire l’accelerazione dei lavori per
il Mondiale 2014 oramai alle porte, ma anche per le Olimpiadi di Rio 2016.
Un
articolo che "si deve leggere", tratto da worldcrisis.ru, che spiega perché la
Russia non interviene in Ucraina. È con immenso piacere che ringrazio "BM" che
ha tradotto in inglese l'articolo originale russo che permette di spiegare i
motivi della apparente "passività" della Russia in Ucraina. Raccomando di far
circolare questa traduzione, perché è la miglior spiegazione della politica e
degli interessi del Cremlino. - The Saker
******
Il
livello delle discussioni analitiche su Internet in Russia è descritto molto
bene dal politologo Simon Uralov: "Se vogliamo credere che la crisi ucraina sia
cominciata solo per una follia dei colleghi di Kiev e che questo li abbia fatti
arrivare a crisi isteriche e alla sete di sangue, questa è una considerazione
fondamentalmente sbagliata. Questa stessa idea passa per la mente anche ad un
numero incredibile di colleghi di Mosca".
Lo scopo di questo articolo è fare un passo indietro, prima della crisi
isterica, e fare una fredda analisi sul perché in Ucraina si è arrivati a questa
situazione.
Comincerò con i primi chiarimenti su diversi argomenti che hanno una grande
importanza emotiva:
Perché non c'è nessun intervento militare russo ?
Se questo testo fosse stato scritto qualche giorno prima, buona parte del suo
contenuto sarebbe servito a spiegare perché inviare delle truppe in Ucraina
sarebbe stato inadeguato e semplicemente stupido, anche dopo il referendum.
Fortunatamente, il capo della resistenza in Slaviansk, Igor Strelkov, lo ha
fatto molto meglio di me nel suo messaggio video, nel quale ha descritto molto
chiaramente l'inerzia della popolazione locale di Lugansk e di Donetsk, in
termini di azioni concrete prese per proteggere i loro interessi contro la
giunta. Anticipando quel che dirò in seguito sul referendum, dico brevemente che
mettere una croce sulla scheda elettorale, benché sia un atto importante, non ha
un valore molto superiore a quello di un "mi piace" messo su Facebook. Perché un
"mi piace" scritto su una scheda elettorale non cambia nulla. Il referendum è
stato un atto necessario ma non sufficiente.
Il Cremlino era preparato ad affrontare gli eventi in Ucraina ? e adesso sta
improvvisando ?
Vi consiglio di leggere Wikileaks :wikileaks, dove c'è la prova che il Cremlino
aveva già spiegato chiaramente agli americani, nel 2008, gli scenari che vediamo
oggi:
"Gli esperti dicono che la Russia è fortemente preoccupata per le forti
divisioni che esistono in Ucraina sulla decisione di aderire alla Nato, a causa
della forte componente etnica russa che è contraria all'adesione e che potrebbe
portare a forti opposizioni, violenze o nel peggiore dei casi, alla guerra
civile. In questo caso la Russia dovrebbe decidere se intervenire, e questa è
una decisione che la Russia non vuole dover prendere".
Pertanto è logico supporre che l'evoluzione degli eventi per il Cremlino non ha
costituito nessuna sorpresa e che questa possibilità, anche se sgradevole, era
già stata contemplata in uno scomodo "piano E".
Per capire quello che farà prossimamente il Cremlino partiamo dal definire quali
sono i suoi obiettivi:
Non permettere l'ingresso dell'Ucraina nella NATO.
Non permettere l'istituzione e la stabilizzazione in Ucraina di un regime
russofobo, filonazista (per evitare di doverlo poi denazificare).
Non consentire il genocidio della popolazione russa del Sud - Est.
La cosa ideale per la Russia sarebbe realizzare tutti e tre gli obiettivi
contemporaneamente, evitando di bloccare l'economia russa durante il suo
riorientamento verso l’Asia e, allo stesso tempo, evitando che gli americani
risolvano i loro problemi economici a spese della UE .
Come si possono realizzare questi obiettivi ?
Prendiamo in esame lo scenario più semplice e vediamo quali sono i punti
vulnerabili e le conseguenze negative: L'esercito russo entra in Ucraina e in
pochi giorni dopo arriva a Kiev, poi sottomette tutta l'Ucraina. "I patrioti"
giubilano ci sono le sfilate sulla Chreščatyk (strada principale di Kiev) ecc.
Sembra che tutti e tre gli obiettivi siano stati raggiunti, ma sorgono dei
problemi:
1. Nell'Unione Europea dove da molto tempo la elite imprenditoriale ha
pestato i piedi ai politici ed ha spinto il freno sulle sanzioni, il "partito
della guerra" (alias il " Partito degli Stati Uniti " o meglio il "Partito della
Pax Americana") sta evidentemente trionfando. Viene applicato contro la
Federazione russa il massimo di sanzioni reali, con un effetto terrificante
sull'economia europea, che immediatamente cade in recessione. Non c'è niente da
stare allegri.
In questo contesto gli americani hanno gioco facile per spingere alla firma
della loro versione del trattato per una partnership sugli investimenti e sul
commercio transatlantico (Transatlantic Trade and Investment Partnership, TTIP,
nota CdC), un patto commerciale che trasformerebbe la UE in un'appendice
dell'economia USA. I negoziati su questo trattato sono ancora in corso e, per
gli americani, l'entrata di truppe russe in Ucraina cadrebbe proprio a fagiolo.
Le sanzioni (potenziate rispetto ad oggi, nota CdC) contro la Russia
distruggerebbero gli affari europei e l'accordo commerciale con gli USA li
finirebbe.
Alla fine siamo arrivati a: una Unione Europea che sembra uscire dalla guerra -
con gli Stati Uniti, vestiti a festa, che potrebbero papparsi con gioia tutti i
mercati europei, dove non avrebbero più concorrenza - con la Federazione russa
non in perfetta forma. Non vi pare che in questa situazione qualcuno si fa
fregare? E quel qualcuno non sono proprio gli USA ?
Tra l'altro non bisogna neanche prendere in considerazione il fatto che i
politici europei si dovrebbero rifiutare di vedere il suicidio della loro
economia. Gli euro-burocrati sono capaci anche di fare peggio, come dimostra la
pratica.
2. Con un intervento in Ucraina, oltre al fatto che il Cremlino farebbe un
favore a Washington, si sarebbe anche dovuto pensare agli effetti nella stessa
Russia.
Se le sanzioni contro la Russia fossero state imposte prima della firma del
mega-contratto trentennale del gas con la Cina, la Cina sarebbe stata in
condizione di spuntare un prezzo migliore in una posizione di forza. Infatti,
avrebbe potuto negoziare con un ricatto nell'aria (questo si può, comunque,
vedere dal comportamento della Cina, anche se non chiaramente).
Se le sanzioni contro la Russia fossero state imposte prima della sigla del
mega-contratto petrolifero con l'Iran, con cui la Rosneft potrà controllare
altri 500.000 barili di petrolio al giorno, anche l'Iran sarebbe stato in grado
di negoziare un prezzo migliore da una posizione di forza.
D'ora in poi tutti i tentativi (degli USA) di mettere in piedi qualcosa che
possa ostacolare la consegna delle importazioni di cui abbiamo bisogno, saranno
molto, molto costosi.
Se le sanzioni fossero state messe prima della firma dell'accordo sulla
costituzione della Comunità Economica Eurasiatica, immaginate se Lukashenko e
Nazarbaiev non avrebbero provato a tirare il collo a Putin durante i negoziati.
C' è mancato veramente poco che Mosca, per creare l'EurAsEC, dovesse anche
pagare per vendere il suo petrolio.
3. La Federazione russa avrebbe dovuto assumersi la responsabilità di
risanare l'economia ucraina e di doverla denazificare: dove avrebbe trovato gli
uomini necessari da impiegare come " denazificatori", come "caschi polverosi"
(se qualcuno avesse dimenticato, secondo Okudzhava, furono i commissari con i
caschi polverosi che piegarono gli eroi morti nella guerra civile) per
combattere gruppi compatti di ucraini-nazisti, e contro l’appoggio inviato
dall'estero. Nel complesso, è chiaro che questo tipo di scenario sarebbe a tutto
vantaggio deli Stati Uniti e della Cina. Alla Russia resterebbe solo il profondo
senso di soddisfazione morale, e tutte le questioni economiche da risolvere,
insieme alle future maledizioni dei " generosi" (щирых ) ucraini, infelici per
dover vivere in un regime di "occupazione".
Che tempistica seguono i punti più sensibili dell’economia russa?
Contratto del gas con la Cina - maggio-giugno (firmato il 21 maggio)
Contratto petrolifero con l'Iran prossima estate (Ecco perché gli Stati Uniti
hanno revocato l'embargo, per la maggior vicinanza della Rosneft alla BP e meno
alla Exxon Mobil . Dove andrà il petrolio ? Verso la Cina).
Importante! Le elezioni per il Parlamento europeo, che hanno portato un sacco di
voti euroscettici, alleati della Russia . Dopo le elezioni del 25 Maggio,
cambierà la composizione della la Commissione Europea – e sarà molto più facile
lavorare con i nuovi arrivati. Ancora più importante ! Il contratto del gas
siglato con la Cina , i deputati neo-eletti saranno più disponibili per il South
Stream.
Entro maggio raccolta dei documenti / permessi / etc , per la costruzione del
South Stream -
Questo è solo quello che è visibile ad occhio nudo, ma ci sono altri aspetti,
molto importanti, che non hanno ancora una scadenza definita sul calendario :
1 . Transizione verso i pagamenti per l'energia in rubli. Petrolio e gas non
sono patate: per averli si stipulano contratti a lungo termine che non si
possono modificare unilateralmente e che richiedono un lungo lavoro di ricerca
nel caso si voglia sostituirli con altri tipi di carburanti o si vogliano
cambiare le modalità e i paesi di approviggionamento.
2. Transizione alla quotazione dei prezzi dell’energia in rubli (per il
commercio in rubli) sui mercati russi. È un lavoro assolutamente infernale,
però, se non altro, nessuno mai ha fatto niente di simile.
3 . Creare un proprio sistema di pagamento.
4 . Preparazione di un sistema di importazioni sostitutivo definitivo e
migliorativo con i fornitori asiatici (non come emergenza temporanea).
La lista può e deve continuare, questo è quello che vedo, il Cremlino ha
orizzonti molto larghi.
Ora mettiamoci pure le interessanti iniziative del Ministero degli Esteri russo,
che non sta certo fermo a guardarsi i pollici. Ad esempio il Vice Ministro
Karasin lo scorso 6 maggio era a Doha, dove ha incontrato tutta l'elite del
Qatar. I risultati, a mio parere, sono stati scioccanti.
Secondo il Ministro degli Esteri, l'emiro del Qatar ha detto di apprezzare la
"politica regionale convincente e coerente della federazione russa",
affermazione molto inaspettata da un paese che non solo è alleato degli Usa e
ramo politico della Exxon mobile in Medio Oriente ma è anche avversario assoluto
della Russia in Siria.
Questo fa capire che c'è anche dell'altro nel cofanetto: il fatto è che i sogni
americani di riempire il mondo con gas a basso prezzo, sarebbero una condanna a
morte per il Qatar e la sua elite, senza prezzi del gas molto alti, il Qatar non
solo perde ogni speranza di grandezza regionale, ma diventa un cadavere.
Doha si sta concentrando rapidamente per offrire qualcosa di interessante: "allo
stesso tempo, è stata messa enfasi nell'accelerazione del coordinamento del
Forum dei Paesi Esportatori di Gas (GECF)" , il prossimo vertice (Che
coincidenza!) si terrà in Qatar. Il Forum dei Paesi Esportatori di Gas è
un'organizzazione che comprende paesi come la Russia, Iran, Qatar, Venezuela,
Bolivia e altri esportatori che il Cremlino, per lungo tempo, ma senza successo,
ha cercato di trasformare in qualcosa di analogo all’OPEC, per il gas.
E' possibile che sia giunta l'ora per un potenziale cartello del gas. In primo
luogo, i tre maggiori esportatori di gas : Russia, Qatar e Iran hanno interessi
molto simili e dovrebbero essere in grado di lavorare con gli stessi obiettivi
per condividere e "prendere in consegna le chiavi" del mercato del Gas Naturale
(LNG) e delle pipeline del gas.
Questo cartello del gas, anche se in formato ridotto (solo Russia, Qatar e Iran)
controllerà almeno il 55 % delle riserve mondiali di gas e avrà notevoli
opportunità di influenzare fortemente i mercati energetici della UE e dell'Asia.
Naturalmente, un simile progetto comporterebbe un sacco di problemi e incontrerà
tante opposizioni, nessuno può garantire che funzionerà , ma è importante vedere
Mosca che sta cercando attivamente qualsiasi opportunità per prendere dei
vantaggi strategici nella sua lotta contro gli Stati Uniti.
Speriamo che adesso sia chiaro di che cosa si sta occupando il Cremlino, che
cosa sta cercando di guadagnare dalla situazione ucraina e perché questo sia
tanto importante.
Torniamo ai problemi direttamente connessi all'Ucraina e vediamo che anche
l'attuazione di tutti i più importanti progetti di politica estera non
aiuterebbe a contribuire alla denazificazione di Kiev e non basterebbe a far
acclamare le truppe russe o l'esercito ribelle della Novorossia, almeno nelle
regioni centrali.
Se l' esercito della Novorussia ha problemi con le mobilitazioni di Lugansk e
Donetsk, poi sarà molto, molto difficile lavorare dall'interno delle regioni
zombificate. Tuttavia, sembra che presto, accanto alla Federazione russa, si
schiereranno sul campo di battaglia il colonnello Fame e le Forze Speciali del
Giperok ( l’"iperinflazione"), che cambieranno radicalmente gli equilibri di
potere.
L'economia ucraina è finita. Le semine primaverili sono state disastrose, le
coltivazioni di ortaggi distrutte (dalle gelate), nessuno fa più credito, ci
sono problemi con il gas, il prezzo del carburante si è impennato, possiamo
tranquillamente dire che l'economia sarà travolta da una bestia del nord, forte
e soffice.
Nessuno darà un soldo alla giunta, nemmeno il FMI, che ha promesso qualcosa
intorno a 17 miliardi di dollari (solo la metà di quanto servirebbe all’Ucraina
per quest'anno), ma con una "clausola di salvaguardia" nel contratto: se Kiev
non controllerà tutte le regioni, non solo Kiev, non arriverà nemmeno un
centesimo. Fame, freddo e iperinflazione (causata dal crollo della grivna)
lavoreranno attivamente per indebolire la giunta e per far ragionare le menti
dei " generosi" ( shchirykh ) ucraini : certo non arriveranno ad amare la
Russia, ma questo è un dettaglio, basterà che comincino a ricordare il periodo
Yanukovich, come dolce sogno irraggiungibile.
Il caos inevitabile e il collasso totale delle strutture sociali, insieme a una
guerra civile strisciante garantiranno che la NATO continuerà a non accettare
l'Ucraina, fino a quando non sarà sullo stesso "binario dell’Europa", e anche i
politici USA, più o meno moderati, non faranno nessuna mossa, perché ovviamente
non sarebbe utile a far vincere gli Stati Uniti, anzi potrebbe solo trascinare
il paese in una guerra nucleare.
Inoltre, nel contesto di un collasso economico totale per i minatori, i
metalmeccanici e tutti gli altri lavoratori ucraini ora saldamente attaccati al
loro lavoro - con la paura di perdere lavoro e speranza di "mandare avanti in
qualche modo la baracca" - sarà tutta un'altra musica e dovranno partecipare in
un modo o nell'altro a risolvere i problemi politici e economici della nuova
Russia. E forse dovranno partecipare anche con le armi.
Allo stesso tempo, la Giunta– che si chiama Poroshenko – quella imposta (al
paese) dall'Unione Europea, avrà un forte incentivo a negoziare con Mosca e a
fare concessioni accettando dei compromessi. E poi i sarà la nuova Commissione
Europea - che ha bisogno di pace e stabilità per far passare dall'Ucraina il gas
che viene dall’est - che spingerà Poroshenko in questa direzione, che poi sarà
la stessa direzione verso cui spingeranno gli sconvolgimenti sociali causati dal
colonnello fame e dall’iperinflazione, sabotandolo.
Tutti questi fattori, insomma, aprono grandi opportunità a un Cremlino che vuole
riformattare l'ex Ucraina in qualcosa di appropriato per gli interessi della
Federazione russa. E' proprio questo lo scenario che gli Stati Uniti stanno
cercando di evitare ed è per questo che gli USA hanno seri motivi per accelerare
la trasformazione del conflitto in una fase calda con l'impiego di truppe e un
massiccio spargimento di sangue.
Se poi calcoliamo quanto tempo ci vorrà per far arrivare il paese alla "fame",
quello che ci vorrà per risolvere i problemi di politica estera alla Russia e
quello per creare un sistema di collaborazione lavorativa con la Cina e l'Iran,
indipendente dal dollaro e dal riposizionamento delle importazioni ecc...,
approssimativamente si arriva alla conclusione che serviranno ancora da cinque a
nove mesi (cioè si arriverebbe a quel mese di dicembre, che Yanukovich aveva
tentato di negoziare) per uscire dal periodo di stallo per gli ucraini e per
sbloccare le altre questioni che daranno il massimo vantaggio alla Russia.
Durante questo periodo, sarà necessario fare in modo che l’Ucraina mantenga uno
stato di guerra civile (cioè appoggio a DNR e LNR, e per la Russia non sarà
necessario occupare Kiev troppo velocemente, per non crearsi altri inutili
complicazioni ) e idealmente, in combinazione con la guerra civile, servirà
avviare dei lunghi e faticosi negoziati all'interno dell'Ucraina, coinvolgendo
gli osservatori internazionali, con un formato tipo 2 + 4, cioè, Poroshenko +
Tsarev + Russia, UE, OSCE, USA ecc…
Il tocco finale. Negli ultimi mesi gli Stati Uniti hanno rallentato il lavoro
della zecca riducendo il loro "pump-priming" da 85 a 55 miliardi di dollari al
mese. Molto molti si aspettano ( ad es. reuters), che la macchina smettesse di
stampare per la fine di questo anno. Un'altra volta, come gli anni passati.
Questo perché, anche se il dollaro è la valuta internazionale, gli USA non
possono continuare a stampare cartamoneta all'infinito - è impossibile. Secondo
varie fonti, gli Stati Uniti hanno quasi totalmente utilizzato la "forza della
risorsa-dollaro” , con cui hanno fatto il bello e il cattivo tempo con la
macchina della finanza. Inoltre, il corollario e l'effetto inevitabile di questi
trucchetti sta riducendo i tassi sulle obbligazioni USA e questo, da un lato,
aiuta Washington, che paga meno interessi per i suoi debiti, ma, d'altro, sta
veramente soffocando l'intero sistema pensionistico e assicurativo statunitense
che si basa sulla previsione di rendimenti molto diversi da quelli che
attualmente hanno i titoli dei loro portafogli.
In parole povere, entro la fine dell'anno, gli Stati Uniti dovranno scegliere se
far saltare in aria il loro sistema sociale per continuare a stampare soldi, o
se ridurre notevolmente il loro appetito per dare una possibilità alla casa di
non crollare. A giudicare dalla riduzione della quantità di dollari che sta
buttando nel sistema, sembra che Washington abbia deciso che prevenire una
esplosione interna sia più importante delle sue ambizioni di politica estera.
Ora per completare il puzzle , facciamo le nostre previsioni:
L'America cercherà con tutti i mezzi di far aggravare la crisi in Ucraina per
indebolire la Russia e sottomettere l'intero mercato europeo, prima di dover
fermare le sue macchine stampa-dollari.
Il Cremlino cercherà di trasformare la crisi in Ucraina da una fase acuta in una
fase di guerra-civile-cronica, rallentando i negoziati nel mezzo del collasso
economico del paese. Allo stesso tempo, il Cremlino cercherà di utilizzare il
tempo per creare le condizioni più favorevoli per il passaggio da un confronto
duro con gli Stati Uniti ad un lavoro di sganciamento dal dollaro nei suoi
rapporti con Cina, Iran, Qatar e creare un nuovo rapporto con la UE ecc.
Far terminare completamente la crisi a dicembre 2014, forse anche prima se gli
USA dovessero desistere dal tentativo di esacerbare le ostilità.
E se gli
USA non desisteranno ? - Allora ... una grande guerra ... una guerra per le
risorse, perché il “boom dello shale” è solo una qualsiasi bolla, come dice
William Engdahl in Washington's Shale Boom Going Bust.
Di
mezzo ci sono le ESSE ESSE, ma i nazisti questa volta non c’entrano, bensì
criminali più pericolosi e subdoli che già quasi controllano economicamente il
globo.
Il tema è un altro
tabù, strettamente interconnesso all’aerosolterapia bellica realizzata in gran
parte del mondo dal governo degli Stati Uniti d’America, a base di scie chimiche
imbottite di sostanze tossiche, come ad esempio il bario che rende l’aria più
elettroconduttiva.
Si
chiama in gergo tecnico “Sistema di Gamma Acustica Silenziosa (SSSS)”. Così
magari non dice niente ai più.
Ma se aggiungiamo
l’espressione trasmissione tv digitale, qualcuno ricorderà la fretta per
espanderla. Chi non rammenta la premura che hanno avuto anche in Italia, nel far
sì che in un arco di tempo breve il segnale digitale raggiungesse ogni regione
dello Stivale?
Per il Dipartimento
della Difesa degli Stati Uniti d’America è il “Sistema di gamma acustica
silenziosa, chiamato Squad (squadra, sezione). Nel settore privato questa
tecnologia è denominata sistema silenzioso di presentazione subliminale (Silent
Subliminal Presentation System).
In materia vengono usati nomi ingannevoli come parlare… cervello… subliminale…
silenziosa (Speak Brain Silent Subliminals) per i prodotti basati su SSSS. In
qualsiasi modo chiamiate questa tecnologia, SSSS usa un programma subliminale
che emette delle onde a frequenze molto alte e potenti (Ultra High Frequency)
UHF, inserendo dei messaggi direttamente nel subconscio umano.
È stato perfezionato
due decenni fa dal Dipartimento della Difesa U.S.A. ed è stato testato sui
soldati dell’esercito di Saddam Hussein durante la guerra del golfo del 1991. E
in seguito anche in Somalia. SSSS è un’arma proibita a livello internazionale,
sviluppata per una missione particolare: il graduale e totale controllo della
popolazione occidentale, ed infine mondiale.
La tecnologia bellica
SSSS dello zio Sam è collegata al nuovo sistema digitale tv. Vale a dire: può
entrare nella mente della popolazione inconsapevole. Può essere amplificata con
tanti dispositivi inclusi H.A.A.R.P. e le torri di GWEN (Ground Wave Emergency).
Tradotto: significa centrare l’intera popolazione del pianeta Terra.
Il
raggio di questa tecnologia attraverso i riscaldatori ionosferici (stazioni
fisse e mobili) che sparano onde Elf nella ionosfera, poi rifratte sulla Terra,
investono tutte le popolazioni senza distinzioni di confini statali. Il fenomeno
sta accadendo sotto i nostri occhi distratti e penetrando nelle nostre menti,
tranne che in quelle dei negazionisti, appunto dementi irreversibili.
Ma l’aspetto più
pericoloso di SSSS è di non essere identificabile da chi è preso come bersaglio,
perché esso trasmette il suo programma direttamente nel cervello umano tramite
il senso dell’udito, delle frequenze non percepibili come suono. Ognuno di noi
sul pianeta è sensibile al controllo della mente da SSSS. Le onde UHF possono
essere trasmesse su lunghe distanze da fonti lontane e possono attraversare muri
e oggetti come se non ci fossero, Le frequenze usate per la trasmissione TV si
dividono in due gamme: VHF (Very High Frequency: frequenze molto alte) e UHF
(Ultra High Frequency: frequenze ultra alte). SSSS è stato progettato per usare
le UHF come onde portanti.
Comunque la cosa più insidiosa è il fatto che collegando degli schemi di un
elettroencefalogramma (EEGs) di un individuo a dei super computers, questi
possono essere digitalmente alterati ed archiviati per essere ritrasmessi via
digitale UHF. Questo super computer può identificare ed isolare dal cervello
gruppi di emozioni a bassa ampiezza, sintetizzarli ed archiviarli su un altro
computer. In altri termini, studiando le caratteristiche delle onde cerebrali
che si verificano quando un soggetto sperimenta un’emozione particolare, gli
scienziati hanno identificato il modello di onda (frequenza) concomitante del
cervello. Così possono adesso duplicarlo. Questi gruppi di emozioni firmati e
modificati possono essere trasmessi da frequenze portanti come le UHF
direttamente al cervello. Dove questi vettori silenziosi possono innescare la
stessa emozione in un altro essere umano. In altre parole se il gruppo di
emozioni trasmette un sentimento di disperazione, questo sarà direttamente
alimentato nel cervello (cavia) tramite onde radio invisibili.
Il meccanismo che
altera la mente si basa su una tecnologia portante subliminale: Spread Spectrum
silenzioso suono (SSSS). È stata sviluppata da Oliver Lowery di Norcross,
Georgia, ed è descritta nel brevetto US # 5.159.703, “Silent Subliminal
Presentation System”, datata 27 ottobre 1992.
Nell’abstract del
brevetto è scritto:
«Un sistema di
comunicazione silenzioso in vettori non-fonetiche, nell’intervallo molto basso o
molto alta frequenza audio o nell’adiacente spettro di frequenza ultrasonica
sono in ampiezza o frequenza modulate con l’intelligenza desiderata e propagate
acusticamente o vibrazionalmente, per incentivo in cervello, tipicamente
attraverso l’uso di altoparlanti, cuffie, o trasduttori piezoelettrici. Le
portanti modulate possono essere trasmessi direttamente e in tempo reale o
possono essere comodamente registrati e conservati su supporti meccanici,
magnetici o ottici per la trasmissione differita o ripetuta a chi ascolta».
Ecco cosa si legge su
Revolution (anno 2012) di Dieter Broers, ricercatore in neurologia:
«Uno dei nostri
risultati più sorprendenti è stato che le onde cerebrali dei soggetti
partecipanti al test possono essere modificate attraverso l’esposizione del
cervello alle onde elettromagnetiche. Abbiamo poi scoperto che potremmo anche
controllare le onde cerebrali dei soggetti con l’uso di questi campi, per
esempio elevando una frequenza cerebrale da 10 Hz a 12 Hz, utilizzando un campo
elettromagnetico esogeno di 12 Hz. I campi di forza specifici e i livelli di
intensità dei campi di forza inducono delle percezioni che altrimenti possono
essere indotte dalla somministrazione di sostanze psicoattive. Un normale campo
geomagnetico ci permette di mantenere un normale stato di coscienza vigile,
compreso il nostro senso del tempo, mentre un campo geomagnetico gravemente
anormale, o l’assenza di un campo magnetico terrestre, provoca degli stati
mentali anormali e uno squilibrio del nostro senso del tempo. In altre parole,
l’effetto dei disturbi geomagnetici è molto simile a quello dell’assunzione di
droghe allucinogene».
Un’altra affermazione
disarmante è stata fatta nello studio ON THE POSSIBILITY OF DIRECTLY ACCESSING
EVERY HUMAN BRAIN BY ELECTROMAGNETIC INDUCTION OF FUNDAMENTAL ALGORITHMS (anno
1995). L’autore che si riferisce all’atmosfera di Gaia, è lo scienziato M.A.
Persinger della Laurentian University:
«Negli ultimi
vent’anni (Persinger, Ludwig, & Ossenkopp, 1973) è emerso un potenziale che era
improbabile in passato ma che è ora marginalmente attuabile. Questo potenziale è
la capacità tecnica di influenzare direttamente la maggior parte dei circa sei
miliardi di cervelli della specie umana senza la mediazione delle modalità
sensoriali classiche, mediante la generazione di informazione neurale
all’interno di un mezzo fisico entro il quale sono immersi tutti i membri della
specie».
Gli stimoli
subliminali, (“sotto la soglia”), contrariamente a stimoli sovraliminali o
“sopra la soglia”, sono tutti gli stimoli sensoriali al di sotto della soglia
assoluta della percezione cosciente di un individuo. Nel 2007, come parte della
“Ipnosi, innesco subconsciente e branding” 1.400 delegati sono stati esposti al
film Picnic con 30 inserti subliminali in un periodo di 90 secondi. Quando fu
loro chiesto di scegliere uno dei due marchi di fantasia, Delta e Theta, l’81
per cento di essi scelse il brand suggerito dai tagli subliminali, Delta. Gli
stimoli visivi possono essere velocemente flashati prima che un individuo sia in
grado di elaborarli, o flashati e poi mascherati, interrompendo così il
processo. Gli stimoli uditivi possono essere riprodotti al di sotto del volume
udibile, analogamente mascherati da altri stimoli o registrati al contrario in
un processo chiamato backmasking.
Jeff Rense in “Educate
Yourself” del 22 Dicembre 2008 offre una panoramica di una tecnologia
psicotronica segreta del Pentagono conosciuta come Silent Sound Spread Spectrum
pienamente operativa dal primi anni ’90:
«Gli effetti fisici, emotivi e
psicologici di questa tecnologia furono così gravi che 75.000 e poi altri
125.000 (o più) membri delle truppe irachene uscirono dai loro bunker nel mezzo
del deserto, sventolando bandiere bianche e cadendo in ginocchio davanti alle
truppe statunitensi, baciando letteralmente gli stivali o le mani ai loro
persecutori. Perché avrebbero mai dovuto farlo se questi veterani della guerra
in Iran avevano promesso la “madre di tutte le battaglie”? Il 23 Marzo 1991 fu
data una breve notizia sotto forma di servizio per un bollettino della ITV News
Bureau Ltd, dal titolo La Guerra Psicologica High-Tech arriva in Medio Oriente
“Operazione Desert Storm” in Iraq, in cui si scriveva che “un programma
incredibile e altamente classificato di psy-ops che utilizza tecniche di ‘Silent
Sound’ è stato implementato con successo”.
“Subliminalmente, una
potente tecnologia era al lavoro. Un sofisticato sistema elettronico ideato per
‘parlare’ direttamente alla mente dell’ascoltatore, per alterare e trascinare le
sue onde cerebrali, per manipolare i suoi modelli elettroencefafalografici (EEG)
e quindi impiantare artificialmente stati emotivi negativi – sentimenti di
intensa paura, ansia, disperazione e senso di impotenza sono stati creati nelle
truppe irachene. Esso impianta tali emozioni nelle loro menti».
Mai sentito parlare
delle di Torri GWEN? “Sound of Silence” è una parola in codice militare e di
intelligence che definisce alcune armi psicotroniche di controllo mentale di
massa, ampiamente utilizzata dal “moderno” esercito degli Stati Uniti. Questa
arma segreta che altera la mente è basata su una cosa che si chiama tecnologia
subliminale a vettore o Silent Sound Spread Spectrum (SSSS). Essa è descritta
nel brevetto statunitense n. 5.159.703 – “Silent Subliminal Presentation System”
per uso commerciale nel 1992. L’abstract del brevetto recita:
«Un sistema di
comunicazione silenziosa in cui i vettori non acustici, nella gamma di frequenze
molto basse (ELF) o ad altissima frequenza audio (VHF)… si propagano
acusticamente o per via vibrazionale, per induzione nel cervello, in genere
attraverso l’uso di altoparlanti, cuffie, o trasduttori piezoelettrici».
Questo dispositivo, il
“Sound of Silence”, consente l’impianto ingiustificato di pensieri specifici ed
emozioni in ignari esseri umani. In breve, ha la capacità reale di trasformare
gli esseri umani in semplici marionette nelle mani di alcuni “controllori”, o
burattinai.
I televisori di Stati
Uniti e Canada sono diventati digitali al 100 per cento (obbligatori dal
febbraio 2009 ma ormai siamo costretti al loro utilizzo anche in Europa),
implementando il loro uso dei segnali delle frequenze Sound of Silence (al fine
di collegare con successo le torri GWEN), che permetteranno il controllo
illimitato, completo e massiccio della mente e della coscienza dei popoli.
Esistono solide prove che alcuni elitisti progettano di estendere
definitivamente la capacità di questa tecnologia H.A.A.R.P. fino a comprendere
tutte le persone in ogni continente.
Secondo l’US Air Force (anno
1982), le onde ELF hanno un numero di potenziali usi militari, tra cui:
«il controllo della
folla, il controllo della sicurezza delle installazioni militari, e delle
tecniche anti-uomo nella guerra tattica – e la produzione di una distorsione
percettiva o disorientamento da lieve a grave».
Le prime ricerche in
effetti di stimolazione visiva e uditiva subliminali sono esemplificate da US
Pat. No. 3.060.795 di Corrigan, et al. 3.278.676 e di Becker. US Pat. No.
4.395.600 di Lundy e Tyler è rappresentativo di successivi sviluppi nelle
tecniche di messaggi subliminali di oggi.
Uno
dei tempi più discussi degli ultimi anni forse ha la sua risposta,
anzi, probabilmente l'ha già avuta, ancora nel 2011 quando il consigliere
scientifico di Obama ha confermato
l'utilizzo di sostanze chimiche come il sale di Bario, l'ossido di alluminio, il
Torio, il Quarzo, il Potassio e il Magnesio per l'irrorazione dei cieli a
favore della geoingegneria e la manipolazione del clima. Cosa che lascia
sconcertati anche perchè gli scienziati fanno passare questa irrorazione come
semplici scie di condensa, ma perchè queste possano avvenire ci sono delle
condizioni ben definite, condizioni che non coincidono con le scie che spesso
vediamo nei nostri cieli.
Se la cosa fosse vera e ulteriormente confermata, non
potremmo stare certo tranquilli dato che l'aria, oltre ad essere già
inquinata per conto suo, lo diventerebbe ulteriormente e non solo, anche le
colture presenti sul territorio verrebbero avvelenate da queste irrorazioni,
colture che noi mangiamo ogni giorno.
«L’Unione
europea ha le mani insanguinate per la crisi in Ucraina» Parole di fuoco quelle
pronunciate da Nigel Farage, il leader del partito euroscettico britannico (Ukip),
alla fine del dibattito tv che lo ha contrapposto al vicepremier libdem Nick
Clegg. La sua dichiarazione ha scatenato forti reazioni nel mondo politico
britannico, a partire dal premier David Cameron, secondo cui le responsabilità
di quanto accaduto nella crisi sono della Russia e dei sostenitori di Mosca in
Crimea.
Farage mercoledì
sera, nel primo di due confronti televisivi nella campagna per le europee che si
terranno il prossimo maggio, ha affermato che il governo di Londra ha
incoraggiato la Ue a portare avanti un piano «imperialista ed espansionista, per
aver dato false speranze a un gruppo di persone in Ucraina» che hanno rovesciato
il loro leader eletto. «Questo ha provocato la reazione di Putin – ha aggiunto –
Ritengo che l’Unione europea, francamente, abbia le mani insanguinate per quanto
riguarda l’Ucraina». Nel corso di un intervento radiofonico, Clegg ha fortemente
criticato Farage, dicendosi scioccato dalle sue parole, e aggiungendo che il
leader Ukip sta dalla parte di Putin. Intanto si apprende che, come da copione,
l’ex pasionaria della rivoluzione arancione Iulia Timoshenko si candida alle
presidenziali ucraine del prossimo 25 maggio. Lo ha annunciato la stessa
Timoshenko in una conferenza stampa a Kiev.
L’Ucraina deve
stringere la cinghia per evitare la bancarotta e rispettare le condizioni
richieste dall’Fmi per un prestito biennale da 14-18 miliardi di dollari.
Intervenendo in parlamento, il “premier” provvisorio Arseni Iatseniuk, ha
proposto le prime misure di austerità, tra cui il congelamento, per quest’anno,
del salario minimo e del livello minimo di sussistenza, un aumento del livello
di tassazione per i più abbienti e la riduzione del 10% dei dipendenti pubblici
in servizio. Intanto ci saranno nuove esercitazioni militari nella regione di
Krasnodar, vicino alla Crimea, recentemente annessa da Mosca: il comando del
distretto militare della Russia meridionale ha annunciato per questi giorni
manovre diurne e notturne dell’aviazione, con 40 voli di caccia sukhoi-25 Smz e
50 lanci di bombe e missili terra-aria. I piloti si addestreranno anche per
evitare i sistemi di difesa aerea. Lo riferisce l’agenzia di stampa russa
Interfax.
Per affiancare il Governo ad
interim ucraino,USA e NATO hanno deciso di affiancare i suoi servizi militari di
psy-op ed inviare sul terreno reparti di specialisti per migliorare la
comunicazione tra i propri servizi di sicurezza(ossia convincerli ad obbedire
agli ordini anti-russi)e le trasmissioni al pubblico generale.Lo ha rivelato il
Segretario di Stato alla Difesa della Lettonia Janis Sartis: Stiamo mettendo a
punto alcuni progetti insieme,sapendo che il fattore tempo è essenziale.Vogliamo
aiutare gli ucraini a trattare la propaganda che sta accadendo.Alla domanda se
questo comporterebbe la presenza di truppe o addestratori sul terreno,Sartis ha
risposto:Sì,credo che aiuterebbe.La sola elencazione dei settori
mobilitati,identificati dalle mostrine dei partecipanti, è notevole: Il gruppo
tedesco Combat Camera,un reparto di comunicatori direttamente dipendente dalla
Bundeswehr.Il gruppo belga di guerra psicologica(psy-op).Il gruppo Kunduz,tedesco,OPINFO(addetto
a formare l’opinione pubblica),IEB,gruppo tedesco per la comunicazione
intrerculturale,connesso con OPINFO.ISAF,il corpo di spedizione NATO in
Afghanistan.Il Non Kinetic Working Group Advisory Team,109th AFGHAN Corps,reparto
statunitense(non kinetik è l’originale denominazione per tutte le operazioni per
i rapporti civili-militari(CIMIC),informazione e propaganda,propaganda
nera,guerra psicologica);il Regional Command Public Affairs Office;il Tactical
PSYOPS Team Task Force Northern Lights TPT 6C23.È il massimo atto di guerra in
atto,appena un passo al disotto della guerra guerreggiata,che gli occidentalisti
sanno di non poter combattere. Vengono qui a puntino alcune citazioni storiche
che un amico da Washington mi ha giusto mandato.
Mi limito a tradurle:a voi
sostituire Germania con il nuovo nemico,Russia.Delmer Sefton(1904-1979),responsabile
della Black Propaganda per le forze armate britanniche,nel 1945,dopo la disfatta
del Terzo Reich,conversando con il giurista tedesco di diritto interazionale
Friedrich Grimm:È stata la nostra propaganda sulle atrocità(atrocity propaganda)
che ci ha fatto vincere la guerra,e solo adesso comincia per
davvero!Continueremo la atrocity propaganda,la intensificheremo fino a che
nessuno accetterà più nemmeno una parola dei tedeschi come buona,fino a quando
tutta la simpatia che possano ancora avere all’estero sarà distrutta,fino a
quando loro stessi saranno così confusi da non saper più cosa fanno.E una volta
compiuto questo,una volta che cominceranno disprezzare il loro stesso Paese e la
loro stessa gente,non a malincuore ma con convinzione,per voler compiacere i
vincitori,solo allora la nostra vittoria sarà completa.La rieducazione richiede
una coltivazione accurata,come quella di un giardino inglese.Un attimo di
negligenza,e le erbacce rispuntano,quelle indistruttibili erbacce della verità
storica.Winston Churchill ovviamente,non era sottoposto alle cure di Sefton.
Così poté dire a Lord Robert
Boothby la verità storica: Il delitto imperdonabile della Germania prima della
seconda guerra mondiale,è stato il suo tentativo di svincolare la sua potenza
economica dal sistema di mercato mondiale,creare il suo proprio meccanismo di
cambi monetari,che avrebbe negato alla finanza del mondo la sua opportunità di
profitto. (Sidney Rogerson,Propaganda in the Next War,Londra 2001,originalmente
pubblicato nel 1938).Ancora Churchill:Dovete capire che la guerra non è contro
Hitler o il Nazionalsocialismo,ma contro la forza del popolo tedesco,che deve
essere sfasciata una volta per tutte,sia nelle mani di Hitler o,che so dei
Gesuiti(Emrys Hughes,Winston Churchill - His Career in War and Peace).La
Germania diventa troppo forte.Dobbiamo schiacciarla,disse ancora
Churchill,allora primo ministro,al generale americano Robert E. Woods,nel
novembre 1936(Peter H. Nicoll,Englands Krieg gegen Deutschland, p. 83). Bernard
Lecache-Lifschitz, leader sionista,nel 1938:la nostra Causa è organizzare
l’embargo morale e culturale della Germania,prendere e squartare (quarter)questa
nazione.La nostra Causa è finalmente arrivare ad una guerra senza pietà(Bernard
Lecache-Lifschitz,Le droitde vivre,18 dicembre 1938).Interessante anche
rileggere quel che scrisse il periodico polacco Mocarstwowiec nel numero 3 del
1930,ossia tre anni prima che Hitler prendesse il potere:Siamo consapevoli che
la guerra tra Polonia e Germania non può essere evitata.Dobbiamo prepararci a
questa guerra energicamente e sistematicamente.
La generazione presente farà
in modo che una nuova vittoria di Grunwald(la battaglia nel 1410 in cui polacchi
e lituani distrussero i Cavalieri Teutonice,ndr),sia scritta nei libri di
storia.Ma dobbiamo combattere questa Grunwald nei sobborghi di Berlino.La nostra
ambizione è di allargare le frontiere polacche all’Oder in Occidente e al Neisse
in Lusazia,reincorporare la Prussia dal Pregel alla Sprea.In questa guerra non
si faranno prigionieri,non ci sarà spazio per sentimenti umanitari.Noi
sorprenderemo il mondo intero nella nostra guerra alla Germania! (Citato da
Bertram de Colonna, Poland from the Inside).Se la storia insegna qualcosa,vuol
dire che le menzogne demonizzanti e disinformazioni che i nostri media bevono e
diffondono contro Mosca,sono solo un antipasto leggero.Ci sentiremo spiegare ed
elaborare in tutte le salse il tema lanciato da Economist l’8 marzo:Putin è
diventato un autocrate,o da Obama nella recente dichiarazione:La Russia è sul
lato sbagliato della storia(il lato giusto è quello che ha aggredito
Iraq,Afghanistan,destabilizzato Libia e Siria e provocato un milione di morti
e,decine di milioni di profughi,e spargendo su tutti migliaia di tonnellate di
uranio impoverito e un futuro di figli e nipoti malformati,mostruosi,nati-morti
e sterili).Stiamo vedendo la stessa propaganda usata già contro Gheddafi n
preparazione e durante l’invasione,dai media anglo-americani.La verità storica è
quella confessata da un articolo dello Spectator l’8 marzo:Putin has broken the
consensus which arose after the end of the Cold War,come la Germania degli anni
’30 ruppe il consensus che consentiva alla finanza internazionale di estrarre
l’opportuno profitto,secondo disse Churchill.
Attenzione alla atrocity
propaganda,applicata contro i tedeschi negli anni ’40, che ci verrà fornita a
scodelle (hanno già cominciato). Attenzione specialmente alla Black Propaganda:
definita come «falsa informazione e materiali informativi che appaiono
provenienti da una fonte del nemico,ma che vengono in realtà dalle nostre
fonti,i britannici ne sono maestri(nella seconda guerra mondiale allestirono
addirittura diverse stazioni-radio «naziste,la Gustav Siegfried Eins(GS1),o la
Soldatensender Calais (G.9) che sembravano stazioni militari tedesche o del
partito nazista, in tedesco, per demoralizzare i soldati germanici: le dirigeva
quel Sefton Delmer sopra citato.Un buon esempio sono i misteriosi cecchini
intervenuti a sparare alle due parti in piazza in Ucraina...è solo l’inizio.Tutto
ciò viene a confermare la profonda analisi elaborata da Andrei Fursov,direttore
degli Studi Russi all’Università di Mosca e membro dell’Accademia delle Scienze,
nel febbraio scorso:una indispensabile lettura sia per comprendere il punto di
vista delle dirigenza russa(di cui Fursov fa parte),sia per le informazioni
stupefacenti e i dettagli ignorati che contiene sulla situazione interna
ucraina,il clan,gli oligarchi,e i servizi stranieri che vi operano in questi
mesi.Il discorso di Fursov è troppo lungo ed articolato per poterlo riportare
interamente(cercheremo di tradurlo appena possibile);intanto lo potete trovare
in lingua originale qui.
In questo articolo,riporto di
Forsov alcuni specifici punti:Gli oligarchi ebrei.Il regime di Yanukovitc)il
deposto governante, che ci fanno passare per filo-russo),ha molto favorito la
crescita della classe dei miliardari.I principali sponsor di Yanukovitch sono
stati Rinat Akhmetov e Dmitry Firtash(...)Firtash possiede(il conglomerato)RosUkrEnergo,produzione
di energia e chimica...sono i partner principali di Rotschild in Ucraina.Uno dei
principali consiglieri di Firtah è Robert Shetler-Jones;ne parlerò più tardi.È
un imprenditore del gruppo Rotschild,ed è del MI6:in tutte le multinazionali
inglesi,per occupare una posizione alta,è obbligatorio essere esaminati» dal
MI6.L’altro gruppo è Privat.È il più interessante.È il gruppo di Ihor Kolomoisky.
Kolomoisky vale 3 miliardi di dollari.Il suo socio è Gennady Bogolubov.
Kolomoisky,è interessante,non solo perché ha chiamato il nostro presidente uno
schizofrenico.È il motore dietro gli eventi in Ucraina.Nato nel
1963.Ebreo.Sostiene molto attivamente il gruppo hassidico Chabad(i Lubawitcher,potentissimi
anche presso il Congresso USA),che non è una setta,ma un movimento.È il mecenate
principale della comunità ebraica di Dnepropetrovsk.Vecchio amico di Berezovski.Possiede
circa 200 ditte,controlla il 40% di Ukrnafta e i media.Grande fan del
calcio,possiede varie squadre:FC Dnipro,di Dnepropetrovsk,Arsenal Kyiv,la Hapoel
di Tel-Aviv(ecco dove finiscono i miliardi sifonati agli ucraini).
È vicepresidente della
Federazione Football di Ucraina.Il presidente,Surkis,è anche lui un
miliardario,benché non grosso come Kolomoisky;possiede la Dynamo Kiev.Lo dicono
collegato col crimine oranizzato internazionale(...)è lo sponsor di Yushenko,Timoshenko
e Kltschko,e per quanto sembri paradossale, dell’ultranazionalista Tyaghnibok.(...)Infine,un’altra
parte dell’economia ucraina,di cui gli esperti preferiscono non
scrivere:commercio di armi, tecnologie e stupefacenti.Decine i nomi.I principali
sono Vadim Rabinovitch cittadino di Israele,Ucraina e Ungheria,Sergei Maximov,e
la famiglia Derkatch:il più anziano è Leonid Derkatch,è stato il capo del
servizio di sicurezza ucraino,SBU.Ha in mano tutte le carte adesso,e tratta in
armamenti... Rabinovitch è molto interessante,sostiene il partito gay-lesbiche
Raduga e il gruppo Femen nato a Kiev.Spesso litiga con gli altri oligarchi
ebrei.Ciò che caratterizza la situazione in Ucraina,l’assenza di un centro
politico unitario,tocca anche la comunità ebraica.Si scontrano spesso e
gravemente i secolarizzati e i sostenitori dei Chabad hassidici.Hanno litigato
forte anche per il monumento a Babi Yar(dove sarebbero avvenuti massacri di
ebrei, ndr):Kolomoisky insisteva per elevare una sinagoga,Vitaly Nakhmanovitch
si è opposto...Nel 2011,Kolomoisky ha creato lo European Jewish Parliament, che
siede nel Parlamento Europeo(...).Avvengono situazioni umoristiche:per esempio,Kolomoisky
sostiene Chabad.E Chabad ha sostenuto Yanukovych alle elezioni.Lo scontro(intra-giudaico)è
diventato feroce.
Tanto più che l’avidità e
stupidità del clan mafioso Yanukovich si è rivelata quando ha imposto tangenti
non solo alle medie imprese,ma anche alle piccole:di fatto,dovevano versare il
60% alla famiglia.Dunque,si possono capire quelli che sono andati a protestare a
Maidan;chi ha sfruttato la situazione,è un altro discorso:Sappiamo il ruolo che
la stupidità gioca nelle rivoluzioni,hanno scritto Marx ed Engels nel 1848...Rockefellers,Rotschilds
e le agenzie di spionaggio.Gli altri che giocano sul campo ucraino sono i
Rockefeller e i Rotschild.I Rotschild sono entrati in Ucraina immediatamente
dopo che si è liberata dall’Unione Sovietica;nel 1991-95 E al seguito,entrò
anche l’MI6,avendo mano libera.Ma tutte le agenzie occidentali hanno in genere
mano libera in Ucraina.La Cia ha un intero piano(nei suoi uffici),dedicato all’Ucraina.Ma
i nostri operatori coperti già nei tardi anni ’90 ci dicevamo che il servizio
ucraino SBU era una succursale dell’FBI e della Cia,che lavoravano là
attivamente. Anche il BND(il servizio tedesco),è stato molto attivo con i suoi
gruppuscoli clandestini nostalgici di Bandera(Stepan Bandera,1909-1959,è stato
un capo ucraino che formò reparti militari a fianco del Terzo Reich).Il MI6 ha
operato lasciando meno tracce.Non c’è nemmeno da dire che gli agenti israeliani
(ne parlerò dopo)hanno mano completamente libera.
Firtash è diventato il
principale socio dei Rotschild.Il suo socio,come ho detto, era Robert
Shetler-Jones:considerato dai nostri esperti l’istigatore della guerra del gas
che ha opposto l’Ucraina alla Russia.Tenete conto che il gruppo Rotschild sta
operando nell’Est Ucraina.È la zona su cui vogliono mettere le mani,in
particolare la regione di Dnepopetrovsk,dove opera la banca Rothschild Europe e
la loro Royal Dutch Shell.Gli interessi dei Rotschild sono fortemente opposti a
quelli della Russia.Considerate sempre che quando parliamo di «nteressi USA e
interessi britannici,i gruppi d’interesse attivi là sono molti e diversi.Non per
niente l’analista francese Alexandre del Valle parla non di politica estera
Usa,ma di politici esteri»USA.Ci sono diversi clan.Il clan dietro Obama vuole
una cosa.E i clan dietro i neocon ne vogliono un’altra,del tutto diversa.I
Rotschild sfruttano crisi e caos che possono essere manipolati dagli attori
globali per accaparrarsi attivi in Ucraina,in Asia centrale e se possibile,in
Russia.I Rockefeller hanno interessi più modesti:per esempio la Chevron
Corporation,che è nell’impero Rockefeller.La regione di Ivano-Frankivsk gli è
stata praticamente dasta in mano da Yanukovich.E difficile dire ormai se
Ivano-Frankivsk appartiene all’Ucraina o alla Chevron(...).Gli interessi di
Israele in Ucraina...È rappresentato dal Mossad e praticamente da tutti i
servizi di intelligence israeliani.C’è anche il Komemyiut,che è
un’amministrazione interna al Mossad il cui compito è l’eliminazione fisica
degli oppositori del Mossad.Per esempio è questo Komemiyut che ha ucciso gli
scienziati atomici iraniani.La parola in ebraico significa sovranità,sono molto
efficaci.Aman è l’intelligence militare agli ordini del primo ministro.Poi
Shabat ,Shin Bet,Nativ,tutti sono presenti in Ucraina.
L’attuale ambasciatore in
Ucraina è Reuven Din El,che è stato il residente del Mossad presso i paesi CIS(Comuità
degli Stati Indipendenti,la lasca confederazione che unisce 11 repubbliche ex
sovietiche attorno a Mosca);è stato espulso da Mosca,e subito ricevuto in
Ucraina come ambasciatore.Vlad Lerner del Nativ è il primo segretario dell’ambasciata.Bisogna
fare tanto di cappello agli israeliani, per come lavorano in Ucraina.Mossad, sia
chiaro,opera in stretta connessione con CIA e MI6... Sono molto attivi nel
settore dell’istruzione superiore. (...) In quasi tutte le istituzioni di
istruzione superiore in Ucraina, specie a Kiev, c’è una stanza NATO, un
dipartimento della Nato. Chi vuol far carriera deve partecipare a diversi dei
loro programmi.Ecco cosa sta accadendo.Israele,sotto il pretesto di cercare
studenti ebreo o con radici ebraiche, identifica e seleziona gli studenti con
buone prospettive e li manda a studiare in Occidente.Di tutte le università
occidentali dove ho insegnato, Columbia, Yale,New York,la più forte è la Central
European University di Soros,che accetta solo ebrei,per di più i meglio
preparati e accuratamente selezionati.Al corso che ho tenuto c’erano tre
individui dalla Russia.Non da Mosca,ma da Arkhangelsk,Ivanovo e Pietroburgo Il
ritmo di studi è 400 pagine al giorno,come ai tempi di Stalin da noi.Non tutti
resistono.Gli scopi degli interessati in Ucraina(...).Spesso cito le parole di
Brzezinski:Senza l’Ucraina,la Russia cessa di essere un impero europeo.(...)E
Bismarck nel 19mo secolo:Dobbiamo coltivare fra gli ucraini una popolazione la
cui coscienza è alterata fino al punto,che comincino ad odiare tutto ciò che è
russo.(...)Lo scopo di lungo termine di questo stato antirusso è creare una
pressione sulla Federazione Russa,una pressione continua.La finalità ultima è di
spingere la Russia nel campo occidentale(...)per porre fine a questa pressione
continua,che la Russia si rivolga all’Occidente,e diventi uno strumento
occidentale per mettere sotto pressione la Cina.Se possibile,anche una guerra di
Russia contro Cina,questo sarebbe il loro ideale.
Gli americani hanno bisogno
di caos controllati e guerra civile.Gli europei vogliono l’Ucraina intera:un
serbatoio di manodopera a basso prezzo e un mercato di consumo di 44 milioni di
persone(ora,meno la Crimea),e dove gettare ogni genere di spazzatura.Fursov non
intende solo merci di poco prezzo di cui inondare la popolazione ucraina.Intende
rifiuti nucleari:La Timoscenko,per bisogno di denaro,ha fatto un contratto con
gli europei,che l’Ucraina avrebbe immediatamente cominciato lo smaltimento del
residui nucleari(delle centrali atomiche occidentali).Il fatto è che il Paese
non ha gli apparati tecnologici per questo.Pensano semplicemente di
seppelliremo.Seppellirlo nella Zona di Esclusione di Chernobyl.Lì è già
inquinato.Seppelliamolo e nascondiamolo lì.A mia conoscenza,un treno carico di
rifiuti nucleari è fermo alla frontiera polacco-ucraina;non va da nessuna parte,attende.L’Europa
ha bisogno dell’Ucraina come discarica.Ciò che mi stupisce della dirigenza
ucraina è:quelli che moriranno o saranno sterili mica sono solo le persone
qualunque.Anche i figli dell’élite verranno colpiti....Fursov attribuisce a
questo accordo per infossare i resti nucleari di tutto l’Occidente in
Ucraina,anche il misterioso assassinio di Oleksandr Muzychko,uno dei capi del
Pravi Sektor,avvenuto il 24 marzo scorso.Fanatico nazionalista ucraino,criminale
e guerrigliero,(i russi lo accusano formalmente di aver ucciso almeno 20 soldati
russi prigionieri durante la prima guerra cecena),Muzychko stava in un café di
Rivno quel giorno,quando sono piombati su di lui degli uomini armati scesi da
tre minivan, che gli hanno sparato al petto.Secondo l’indagine ufficiale del
Governo ad interim di Kiev,il tipo si sarebbe sparato al petto per sottrarsi
all’inseguimento della polizia.Un suicidio,dunque..Anche questa è
disinformazione.(Notorious leader of Ukraine’s protests shot dead. Circumstances
are in dispute).Secondo Fursov,invece,l’attivista è stato eliminato perché da
nazionalista si opponeva a fare della Ucraina l’immondezzaio nucleare europeo,e
stava mobilitando il Pravi Sektor contro questo progetto.
1. L’essenziale nella missione
della Congregazione
Nella
celebrazione dell’Ordinazione di un Vescovo, la Chiesa riunita, dopo
l’invocazione dello Spirito Santo, chiede che sia ordinato il candidato
presentato. Chi presiede allora domanda: «Avete il mandato?». Risuona in tale
domanda quanto fece il Signore: «Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a
due…»(Mc 6,7). In fondo, la domanda si potrebbe
esprimere anche così: “Siete certi che il suo nome è stato pronunciato dal
Signore? Siete certi che sia stato il Signore ad annoverarlo tra i chiamati per
stare con Lui in maniera singolare e per affidargli la missione che non è sua,
ma è stata al Signore affidata dal Padre?”.
Questa Congregazione
esiste per aiutare a scrivere tale mandato, che poi risuonerà in tante Chiese e
porterà gioia e speranza al Popolo Santo di Dio. Questa Congregazione esiste per
assicurarsi che il nome di chi è scelto sia stato prima di tutto pronunciato dal
Signore. Ecco la grande missione affidata alla Congregazione per i Vescovi, il
suo compito più impegnativo: identificare coloro che lo stesso Spirito Santo
pone alla guida della sua Chiesa.
Dalle labbra della
Chiesa si raccoglierà in ogni tempo e in ogni luogo la domanda: dacci un
Vescovo! Il Popolo santo di Dio continua a parlare: abbiamo bisogno di uno che
ci sorvegli dall’alto; abbiamo bisogno di uno che ci guardi con l’ampiezza del
cuore di Dio; non ci serve un manager, un amministratore
delegato di un’azienda, e nemmeno uno che stia al livello delle nostre pochezze
o piccole pretese. Ci serve uno che sappia alzarsi all’altezza dello sguardo di
Dio su di noi per guidarci verso di Lui. Solo nello sguardo di Dio c’è il futuro
per noi. Abbiamo bisogno di chi, conoscendo l’ampiezza del campo di Dio più del
proprio stretto giardino, ci garantisca che ciò a cui aspirano i nostri cuori
non è una promessa vana.
La gente percorre
faticosamente la pianura del quotidiano, e ha bisogno di essere guidata da chi è
capace di vedere le cose dall’alto. Perciò non dobbiamo perdere mai di vista le
necessità delle Chiese particolari a cui dobbiamo provvedere. Non esiste un
Pastore standard per tutte le Chiese. Cristo conosce la
singolarità del Pastore che ogni Chiesa richiede perché risponda ai suoi bisogni
e la aiuti a realizzare le sue potenzialità. La nostra sfida è entrare nella
prospettiva di Cristo, tenendo conto di questa singolarità delle Chiese
particolari.
2.
L’orizzonte di Dio determina la missione della Congregazione
Per scegliere tali
ministri abbiamo bisogno tutti noi di elevarci, di salire anche noi al “piano
superiore”. Non possiamo fare a meno di salire, non possiamo accontentarci delle
misure basse. Dobbiamo alzarci oltre e sopra le nostre eventuali preferenze,
simpatie, appartenenze o tendenze per entrare nell’ampiezza dell’orizzonte di
Dio e per trovare questi portatori del suo sguardo dall’alto. Non uomini
condizionati dalla paura dal basso, ma Pastori dotati di parresia,
capaci di assicurare che nel mondo c’è un sacramento di unità (Cost.
Lumen gentium, 1) e perciò l’umanità non è destinata allo sbando e allo
smarrimento.
È questo grande
obiettivo, delineato dallo Spirito, che determina il modo con cui si svolge
questo compito generoso e impegnativo, per il quale io sono immensamente grato a
ognuno di voi, cominciando dal Cardinale Prefetto Marc Ouellet e abbracciando
tutti voi, Cardinali, Arcivescovi e Vescovi Membri. Una speciale parola di
riconoscimento, per la generosità del loro lavoro, vorrei rivolgere agli
Officiali del Dicastero, che silenziosamente e pazientemente
contribuiscono al buon esito del servizio di provvedere alla Chiesa con i
Pastori di cui ha bisogno.
Nel firmare la
nomina di ogni Vescovo vorrei poter toccare l’autorevolezza del vostro
discernimento e la grandezza di orizzonti con la quale matura il vostro
consiglio. Perciò, lo spirito che presiede i vostri lavori, dal compito arduo
degli Officiali fino al discernimento dei Superiori e Membri della
Congregazione, non potrà essere altro che quell’umile, silenzioso e laborioso
processo svolto sotto la luce che viene dall’alto. Professionalità, servizio e
santità di vita: se ci discostiamo da questo trinomio decadiamo dalla grandezza
cui siamo chiamati.
3. La
Chiesa Apostolica come fonte
Dove trovare allora
questa luce? L’altezza della Chiesa si trova sempre negli abissi profondi delle
sue fondamenta. Nella Chiesa Apostolica c’è quello che è alto e profondo. Il
domani della Chiesa abita sempre nelle sue origini.
Pertanto, vi invito
a fare memoria e “visitare” la Chiesa Apostolica per cercare lì alcuni criteri.
Sappiamo che il Collegio Episcopale, nel quale mediante il Sacramento saranno
inseriti i Vescovi, succede al Collegio Apostolico. Il mondo ha bisogno di
sapere che c’è questa Successione ininterrotta. Almeno nella Chiesa, tale legame
con l’arché divina non si è spezzato. Le persone già conoscono
con sofferenza l’esperienza di tante rotture: hanno bisogno di trovare nella
Chiesa quel permanere indelebile della grazia del principio.
4. Il
Vescovo come testimone del Risorto
Esaminiamo pertanto
il momento in cui la Chiesa Apostolica deve ricomporre il Collegio dei Dodici
dopo il tradimento di Giuda. Senza i Dodici non può scendere la
pienezza dello Spirito. Il successore va cercato tra chi ha seguito fin dagli
inizi il percorso di Gesù e ora può diventare «insieme ai dodici» un«testimone della risurrezione» (cfr At 1,21-22). C’è bisogno
di selezionare tra i seguaci di Gesù i testimoni del Risorto.
Da qui deriva il
criterio essenziale per tratteggiare il volto dei Vescovi che vogliamo avere.
Chi è un testimone del Risorto? È chi ha seguito Gesù fin dagli inizi e viene
costituito con gli Apostoli testimone della sua Risurrezione. Anche per noi
questo è il criterio unificante: il Vescovo è colui che sa rendere attuale tutto
quanto è accaduto a Gesù e soprattutto sa, insieme con la
Chiesa, farsi testimone della sua Risurrezione. Il Vescovo è anzitutto un
martire del Risorto. Non un testimone isolato ma insieme con la
Chiesa. La sua vita e il suo ministero devono rendere credibile la Risurrezione.
Unendosi a Cristo nella croce della vera consegna di sé, fa sgorgare per la
propria Chiesa la vita che non muore. Il coraggio di morire, la generosità di
offrire la propria vita e di consumarsi per il gregge sono inscritti nel “DNA”
dell’episcopato. La rinuncia e il sacrificio sono connaturali alla missione
episcopale. E questo voglio sottolinearlo: la rinuncia e il sacrificio sono
connaturali alla missione episcopale. L’episcopato non è per sé ma per la
Chiesa, per il gregge, per gli altri, soprattutto per quelli che secondo il
mondo sono da scartare.
Pertanto, per
individuare un Vescovo, non serve la contabilità delle doti umane,
intellettuali, culturali e nemmeno pastorali. Il profilo di un Vescovo non è la
somma algebrica delle sue virtù. È certo che ci serve uno che eccelle (CIC,
can. 378 § 1): la sua integrità umana assicura la capacità di relazioni
sane, equilibrate, per non proiettare sugli altri le proprie mancanze e
diventare un fattore d’instabilità; la sua solidità cristiana è essenziale per
promuovere la fraternità e la comunione; il suo comportamento retto attesta la
misura alta dei discepoli del Signore; la sua preparazione culturale gli
permette di dialogare con gli uomini e le loro culture; la sua ortodossia e
fedeltà alla Verità intera custodita dalla Chiesa lo rende una colonna e un
punto di riferimento; la sua disciplina interiore ed esteriore consente il
possesso di sé e apre spazio per l’accoglienza e la guida degli altri; la sua
capacità di governare con paterna fermezza garantisce la sicurezza dell’autorità
che aiuta a crescere; la sua trasparenza e il suo distacco nell’amministrare i
beni della comunità conferiscono autorevolezza e raccolgono la stima di tutti.
Tutte queste
imprescindibili doti devono essere tuttavia una declinazione della centrale
testimonianza del Risorto, subordinati a questo prioritario impegno. È lo
Spirito del Risorto che fa i suoi testimoni, che integra ed eleva le qualità e i
valori edificando il Vescovo.
5. La
sovranità di Dio, autore della scelta
Ma torniamo al testo
apostolico. Dopo il faticoso discernimento viene la preghiera degli Apostoli:
«Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostra quale di questi … tu hai
scelto» (At 1,24) e «tirarono a sorte» (At
1,26). Impariamo il clima del nostro lavoro e il vero Autore delle nostre
scelte. Non possiamo allontanarci da questo «mostraci tu, Signore». Èsempre imprescindibile assicurare la sovranità di Dio. Le scelte non possono
essere dettate dalle nostre pretese, condizionate da eventuali “scuderie”,
consorterie o egemonie. Per garantire tale sovranità ci sono due atteggiamenti
fondamentali: il tribunale della propria coscienza davanti a Dio
e la collegialità. E questo garantisce.
Fin dai primi passi
del nostro complesso lavoro (dalle Nunziature al lavoro degli Officiali, Membri
e Superiori), questi due atteggiamenti sono imprescindibili: la coscienza
davanti a Dio e l’impegno collegiale. Non l’arbitrio ma il discernimento
insieme. Nessuno può avere in mano tutto, ognuno pone con umiltà e onestà la
propria tessera di un mosaico che appartiene a Dio.
Tale visione
fondamentale ci spinge ad abbandonare il piccolo cabotaggio delle nostre barche
per seguire la rotta della grande nave della Chiesa di Dio, il suo orizzonte
universale di salvezza, la sua bussola salda nella Parola e nel Ministero, la
certezza del soffio dello Spirito che la spinge e la sicurezza del porto che la
attende.
6.
Vescovi “kerigmatici”.
Un altro criterio
lo insegna At 6,1-7: gli Apostoli impongono le mani su coloro
che devono servire le mense perché non possono «lasciare da parte la Parola di
Dio». Poiché la fede viene dall’annuncio, abbiamo bisogno di Vescovi
kerigmatici. Uomini che rendono accessibile quel “per voi” di
cui parla san Paolo. Uomini custodi della dottrina non per misurare quanto il
mondo viva distante dalla verità che essa contiene, ma per affascinare il mondo,
per incantarlo con la bellezza dell’amore, per sedurlo con l’offerta della
libertà donata dal Vangelo. La Chiesa non ha bisogno di apologeti delle proprie
cause né di crociati delle proprie battaglie, ma di seminatori umili e fiduciosi
della verità, che sanno che essa è sempre loro di nuovo consegnata e si fidano
della sua potenza. Vescovi consapevoli che anche quando sarà notte e la fatica
del giorno li troverà stanchi, nel campo le sementi staranno germinando. Uomini
pazienti perché sanno che la zizzania non sarà mai così tanta da riempire il
campo. Il cuore umano è fatto per il grano, è stato il nemico che di nascosto ha
gettato il cattivo seme. Il tempo della zizzania tuttavia è già irrevocabilmente
fissato.
Vorrei sottolineare
bene questo: uomini pazienti! Dicono che il Cardinale Siri soleva ripetere:
«Cinque sono le virtù di un Vescovo: prima la pazienza, seconda la pazienza,
terza la pazienza, quarta la pazienza e ultima la pazienza con coloro che ci
invitano ad avere pazienza».
Bisogna quindi
impegnarsi piuttosto sulla preparazione del terreno, sulla larghezza della
semina. Agire come fiduciosi seminatori, evitando la paura di chi si illude che
il raccolto dipenda solo da sé, o l’atteggiamento disperato degli scolari che,
avendo tralasciato di fare i compiti, gridano che ormai non c’è più nulla da
fare.
7.
Vescovi oranti
Il medesimo testo
di At 6,1-7 si riferisce alla preghiera come ad uno dei due compiti essenziali
del Vescovo: «Dunque, fratelli, cercate tra voi sette uomini di buona
reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo
incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola»
(vv. 3-4). Ho parlato di Vescovi kerigmatici, adesso segnalo l’altro tratto
dell’identità del Vescovo: uomo di preghiera. La stessa parresia
che deve avere nell’annuncio della Parola, deve averla nella preghiera,
trattando con Dio nostro Signore il bene del suo popolo, la salvezza del suo
popolo. Coraggioso nella preghiera di intercessione come Abramo, che negoziava
con Dio la salvezza di quella gente (cfr Gen 18,22-33); come
Mosè quando si sente impotente per guidare il popolo (Nm
11,10-15), quando il Signore è stufo del suo popolo (cfr Nm
14,10-19), o quando gli dice che sta per distruggere il popolo e promette a lui
di farlo capo di un altro popolo. Quel coraggio di dire no, non negozio il mio
popolo, davanti a Lui! (cfr Es 32,11-14.30-32). Un uomo che non
ha il coraggio di discutere con Dio in favore del suo popolo non può essere
Vescovo - questo lo dico dal cuore, sono convinto -, e neppure colui che non è
capace di assumere la missione di portare il popolo di Dio fino al luogo che
Lui, il Signore, gli indica (cfr Es 32,33-34).
E questo vale anche
per la pazienza apostolica: la medesima hypomone che deve
esercitare nella predicazione della Parola (cfr 2 Cor 6,4) la
deve avere nella sua preghiera. Il Vescovo dev’essere capace di “entrare in
pazienza” davanti a Dio, guardando e lasciandosi guardare, cercando e
lasciandosi cercare, trovando e lasciandosi trovare, pazientemente davanti al
Signore. Tante volte addormentandosi davanti al Signore, ma questo è buono, fa
bene!
Parresia e hypomone nella preghiera forgiano il cuore del
Vescovo e lo accompagnano nella parresia e nella
hypomone che deve avere nell’annuncio della Parola nel kerigma. Questo
capisco quando leggo il versetto 4 del capitolo 6 degli Atti degli Apostoli.
8.
Vescovi Pastori
Nelle parole che ho rivolto ai Rappresentanti Pontifici, ho così tracciato
il profilo dei candidati all’episcopato: siano Pastori vicini alla gente, «padri
e fratelli, siano miti, pazienti e misericordiosi; amino la povertà, interiore
come libertà per il Signore e anche esteriore come semplicità e austerità di
vita, che non abbiano una psicologia da “Principi”; … che non siano ambiziosi e
che non ricerchino l’episcopato … siano sposi di una Chiesa, senza essere in
costante ricerca di un’altra - questo si chiama adulterio. Siano capaci di
“sorvegliare” il gregge che sarà loro affidato, di avere cioè cura per tutto che
lo mantiene unito; … capaci di “vegliare” per il gregge» (21 giugno 2013).
Ribadisco che la
Chiesa ha bisogno di Pastori autentici; e vorrei approfondire questo profilo del
Pastore. Guardiamo il testamento dell’apostolo Paolo (cfr At
20,17-38). Si tratta dell’unico discorso pronunciato dall’Apostolo nel libro
degli Atti che è diretto ai cristiani. Non parla ai suoi avversari farisei, né
ai sapienti greci, ma ai suoi. Parla a noi. Egli affida i Pastori della Chiesa
«alla Parola della grazia che ha il potere di edificare e di concedere
l’eredità». Dunque, non padroni della Parola, ma consegnati a essa, servi della
Parola. Solo così è possibile edificare e ottenere l’eredità dei santi. A quanti
si tormentano con la domanda sulla propria eredità – “qual è il lascito di un
Vescovo? L’oro o l’argento?” - Paolo risponde: la santità. La Chiesa rimane
quando si dilata la santità di Dio nei suoi membri. Quando dal suo cuore intimo,
che è la Trinità Santissima, tale santità sgorga e raggiunge l’intero Corpo. C’è
bisogno che l’unzione dall’alto scorra fino all’orlo del mantello. Un Vescovo
non potrebbe mai rinunciare all’ansia che l’olio dello Spirito di santità arrivi
fino all’ultimo lembo della veste della sua Chiesa.
Il
Concilio Vaticano II afferma che ai Vescovi «è pienamente affidato l’ufficio
pastorale, ossia l’assidua e quotidiana cura del gregge» (Lumen
gentium, 27). Bisogna soffermarsi di più su questi due qualificativi
della cura del gregge: assidua equotidiana.
Nel nostro tempo l’assiduità e la quotidianità sono spesso associate alla
routine e alla noia. Perciò non di rado si cerca di scappare
verso un permanente “altrove”. Questa è una tentazione dei Pastori, di tutti i
Pastori. I padri spirituali devono spiegarcelo bene, affinché noi lo capiamo e
non cadiamo. Anche nella Chiesa purtroppo non siamo esenti da questo rischio.
Perciò è importante ribadire che la missione del Vescovo esige assiduità e
quotidianità. Io penso che in questo tempo di incontri e di convegni è tanto
attuale il decreto di residenza del Concilio di Trento: è tanto attuale e
sarebbe bello che la Congregazione dei Vescovi scrivesse qualcosa su questo. Al
gregge serve trovare spazio nel cuore del Pastore. Se questo non è saldamente
ancorato in sé stesso, in Cristo e nella sua Chiesa, sarà continuamente
sballottato dalle onde alla ricerca di effimere compensazioni e non offrirà al
gregge alcun riparo.
Conclusione
Alla fine di queste
mie parole mi domando: dove possiamo trovare tali uomini? Non è facile. Ci sono?
Come selezionarli? Penso al profeta Samuele alla ricerca del successore di Saul
(cfr 1 Sam 16,11-13) che domanda al vecchio Iesse: «Sono qui
tutti i suoi figli?», e sentendo che il piccolo Davide era a pascolare il gregge
ordina: «Manda a prenderlo». Anche noi non possiamo fare a meno di scrutare i
campi della Chiesa cercando chi presentare al Signore perche Egli ti dica:
«Ungilo: è lui!». Sono certo che essi ci sono, perché il Signore non abbandona
la sua Chiesa. Forse siamo noi che non giriamo abbastanza per i campi a
cercarli. Forse ci serve l’avvertenza di Samuele: «Non ci metteremo a tavola
prima che egli sia venuto qui». È di questa santa inquietudine che vorrei
vivesse questa Congregazione.
«Noi
russi abbiamo vissuto sulla nostra pelle le conseguenze di un’ideologia che ci
aveva fatto credere che saremmo stati felici senza Dio.
Siamo arrivati a un centimetro dal suicidio umano e demografico. Adesso vogliamo
tornare indietro». Alexey Komov è l’ambasciatore presso le Nazioni Unite delCongresso
mondiale delle Famiglie, la più grande piattaforma internazionale
per la difesa della famiglia naturale. In Italia per un convegno su Russia ed
Europa organizzato a Rovereto dalla rivista Notizie Pro Vita, ha accettato di
spiegare aTempile
ragioni della svolta “life-friendly” di Mosca dopo il crollo del comunismo.
In effetti negli
anni Novanta, dopo settant’anni di regime, la Russia aveva indici di sviluppo
umano da agonia.
Fino alla vigilia della Rivoluzione bolscevica del 1917 il cristianesimo
ortodosso era il fulcro della società russa. Nell’Ottocento l’ideologia
marxista, partorita in Occidente, fece breccia nel cuore di alcuni intellettuali
e borghesi russi. Secondo il materialismo comunista la scienza sarebbe riuscita
a rendere l’uomo padrone di tutto. Non c’era più posto per la Chiesa che ricorda
la dipendenza da Dio e dalle leggi naturali per la realizzazione dell’uomo e del
bene comune. Perché la Russia ora guarda a queste idee con grande sospetto?
Perché fummo i primi a conoscerle. Dopo la Rivoluzione d’ottobre fu legalizzato
l’aborto, il divorzio, la famiglia come “affare” di Stato. Sull’orlo del
precipizio ci siamo voluti fermare.
Però
la svolta “confessionale” di Putin e l’idea di fare della Russia una sorta di
baluardo della cristianità non gode di buona stampa in Occidente.
Senta, innanzitutto il governo sta approvando leggi che proteggono l’essere
umano, cosa che si dovrebbe pretendere da ogni sovrano. Poi la valorizzazione
del cristianesimo deriva dal fatto che Putin si è accorto che nel degrado
assoluto l’unica cosa che ha resistito è stata la Chiesa ortodossa. La Russia ha
provato il dolore di vivere senza Dio, per questo non crede più al comunismo e
rigetta l’ateismo. Non a caso oggi il 77 per cento dei russi dichiara di credere
in Dio e il 69 per cento è battezzato. Negli ultimi vent’anni sono state
ricostruite trentamila chiese, seicento monasteri e altre duecento chiese
sorgeranno presto a Mosca. Capisco che l’Occidente non capisca, visto quello che
succede da voi. Però è così, il governo non sta imponendo nulla. E Putin sta
solo prendendo atto del sentimento religioso riemergente nel popolo russo.
In Russia vige
ancora un sistema autoritario che ha ben poco di compatibile con la nostra
democrazia.
La “vostra” democrazia? In Occidente siete arrivati al punto di vedervi
costretti per legge, e senza che nessuno abbia chiesto il vostro parere, a
insegnare ai vostri figli che secondo questa“teoria
del gender”non
esistono “la mamma” e “il papà”, ma solo genitori A e B, che possono essere
anche dello stesso sesso, e che si deve “scegliere” se essere “bambini” o
“bambine”. Però senza discriminazioni, perché tutti devono essere uguali… Ecco,
quando sento queste cose, quando sento che questa sarebbe “democrazia”, ripenso
a me bambino. Ricordo che camminando per strada vedevo gli edifici progettati
dalla nostra “grande democrazia socialista”, ed erano tutti brutti, tutti grigi,
tutti uguali. Poi da qualche parte spuntava ancora qualche chiesa, bellissima, e
subito sorgeva in me il desiderio di entrarci, di andare a rifugiarmi lì. Oggi
le parti si sono invertite. Il popolo russo non cede all’ideologia Lgbt perché è
molto meno ingenuo di quello europeo. La gente sa bene come gli intellettuali
possono arrivare a imporre ideologie disumane.
È
sufficiente legiferare secondo il diritto naturale per cambiare un paese?
Tuttora in Russia c’è una grande crisi demografica. Vent’anni fa siamo arrivati
a quattro milioni di bambini abortiti ogni anno. Ora siamo scesi a circa due
milioni. La politica da sola non basterà mai. Ma per fermare l’ingiustizia è
necessario vietarla per legge. E comunque a ridurre i numeri dell’aborto sono
stati anche ildivieto
del governo di pubblicizzarlo, il fatto chele
leggi prevedano il finanziamento dei Centri di aiuto alla vita, lo
stanziamento di una somma pari a dieci mila euro per il secondo figlio e
concessioni demaniali a chi ne ha più di tre. Per il resto è compito dei
cristiani e degli uomini di buona volontà ricostruire il tessuto sociale.
Qual è la
situazione della famiglia oggi in Russia?
La situazione sta migliorando, ma ancora la metà dei matrimoni finisce in
divorzi. La cultura di massa che passa attraverso la televisione, i film
americani, le riviste e i media digitali condizionano le nuove generazioni.
Anche in Russia i media restano i principali educatori…
La Russia
rischiasanzioni
per le sue leggi “contro la propaganda e il proselitismo gay”. Non teme il
suo isolamento a livello internazionale?
No, perché la maggioranza dei russi la pensa esattamente come Putin. Il quale
non ha nulla da temere perché il nostro paese dispone di un importante
deterrente nucleare ed è lo snodo fra l’Europa e l’Asia. La nostra forza è sotto
gli occhi di tutti. Basti pensare che insieme a papa Francesco siamo riusciti a
frenare la guerra in Siria e a bloccare il piano di Obama di bombardare Damasco.
E mi lasci dire che noi russi abbiamo anche un senso messianico della nostra
presenza nel mondo. Messianismo che può essere pericoloso, come quando volevamo
esportare ovunque il comunismo, ma che ritorna utile ora che vogliamo ritrovare
le nostre radici cristiane.
E degli arresti
delle Pussy Riot o degli attivisti di Greenpeace che dice? Non sono sintomi di
un “regime”?
Le persone pensano anche che noi russi non abbiamo l’acqua, che viviamo in
povertà e che c’è corruzione ovunque. Invece in Russia la qualità dei servizi è
ottima, la tassazione è al 40 per cento, la popolazione sta mediamente bene,
costruiamo molto, importiamo e la materia prima è sfruttata con intelligenza.
C’è libertà di impresa e anche di espressione. Mentre in Occidente in certi
ambienti non potete neppure indossare una croce.
Ucraina-Russia, venti di guerra. Putin muove i blindati in Crimea
Kiev muove i
primi passi nel dopo-Yanukovich, in un clima di grande tensione anche per la
comparsa dei blindati russi nelle strade di Sebastopoli, la città della Crimea
che ospita la flotta di Mosca nel Mar Nero. GEOPOLITICA:
ecco perché l'Ucraina è strategica per Putin
La
nuova Ucraina muove i primi passi nel dopo-Yanukovich, in un clima di grande
tensione anche per la comparsa dei blindati russi nelle strade di Sebastopoli,
la città della Crimea che ospita la flotta di Mosca nel Mar Nero. La notizia,
rilanciata da siti russi e locali, ha suscitato allarme, anche perche' poche ore
prima il presidente del Parlamento e Capo dello Stato ad interim, Oleksander
Turchinov, aveva lanciato l'allarme sui "pericolosi segnali di separatismo"
emersi in alcune aree della repubblica ex sovietica. I carri
armati starebbero presidiando il quartier generale della base navale russa.
Il leader dell'estrema destra russa Oleg Tagnibok aveva preannunciato l'arrivo
alla base navale dell nave russa Nikolai Filchenkov, con a bordo 200
soldati.
Il porto ucraino di
Sebastopoli, nella penisola di Crimea, è strategico per la Russia, e questa non
e' una notizia. Ma e' diventato ancora piu' strategico, di importanza cruciale,
dal marzo del 2011, quando esplose il conflitto siriano. E da li', infatti, che
Mosca coordina lo sforzo militare in Siria, e i movimenti nella sua base navale
di Tartus e nel porto di Latakia, entrambi nel paese mediorientale.
Ed e' il porto di Sebastopoli, sede della flotta russa del Mar
Nero e diviso a meta' con le navi da guerra di Kiev (eredità dell'Urss), che
assicura ai russi, attraverso il passaggio dagli stretti del Bosforo e dei
Dardanelli, uno sbocco nel mare caldo del Mediterraneo e nell'Oceano indiano in
inverno, quando le acque nei porti del Baltico e del Mar Bianco congelano.
La prevista formazione del nuovo governo transitorio e' stata rinviata a
giovedi' un supplemento di consultazioni. Intanto, pero', il Parlamento ucraino
ha approvato una mozione per chiedere al Tribunale penale internazionale all'Aja
di processare Viktor Yanukovich per crimini contro l'umanita', una volta che il
deposto presidente filo-russo verra' catturato. Con lui dovranno essere
giudicati anche l'ex ministro dell'Interno, Vitaly Zakharchenko, e l'ex
procuratore generale di Kiev, Viktor Pshonka.
La Rada suprema, come e' chiamato il Parlamento, ha anche fatto rimuovere la
stella sovietica che da decenni adornava una guglia del palazzo.
Intanto l'ex capo di gabinetto di Yanukovich, Andriy Kliyuev, ha denunciato di
esser stato rapinato dell'auto e ferito a una gamba da un gruppo di 20 persone.
Sul fronte politico, l'ex campione del mondo di pugilato Vitaly Klitschko ha
ufficializzato la volonta' di candidarsi alle presidenziali anticipate del 25
maggio, data in cui e' stato annunciato che si terranno anche le elezioni
comunali. Da Mosca, il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, ha messo in
guardia sulla pericolosita' del tentativo di costringere l'Ucraina a scegliere
da quale parte stare, se con l'Occidente o con Mosca. "E' pericoloso e
controproducente", ha avvertito. Una delegazione di senatori russi domani sara'
in Crimea. Il Cremlino ha inoltre denunciato la decisione di convocare per il
maggio elezioni presidenziali anticipate, definendola una violazione
dell'accordo tra le forze di opposizione e Yanukovich che prevedeva prima la
riforma della Costituzione. Dalle statue di Lenin, alla stella
d'oro: l'Ucraina del dopo-Yanukovich cancella le tracce del passato sovietico.
Ma il Parlamento di Kiev ha rimosso la stella d'oro a cinque punte dalla guglia
del palazzo, nel centro della capitale. Lo ha annunciato lo stesso
Tyahnibok, in un video pubblicato su YouTube, in cui e' mostrata la rimozione
della stella dal pennone della bandiera ucraina.
Nelle proteste
degli ultimi mesi, che hanno portato alla deposizione del presidente filo-russo,
Viktor Yanukovich, numerose statue di Lenin sono state abbattute e danneggiate
dai manifestanti. L'Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue,
Catherine Ashton, ha ribadito in una conferenza
stampa a Kiev che i Ventotto vogliono preservare l'integrita' territoriale
ucraina. In settimana, poi, l'Ue presentera' un primo pacchetto di aiuti a breve
termine, ha annunciato Elmar Brok, presidente della Commissione Esteri
dell'Europarlamento.
L'arcivescovo della
Chiesa greco-cattolica Sviatoslav Shevchuk, oggi a Roma, ha lanciato un appello
all'Europa che "non deve avere paura degli ucraini respingendoli alle frontiere.
Abbiamo bisogno di aiuti economici ma anche di solidarieta' diplomatica.
I nostri giovani stanno costruendo in Ucraina l'Europa". Anche l'Ucraina ha i
suoi desaparecidos, ha inoltre avvertito l'arcivescovo, parlando di tante
persone scomparse nel Paese, "rapite dalle forze speciali, i berkut, assoldate
dal governo".
UCRAINA: PORTO SEBASTOPOLI CRUCIALE, DA LI' MOSCA VA IN SIRIA
Il porto ucraino di
Sebastopoli in Crimea e' strategico per la Russia, e questa non e' una notizia.
Ma e' diventato ancora piu' strategico, di importanza cruciale, dal marzo del
2011, quando esplose il conflitto siriano. E da li', infatti, che Mosca coordina
lo sforzo militare in Siria, e i movimenti nella sua base navale di Tartus e nel
porto di Latakia, entrambi nel paese mediorientale. Ed e' il
porto di Sebastopoli che assicura ai russi, attraverso il passaggio dagli
stretti del Bosforo e dei Dardanelli, uno sbocco nel mare caldo del Mediterraneo
e nell'Oceano indiano in inverno, quando le acque nei porti del Baltico e del
Mar Bianco congelano. L'accordo in base al quale l'Ucraina concede il
porto ai russi scade nel 2017, ma nel 2010 Vladimir Putin e il presidente oggi
deposto Viktor Yanukovich firmano un accordo per il prolungamento di venti anni
della concessione.
Nel
giro di 1 mese sono morti 9 banchieri. Ecco l'elenco riassunto:
1 - William
Broeksmit , 58 anni, ex alto dirigente di Deutsche Bank AG, è stato trovato
morto nella sua casa dopo un apparente suicidio a South Kensington, nel centro
di Londra, il 26 gennaio.
2 - Karl Slym, 51 anni amministratore delegato Tata Motors è stato trovato morto
al quarto piano dell'hotel Shangri-La a Bangkok il 27 gennaio.
3 - Gabriel Magee , un 39enne dipendente di JP Morgan, è morto dopo essere
caduto dal tetto del quartier generale di JP Morgan europea a Londra il 27
gennaio.
4 - Mike Dueker , 50 anni, capo economista di una banca di investimento
statunitense è stato trovato morto nei pressi del ponte di Tacoma nello Stato di
Washington.
5 - Richard Talley, 57 anni, fondatore dell'American Title Services in
Centennial, in Colorado, è stato trovato morto all'inizio di questo mese dopo
essersi apparentemente sparato con una pistola sparachiodi.
6 - Tim Dickenson , un regista della comunicazione della società Swiss Re AG con
sede nel Regno Unito è morto il mese scorso, ma le circostanze della sua morte
sono ancora sconosciute.
7 - Ryan Henry Crane , un dirigente di 37 anni della JP Morgan è morto in un
presunto suicidio solo poche settimane fa. Nessun dettaglio è stato rilasciato
sulla sua morte a parte questo piccolo annuncio di un al Stamford giornaliera
Voice.
8 - Li Junjie , 33 anni, banchiere di Hong Kong saltato dalla sede della JP
Morgan nel quartier generale a Hong Kong questa settimana.
Le
nazioni occidentali, guidate dall’Unione Europea e dall’amministrazione Obama,
sostengono un tentativo di golpe apertamente neonazista in Ucraina. Se
riusciranno nell’intento, le conseguenze andranno ben oltre i confini
dell’Ucraina e degli stati limitrofi. Per la Russia, tale colpo di stato
costituisce un casus belli, in quanto esso avviene nel contesto
dell’espansione della difesa antimissile della NATO in Europa centrale e
dell’evoluzione della dottrina USA e NATO del “Prompt Global Strike,” secondo
cui gli Stati Uniti possono lanciare un primo attacco nucleare preventivo contro
Russia e Cina e sopravvivere ad una rappresaglia.
Gli avvenimenti in
Ucraina costituiscono la potenziale miccia di una guerra globale che potrebbe
rapidamente degenerare in un olocausto termonucleare. Alla conferenza sulla
Sicurezza Europea che si è tenuta a Monaco di Baviera i primi di febbraio, il
ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha avuto un vivace scambio di battute
con il Segretario Generale della NATO Generale Anders Fogh Rasmussen, dopo che
quest’ultimo aveva accusato la Russia di “retorica bellicosa”. Lavrov ha
risposto citando il programma europeo di difesa antimissile come un tentativo di
garantire un potenziale di primo colpo nucleare contro la Russia.
Nel suo intervento
a Monaco ed una settimana prima al World Economic Forum a Davos, in Svizzera,
Lavrov ha accusato i governi occidentali di sostenere organizzazioni
terroristiche neonaziste nel loro tentativo di porre l’Ucraina sotto il
controllo dell’Unione Europea e della Troika rafforzando così l’accerchiamento
della NATO intorno alla Russia.
Ma lungi
dall’esagerare, Lavrov ha forse sminuito il problema.
I nazisti prendono la guida delle manifestazioni
Da quando il
Presidente Janukovič ha annunciato che l’Ucraina non avrebbe accettato l’accordo
associativo con l’Unione Europea, il 21 novembre 2013, organizzazioni di reduci
di guerra e collaborazionisti nazisti dell’Organizzazione dei Nazionalisti
Ucraini (OUN-B) ed i loro successori, sostenute dall’occidente, hanno lanciato
una campagna di provocazioni mirante non solo a far cadere il governo del Primo
Ministro Mykola Azarov, ma anche a rovesciare il Presidente Janukovič,
democraticamente eletto.
Il Partenariato
Orientale dell’UE fu avviato nel dicembre 2008 da Carl Bildt e Radek Sikorski,
ministri degli Esteri di Svezia e Polonia, sull’onda dello scontro militare tra
Georgia e Russia nel Sud Ossezia. Il Partenariato prese di mira sei ex
repubbliche sovietiche: tre nella regione del Caucaso (Armenia, Azerbaijan,
Georgia) e tre in Europa Centro Orientale (Bielorussia, Moldavia, Ucraina).
L’idea era non di invitarle ad entrare a far parte dell’UE, ma di sottoporle
ugualmente alla morsa di quest’ultima tramite cosiddetti accordi associativi,
ciascuno incentrato su un Deep and Comprehensive Free Trade Agreement (DCFTA,
ampio accordo di libero scambio). Il principale bersaglio era l’Ucraina. Con
l’accordo associativo negoziato ma non firmato, l’economia industriale
dell’Ucraina sarebbe stata smantellata, riducendo drasticamente l’interscambio
con la Russia (che avrebbe messo fine al proprio accordo di libero scambio con
l’Ucraina per impedire l’invasione di articoli europei sui suoi mercati
tramite), ed i mercati europei avrebbero preso il controllo delle esportazioni
ucraine di prodotti agricoli e materie prime. Lo stesso regime mortale di
austerità imposto dalla Troika alla Grecia ed altri paesi del Mediterraneo
sarebbe stato imposto anche all’Ucraina.
Inoltre l’accordo
associativo imponeva anche una “convergenza” sulle questioni di sicurezza e
l’integrazione nel sistema di difesa europeo. Secondo tale accordo, l’Ucraina
avrebbe dovuto recedere dai trattati a lungo termine che concedono a Mosca l’uso
dei porti del Mar Nero, cruciale per la Marina Militare russa, dando alla NATO
una base avanzata sul confine con la Russia.
Anche se i media
occidentali hanno raccontato che le manifestazioni in piazza dell’Indipendenza a
Kiev (Maidan Nezalezhnesti, o Euromaidan come viene chiamata adesso) fossero
inizialmente pacifiche, sta di fatto che fin dall’inizio le proteste includevano
un nocciolo duro di estrema destra e neonazisti, hooligans e reduci delle guerre
in Afghanistan, Cecenia e Georgia. Stando al parlamentare ucraino Oleg Tsariov,
trecentocinquanta ucraini sono tornati dalla Siria nel gennaio 2014, dopo aver
combattuto insieme ai ribelli siriani, inclusi gruppi terroristici legati ad
al-Qaeda quali il Fronte al-Nusra e lo Stato Islamico di Iraq e Siria (ISIS).
Già nel weekend del
30 novembre-1 dicembre i rivoltosi gettavano cocktail Molotov ed hanno occupato
il Municipio di Kiev dichiarandolo “quartier generale rivoluzionario”. I
manifestanti del partito di opposizione Svoboda, che prima si chiamava
nazionalsocialista, hanno marciato dietro la bandiera rossonera dell’
Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini di Stepan Bandera (OUN-B), ovvero i
collaboratori nazisti che durante la seconda guerra mondiale sterminarono ebrei
e polacchi per conto della macchina da guerra hitleriana, ispirati
dall’ideologia della razza pura.
Lo slogan del
partito Svoboda, “l’Ucraina agli ucraini”, era il grido di battaglia di Bandera
durante la collaborazione tra l’OUN-B ed Hitler dopo l’invasione nazista
dell’Unione Sovietica. Sotto quello slogan i combattenti fascisti di Bandera
commisero esecuzioni di massa e pulizie etniche. Fonti ucraine riferiscono che
già nell’estate del 2013, mesi prima che il Presidente Janukovič decidesse di
rifiutare l’accordo associativo con l’UE, il partito Svoboda teneva dei campi di
addestramento paramilitare.
Il carattere
neonazista, razzista ed antisemita di Svoboda non ha impedito però ai
diplomatici occidentali, inclusa Victoria Nuland, la vice di Kerry per gli
affari europei ed asiatici, di incontrare pubblicamente il leader del partito
Oleg Tjaghnìbok, che nel 2004 era stato buttato fuori dal movimento La Nostra
Ucraina per i suoi discorsi contro “moscoviti ed ebrei” in cui usava termini
offensivi e insulti per entrambi.
Il revival fascista
di Bandera è evidente fin dalla Rivoluzione Arancione del 2004, quando Viktor
Juščenko fu installato come Presidente dell’Ucraina con una campagna sostenuta
dall’estero e finanziata dall’International Renaissance Foundation di George
Soros e da oltre 2.000 ONG da Europa ed America, dopo aver perso ufficialmente
le elezioni presidenziali contro Viktor Janukovič. Il 22 gennaio 2010, uno degli
ultimi anni di Juščenko come Presidente, dopo la vittoria presidenziale di
Janukovič con un ampio margine, fu quella di nominare Stepan Bandera un Eroe
dell’Ucraina, che è il massimo onore di stato. Stando a notizie di stampa, la
seconda moglie di Juščenko, Katerina Čumačenko, era anche lei membro del gruppo
giovanile banderista OUN-B nella sua città di nascita, Chicago. Negli anni
Ottanta, la Čumačenko presiedeva gli uffici di Washington dell’Ukrainian
Congress Committee of America (su cui aveva grande influsso l’OUN-B, stando al
Canadian Institute of Ukrainian Studies dell’Università di Alberta) e presiedeva
anche il National Captive Nations Committee, prima di passare all’Ufficio del
Dipartimento di Stato per i Diritti Umani. Nel gennaio 2011, il Presidente
Janukovič revocò a Bandera l’onorificenza di Eroe dell’Ucraina.
L’OUN-B: un po’ di storia
Il retaggio dell’OUN-B
è cruciale per comprendere la natura dell’insurrezione armata attualmente in
corso in Ucraina. L’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini fu fondata nel 1929
e nel giro di quattro anni Bandera ne divenne il capo. Nel 1934 Bandera ed altri
leader dell’OUN furono arrestati per l’assassinio di Bronislaw Pieracki,
Ministro dell’Interno polacco. Bandera fu scarcerato nel 1939 ed avviò subito i
contatti con il Quartier Generale dell’Occupazione tedesca, ricevendo fondi e
organizzando l’addestramento nella Abwehr per 800 guastatori delle sue truppe.
Quando ci fu l’invasione nazista dell’Unione Sovietica nel 1941, le forze di
Bandera consistevano in almeno settemila combattenti organizzati in “gruppi
mobili” coordinati con le forze tedesche. Bandera ricevette 2,5 milioni di
marchi per condurre operazioni sovversive all’interno dell’Unione Sovietica.
Dopo aver dichiarato lo stato indipendente ucraino sotto la sua direzione nel
1941, Bandera fu arrestato e mandato a Berlino. Ma mantenne i contatti coi
nazisti che continuarono a finanziarlo, ed i suoi “gruppi mobili” ricevettero
copertura aerea dai tedeschi per tutta la durata della guerra.
Nel 1943, l’OUN-B
di Bandera iniziò una campagna di sterminio di massa di polacchi ed ebrei,
uccidendo qualcosa come 70.000 civili solo durante l’estate di quell’anno. Anche
se Bandera guidava ancora le attività dell’OUN-B da Berlino, la pulizia etnica
veniva guidata da Mykola Lebed, capo del Sluzhba Bespeki, la polizia segreta
dell’OUN-B. Nel maggio 1941, ad una sessione plenaria dell’OUN a Cracovia,
l’organizzazione pubblicò un documento, “La lotta e l’azione dell’OUN durante la
guerra” che dichiarava, tra l’altro, che “moscoviti, polacchi e ebrei ci sono
ostili e vanno sterminati in questa lotta” (usando per moscoviti il nomignolo
derogatorio “Moskal”).
Con la sconfitta
dei nazisti, Bandera e molti leader dell’OUN-B furono mandati in vari campi di
prigionia in Germania ed Europa centrale. Stando a Stephen Dorrill ed alla sua
autorevole storia del servizio segreto inglese MI6, MI6: Inside the
Covert World of Her Majesty’s Secret Intelligence Service, Bandera fu
reclutato dall’MI6 nell’aprile 1948. Il collegamento coi britannici fu stabilito
da Gerhard von Mende, un gerarca nazista che aveva diretto la Divisione
Caucasica del Ministero del Reich per i Territori Orientali occupati (Ostministerium).
Von Mende reclutò musulmani dal Caucaso e dall’Asia Centrale per farli
combattere insieme ai nazisti durante l’invasione dell’Unione Sovietica. Alla
fine della seconda guerra mondiale, lavorò per i britannici tramite una società
di copertura, la Research Service on Eastern Europe, che era in realtà un ente
di reclutamento per gli insorti musulmani all’interno dell’Unione Sovietica. Von
Mende fu strumentale nel creare covi della Fratellanza Musulmana a Monaco di
Baviera e Ginevra.
Tramite von Mende,
l’MI6 addestrò agenti dell’OUN-B e li infiltrò in Unione Sovietica per condurre
operazioni di sabotaggio ed assassinio tra il 1949 ed il 1950. Un rapporto
dell’MI6 del 1956 loda Bandera come “un agente clandestino professionista con un
background terroristico e spregiudicato nelle regole del gioco”.
Nel marzo 1956,
Bandera andò a lavorare con l’equivalente tedesco della CIA, il BND, allora
diretto dal Gen. Reinhardt Gehlen, capo dei servizi segreti militari sul fronte
orientale durante la seconda guerra mondiale. Ancora una volta, von Mende fu uno
dei suoi sponsor e protettori. Nel 1959, Bandera fu assassinato dal KGB in
Germania occidentale.
Il principale
sicario di Bandera, Mykola Lebed, comandante della polizia segreta dell’OUN-B,
fece una carriera più lunga. Alla fine della seconda guerra mondiale fu
reclutato dai Corpi di Counterintelligence dell’esercito americano e nel 1948
era sulla busta paga della CIA. Lebed reclutò gli agenti dell’OUN-B che non
erano andati con Bandera e l’MI6, e partecipò ad un programma di sabotaggio
dietro la Cortina di Ferro, che incluse la “Operation Cartel” e la “Operation
Aerodynamics.” Lebed fu quindi trasferito a New York, dove diede vita ad una
società di facciata della CIA, la Prolog Research Corporation, ed operò sotto il
controllo di Frank Wisner, che era a capo del Direttorato per la Pianificazione
della CIA negli anni Cinquanta. La Prolog continuò ad operare fino alla fine
degli Anni Novanta, quando fu promossa e sostenuta da Zbigniew Brzezinski,
consigliere del Presidente Jimmy Carter per la sicurezza nazionale.
Nel 1985, il
Dipartimento di Giustizia USA lanciò un’inchiesta sul ruolo di Lebed nel
genocidio in Polonia ed Ucraina occidentale durante la guerra, ma la CIA la
bloccò e l’inchiesta fu abbandonata. Ciononostante, nel 2010, dopo la
pubblicazione di migliaia di pagine di documenti di guerra, gli Archivi
Nazionali pubblicarono un rapporto, Hitler’s Shadow: Nazi War
Criminals, U.S. Intelligence, and the Cold War (l’ombra di Hitler: criminali
di guerra nazisti, intelligence USA e guerra fredda), scritto da Richard
Breitman e Norman Goda, che includeva un resoconto dettagliato sulla collisione
tra Bandera, Lebed ed i nazisti e sul loro coinvolgimento nelle esecuzioni di
massa di ebrei e polacchi.
Questo retaggio
Bandera-Lebed e le reti intessute nel dopoguerra sono al centro degli
avvenimenti attuali in Ucraina.
La denuncia dei leader ucraini
Il 25 gennaio
ventinove partiti e organizzazioni politiche in Ucraina hanno lanciato un
appello al Segretario Generale dell’ONU, alla dirigenza dell’UE ed agli Stati
Uniti affinché prendano misure per “fermare i saccheggi da parte dei
guerriglieri, l’incitamento alla guerra civile, un colpo di stato e la
disintegrazione del paese”. L’appello fornisce dettagli cruciali sulla natura
neo-coloniale ed anti-russa dell’accordo di associazione con l’UE, che l’attuale
governo ucraino ha congelato, ma anche sulle organizzazioni neofasciste che
prendono parte alle proteste. Una dei firmatari è l’economista Natalia Vitrenko,
leader del Partito Socialista Progressista Ucraino, che più di un anno fa aveva
messo in guardia da questi gruppi che, con l’incoraggiamento ed i fondi delle
cosiddette ONG “per la democrazia” provenienti dall’occidente, avrebbero posto
una minaccia al governo ucraino.
La dichiarazione
esordisce: “La crisi politica ucraina peggiora di giorno in giorno, portando il
paese verso una guerra civile fratricida, la perdita della sovranità e la
disintegrazione dello stato. Si tratta di un progetto straniero per prendere il
controllo dell’Ucraina. Viene attuato contro gli interessi e le esigenze del
nostro popolo. Viene portato avanti violando la Costituzione e le norme e
princìpi internazionali, basati sull’azione pacifica, sulle libere elezioni, la
libertà di parola ed il rispetto dei diritti umani. Giacché i media
internazionali riportano informazioni deliberatamente distorte sull’Ucraina,
diffuse da politici e funzionari dell’UE e degli Stati Uniti, e queste vengono
usate a sostegno di azioni illegali di guerriglia, ci vediamo costretti a
lanciare il seguente appello”.
Quanto
all’ideologia ed ai simboli neonazisti e neofascisti dell’Euromaidan, i
firmatari si rivolgono direttamente ai leader occidentali: “Dovreste capire che,
sostenendo le azioni di guerriglia in Ucraina, accordando loro lo status di
‘attivisti Euromaidan’ che prendono parte a presunte azioni pacifiche, state di
fatto proteggendo, incitando ed istigando i neonazisti e i neofascisti ucraini”.
“Nessun leader
dell’opposizione (Iatseniuk, Klitsčko e Tjaghnìbok) nasconde il fatto di
continuare l’ideologia e le pratiche dell’OUN-UPA…. Ovunque vadano i teppisti di
Euromaidan disseminano gli slogan citati prima e simboli nazisti (…) A conferma
della natura neonazista di Euromaidan c’è l’uso costante di ritratti dei
carnefici del nostro popolo, Bandera e Šukhevič—agenti dell’Abwehr.”
Solo alla fine di
gennaio, quando le scene delle violenze di massa e dei manifestanti armati hanno
finalmente spezzato la cortina fumogena dei media, i media occidentali hanno
parlato del carattere neonazista della destabilizzazione in corso. La rivista
Time, il 28 gennaio, ha titolato su Kiev “banditi di estrema
destra prendono il controllo delle rivolte liberali in Ucraina”, pubblicando il
profilo di un gruppo di nazisti detto Spilna Sprava (“Causa comune” ma la sigla
è “SS”), al centro delle proteste.
Il giorno dopo il
Guardian ha titolato: “In Ucraina, fascisti, oligarchi e
l’espansione occidentale sono al centro della crisi” col sottotitolo: “La storia
che ci viene raccontata sulle proteste a Kiev ha un rapporto molto lontano con
la realtà”. L’inviato del Guardian Seumas Milne scrive
onestamente: “Dagli articoli pubblicati finora non si sa che nazionalisti di
estrema destra e fascisti erano al centro delle proteste e degli attacchi contro
gli edifici del governo. Uno dei tre partiti di opposizione alla guida della
campagna è il partito di estrema destra ed antisemitico Svoboda, il cui leader
Oleg Tjaghnìbok sostiene che una ‘mafia moscovita ed ebraica’ controlli
l’Ucraina. Il partito, che ora controlla la città di Leopoli, ha guidato una
fiaccolata di 15.000 persone all’inizio del mese in memoria del leader fascista
ucraino Stepan Bandera, le cui milizie combatterono coi nazisti nella seconda
guerra mondiale, e che prese parte alle stragi di ebrei.”
Anche
Counterpunch ha pubblicato il 29 gennaio un articolo di Eric Draitser,
“L’Ucraina e la rinascita del Fascismo”, che inizia con il monito: “La violenza
nelle strade dell’Ucraina è più di un’espressione di rabbia popolare contro il
governo. Anzi, è solo l’ultimo esempio dell’ascesa della forma più insidiosa di
fascismo che l’Europa abbia mai visto dalla caduta del Terzo Reich… nel
tentativo di strappare l’Ucraina dalla sfera di influenza russa, Stati Uniti, UE
e NATO si sono alleati, per la prima volta, con dei fascisti.”
Se
l'episcopato tedesco è quello che ha colto l'occasione del Sinodo
per fare da apripista a una profonda rivisitazione della morale sessuale
cattolica (per farsene un'idea basta rileggere le dichiarazioni in serie del
cardinale Reinhard Marx, del presidente della conferenza episcopale Robert
Zollitsch, del vescovo di Treviri mons. Stephan Ackermann), ce n'è un altro che
pare sempre più arroccato sul fronte opposto. Potente e ricco tanto quello
tedesco, l'episcopato degli Stati Uniti è quello che meno si è sintonizzato
sulle frequenze del nuovo Pontefice.
L'agenda impressa con forza e carisma da Francesco ha
creato ben più di un mal di pancia tra le gerarchie americane. Un malcontento
nient'affatto celato, ma che invece si è materializzato già pochi mesi dopo
l'elezione al Soglio pontificio di Jorge Mario Bergoglio. E – fatto di un certo
rilievo – a farsi carico delle perplessità non sono stati vescovi di piccole
diocesi sperdute tra le Montagne Rocciose, bensì il cardinale arcivescovo di New
York, Timothy Dolan, e l'arcivescovo di Philadelphia, Charles Chaput.
Qualche giorno fa, poi, era intervenuto con un’intervista sul
Boston Globe il cardinale Sean O’Malley, cappuccino
e unico statunitense incluso nella speciale commissione cardinalizia istituita
da Francesco lo scorso aprile e incaricata di riformare la curia romana. O’Malley
ha invitato alla prudenza e alla calma, spiegando che di cambiamenti alla morale
sessuale della chiesa cattolica non ce ne saranno. Non è questa l’intenzione del
Papa, spiegava l’arcivescovo di Boston, che conosce Bergoglio da molti anni. E
anche a proposito della riammissione dei divorziati ai sacramenti, O’Malley è
stato molto chiaro: «Non vedo alcuna giustificazione teologica per cambiare
l’atteggiamento della chiesa - su questo argomento, anche perché - la chiesa non
può cambiare le sue posizioni a seconda dei tempi».
Aveva fatto un certo clamore, la scorsa estate,
l'intervista concessa da Dolan (all'epoca ancora presidente della conferenza
episcopale statunitense) a John Allen. Conversando con il celebre vaticanista,
il porporato diceva: «Noi volevamo anche qualcuno con buone capacità manageriali
e di leadership, e fino ad oggi questo si è visto poco…». Il riferimento era a
Tarcisio Bertone, che mesi dopo l'uscita di scena di Benedetto XVI ricopriva
ancora la carica di Segretario di Stato. «Mi aspetto che dopo la pausa estiva si
concretizzi qualche segnale in più in merito al cambiamento della gestione»,
aggiungeva Dolan e venendo in un certo senso accontentato.
Ancor più duro era stato l'arcivescovo Charles Chaput,
cappuccino ed esponente di punta della linea conservatrice dell'episcopato a
stelle e strisce. Lo scorso luglio, mentre si trovava a Rio de Janeiro per la
Giornata mondiale della Gioventù, il presule affermava che «l’ala destra della
Chiesa non ha mostrato felicità per l’elezione» di Bergoglio. Il motivo, secondo
Chaput, era da cercare anche nella posizione considerata soft del Pontefice
argentino circa i cosiddetti princìpi non negoziabili: «Non si può immaginare
che il Papa non sarà così pro life e a favore del matrimonio tradizionale come i
pontefici del passato», notava maliziosamente l'arcivescovo di Philadelphia, che
constatava comunque che «al momento Francesco non ha espresso queste cose in
modo combattivo». Questioni «come l’aborto e il matrimonio non sono questioni
politiche. Sono questioni di dottrina e morale. E noi vescovi, tutti, dobbiamo
parlare di queste cose», aggiungeva ancora.
Era la spia di un malcontento che si sarebbe palesato
in maniera ancor più forte dopo l'intervista concessa dal Papa alle riviste
gesuite, lo scorso agosto. Quell'invito a non parlare sempre di aborto, nozze
gay e contraccezione e a non «ossessionare con la trasmissione disarticolata di
dottrine» i fedeli segnava un chiaro cambiamento di passo. Per la chiesa
americana che per anni aveva assunto una posizione battagliera in difesa della
vita, proprio portando tale questione nel dibattito pubblico e usando assai
spesso toni forti nei confronti del potere politico civile, si trattava di
posizionarsi su un sentiero diametralmente opposto. Un'inversione di priorità
che comportava l'attenuazione dei toni e una ricerca il più possibile fruttuosa
di un dialogo con le istituzioni.
Non a caso, tra i più ferventi ammiratori di Francesco c'è
Obama, che oltre a inserire nei propri discorsi intere frasi
pronunciate dal Papa argentino su economia e povertà, vede in Bergoglio la
possibilità di rompere l’arcigno fronte conservatore che dal 2009 si oppone in
modo fermo alle sue politiche. Nozze omosessuali, aborto e, da ultimo, la
riforma sanitaria. Tutti provvedimenti che hanno scavato un solco profondo tra
la Casa Bianca e la conferenza episcopale, fin dalla presidenza del cardinale
Francis George (2007-2010) schierata a destra. Ecco perché il presidente degli
Stati Uniti aveva giudicato positiva l’elezione di mons. Joseph Kurtz,
arcivescovo di Louisville, a capo della conferenza episcopale in sostituzione
del cardinale Dolan, avvenuta lo scorso novembre. Il profilo del presule,
dopotutto, induceva a ben sperare la Casa Bianca: moderato, estraneo alla logica
muscolare del predecessore, flessibile e portato alla ricerca del dialogo. Non
si poteva sperare di meglio, visto che difficilmente si sarebbe potuto sperare
in un nuovo Bernardin, l’arcivescovo di Chicago scomparso nel 1996, icona del
cattolicesimo progressista americano.
Ma è bastato solo un mese e mezzo per vedere infrante le
speranze. A fine anno, mons. Kurtz ha accusato Obama di mettere in
pericolo la libertà religiosa sancita dalla Costituzione, imponendo di fatto
anche agli enti religiosi di sottoscrivere assicurazioni che coprono prestazioni
abortive o legate alla contraccezione. Una lettera dai toni duri e pesanti, che
ha confermato come la linea dell’episcopato sia ancora quella tracciata da Dolan
e – ancor prima – da George.
E proprio sulla successione di questo a Chicago si
giocherà una partita importante, forse “decisiva per capire cosa pensa davvero
Francesco della chiesa americana”, notava sul suo blog lo storico del
cristianesimo di Scuola Vaticano II, Massimo Faggioli. La scelta si avvicina, il
cardinale George è già in proroga da due anni, e nei prossimi mesi il Papa
nominerà il successore. Non si tratta di una decisione semplice, che riguarda
una piccola diocesi.
Si tratta di scegliere se proseguire sull’impostazione
conservatrice data dall’attuale arcivescovo o se tornare al
progressismo di Bernardin, così tanto apprezzato da Obama e dai cattolici
liberal à la Nancy Pelosi. Si capirà anche chi ha un peso
concreto nel consigliare e suggerire al Papa i profili per le cariche episcopali
d’America, ora che il conservatore Raymond Leo Burke è stato rimosso dalla
congregazione per i Vescovi. Il chiaro ridimensionamento di quest’ultimo, già
arcivescovo di St. Louis prima di essere chiamato qualche anno fa da Benedetto
XVI a presiedere il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, indica già che
Francesco ha intenzione di svoltare. Il porporato, infatti, era tra i più
ascoltati da Ratzinger quando si trattava di nomine episcopali negli Stati
Uniti.
Si
credono i padroni dell’umanità, e purtroppo lo stanno diventando: la
politica democratica ha cessato di resistere loro, spianando la strada alla
dittatura incondizionata dei poteri forti, economici e finanziari, che ormai
dettano le condizioni della nostra vita pubblica. Parola di Noam Chomsky,
considerato il maggior linguista vivente, autore del capolavoro “Il linguaggio e
la mente”. A 86 anni, il professore statunitense dimostra una lucidità di
pensiero e di visione che non lascia spazio a dubbi. Nessuna illusione: «Le
nostre società stanno andando verso la plutocrazia. Questo è il neoliberismo»,
dice Chomsky, in Italia per il Festival delle Scienze di Roma, gennaio 2014. Il
titolo dell’ultima raccolta di testi inediti tradotti in italiano è estremamente
esplicito: loro, gli oligarchi globali, signori delle multinazionali e grandi
banche d’affari, sono “I padroni dell’umanità”.
«La
democrazia in Italia è scomparsa quando è andato al governo Mario Monti,
designato dai burocrati seduti a Bruxelles, non dagli elettori», afferma
Chomsky. In generale, come risporta il newsmagazine “Contropiano”,
per Chomsky «le democrazie europee sono al collasso totale, indipendentemente
dal colore politico dei governi che si succedono al
potere». Sono “finite”, le democrazie del vecchio continente – Italia,
Francia, Germania, Spagna – perché le loro sorti «sono decise da burocrati e
dirigenti non eletti, che stanno seduti a Bruxelles». Decide tutto la
Commissione Europea, che non è tenuta a rispondere al Parlamento Europeo
regolarmente eletto. Puro autoritarismo neo-feudale: «Questa rotta è la
distruzione delle democrazie in
Europa e le conseguenze sono dittature».
Per Chomsky, il
neoliberismo che domina la dottrina tecnocratica di Bruxelles è ormai un
pericolo planetario. Il fanatismo del “libero mercato” come via naturale per un’economia
sana poggia su dogma bugiardo e clamorosamente smentito: senza il supporto
pubblico (in termini di
welfare e di emissione monetaria) nessuna
economia privata può davvero svilupparsi. Oggi il neoliberismo si configura
come «un grande attacco alle popolazioni mondiali», addirittura «il più grande
attacco mai avvenuto da quarant’anni a questa parte». Desolante il silenzio
dell’informazione, che coinvolge gli stessi “new media”: la loro tendenza è
quella di «sospingere gli utenti verso una visione del mondo più ristretta». In
modo sempre più automatico, «le persone sono attratte verso quei nuovi media che
fanno eco alle loro stesse vedute», quelle cioè dei “padroni dell’umanità”.
Lo
spettro di un nuovo conflitto dagli esiti imprevedibili si sta avvicinando a
grandi passi in Medio Oriente.
Riepiloghiamo in sintesi i fatti : a Ginevra venivano condotti una serie di
negoziati, presente la delegazione dell’Iran, a cui partecipavano gli Stati
Uniti, la Russia, la Cina, la Francia e la Gran Bretagna ( le potenze denominate
il gruppo dei 5+1) circa la questione del nucleare iraniano. Era stato raggiunto
un primo accordo a fine dello scorso Novembre per il quale l’Iran essenzialmente
accettava di interrompere il processo di arricchimento dell’uranio superiore al
5% ed a smantellare una parte dei suoi impianti, ad interrompere la costruzione
del nuovo reattore di Arak e si impegnava nel permettere l’accesso ai siti ai
funzionari dell’AIEA.
Questo in cambio di
un alleggerimento delle sanzioni da parte degli USA e dei paesi occidentali,
dell’ONU e lo sblocco di oltre 4 miliardi di dollari, proventi della vendita del
petrolio iraniano, fatti congelare dagli USA.
Si sapeva comunque che questo accordo che era favorito dalla maggiore apertura
della nuova dirigenza iraniana e da evidenti interessi delle potenze occidentali
a sdoganare un paese potenzialmente ricco come mercato per lo sviluppo
dell’interscambio, oltre che per alleggerire le tensioni internazionali.
Inflessibile invece l’atteggiamento di Israele che ha manifestato tutta la sua
ostilità al negoziato spingendo anche la Francia, totalmente appiattita sulle
posizioni israeliane tramite il ministro Laurent Fabius (un ministro con
passaporto israeliano in tasca) ad una posizione intransigente fin dall’inizio
del negoziato. D’altra parte Israele aveva provveduto a mobilitare, tramite l’AIPAC
e le altre organizzazioni della potente lobby israeliana negli USA , i
personaggi che contano nel fare pressioni e ricattare i senatori da loro
controllati (molti eletti grazie all’appoggio della lobby) per far sabotare
l’accordo al Congresso.
Questo in effetti è stato l’esito finale: il sabotaggio del negoziato e la
decisione di nuove sanzioni all’Iran comunicata ieri da Obama in occasione della
visita del presidente francese Hollande. Obama rimane ostaggio della lobby
israeliana e viene travolto da questa.
Hanno prevalso i “falchi” e si arenano di fatto i negoziati con l’Iran che
difende la sua posizione di principio del suo diritto ad arrivare a disporre di
energia nucleare mentre Israele preme su Washington per l’attacco preventivo
all’Iran, timoroso di perdere la superiorità militare sulla regione a favore del
suo principale nemico: l’Iran.
Gli analisti
indipendenti hanno già segnalato vari indizi di preparativi militari fatti sia
dagli USA sia da Israele e di dislocazione di basi missilistiche nella regione
in vista di un probabile attacco all’Iran che potrebbe avere conseguenze
devastanti ,visto il rafforzamento di capacità militare e missilistica da parte
degli iraniani i quali, in caso di conflitto, bloccherebbero lo stretto di
Hormutz, strangolando i rifornimenti petroliferi da cui dipende l’economia
europea. L’Iran non è un piccolo paese ed ancora una volta il Pentagono
sottovaluta la capacità di reazione dell’apparato militare iraniano.
Nel frattempo continua la guerra in Siria con il nuovo rifornimento di armi ai
ribelli, da parte degli USA attraverso la Giordania ,documentato qualche giorno
fa anche da questo sito.
Obama ha dichiarato
di non ritenere soddisfacente il processo di smantellamento delle armi chimiche
svolto dal regime di Assad e che si riserva (dichiarazione di ieri) l’opzione
dell’intervento militare in ogni caso. Si manifesta la doppia faccia di Obama:
da un lato si dispone a negoziare con l’Iran e con il regime di Assad,
dall’altra fornisce armi ai terroristi che operano in Siria per rovesciare il
regime (terroristi che promuovono la Jihad e non “ribelli” come li definiva la
stampa occidentale) e si prepara ad un confronto militare con l’Iran.
La situazione appare estremamente complicata anche per il fatto che in Siria è
stato accertato che operano, tra milizie integraliste dei takfiri di varie
nazionalità, circa 15.000 ceceni, cittadini russi islamici con i quali la Russia
di Putin ha un conto da saldare per gli ultimi episodi di terrorismo. Dietro i
miliziani, che sarebbe più corretto definire mercenari, c’è l’Arabia Saudita che
recluta e finanzia le milizie tramite il suo servizio di intelligence e i gruppi
terroristi, fanatici integralisti hanno ampliato il loro campo di azione anche
in Iraq e nel Libano seminando autobombe ed attacchi contro obiettivi sciiti.
Vedi la denuncia del primo ministro irakeno Nuri al -Maliki.
Sembra evidente
quindi che tutta la regione è ormai una polveriera che non trova pace e, se come
sembra, i piani di Washington e di Tel Aviv sono di un intervento diretto
probabilmente prima in Siria per isolare l’Iran, poi direttamente su Teheran,
questa volta ci sarà una reazione immediata da parte Russia, visto che Putin ha
dislocata buona parte della sua flotta davanti alle coste della Siria e non è
disposto a dare il via libera agli USA ed alla NATO come avvenne in Libia.
Ancora una volta saranno gli americani ed Israele a scatenare una guerra con
l’appoggio dei loro impresentabili amici della monarchia saudita, uno stato
assolutista e retrogrado, che fomenta il terrorismo in tutta la regione e che
dispone di copertura nelle capitali occidentali grazie ai suoi petroldollari.
Questo non impedirà
agli americani di montare un’altra campagna a pretesto della guerra adducendo la
necessità di “portare la democrazia” e “difendere il mondo libero dal pericolo
dell’Iran atomico”.
Si sta mobilitando tutto l’apparato propagandistico occidentale quello dei mega
media, le TV, i giornali, gli opinionisti, persino la filmografia di Holliwood,
per preparare l’opinione pubblica all’ineluttabile guerra contro l’Iran degli
Ayatollah, un paese dipinto come il “male assoluto”, dove vengono violati i
diritti umani in particolare quelli dei gay , tanto cari agli opinionisti
occidentali. Gli stessi opinionisti occidentali, giornalisti ed intellettuali
come il Bernard Levy in Francia o il Roberto Saviano in Italia, sionisti per
vocazione, i quali, sempre in prima linea a difendere Israele, si guardano bene
dal commentare quale sia la natura assolutista e tirannica del regime saudita e
delle altre petromonarchie del Golfo, quanto a rispetto di diritti umani, visto
che questi stati sono alleati dell’Occidente ed i loro petroldollari servono per
alimentare le “democrazie”. “Pecunia non olet”dicevano i latini che avevano già
capito come va il mondo circa 2000 anni fa.
Gli americani ed i sionisti non permetteranno interferenze sui loro piani di
guerra ed hanno già iniziato a mettere sull’avviso i governi dei vari paesi
occidentali che si preparavano allo sblocco delle sanzioni all’Iran.
Un avvertimento è giunto dall’ONU anche al Vaticano, sottoforma di condanna per
la questione dei preti pedofili: anche il Papa è avvisato non si intrometta con
i suoi appelli alla pace perché gli potrebbe essere scatenato contro tutto
l’apparato mediatico e propagandistico per presentare la Chiesa romana come un
covo di preti pedofili. Le centinaia di agenzie internazionali, come Human
Rights Watch, finanziate dai vari Soros, sono già all’opera, per recriminare a
tutti i nemici dell’America e di Israele il mancato rispetto dei “diritti umani”
e per sobillare rivolte arancioni e primavere arabe come già avvenuto in
Ucraina, in Nord Africa e come da tempo cercano di sobillare anche in Russia ed
in Iran. Il nemico si attacca prima con la propaganda e poi con l’aviazione.
L’Europa
e gli Stati Uniti possono offrire un significativo aiuto economico all’Ucraina.
Questo verosimile sviluppo degli eventi è stato annunciato dal capo della
diplomazia UE Catherine Ashton. A sua detta è già in elaborazione non solo un
programma di intervento finanziario diretto, ma anch un sistema complesso di
misure.
Ieri il capo della
diplomazia europea Catherine Ashton è giunta in a Kiev dove ha incontrato i
leader dell'opposizione: l'ex pugile Vitali Klitschko, Arseni Iatseniuk,
capogruppo del partito della Timoshenko, e il capo del partito ultranazionalista
'Svoboda' (già partito socialnazionalista), Oleg Tiaghnibok.
I paesi occidentali
continuano a intensificare la collaborazione con l’opposizione ucraina. Ma è
difficile stimare i passi reali, commenta il dottore in scienze politiche
Vladimir Shtol’.
Tutto mentre allo
stesso tempo i problemi finanziari della stessa Europa non sono definitivamente
risolti. La Grecia ha ancora bisogno di sostegno finanziario. I greci promettono
di estinguere i debiti in miliardi di euro solo nel 2016. Ma rimangono in
difficoltà paesi quali la Spagna e il Portogallo. E mentre la “Troika” dei
crediti respinge la raffica di critiche ad essa indirizzate, i politici europei
cercano ulteriori 15 miliardi per l’Ucraina.
Lavoro
come agente di borsa di Piper Jaffray, Los Angeles. Quello che è successo ieri
mi ha lasciato assolutamente sbalordito, incredulo. Gestisco i portafogli per
più della metà dei nostri clienti più ricchi e il mio capo mi ha chiamato nel
suo ufficio e mi ha detto di vendere subito tutto. Il mio pensiero ovvio era che
ci sarebbe stato un problema grosso, ma era strano che lui era così sicuro di
ciò che stava facendo. Gli chiesi spiegazioni, ”stiamo andando in una crisi
valutaria”, mi rispose. Le principali banche stanno andando in default nelle
prossime tre settimane.
I mercati azionari stanno per andare in una violenta tendenza al ribasso non
solo qui ma in tutto il mondo. Le valute di tutto il mondo stanno per muoversi
in ogni direzione e non si può minimamente predire quali saranno ancora in piedi
dopo che tutto questo sarà finito. Molti investitori verseranno tutto nei
mercati obbligazionari, sarà interessante vedere cosa farà la FED. Tutto ciò che
fecce in questi ultimi mesi per questa situazione non fu fatto certamente per
aiutare o risolvere alcun problema.
Gli chiesi chi gli aveva dato tale informazione, e che cosa sta innescando la
crisi valutaria, ”Ho parlato con un mio amico che è dirigente di JP Morgan,” fu
la risposta, ” La fiducia cinese è ai minimi storici, ciò sta per causare un
effetto domino che si riverserà in ogni mercato e ogni valuta nel mondo”.. Ha
anche detto che la prossima settimana dal 27 al 31 ci sarà un trading volatile e
che questo crollo è imminente entro le prossime tre settimane. Sto cercando di
liberarmi di tutte le mie azioni e obbligazioni, ma il problema è che il dollaro
non è un rifugio sicuro. Sono in procinto di acquistare metalli preziosi,
immobili, franchi svizzeri, Dong vietnamita, Naira Nigeriana, Rublo russo, e
Pesi messicani. Perché acquistare valuta dei paesi del terzo mondo? Non hanno
molta industria, perciò rischiano di meno. La loro economia è prettamente
agricola ed energetica.
Come di consueto il 27 Gennaio di ogni anno si celebra la
“Giornata della Memoria” per ricordare gli ebrei deportati e
uccisi dal regime nazista. Va detto innanzitutto che chi scrive
allontana qualunque accusa di negazionismo o di razzismo nei
confronti di quanti persero la vita o furono sottoposti ad
orribili torture nei campi di concentramento del Terzo Reich,
poiché ad essi come a tutti gli altri sventurati che hanno
subito simili abomini deve essere riconosciuto rispetto ed
onore. Ciò che si vuole quantomeno osservare con occhio critico
è come tale vicenda sia ormai da molti anni posta all’attenzione
generale dei media che si prodigano in tutti i modi a ribadire
il martirio del popolo ebraico (sempre che dell’esistenza di un
tale popolo si possa parlare), e tacciando di razzismo ed
antisemitismo chiunque metta anche solo semplicemente in
discussione questioni come la legittimità o le singole azioni di
Israele o la validità dei contenuti dell’ideologia sionista.
Ogni qualvolta una persona o un gruppo politico della più
diversa natura accenna anche ad un minimo discorso a riguardo,
partono le solite accuse di complicità con chi negli anni del
dominio hitleriano ha pianificato l’omicidio di numerosi
innocenti. Sotto tale luce risulta quantomeno sospetto come
invece altri e ben più vasti genocidi sono stati rimossi
completamente dalla coscienza comune oppure, ancor peggio,
giustificati in vario modo. Per vastità e modalità di
esecuzione, il più noto è senza dubbio quello dei nativi che
popolavano l’America settentrionale e che vengono normalmente
chiamati Indiani o pellerossa. I motivi per cui tale genocidio
sia passato in secondo piano, quando non del tutto dimenticato,
sono molti, ma nessuno assolutamente giustificabile. Il massacrò
iniziò praticamente pochi anni dopo la scoperta del continente
americano e si concluse alla soglia della Prima Guerra Mondiale,
quindi si sviluppò lungo un periodo di tempo molto vasto e
difficilmente delimitabile. Le modalità del genocidio poi sono
state molte, dall’eccidio vero e proprio di intere comunità
sterminate sistematicamente con le armi da eserciti regolari o
da soldataglie criminali assoldate alla bisogna per mantenere
pulita l’immagine dei governi ufficiali, alla diffusione
intenzionale di malattie endemiche come il vaiolo. A
testimonianza di ciò vale la pena di riportare le parole del
generale inglese Jeffrey Amherst nell’impartire un ordine al
colonnello Bouquet durante la rivolta di Pontiac nel 1763: “Farete
bene a tentare di contaminare gli Indiani mediante coperte in
cui abbiano dormito malati di vaiolo, oppure con qualunque altro
mezzo a sterminare questa razza esecrabile…”. Altri
metodi di genocidio furono la fame, bruciando intenzionalmente i
frutti della terra, o le deportazioni forzate attraverso
territori enormi per mezzo di estenuanti marce forzate in
pessime condizioni igieniche e climatiche.
Moltissimi furono poi gli Indiani che perirono nelle guerre tra
le varie potenze europee che occupavano il suolo americano
(Spagna, Impero britannico, Francia) e successivamente durante
la guerra d’indipendenza delle colonie americane. In questi casi
gli Indiani che scelsero di servire dalla parte della causa poi
rivelatasi perdente (e purtroppo la maggioranza fece questa
scelta prima con i francesi e poi con le forze lealiste
all’Impero britannico) andarono incontro a durissime
conseguenze. I coloni di origine europea non perdevano nessuna
occasione di provocare gli Indiani spingendoli a commettere
azioni violente, attirandoli in risse, violando i loro territori
di caccia, abbattendo in massa i bisonti, vendendo loro alcool.
I popoli indigeni di queste terre avevano una lunghissima
tradizione guerriera e una psicologia molto semplice, per cui un
torto fatto ad un membro di una tribù equivaleva per loro ad un
atto di guerra scatenando la reazione indiana verso il “nemico
bianco”, e in questi casi vittime di tale reazione erano anche
molti innocenti. Del resto queste reazioni violente verso i
coloni si dimostrarono ben più perniciosi verso gli Indiani che
non verso i coloni stessi, i quali venivano aizzati volutamente
da pochi interessati alla vendetta e alla rappresaglia contro i
“selvaggi”, rei di terribili colpe,
deumanizzati e dipinti agli occhi dell’opinione comune come
belve feroci da abbattere ad ogni costo. Un altro pretesto che
veniva usato contro gli Indiani era l’accusarli di “insensato
tradizionalismo” ossia la loro legittima ostilità a
sottomettersi ad usi e costumi che non gli appartenevano e il
rivendicare diritti (se di rivendicazione si può parlare, perché
chi da secoli vive in un determinato territorio ed esercita la
sua sovranità su di esso, lo può ben considerare la propria
Patria) su enormi porzioni di territorio, che i coloni non
potevano sfruttare. Evidentemente la violazione della sovranità
nazionale degli altri Paesi e la pretesa superiorità di uno
stile di vita rispetto ad altri giudicati selvaggi e
l’intervento violento per imporre quello stile di vita è una
tradizione ben radicata nella cultura statunitense che perdura
ancora oggi!
A
tutto questo si aggiungeva poi l’idea che la storia umana è
fatta di scontri di civiltà, e quindi una società più evoluta e
più potente ha il legittimo diritto di sottomettere con ogni
mezzo, civiltà e culture più deboli e arretrate: quindi gli
Indiani, ritenuti inferiori e refrattari alla modernizzazione
anglosassone, non avevano alcun diritto ad ostacolare lo
sviluppo del futuro stato americano.
Altro aspetto che pesa sulla vicenda del genocidio è che gli
Indiani, contrariamente ad altri casi similari, non si sono
affatto rassegnati più o meno passivamente allo sterminio, ma
hanno reagito con coraggio affrontando la violenza dei
colonizzatori con continui tentativi di liberazione sfruttando
al meglio le loro antiche abilità guerriere, compensando con
l’astuzia e l’abilità l’enorme divario di forze in campo,
riuscendo in più occasioni a sconfiggere i loro avversari.
Come purtroppo spesso accade, chi reagisce ad una violenza allo
stesso modo è vittima del diffuso ed ipocrita pensiero
pacifista, quindi spesso si sentono discorsi insensati nei quali
gli Indiani assumono il ruolo dei “cattivi”, dei guerrieri
sanguinari, quindi la reazione dei colonialisti viene tutto
sommato giudicata legittima perché difensiva e questo getta
ulteriore polvere sulla vicenda rendendo difficile un giudizio
obiettivo.
La
stessa cosa avviene spesso quando si considera il lungo
conflitto israelo-palestinese, dove le forze di resistenza
all’aggressore sionista vengono accusate di terrorismo o di
guerrafondaismo, come se questo bastasse a fare passare in
secondo piano l’aggressione e la violenta e progressiva
privazione di territorio di cui la popolazione palestinese è
tuttora vittima, e che giustamente reagisce nell’unico modo
possibile.
Dopo aver tratteggiato questo quadro, legato per lo più alla
visione della società di allora, va quindi analizzato il perché
questo avvenimento così tragico sia tuttora molto poco trattato
dalle presunti “menti aperte” della civiltà odierna. Se
consideriamo i sopravvissuti al plurisecolare massacro vediamo
che essi si attestano su circa 800.000 individui, di cui solo la
metà di genetica a prevalenza indiana e che costoro coprono la
fascia più povera della popolazione statunitense. Basti pensare
che il reddito medio settimanale di una famiglia indiana negli
USA è di 30 dollari (contro una media nazionale di 130);che
hanno una speranza di vita di 42 anni (contro i 67 della media
nazionale); una mortalità infantile e un tasso si suicidi tra
gli adolescenti rispettivamente di 5 e 10 volte superiore alla
media nazionale; che i 45% degli abitanti delle riserve è
disoccupato e il 42% di essi è analfabeta. Va poi sottolineato
che i territori delle riserve sono ricchissimi di materie
prime:l’80% dell’uranio, il 40% del petrolio e il 75% del
carbone, estratti negli USA provengono dalle riserve, ma lo
sfruttamento di tali risorse è appannaggio di una ventina di
grandi compagnie che se ne dividono i profitti, mentre agli
Indiani non spettano che ridottissime provvigioni. Per coloro
che cercano una via di fuga dalle riserve, la situazione non
migliora di certo: dispersi in tristi realtà di degrado urbano,
a cui ben pochi offrono un lavoro stabile, emarginati e
disprezzati, i discendenti delle antiche tribù indiane diventano
facili prede della droga, dell’alcolismo e della malavita. E’
logico quindi che a ben pochi importa della loro sorte o dei
soprusi subiti in secoli di aggressione coloniale e di certo
sono ben pochi tra di loro quelli che possono usufruire dei
mezzi di comunicazione di massa per far conoscere a quante più
persone i gravissimi torti subiti. Del resto gli Stati Uniti, in
questa fase storica di progressivo appannamento della loro
immagine a livello internazionale e dei loro aggravati problemi
socioeconomici, hanno ben poco interesse a farsi ulteriore
cattiva pubblicità, mostrando una delle più sanguinose basi su
cui è stata costruita la loro attuale potenza.
Stridente è il contrasto con l’olocausto della comunità ebraica,
i cui appartenenti oggi in buona parte ricoprono cariche
istituzionali importanti in molti organismi politici ed
economici a livello nazionale ed internazionale, sono
proprietari di banche, imprese multinazionali, radio, giornali e
televisioni oltre all’acquisizione di parecchie simpatie negli
ambienti più disparati. Se poi paragoniamo il territorio-simbolo
della comunità ebraica internazionale, ossia lo Stato di
Israele, potenza regionale militare ed economica, con le
poverissime e dimenticate riserve indiane, la misura è colma. In
altre parole tutto è riconducibile a un preciso calcolo
economico e geopolitico delle potenze imperialiste: ricordare il
genocidio degli Indiani non rende, non rafforza l’immagine di
queste potenze, né genera profitti, mentre ricordare il
genocidio ebraico è utile a tali scopi.
Tutte queste motivazioni sono necessarie per capire come mai il
genocidio dei nativi americani sia passato in secondo piano
rispetto ad altri, ma per chi è ancora scettico riguardo
all’entità e alle modalità di tale disastro umanitario è
sufficiente citare le tappe più importanti della sua esecuzione.
MILIONI DI NATIVI
D’AMERICA STERMINATI
La conquista del suolo
americano si può suddividere in cinque grandi fasi.
La
prima fase (1512-1689) è caratterizzate dalle imprese isolate di
pionieri di varia origine (in genere spagnoli, inglesi, olandesi
e francesi),molti dei quali erano persone che avevano scelto
questa via per sfuggire ad un destino di prigionia in Europa.
Inizialmente i nativi furono accoglienti verso questi nuovi
arrivati, ma in breve, di fronte alle mire egemoniche di cui
presto diedero mostra, mutarono ben presto atteggiamento
opponendo una dura resistenza all’avanzata dei conquistatori, ma
venendo infine sconfitti dalla superiorità bellica di questi
ultimi.
L’episodio che caratterizzò più di tutto questa fase fu la
vittoriosa resistenza all’invasione francese da parte degli
Irochesi. Essi erano al tempo i più evoluti fra i nativi
nordamericani e costituivano la “Lega della lunga
casa”, con un ordinamento giuridico evoluto e comprendevano
cinque tribù (per questo vennero chiamati anche “Lega
della Cinque Nazioni”: Mohawk, Oneida, Onondaga, Cayuga e i
Seneca, questi ultimi i più numerosi e agguerriti. Va detto che
in genere i rapporti dei nativi con i francesi fu relativamente
buono (soprattutto con le tribù Algonchine, nemiche storiche
degli Irochesi). Questo, non perché i francesi fossero migliori
ma semplicemente perché i loro interessi erano più volti al
commercio, che all’acquisizione di terre. Tuttavia i capi
Irochesi erano lungimiranti e sapevano bene che la presenza dei
nuovi arrivati avrebbe portato loro solo sciagure. Essi
contavano 12.000 individui, di cui circa 1200 guerrieri. Le
prime azioni degli Irochesi furono dirette contro le tribù
vicine, amiche dei francesi, in maggioranza Huroni, che vennero
quasi completamente annientati. Poi i guerrieri delle cinque
nazioni diressero i loro attacchi contro i Neutral e gli Erie,
che fecero analoga fine e i cui resti andarono ad ingrossare le
fila irochesi. La guerra vera e propria contro i francesi
iniziò nel 1652, quando un Seneca venne arrestato e arso vivo
dai francesi a Trois-Rivieres. Bramosi di vendetta, 600
guerrieri irochesi devastarono la località. Nel 1660 un’armata
di 1200 Irochesi guidati da Aharihon tentarono l’assalto a
Quebec, ma incontrarono una forte resistenza che li costrinse a
limitarsi a tenere sotto assedio la città per un anno. In
seguito all’arrivo di tre nuovi comandanti francesi:Talon, Tracy
e Courcelles, i francesi contrattaccarono con alterne fortune,
ma senza mai spezzare la resistenza nemica che li logorava con
continui attacchi seguiti da rapidissime ritirate. Nel 1684 gli
Inglesi costruirono un’alleanza con gli Irochesi, fornendo loro
armi in quantità. Nonostante fossero state avviate dei tentativi
di pacificazione, un’azione vergognosa del nuovo governatore
Denonville le fece fallire. Costui invitò 60 Indiani ad un
banchetto con la scusa di negoziare, ma invece li fece spedire
come schiavi in Francia. I futuri schiavi però non videro mai la
loro destinazione: morirono tutti durante il viaggio a causa di
un’epidemia contratta sulla nave. Gli Irochesi non dimenticarono
mai questo affronto. Ebbri di vendetta piombarono il 5 agosto
1689 sul villaggio di Lachine, radendolo al suolo, uccidendo o
catturando tutti gli abitanti. Nessun altro tentativo francese
spezzò la loro resistenza. Ad aggravare la situazione, in
quell’anno l’Inghilterra dichiarò guerra alla Francia.
Mentre questo accadeva nel Nord del continente, a Sud, negli
stessi anni, gli Inglesi della Virginia, in seguito ad alcuni
incidenti di bassa entità (alcuni Indiani rubarono dei maiali in
seguito ad un mancato pagamento da parte dei virginiani e questi
ultimi si vendicarono uccidendo molti indigeni), scoppiò una
rivolta nota come “rivolta di Bacon”. Ancora
una volta i coloni accesero la scintilla uccidendo sei capi
della tribù dei Susquehanna, scatenando la loro reazione. Contro
la linea pacificatrice del governatore della Virginia, si
scagliò un colono recentemente sbarcato, Nathaniel Bacon, che
non riconosceva ai nativi alcun diritto su quelle terre. Alla
guida di 440 mercenari attaccò un villaggio vicino a Richmond
uccidendo 150 persone, senza nessuna distinzione di età o sesso,
proseguendo poi su questa linea, sino alla sua morte per
malaria. Prima di morire però, la sua azione devastatrice costò
il quasi annientamento delle tribù locali, che non si ripresero
mai più.
Le
due guerre di sterminio più terribili della storia della
colonizzazione avvennero in questo periodo e furono
caratterizzate dalla presenza dei predicatori religiosi, che
costituirono una miccia devastante per i popoli nativi. La nuova
Inghilterra era infatti caduta in mano a fanatici puritani che
si consideravano “popolo eletto”, scelto da Dio per creare in
quei luoghi una nuova civiltà dopo averli liberati dai “pellerossa
figli di Satana”. Tristemente scolpiti nella storia
resteranno i momenti di preghiera delle truppe prima dei
massacri, o i ringraziamenti rivolti a Dio dopo la battaglia per
aver dato loro l’occasione di uccidere così tanti di quegli “esseri
immondi” in una sola volta.
L’uso della religione per giustificare azioni disumane sarà una
costante della storia della conquista dell’America. Una simile
mentalità pregiudicò qualsiasi buon rapporto con i nativi, anche
perché chi ci provava veniva subito allontanato e perseguitato
dalla comunità.
Naturalmente va detto che non tutti i religiosi che raggiunsero
l’America erano di questa risma: molti erano personalità sincere
e mosse dai più nobili sentimenti che spesso presero posizione a
fianco degli Indiani, pagando sovente questa loro scelta con la
vita.
La
tribù più numerosa del luogo era quella di Pequod, guerrieri che
avevano subito percepito la presenza britannica come ostile.
Alcuni incidenti tra cacciatori Pequod e marinai inglesi furono
il pretesto per scatenare una brutale repressione. Dopo avere
bruciato alcuni villaggi e raccolti abbandonati, la spedizione
punitiva britannica forte di 90 soldati regolari e affiancati da
70 guerrieri di etnia Mohegan del capo Uncas e altri guerrieri
Narraganset, piombò di sorpresa sul villaggio Pequod sul Mystic
River. Era il 26 maggio 1637 e passò allo storia come una delle
giornate più nere per la lotta contro i colonialisti.
Dopo aver fatto irruzione nel villaggio e sparato su chiunque
capitasse loro davanti, gli assalitori bruciarono l’intero
villaggio: chi cercò di scappare all’esterno veniva
immediatamente abbattuto.
Quel giorno morirono 600 Pequod di ogni età e sesso. I capi
inglesi esultavano inneggiando alla grazia di Dio. I
sopravvissuti iniziarono un terribile esodo, inseguiti dalle
forze inglesi. Coloro che non fuggirono vennero tutti uccisi,
esclusi 80 donne e bambini che furono ridotti in schiavitù.
Gli
ultimi sopravvissuti, fuggiti in una palude vicino a Fairfield
furono a loro volta circondati e sconfitti dopo una breve e
furiosa battaglia. Dei 200 che si arresero e sopravvissero, poco
dopo si perse ogni traccia. Una nazione era stata completamente
estinta.
Di
episodi analoghi si macchiarono anche gli olandesi che si erano
stanziati nei pressi delle aree che oggi sono note col nome di
Maine e Connecticut, che sotto la guida del feroce governatore
Willem Kieft iniziarono una violenta guerra di sterminio
iniziata sempre con futili pretesti o episodi isolati. Vennero
così annientati diversi villaggi con sistemi che definire
barbari è ben poca cosa: si provi soltanto ad immaginare decine
di uomini, donne e bambini mutilati, bruciati vivi nelle proprie
abitazioni o feriti a morte con armi di ogni sorta. Questa
campagna di sterminio durò dal 1640 al 1645 e costò la vita a
più di mille Indiani (più quelli ridotti in schiavitù).
Come però abbiamo visto poc’anzi, anche in territorio britannico
i nativi non si piegarono alla conquista senza resistere. Fu
proprio un atto di resistenza a segnare l’inizio della seconda
grande guerra indiana. Alla guida della fazione indiana vi era
un grande condottiero: Metacomet, appartenente alla tribù dei
Wampanoag, passato alla storia come un capo estremamente capace,
coerente e tenace. Egli capì subito che con 30.000 stranieri già
sul proprio territorio, per loro non vi sarebbe stato scampo. La
conferma si ebbe quando i coloni si spinsero fino sul Mount Hope,
luogo natale di Metacomet. Alcuni incidenti tra i due fronti,
come sempre scatenarono l’ira indiana. Di fronte
all’abbattimento non autorizzato da parte indiana di alcuni capi
di bestiame, i coloni uccisero molti di loro, scatenando la
guerra. Il comando inglese venne assunto dallo spietato Benjamin
Church. Il suo avversario intanto lanciava continui attacchi
alle località inglesi arrivando a distruggerne ben venti
nell’estate del 1675. Contro di lui, i coloni mobilitarono 1000
miliziani, tra cui alcuni pirati delle Antille, con diritto di
saccheggio. Gli inglesi fecero poi pressioni sulla tribù dei
Narraganset cercando di costringerli a partecipare alla
repressione, ma costoro rifiutarono dichiarandosi neutrali e si
rinchiusero in una fortezza nei pressi del luogo in cui pochi
anni prima erano stati annientati i Pequod. Gli inglesi li
punirono per questa presa di posizione. Il 19 dicembre 1675 un
esercito di 970 miliziani e 150 Mohegan guidati dal generale
Winslow e da Oneco, figlio di Uncas, attaccarono il forte (in
cui erano stimate 3500 anime) e lo distrussero massacrando nei
modi più feroci 600 Narraganset e ferendone altri 300
mortalmente. Tutti gli altri vennero ridotti in schiavitù. I
pochi superstiti dei Narraganset si unirono così alla rivolta di
Metacomet. La reazione degli Indiani fu immediata. Delle 90
località della Nuova Inghilterra, 50 erano state assalite e 20
totalmente distrutte. La colonia era ad un passo dalla sua
distruzione. Ironia della sorte, tuttavia, il colpo che ribaltò
l’esito della guerra di liberazione, venne proprio dai fratelli
di razza di Metacomet. Mentre quest’ultimo arruolava oltre 500
nuovi guerrieri, i Mohawk si fecero convincere dal governatore
di New York a prendere le difese dei coloni. Un’offensiva
improvvisa dei Mohawk, costrinse i seguaci di Metacomet a
disperdersi. Gli inglesi ripresero l’offensiva con rinnovata
energia, e sebbene la loro avanzata fu sempre molto dura,
l’esito della ribellione era sempre più a favore dei coloni. Le
tribù alleate di Metacomet, i Nipmuc e i Narraganset,
abbandonarono la lotta lasciandolo solo con i suoi soli
Wampanoag. In successive diverse battaglie, in cui gli inglesi
uccisero altri 500 Indiani riducendone altrettanti in schiavitù,
l’avanzata delle forze di Church proseguì inarrestabile fino
all’ultimo rifugio di Metacomet, vicino al suo luogo natale,
Mount Hope. Il 12 Agosto del 1676 fu il giorno della battaglia
finale: circondato dai suoi pochi superstiti, Metacomet cadde
con onore. Ma l’europeo Church, alla vista del suo cadavere, lo
definì: “Una grossa, sporca
bestia triste e nuda”. Il corpo del capo indiano
venne smembrato e i suoi pezzi appesi in varie località della
Nuova Inghilterra come monito. La guerra costò in tutto 3000
morti nativi.
FURONO TRATTATI
ALLA STREGUA DI ANIMALI
La
seconda fase (1689-1763) è ricordata come la fase dei grandi
scontri tra le potenze europee, durante i quali i nativi vennero
chiamati a sopperire alla scarsità di effettivi degli eserciti
regolari.
Le
potenze colonizzatrici in questa fase sfruttarono in modo
vergognoso l’antagonismo che opponeva le varie tribù indiane per
i propri scopi, spingendo spesso i nativi a vere e proprie
guerre intestine che costarono migliaia e migliaia di morti. Fu
in questo modo che molte nazioni indiane scomparvero: i primi
furono gli Abenaki, che combattevano al fianco dei francesi,
stroncati da decenni di guerriglia, poi fu la volta dei Choktaw
e dei Chickasaw, sfruttati rispettivamente da francesi ed
inglesi. Per avere un’idea dell’entità di questo coinvolgimento,
sono emblematiche le parole del generale inglese James Wolfe che
dichiarò: “Gli Irochesi hanno conquistato un
impero alla corona britannica”, in seguito alla sconfitta
francese di Quebec nel 1759. Così come emblematica resterà la
disfatta del generale inglese Edward Braddock nel 1755 sul fiume
Monongahela, in cui il contributo degli Indiani che combattevano
da parte francese fu determinante. La fine di questa fase
coincide praticamente con l’abbandono della scena americana da
parte della Francia, ormai definitivamente sconfitta.
Passando in rassegna gli eventi che caratterizzarono la
conquista del territorio americano in questa fase durante cui la
sovranità degli Indiani venne ancora una volta calpestata,
troviamo la guerra dei Cherokee. Questa nazione indiana del
territorio nord-americano sud-orientale era molto potente e gli
inglesi dapprima cercarono un’alleanza con loro sottoscrivendo
un trattato nel 1645. Tuttavia in seguito, un fatto accaduto nel
1751 segnò la fine del precario accordo. Alcuni Cherokee avevano
rubato cavalli per rimpiazzare quelli perduti nel corso di
alcuni scontri con gli Shawnee. In reazione i miliziani della
Virginia assalirono un gruppo di Cherokee pacifici, uccidendoli
e scotennandoli. Una rappresaglia Cherokee costata la vita a 19
coloni segnò lo scoppio delle ostilità. Dopo alterni attacchi,
il comandante inglese Amherst inviò un’armata di 1700 uomini a
sterminare per sempre i Cherokee. Durante l’avanzata iniziale
gli inglesi distrussero quattro villaggi Indiani, uccidendo
tutti gli abitanti. Di fronte al rifiuto degli Indiani di
arrendersi, le forze britanniche proseguirono l’avanzata ma
vennero fermati nei pressi del villaggio indiano di Etchoe, nel
quale riuscirono a penetrare solamente dopo aver subito pesanti
perdite e poco dopo si ritirarono. La nuova avanzata inglese del
1761 fu però decisiva per le sorti del conflitto. Amherst, che
ora disponeva di molti uomini in seguito alla resa della
Francia, respinse ogni proposta di pace del capo Attakullakulla
e formò un’armata di 2800 uomini che penetrò come un coltello
nel paese dei Cherokee, malgrado l’accanita difesa di questi
ultimi, che furono costretti a ritirarsi sulle montagne più
alte. Gli inglesi devastarono ogni cosa radendo al suolo ogni
costruzione e distruggendo ogni forma di coltivazione. I
Cherokee, colpiti da una durissima carestia, morirono in massa e
i pochissimi sopravvissuti dovettero chiedere una pace che costò
loro altri milioni di kilometri quadrati di territorio.
La
terza fase (1763-1840), dopo la scomparsa della presenza
francese, vede dunque l’espansione delle colonie britanniche,
ormai incontrastate. Per evitare ulteriori contrasti con queste
ultime, il re britannico dichiarò la catena degli Allegheny e il
corso dell’Ohio confine perpetuo tra coloni e nativi, ma la
trasgressione di qualsiasi forma di accordo o trattato del
genere diventò col tempo una costante della storia
nordamericana. Da questo momento in poi tale consuetudine si
ripete tragicamente seguendo questo ciclo: i coloni si spingono
sempre più ad Ovest alla conquista di nuove terre e nuovi
profitti costruendo forti e imponendosi con la forza sui nativi.
Questi ultimi reagiscono attaccando i coloni che si ritirano
lasciando il campo a forze armate regolari. Dopo uno scontro,
sempre impari, gli Indiani vengono cacciati, uccisi, privati di
ogni forma di sostentamento e costretti alla firma di un
trattato in cui sono costretti a cedere vasti territori.
Dopodiché, i coloni avanzano di nuovo ripetendo tutto da capo.
L’episodio che aprì questa fase fu la famosa rivolta di Pontiac,
capo degli Ottawa. Di fronte alla prepotenza dei colonialisti
britannici, molto più avidi di terre dei loro predecessori
francesi, questo capo mise in campo il progetto di un’unione di
tutte le tribù del Nord-Ovest contro gli inglesi. Egli riuscì di
fatto ad unire 12 nazioni indiane (Chippewa, Ottawa, Delaware,
Shawnee, Fox, Kickapoo, Miami, Potawatomi, Menomini, Irochesi,
Seneca,Mingo e Huroni) per un totale di 10.000 guerrieri, con lo
scopo di cacciare i coloni ad est della catena degli Allegheny.
Nei mesi di maggio e giugno del 1763, vere e proprie armate di
guerrieri Indiani assaltarono tutte le principali fortificazioni
della zona. In questi combattimenti trovarono la morte 2000
coloni e altri 20.000 si ritirarono ad Est. La controffensiva
inglese iniziò nel luglio del 1763. Al comando dell’armata
britannica c’era ancora il generale Jeffrey Amherst, sempre più
crudele e privo di remore. Fu dato ordine di diffondere il
vaiolo tra i nativi, definiti, sempre per bocca di Amherst: “Non
un nemico, ma la razza più vile che abbia mai contaminato la
Terra, la cui eliminazione va considerata come un atto di
liberazione a vantaggio dell’umanità”.
L’armata inglese rioccupò prima Detroit e poi cercò di fare lo
stesso con Fort Pitt. Dopo una violentissima battaglia nei
pressi della località in cui morirono 110 inglesi e 60 Indiani,
questi ultimi furono costretti a ritirarsi e Fort Pitt tornò in
mano agli Inglesi. Dopo altre violente battaglie, nel settembre
del 1763, gli Inglesi prepararono una enorme spedizione per
reprimere una volta per tutte la rivolta. Del resto anche i
seguaci di Pontiac erano sempre più logorati e sfiduciati. Molti
dei suoi seguaci lo abbandonarono firmando paci separate con gli
inglesi. Rimasto con pochi fedeli, anche Pontiac capitolò nel
1766.
Nonostante la sconfitta tuttavia, Pontiac aveva fatto capire
alle nazioni Indiane quanto l’unità contro il comune nemico
fosse importante per una resistenza meglio organizzata agli
invasori. Nel 1773 scoppiava la guerra d’Indipendenza americana,
che coinvolse in modo evidente gli Indiani. Infatti il governo
britannico era propenso alla conservazione della pace in
America, imponendo di rispettare i diritti dei nativi sul
proprio territorio, limitando di fatto la spinta espansionistica
delle colonie. Visto che sia l’esercito continentale di George
Washington, sia le forze degli inglesi lealisti erano esigue,
entrambe le parti cercarono ipocritamente ed in ogni modo di
ingraziarsi gli Indiani spingendoli ciascuno a scegliere la
propria parte. Timorosi di ritrovarsi da soli contro l’avidità
dei colonizzatori, la maggior parte scelse, suo malgrado, di
parteggiare per i lealisti. Coloro che misero in campo la più
grande forza a questo scopo furono gli Irochesi, che erano
ancora la nazione indiana più potente. Sotto la guida del loro
capo Joseph Brant (così chiamato per via del padre adottivo di
origine inglese, ma il cui vero nome era Thayendanegea)
avrebbero portato avanti una lotta sanguinolenta contro i coloni
di Washington. Per alcuni anni lo scontro si mantenne alla pari
tra le due fazioni, ma la sconfitta del generale inglese
Burgoyne a Saratoga il 17 Ottobre del 1777 segnò per gli
Irochesi l’inizio della fine della loro potenza. Nel 1779
Washington mandò contro di loro un’armata di 4600 uomini al
comando del generale Sullivan con l’ordine preciso di invadere
il territorio irochese, bruciare tutti i villaggi e catturare
tutti gli Indiani che avrebbe incontrato, senza distinzioni di
sorta, abbattendo chiunque accennasse ad un tentativo di
resistenza. Contro di loro Brant opponeva 1000 guerrieri Indiani
aiutato da 500 inglesi. Di fronte ad uno squilibrio di forze
così grande, l’esito era scontato. Malgrado un’eroica
resistenza, gran parte della terra degli Irochesi venne invasa:
50 villaggi furono totalmente rasi al suolo e tutte le derrate
alimentari, le coltivazioni e il bestiame distrutti. Durante
questa spedizione Sullivan uccise o catturò ben pochi Indiani,
poiché questi si erano ritirati dopo l’esito disastroso dei
primi scontri, ma a decimarli furono freddo, fame ed epidemie di
varia natura. Nonostante questo colpo durissimo, gli Irochesi
non si piegarono e reagirono nella primavera successiva, dopo
avere riunito 1500 guerrieri che attaccarono la vallata dello
Schoharie, distruggendo tutti i forti statunitensi ad eccezione
di uno: fu però un successo di breve durata, perché già nel
1781, l’esercito contrattaccò scacciandoli e respingendoli fino
ad Oswego. Dopo la sconfitta inglese del 1783, gli Irochesi si
divisero: alcuni seguirono Brant in Canada, dove ottennero delle
terre su cui oggi vivono ancora i loro discendenti, mentre altri
rimasero negli Stati Uniti. Questi ultimi vennero completamente
spogliati dei loro beni e confinati in piccole riserve.
Un
altro episodio che merita di essere citato è l’eccidio del 1782
contro una comunità di Indiani della tribù dei Delaware,
convertiti al cristianesimo e assolutamente pacifici. Costoro,
entrati in contatto con i frati moravi,
vivevano in due villaggi sul fiume Muskingum, e paradossalmente
fu proprio la loro sostanziale neutralità a segnarne la sorte,
poiché gli americani trovavano più facile colpire degli inermi
che dei guerrieri. Nel marzo di quell’anno il comandante
americano di Fort Pitt, Irvine diede ordine di distruggere i
villaggi. I rastrellamenti provocarono la scomparsa di 62 adulti
e 34 bambini. Si decise poi di ucciderli tutti: solo due bambini
fintisi morti, riuscirono a scampare al massacro coloniale. Il
compito infame fu portato a termine dal colonnello Crawford
impegnato a massacrare un gruppo di Delaware, che aveva cercando
scampo su un isola del fiume Allegheny. Il risultato di questa
barbarie fu che i Delaware, che avevano fino ad allora
combattuto a fianco dei continentali, ripresero le ostilità
contro questi ultimi. Una colonna statunitense comandata da
Crawford, composta di 480 soldati, inviata a distruggere quanto
restava dei Delaware e degli Huroni venne attaccata nei pressi
di Sandusky: circa 180 soldati, tra cui lo stesso Crawford,
persero la vita nell’assalto. I Delaware, vittime della sete di
potere dei colonizzatori, per il momento avevano avuto
giustizia.
Intanto i coloni, che si erano scrollati di dosso l’ostacolo
della madrepatria, potevano scatenare la loro avanzata criminale
verso i territori del nord-ovest, strappandoli alle tribù
indiane che vi vivevano da sempre. Inizialmente l’avanzata
statunitense incontrò una resistenza durissima da parte di tutte
le tribù della zona che, consapevoli del pericolo mortale che
correvano, erano decise a non cedere la loro amata terra di
fronte all’arroganza dei conquistatori: dal 1783 al 1790 ben
1500 colonizzatori furono uccisi o catturati dagli Indiani e
molti di questi attacchi erano condotti dal capo della tribù dei
Miami, Little Turtle, uno dei più grandi di tutti i tempi.
Contro le tribù da lui riunite, i comandanti statunitensi
inviarono delle spedizioni imponenti, ma non ottennero il
successo sperato: la prima, al comando del generale Harmar,
ritornò alla base con un bilancio di 183 morti e 31 feriti,
mentre al suo successore, il generale Saint-Clair, andò ancora
peggio. Quest’ultimo affrontò gli Indiani di Little Turtle in
un’epica battaglia sul fiume Wabash, avvenuta il 4 novembre
1791, e si rivelò la più grande vittoria indiana di tutti i
tempi: le truppe di Saint-Clair lasciarono sul campo 637 caduti
e rientrarono alla base con 263 feriti. Galvanizzata da questo
successo, la coalizione di Little Turtle decise a contrattaccare
per espellere definitivamente i colonizzatori dal loro
territorio e in questo caso commise l’unico, ma purtroppo fatale
errore della sua vita, attaccando Fort Recovery e ignorando che
fosse difeso da cannoni, così subendo una dura sconfitta. I
bianchi ne approfittarono per scendere a patti con i capi delle
singole tribù che componevano le forze di Little Turtle,
firmando delle paci separate. Rimasto solo alla testa sella
tribù dei Miami, Little Turtle propese anch’egli per la firma di
un trattato, ma, dietro le pressioni degli inglesi del Canada
che predicavano ad ogni costo l’eliminazione, alcuni suoi
seguaci lo deposero e lo sostituirono con Turkey Foot, che si
ostinò in una vana resistenza, venendo definitivamente sconfitto
negli scontri successivi con le truppe del generale Wayne. La
pace firmata a Fort Greenville nel 1795 assegnò “per sempre”
agli Indiani le terre al di là del fiume Ohio. In realtà
l’espressione “per sempre” avrebbe assunto il triste significato
di “50 anni”.
VENNERO ELIMINATI
FISICAMENTE PER IMPOSSESSARSI DELLE LORO TERRE, CON LA BIBBIA
NELLA MANO
Altri che in questo periodo si opposero alla colonizzazione
furono i Creek del capo Red Eagle, noti come “Red Sticks”, per
la caratteristica di piantare dei paletti rossi all’ingresso dei
loro villaggi, che li distingueva dagli altri Creek, noti come
“bianchi”, che invece erano per la collaborazione con i bianchi.
Va detto che la loro rivolta fu di breve durata e molto costosa
in termini di vite umane, specie perché contro i Creek “rossi”
si mossero non solo gli americani, ma anche i Cherokee, loro
nemici storici, che fra l’altro miravano ormai alla
collaborazione con i coloni, visti i precedenti disastrosi e
dolorosi tentativi di resistenza. A questi si unirono poi anche
numerosi Creek “bianchi”, pensando così d’esser risparmiati.
Dopo averli decimati in diversi scontri, il generale Jackson
impose loro uno dei trattati più vergognosi che la storia
ricordi, che venne siglato il 9 Agosto 1815: ai Creek furono
confiscati 93.000 km2 di territorio, mentre coloro che avevano
appoggiato i bianchi ottennero dei fazzoletti di appena 2,5 km2.
Negli anni dal 1802 al 1825, i Creek firmarono altri trattati
per effetto dei quali dovettero cedere altri 60.000 km2 di
territorio in cambio di un posto sicuro in una riserva a Indian
Springs e 25.000 dollari. Con questi accordi, il destino di
questa tribù fu segnato per sempre.
La
stessa sorte toccata a questi Indiani fu praticamente identica
per tutte le tribù dell’Est. La “soluzione finale”,
ossia la deportazione di tutti gli Indiani residenti nelle
colonie al di là della “frontiera permanente” nelle grandi
pianure disabitate, venne programmata dal presidente Jefferson
ed attuata a partire dal 1825 durante la presidenza Monroe sotto
la spinta del “partito del Bisonte”: con questo nome erano noti
alcuni membri del Congresso. Il loro portavoce Brackenbridge
dichiarò che: “Non avendo fatto
buon uso della loro terra coltivabile per secoli, gli indigeni
avevano perduto ogni diritto su di essa, altrimenti si sarebbe
dovuto ammettere anche un diritto dei bisonti sulla terra”.
Secondo Brackenbridge quindi gli Indiani non avrebbero dovuto
godere che dei diritti che si concedono ai bisonti e il loro
sterminio sarebbe stato utile al progresso civile e persino un
onore per chi avesse provveduto a compierlo.
Il
piano di deportazione conobbe il suo apice sotto la presidenza
del già citato Jackson, allorquando il Congresso approvò il “Removal
Act”, un documento che predisponeva la deportazione di
tutti gli Indiani ad Ovest di una linea chiamata “frontiera
permanente”. Questa linea partiva dal Lago Superiore,
attraversava Iowa e Wisconsin, seguendo i fiumi Arkansas e
Mississippi giungendo fino al Red River. Va detto che fino ad
allora la dirigenza coloniale aveva spinto gli Indiani a seguire
la via della “civilizzazione” e a fondersi con la cultura
“bianca”, ma ora iniziava una vera inversione di tendenza. Molte
tribù avevano recepito il messaggio assumendo comportamenti
pacifici e operosi, avviando un progressivo abbandono dell’uso
delle armi. Ma fu soltanto un pretesto, un inganno, tutto quanto
proveniva da parte bianca era falso ed pianificato per altri
obiettivi. Lo scopo dei colonizzatori era solo quello di
espandersi, conquistare e saccheggiare: nessun atteggiamento da
parte indiana poteva considerarsi soddisfacente dinnanzi ai
criminali anglofoni. La deportazione degli Indiani fu uno degli
atti più infami mai perpetrati da esseri umani a danno di loro
simili: milioni di persone furono così strappate alla loro terra
natale sino a diventare dei profughi nel loro stesso Paese.
Furono programmate le distruzioni di culture e tradizioni
millenarie, sostituendole con un tentativo di “fusione a freddo”
che avrebbe comunque assorbito e annullato le usanze native
nella cultura anglosassone coloniale dominante sul piano della
forza politica e militare: era l’embrione di un atteggiamento
che avrebbe forgiato col tempo la condotta degli Stati Uniti
d’America in politica estera nei secoli successivi, e che
continua ai nostri giorni nella stessa identica maniera, sebbene
in forme nuove e più “edulcorate”.
Ma
se odiosi sono i fini di questi assassini, forse ancora peggiori
sono i mezzi: la deportazione fu infatti eseguita con calcolata
crudeltà. L’Ohio, che era molto fertile, divenne subito una
preda ambita dei nuovi padroni: le tribù che lo popolavano
(Delaware, Huroni, Shawnee e Miami, più altri rifugiati di tribù
smembrate) avevano combattuto per gli inglesi e la loro sorte
era segnata. I Delaware partirono spontaneamente nell’inverno
del 1809, per sottrarsi ai continui soprusi e a causa del freddo
e delle malattie arrivarono decimati al di là del Mississippi,
dove incontrarono solo altra miseria. Gli Shawnee, i Potawatomi
e i Winnebago si rifiutarono di partire, ma furono costretti dai
soldati coloniali conoscendo analoga sorte dei loro
predecessori. I Cherokee, che avevano pure aiutato gli americani
contro i Creek di Red Eagle e che ormai vivevano in modo del
tutto uguale ai coloni, ricostruendo un’economia prospera e
pacifica – con tanto di scuole, città, fattorie e che avevano
raggiunto un livello di cultura molto elevato – vennero colpiti
dal provvedimento. Inizialmente solo 2000 individui accettarono
di andarsene, ma più tardi nelle loro regioni fu scoperto l’oro.
Fu la fine. Contro i soprusi degli avidi cercatori del prezioso
metallo, sostenuti dal governo centrale americano, i Cherokee
erano senza tutele. Stretti in una morsa agghiacciante, questi
Indiani furono costretti a firmare un trattato che imponeva loro
di abbandonare la loro terra entro tre anni. Alla scadenza di
tale data, poiché quasi nessuno accettò di andarsene, 7000
soldati americani penetrarono nel loro territorio e scacciarono
le persone dalle proprie case con inaudita ferocia,
costringendole all’esodo, secondo un percorso ricordato con il
marchio di “Pista delle Lacrime”.
Durante questa drammatica stagione morirono nei modi peggiori
ben 4000 Cherokee. Identico fu l’esodo forzato dei Creek, che
morirono in 3500, e simili furono le storie dei Choktaw e dei
Chickasaw. I Sauk e i Fox invece scelsero di opporsi e
resistere, ma furono sconfitti e seguirono il destino delle
tribù scomparse, dopo aver fatto comunque pagare con 200 caduti
un duro prezzo agli americani. La resistenza più dura fu però
quella dei Seminole della Florida che, sfruttando la migliore
abilità in un territorio paludoso ed infido, intrapresero una
guerriglia, di cui le forze armate statunitensi ebbero ragione
solo dopo molte campagne militari perdendo quasi 3500 unità tra
regolari e miliziani. Quanto ai Seminole, dopo aver pianto la
morte di circa 2000 individui, 3200 di loro vennero deportati ad
Ovest. Resta tuttavia il ricordo di un eroismo scolpito nella
storia, nella misura in cui un pungo di combattenti aveva per
molti anni tenuto testa ad un esercito potentissimo. Finisce
così l’era delle guerre dell’Est, con tutte le tribù di questo
territorio deportate al di là della “Frontiera Permanente”.
Lo
scavalcamento di questo nuovo confine, beffandosi ancora una
volta degli accordi conclusi, dà il via alla quarta fase
(1840-1865). Questo nuovo sopruso fu ufficializzato con il
famigerato “Atto di prelazione”,
un’autorizzazione per i coloni ad acquistare terreni immensi a
pochissimo prezzo, rispettando l’unica condizione che i diritti
dei nativi dovessero essere “estinti”
prima dell’acquisto. In pratica, più che i loro diritti, i
coloni trovarono molto più semplice estinguere direttamente i
nativi: si trattava di autorizzare un genocidio, né più né meno.
I primi a pagare furono i membri della ormai dimenticata tribù
dei Karankawa, stanziati nella zona orientale nelle Grandi
Pianure, che si scontrarono con i coloni. La ragione per la
quale oggi questi Indiani non sono noti ai più è molto semplice:
gli ultimi membri vennero avvistati nel 1855 ed erano rimasti
solo in sei. Ma ben più numerosi e organizzati dei Karankawa
erano i Comanche, che costituivano una vera e propria nazione
indiana. Essi godevano dell’emblematico appellativo di Spartiati
delle Pianure. All’inizio, contrariamente a quanto il cinema e i
libri sul tema ci abbiano mostrato, i rapporti tra Comanche e
coloni furono buoni e nel 1835 le parti avevano firmato un
trattato con il quale si accordava libero passaggio ai coloni
sui territori Indiani, ma l’enorme aumento del numero dei nuovi
arrivati portava inevitabilmente questi ultimi a estendere
continuamente il proprio dominio guastando così il clima di
convivenza. A migliorare le cose non contribuì certo il
governatore del Texas Lamar, salito al potere nel 1838, il quale
dichiarò che: “L’uomo bianco e
l’uomo rosso non potranno mai vivere insieme in armonia, per cui
lasciate che la spada faccia il suo lavoro”. Lamar
fu anche il creatore del corpo dei “Texas
Ranger”, la cui funzione fu quella di “cacciatori
di Indiani” e in questo si mostrarono mortalmente
efficienti: armati con le nuove pistole Colt a cinque colpi (i
Comanche e le altre tribù delle pianure del Sud disponevano
quasi solamente di archi) fecero vere e proprie stragi tra i
Comanche, che pure si battevano al meglio delle loro capacità.
Ma se in qualche modo gli attacchi ai Comanche venivano
giustificati agli occhi dei coloni dalla loro condotta
bellicosa, di sicuro nessun motivo può essere valido per
giustificare l’ulteriore deportazione e la decimazione degli
Indiani che vivevano pacificamente nelle terre da loro assegnate
in seguito al Removal Act. Questi Indiani erano un’unione di 19
tribù guidate dal capo Cherokee Takatoka e avevano fatto rendere
al meglio il loro pur piccolo territorio, ma nemmeno questo era
sufficiente per far desistere i coloni dalla loro brama di
conquista. Lamar accusò gli Indiani di collaborare con il
Messico e così decise di espellerli dalle terre che occupavano,
nonostante il trattato avesse stabilito i loro diritti. I
Cherokee non si piegarono a questo nuovo sopruso e misero in
campo 700 guerrieri per affrontare i 500 soldati inviati contro
di loro. Nonostante il loro coraggio fu un’ecatombe per gli
Indiani. Dopo averli sconfitti in battaglia, i “nuovi americani”
rasero al suolo i villaggi e li costrinsero ad una nuova
emigrazione verso il Territorio Indiano, l’attuale Oklahoma.
Poco dopo vennero seguiti dal resto delle tribù alleate.
Lamar, “risolto questo problema”, si concentrò contro i Comanche
e l’azione che aprì questa nuova fase fu tra le più orrende e
meschine mai viste nella storia del nuovo Stato americano.
Di
fronte alla disponibilità dei Comanche a trattare, Lamar fece
convocare i loro capi a San Antonio dal colonnello Fisher. Ma
non appena i capi Comanche non risposero come il colonnello si
aspettava, quest’ultimo decise di imprigionarli tutti.
Naturalmente gli Indiani reagirono con violenza e morirono in
33. Dopo questo affronto, i Comanche non scesero mai più a patti
con i bianchi. Gli scontri ripresero con rinnovata violenza: il
24 ottobre 1840 un gruppo di miliziani attaccò un villaggio
Comanche in piena notte, mentre gli abitanti dormivano; 130
Indiani vennero sterminati, naturalmente senza distinzioni di
sorta.
Altra grande tribù delle pianure che pagò un alto tributo di
sangue furono i Cheyenne che, dopo alcune ostilità, firmarono un
accordo che lasciava loro buona parte delle terre del Colorado e
del Kansas. Nel 1858 in Colorado fu trovato un vasto giacimento
d’oro e di fatto ogni accordo veniva a cadere: 150.000 coloni in
preda alla “febbre dell’oro” vi accorsero in quel solo anno. Un
nuovo accordo impose agli Indiani di cedere quei territori, ma
la maggior parte dei capi non firmò.
La
situazione era molto tesa e come al solito fu un incidente a
dare il pretesto per gli scontri: in questo caso del bestiame
lasciato vagare per la pianura venne raccolto dagli Cheyenne,
che furono accusati di averli rubati e ne seguirono dei violenti
scontri, nel più duro dei quali venne distrutto in villaggio
Cheyenne in cui morirono 50 Indiani inermi. Tuttavia il capo dei
Cheyenne del sud, Black Kettle, scelse di trattare. Allo scopo,
gli venne concesso di alzare le sue tende nei pressi di Fort
Lyon assieme agli Arapaho di Left Hand. Com’è logico che sia,
questi Indiani si sentivano assolutamente al sicuro, ma si
sbagliavano: non sapevano quanto era grande l’infamia dei loro
avversari. La notte del 19 novembre 1864, 750 tra miliziani e
soldati al comando del colonnello Chivington li assalirono con
l’ordine di non risparmiare nessuno. Il massacro, in cui vennero
letteralmente fatti a pezzi circa 300 Indiani, praticamente
disarmati, finì solo alle quattro del pomeriggio del giorno
successivo. Ogni possibilità di pacificazione era praticamente
annullata e del resto era proprio ciò che i colonizzatori
volevano. Il nuovo comandante militare del distretto del
Missouri (del quale faceva parte la zona delle pianure), il
generale Sherman dichiarò che: “Più
Indiani uccideremo quest’anno, meno ne dovremo uccidere l’anno
prossimo”. Il fatto che molti decenni dopo, gli
Stati Uniti battezzeranno un loro famoso carro armato con il
nome di questo generale è altamente significativo. Da parte
loro, gli Cheyenne e i Kiowa erano decisi a non cedere la terra
nella quale erano vissuti liberi per secoli. Del resto per chi
pretende di fare la morale ancora una volta agli Indiani basti
citare questo fatto, che fu poi una delle cause scatenanti del
conflitto: mentre gli Indiani uccidevano i bisonti, di cui le
pianure brulicavano, nella misura strettamente necessaria al
loro fabbisogno, i coloni riuscirono a sterminarne quasi quattro
milioni tra il 1872 e il 1874, estinguendoli e riducendo di
conseguenza gli Indiani alla miseria, poiché il bisonte era alla
base della loro vita. Dopo numerose battaglie che consacrarono
alla storia nomi quali Satanta, Kicking Bird, Tall Bull, Lone
Wolf – solo per citarne i più famosi – nel 1880 praticamente
tutti gli Indiani delle Pianure del Sud erano confinati nelle
riserve o uccisi. Dei 12.000 nativi Comanche, al momento
dell’internamento definitivo nella riserva ne restavano solo
1.650.
Nel
deserto che occupa la parte meridionale degli attuali Stati
Uniti, il destino dei nativi è identico a quanto visto
precedentemente. In questa terra vivevano numerose etnie, tra le
quali la più numerosa era quella degli Apache suddivisi in
numerose tribù. Dopo avere inizialmente resistito
vittoriosamente ai colonialisti spagnoli e ai loro eredi
messicani, la loro vita fu sconvolta dalla scoperta di numerosi
giacimenti minerari in quelle aree.
Le
autorità del resto non misero mai veramente freno alle ambizioni
dei cercatori: basti pensare alle ricche taglie che i vari Stati
americani offrivano per gli scalpi Indiani. Proprio queste
taglie furono alla base di uno dei più efferati crimini. Nel
1837 un minatore americano, John Johnson, finse di organizzare
una festa a cui parteciparono diverse centinaia di Indiani.
Quando questi ultimi erano ormai ubriachi, John Johnson ordinò
ai suoi degni compari di aprire il fuoco sulla folla; dopo la
sparatoria, questi “esempi di civiltà evoluta” si gettarono
sugli Indiani completando l’opera con le armi bianche: alla fine
dell’orrendo scempio, a terra giacevano i corpi scotennati di
circa 400 Apache. Tra coloro che riuscirono a fuggire vi fu il
capo Dasoda-Hae, noto tra i bianchi come Mangas Colorado, che in
quel macello aveva perso le sue due mogli e che da quel giorno
giurò guerra agli invasori. Nel 1840, lo stesso Mangas Colorado,
che si era recato per parlamentare con alcuni minatori, venne
catturato e orrendamente torturato. Molti “occhi bianchi” negli
anni a venire conosceranno la vendetta di questo capo Apache.
Simile fu la storia di un altro capo degli Apache, Go-Ya-Thle,
passato alla storia con il nome di Geronimo, che, durante un
massacro compiuto da soldati messicani, perse l’intera famiglia.
Lo stesso dicasi per Cochise (il suo vero nome era She-ka-she),che
ebbe il padre e quattro fratelli uccisi a tradimento dai
messicani.
Nonostante questo episodio del suo passato, Cochise dapprima fu
favorevole all’arrivo degli statunitensi, ma cambiò radicalmente
opinione quando venne accusato ingiustamente di un rapimento e
si cercò di arrestarlo. Egli riuscì tuttavia a fuggire
nonostante fosse stato ferito da tre proiettili e giurò di
vendicarsi. Dopo molti altri anni di aspre battaglie, Mangas
Colorado, nel 1863 decise si firmare una pace con il nemico. Gli
americani non si smentirono, e dopo aver dato il proprio
consenso, invitarono Mangas a Fort MacLane. Tuttavia appena il
capo si presentò venne immediatamente arrestato, accusato di
vari crimini e fatto prigioniero. La notte stessa, venne uccise
con un pretesto da una sentinella e il suo cadavere orrendamente
brutalizzato. Cochise e Geronimo presero il suo posto lanciando
continui attacchi agli insediamenti dei coloni. La reazione del
governo degli Stati Uniti fu durissima e venne pianificata una
campagna di sterminio vera e propria con l’ordine di annientare
tutti gli Indiani che venissero trovati. Nel 1869 il generale
Ord, incaricato delle operazione nell’“Apacheria”, scrisse: “Ho
incoraggiato le truppe a catturare e sterminare gli Apache con
tutti i mezzi e a cacciarli come bestie feroci. Tutto ciò, essi
l’hanno fatto con vigore instancabile. Dal mio ultimo rapporto,
più di 200 di loro sono stati uccisi, generalmente da
distaccamenti che avevano seguito le loro tracce per giorni o
per settimane nei loro rifugi di montagna, nella neve, tra gole
e precipizi”.
Mentre questi eventi sanguinosi mettevano progressivamente fine
alla fiera nazione degli Apache, a Sud Ovest un dramma ancor più
brutale si andava consumando. Gli Indiani che vivevano in
California, dopo aver subito lo schiavismo e i soprusi dei
conquistatori spagnoli, conobbero un ancor più crudele destino
sotto il dominio statunitense. I fatti precipitarono quando nel
1848, quando in California venne scoperto l’oro: questo fatto
portò sulle terre indiane ben 250.000 coloni nel giro di quattro
anni. Per avere un’idea di cosa costò questa scoperta ai nativi
californiani basti dire che erano circa 150.000 prima
dell’arrivo dei colonizzatori: nel 1884 erano rimasti in 12.000,
confinati in microscopiche riserve in cui imperversavano la fame
e le malattie. Per non lasciare niente di intentato, i coloni
americani vendevano di proposito bevande alcoliche a bassissimo
costo con il preciso scopo di estinguerli definitivamente.
E LE PRATERIE
DIVENNERO PROPRIETÀ….
La
quinta fase (1865-1891) è quella che consolida definitivamente
la conquista del West attraverso un massiccio movimento
migratorio, incoraggiato dal “Homestead Act” del 1863, che
dichiarava proprietario di un terreno chi vi risiedeva
stabilmente per almeno cinque anni. Di fronte a questo movimento
migratorio, i territori Indiani vennero progressivamente sempre
più ridotti e schiacciati verso la costa occidentale degli Stati
Uniti. Il governo non trovò altra soluzione che rinchiudere ciò
che restava dei nativi nelle famigerate riserve: territori
piccoli in cui gli Indiani erano costretti a una povera
sussistenza attraverso gli aiuti federali, che erano per lo più
inconsistenti. Spinti più dalla fame che non dà altro, gli
abitanti delle riserve spesso sconfinavano alla ricerca di
alimenti arrivando di conseguenza allo scontro con i coloni e
con le immaginabili conseguenze. Gli Indiani in vita all’inizio
di questa fase erano circa 175.000 nelle pianure e altri 75.000
nelle Montagne Rocciose (a fronte di oltre un milione all’inizio
della colonizzazione) costituendo di fatto l’ultimo “Territorio
Indiano” (corrisponde circa all’attuale Oklahoma). Delle tribù
facenti parti di questi ultimi sopravvissuti ve ne erano di
pacifiche (che progressivamente si estinsero) e di più bellicose
(Sioux, Cheyenne , Comanche, Apache per citare solo le più
note). Queste ultime furono protagoniste degli ultimi episodi di
resistenza agli invasori e vennero definitivamente sconfitte nel
1891. Nel 1899 anche il Territorio Indiano fu aperto alla
colonizzazione (chiamate ipocritamente “civilizzazione”)
terminando definitivamente il processo di conquista del Nord
America.
L’evento che aprì questa fase avvenne nell’Arizona, dove nei
pressi di Tucson si consumò un orrendo massacro. Nei pressi
della città si era insediata una tribù di Indiani Arivaipa,
dell’ etnia degli Apache, in tutta legalità e disarmati, guidati
dal capo Eskimizin. Dal momento che in Arizona, alcune bande
Apache avevano compiuto delle scorrerie, un gruppo di
delinquenti (che si facevano chiamare Tucson Ring, che fomentava
volutamente lo scontro allo scopo di trarne profitto) aizzò gli
abitanti della città contro la tribù di Eskimizin. I suoi membri
vennero assaliti nel sonno e 144 di essi vennero uccisi: tutti
donne e bambini, visto che i guerrieri erano assenti per la
caccia. Eskimizn venne poi sconfitto in altri scontri e alla
fine la sua tribù chiese la pace. Stessa cosa fece Cochise.
Quasi tutti gli Apache ormai erano confinati nelle riserve. A
coloro che si rifiutarono, il generale Crook diede una caccia
spietata, finché li costrinse all’internamento o li uccise. Le
condizioni di vita all’interno delle riserve erano comunque al
limite della sopportazione umana e a rendere ancora peggiore la
situazione contribuivano agenti governativi a cui in realtà non
importava nulla delle condizioni degli Indiani lì rinchiusi, ed
anzi approfittavano della loro posizione per arricchirsi
vendendo i beni destinati agli Indiani. Ben presto alcuni gruppi
di guerrieri guidati da capi quali Victorio, Geronimo, Juh,
Natche (figlio di Cochise) uscirono dalle riserve e presto
nacquero i soliti scontri con i coloni. Messicani e americani si
accordarono per mettere fine alle scorribande degli Apache: si
contò un totale di circa 10.000 uomini tra soldati e volontari
alla caccia di poche decine di guerrieri Indiani. Dopo anni di
caccia continua, gli Indiani si arresero nel 1886 e vennero
deportati in Florida in un minuscolo territorio dove la fame e
gli stenti contribuirono a decimarli definitivamente.
Per
quanto riguarda le pianure del Nord (la famosa “Prateria”), gli
avvenimenti furono praticamente identici. In questa zona, già
devastata dalle epidemie degli anni passati, le nazioni indiane
rimaste erano quelle dei Sioux, degli Arapaho e degli Cheyenne
del Nord. I Sioux, i più numerosi, a loro volta suddivisi in
sette tribù, divennero presto tenaci avversari dei colonizzatori
avanzanti. Visto il gran numero di emigranti che si era
trasferito sulle loro terre, gli Indiani capirono che per la
loro sopravvivenza era necessario non permettere ai bianchi (che
i Sioux chiamavano “Wasichu”, ossia “ladri di grasso”), di
espandersi ulteriormente nelle loro terre. Venne così firmato il
trattato di Fort Laramie nel 1851, che assegnava agli Indiani un
vasto territorio e 50.000 dollari annui. Naturalmente, questo
trattato non soddisfaceva le mire espansionistiche degli
statunitensi che cercarono subito un pretesto per riaprire le
ostilità. Bastò un piccolo incidente: una vacca di proprietà di
un agricoltore mormone, si era sperduta nel campo dei Brulè (una
delle sette tribù dei Sioux) nei pressi di Fort Laramie, dove fu
abbattuta e consumata dalla tribù. I bianchi pretesero
violentemente la consegna del colpevole e, durante la
trattativa, partì un colpo di fucile che uccise il fratello del
capo della tribù, Stirring Bear. Ad una minima reazione indiana
seguì una violenta sparatoria in cui poi lo stesso Stirring Bear
rimase ucciso, così come tutti i militari che erano intervenuti.
Ora i bianchi avevano il pretesto che cercavano. Il generale
Harney, incaricato della spedizione di rappresaglia dichiarò
prima della partenza, che “voleva
il sangue” e lo ebbe: una volta rintracciati i
Brulè, attaccò il loro campo lasciando sul terreno 136 cadaveri
Indiani, soprattutto civili.
Quella
che si vede non è la coda per uno spettacolo, un avvenimento sportivo o un
concerto: è la coda per la distribuzione di alimenti davanti a una Caritas. E
non è un foto scattata in qualche paese in guerra o in qualche campo profughi,
ma a Madrid, capitale della “Spagna”, parola con cui molti politici si riempono
la bocca dimenticandosi però degli spagnoli, o perlomeno della maggior parte di
essi.
Leggo centinaia di tweets e post su Facebook su che cosa dovremmo fare, però
siamo incapaci di metterci d’accordo e non abbiamo intenzione di fare troppi
sacrifici, ci limitiamo semplicemente a parlare.
Faccio un esempio personale:
Nonostante il calcio sia il mio sport preferito, da anni non vedo una partita,
allo stadio o in televisione. Ho smesso di seguirlo perché trovo completamente
ingiusto che le società calcistiche debbano più di 800 milioni di contributi per
la Sanità, e che i giocatori, nonostante i lauti stipendi, paghino meno tasse di
me.
So che non serve a nulla, ma cosa succederebbe se tutti smettessimo di seguire
il calcio?
Eppure, perfino questo sembra impossibile.
Semplici azioni collettive, come spegnere la luce dieci minuti al giorno, non
usare il cellulare un giorno alla settimana e non utilizzare la macchina durante
i week-end per non consumare combustibile, creerebbero più problemi che una
manifestazione o uno sciopero. Se solo ritirassimo tutti, ogni giorno, 20 Euro
dagli sportelli bancari provocheremmo un intasamento del sistema finanziario.
Ma non ne siamo capaci e chi è al potere se ne approfitta.
Tutto quello per cui abbiamo lottato durante anni se ne sta andando velocemente
in malora, con leggi degne dell’epoca medioevale e di una qualunque passata
dittatura. Se restiamo inerti continueremo a essere ciò che siamo adesso,
nient’altro che marionette.
«L’unico modo per impedire alla democrazia di suicidarsi è limitare
il voto ai soli fedeli cattolici. L’unico modo di guidare una nazione è una
“dittatura benevola” – un monarca cattolico che protegga le sue genti da loro
stesse, e dia loro quello di cui bisognano, non necessariamente quello che esse
vogliono. Qualcuno che protegga i loro diritti in quanto esseri umani. Questo è
stato il sistema politico che ha consentito all’Europa di emergere dalla
devastazione della barbarie e di creare la Civiltà Occidentale – un nobile
monarca cattolico che porta avanti il bene comune, mentre ama e protegge il suo
popolo».
Per
quanto possa sembrarvi incredibile, a parlare così non è un nostalgico degli
Asburgo con il monocolo e la mantella, non è un Cavaliere di Malta seduto sul
retro della sua limousine con targa diplomatica, non è un ispirato liderino di
Forza Nuova, né un appassionato di revival medievali. Queste parole sono di un
presentatore TV americano. Le ha pronunziate sul suo canale, già qualche anno
fa, Michael Voris.
http://www.youtube.com/watch?v=SSnJi6SpzLo, Voris somiglia vagamente al
Robert Redford dei tempi andati, e secondo me un po’ se ne approfitta. Ha
passato la vita a lavorare alla Fox, vincendo negli anni Novanta perfino quattro
Emmy, l’Oscar per la TV americana. Per la fine del decennio era già un
produttore indipendente di successo. Poi, nel 2003, in un breve lasso di tempo,
suo fratello muore di infarto. La madre segue poco dopo. Qualcosa in Voris
cambia per sempre. Da ragazzino, ricorda, era un altar boy, un chierichetto: una
volta, a San Francisco servì messa con il leggendario arcivescovo di Nuova York
Fulton J. Sheen (in particolare, Voris racconta di quando Sheen buttò fuori a
calci dalla sagrestia un capellone entrato per mostrargli un libro dove si
spiega che «Gesù Buddha e Shiva sono la stessa cosa»). Per il resto, negli anni
del grande successo televisivo, Voris era stato al massimo un lukewarm catholic.
Un cattolico tiepido. La morte dei familiari lo cambia totalmente. Riabbracciata
l’Unica Vera Fede, va a Roma a studiare teologia, torna in America e investe
ogni risparmio per mettere in piedi un network che si possa dire veramente
cattolico. Dove per cattolico, si intende cattolico-cattolico. Tradizionale,
intransigente. Sì quando è sì, no quando è no – come insegnatoci dal Maestro.
Con l’aiuto di un analista finanziario di Moody’s legato all’Opus Dei, ecco che
viene lanciata RealCatholicTV: una web TV interamente cattolica. Voris non si fa
pregare per dire la sua anche su svariati temi centrali della vita cristiana.
«Il riscaldamento globale è l’evoluzione dei programmi eugenetici del XX
secolo». http://www.youtube.com/watch?v=uMFAhW_ZmV8, Chiaro. «Nessun tempio,
nessun sacrificio, nessun sacerdozio, nessun giudaismo. Cosa lo ha rimpiazzato
nella Storia è ciò che vediamo oggi: il giudaismo rabbinico. Questo non è il
giudaismo dell’alleanza. È una religione fatta dall’uomo».
http://www.youtube.com/watch?v=AY1GG0dyU9Y,
Chiarissimo. Non pago, paragona il giudaismo moderno al
protestantesimo. Poi il discorso sulla dittatura benevola: negli USA, Mecca
della Vacca Sacra della Democrazia, è uno schiaffo in pieno volto, a tutti. Lo
massacrano in mille, perfino Russia Times, che è un po’ la BBC del nostro tempo,
l’unico canale TV che dice obbiettivamente qualcosa che somigli alla verità (il
proprietario, ovviamente, è Putin). Le gerarchie cattoliche guardano al successo
di RealCatholicTV con seria preoccupazione: come preservare i buoni rapporti con
il vicinato rabbinico? Come nascondere ai moderni che San Tommaso prevede la
monarchia cattolica come miglior forma di governo? Come conciliare questa
bordata di fuoco che viene direttamente dal magistero e dalla dottrina con i
catto-democratici, catto-ecologici, catto-abortisti che infestano le parrocchie
ma soprattutto le stanze dei bottoni? Partì subito il Vescovo Scranton, bandendo
ogni attività di Voris nella sua diocesi. Dovette cancellare una conferenza in
una parrocchia e spostarsi in un hotel. Il vescovo, ovviamente, aveva
placidamente consentito che una leader lesbica del movimento LGBT parlasse
l’anno prima all’Università di Scranton, che è retta dai Gesuiti. Andò quindi
all’attacco il piranha più grosso, l’arcidiocesi di Detroit: in un caso senza
precedenti nella storia del diritto commerciale (sezione «marchi e brevetti»),
gli uffici dell’arcivescovo emisero un comunicato con cui proibiva l’uso della
parola «cattolico» nel lavoro di Voris.
Il nome RealCatholicTV, insomma, non poteva più essere utilizzato. Pur di
impedire che si possa raccontare il Magistero perenne senza giri di parole, la
Chiesa deposita il suo trademark: strabuzzarono tutti gli occhi, ma alla fine
Michael dovette cambiare nome al suo progetto – ora si chiama ChurchMilitantTV –
ma non mancò di notare come lo stesso arcivescovo nulla aveva contro
l’Università gesuita di Detroit, dove le agenzie abortiste sono partner, le
suore pro-gay sono nel board, i professori espongono adesivi pro-choice e si
fanno giochi per insegnare agli studenti il sesso protetto.
Eppure, un vescovo dalla sua parte Michael lo aveva. Anzi, un arcivescovo. Anzi,
un cardinale.
Raymond Leo Burke, arcivescovo emerito di Saint Louis e attuale Prefetto del
Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, lo ha incoraggiato sin dal
principio, andando perfino a benedire gli studi televisivi.
http://www.youtube.com/watch?v=4L4UgVGYTVI, Sì, proprio quel Burke. Quello fatto
fuori – senza motivo apparente – dalla Congregazione dei Vescovi. Il dicastero
che ha il compito di nominare i nuovi vescovi. Nel concreto, uno degli organismi
più importante di tutto l’apparato cattolico.
Ebbene, l’evento della cacciata di Burke è stato sicuramente il più
significativo di questi tempi. I giornali non hanno mancato di sottolinearlo.
«Bergoglio rimuove il cardinale antiabortista» ha gongolato immediatamente il
Corriere. «Papa Francesco sta facendo una purga dei cardinali conservatori?» si
chiede il Los Angeles Times, forse senza neppure essere cosciente che la parola
«purga» richiama un po’ Stalin. Mentre Giuliano Ferrara, ricordandosi le fatiche
della sua lista antiabortista, pare spiritato: «Papa Francesco ha dato nuovi
segnali di avere in uggia chi rompe i coglioni contro l’aborto».
In effetti, il segno non è da poco. Burke in Italia era il cardinale della
Marcia per la Vita. Unico ecclesiastico a partecipare. C’est-à-dire: non c’erano
praticamente altri vescovi, tra le 40.000 persone che hanno marciato per Roma lo
scorso maggio chiedendo la fine dell’aborto in Italia. No. Né vescovi, né
arcivescovi, cardinali: solo lui, Burke, un cardinale arcivescovo (tre cose in
una) ma proveniente dall’altra sponda dell’Oceano. Ha tenuto, la sera prima
dell’evento, una adorazione eucaristica toccante, con il santissimo trasportato
sotto l’ombrello. « Xé come che se fazeva ‘na volta», mi ha detto con le pupille
luccicanti una signora veneta non italofona che avevo portato alla Marcia. La
bellezza della liturgia tradizionale, lei non la vedeva dai cinquant’anni.
L’indomani, il cardinale ha camminato in mezzo alla gente, senza codazzo di
sorta.
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(*) Rilanciamo una prima parte
dell’ottimo articolo di Roberto Dal Bosco: per completarne la lettura si
consiglia di iscriversi al portale Effedieffe.com
Mentre
l'eurozona stenta a riemergere dalla peggiore crisi che abbia mai conosciuto, il
paese membro con il rating più alto, nonché uno dei principali sostenitori
dell'austerità, sta perdendo posti di lavoro e vede aumentare il suo debito.
Le sfide che
la Finlandia - un'economia con un saldo rating AAA - deve affrontare sono
"storiche", ha detto il ministro delle finanze Jutta Urpilainen ad Helsinki.
"Vorrei promettere che la crisi dell'euro finirà
quest'anno, che le mutazioni strutturali
dell'industria finiranno e che la crescita del debito pubblico si arresterà. Ma
sfortunatamente non posso."
La Finlandia,
unico paese dell'eurozona ad avere il massimo del rating da quando nel 2012
Moody's ha rivisto al ribasso le prospettive della Germania, è in una condizione
"depressa", ha detto la scorsa settimana il premio Nobel Paul Krugman, durante
il suo tour nei paesi nordici. Krugman accusa il governo del primo ministro
Jyrki Katainen di aver imposto politiche di austerità che hanno minato la
domanda senza peraltro rivelarsi in grado di ridurre il peso del debito
pubblico.
Il destino
della Finlandia conferma i dubbi sulla validità di politiche che si focalizzano
sulla riduzione del debito mentre l'economia sta perdendo posti di lavoro. Il
paese è uno degli otto membri tra i 18 che compongono l'eurozona ad aver visto
l'economia contrarsi sia nel 2012 che nel 2013, secondo la Commissione Europea.
Il tasso di disoccupazione dell'intera eurozona rimane alla cifra record del
12,1 percento con una disoccupazione giovanile al 24,2 percento a novembre,
secondo le stime Eurostat.
I POSTI DI LAVORO PERDUTI
Ora la
coalizione di governo del primo ministro Katainen, formata da sei partiti,
afferma che si rischia lo sforamento dei parametri dell'Unione Europea sul
debito, che limitano il debito pubblico al 60 percento del prodotto interno
lordo. A novembre la disoccupazione è salita al 7,9 percento, mentre il mese
precedente era al 7,4 percento, secondo le stime dell'ufficio finlandese di
statistica. L'indicatore del PIL ad ottobre segnava un calo dello 0,6 percento
su base annua.
"La Finlandia
è ancora significativamente depressa," ha detto Krugman, che ha messo in
discussione la validità della scelta di sacrificare l'indipendenza della
politica monetaria per aderire all'eurozona.
L'economia del
paese arranca a fatica dietro quelle dei suoi vicini del Nord, la Svezia e la
Norvegia, paesi esportatori che hanno scelto di stare fuori dall'euro. La Svezia
si sostiene con la domanda interna, mentre la Norvegia si difende con il più
grande fondo sovrano del mondo: 820 miliardi di dollari di investimenti
accumulati coi profitti della vendita di petrolio e gas. Sebbene l'economia
norvegese abbia rallentato l'anno scorso, la crescita del suo prodotto, prevista
al 3 percento per l'anno in corso, supera decisamente la crescita dell'1,3
percento prevista per la Finlandia, dall'Organizzazione per la Cooperazione e lo
Sviluppo Economico. La previsione di crescita per la Svezia è del 2,3 percento.
I TAGLI ALLA SPESA PUBBLICA
I tagli alla
spesa del primo ministro Katainen hanno coinciso con il declino delle maggiori
industrie finlandesi. La Nokia Oyj (NOK1V), un tempo l'enfant prodige
dell'ingegnosità finlandese, nel 2013 ha coronato anni di perdite vendendo le
sue migliori attività di telefonia mobile alla Microsoft, mentre l'intero paese
perde colpi sul fronte della crescita tecnologica.
Un altro
elemento chiave per la creazione di lavoro in Finlandia è l'industria forestale,
che sta annaspando, poiché le cartiere chiudono e libri e riviste cartacee
vengono sostituiti dai dispositivi elettronici. Ciò ha spinto le due maggiori
cartiere europee, Stora Enso Oyj (STERV) e UPM-Kymmene Oyj (UPM1V) a tagliare
posti di lavoro, nello sforzo di sopravvivere.
"Quando la
recessione colpisce una determinata industria, l'impatto in Finlandia è molto
duro," ha detto ieri Katainen durante un'intervista a YLE Radio Suomi. "Abbiamo
un problema strutturale che dobbiamo riuscire a risolvere."
DIETRO ALLA SPAGNA
La Finlandia è
indietro di almeno mezzo decennio rispetto alla Spagna e al Portogallo quanto
all'adeguamento degli stipendi alla produttività, e sta dietro all'Europa del
sud in quanto a incremento delle esportazioni, ha detto l'Istituto di Ricerca
dell'Economia Finlandese (ETLA) in agosto.
"Durante il
periodo della moneta unica il costo del lavoro in Finlandia è cresciuto più che
in tutto il resto dell'eurozona" ha detto il presidente della Nordea Bank AB,
Bjoern Wahlroos, in un'intervista alla televisione YLE TV1 dell'11 gennaio. "È
estremamente difficile esportare la produzione finlandese."
Lo sforzo
dell'eurozona di tenere il debito pubblico sotto controllo ha raccolto consensi
in tutta la ragione, ha detto oggi il ministro delle finanze olandese, Jeroen
Dijsselbloem, in un'intervista a Bloomberg Television ad Hong Kong. "La volontà
di cooperare è più forte che mai - il divario nord-sud è di fatto svanito," ha
detto Dijesselbloem.
L'Olanda, come
la Finlandia, ha scelto l'austerità anziché lo stimolo, perché due anni di
declino economico hanno svuotato le casse dello stato.
PIU' ASTERITA'
Il governo
finlandese intraprenderà "ulteriori misure di austerità, il che significa tagli
alla spesa e forse alcuni aumenti delle tasse" in marzo, da cui ci si aspetta un
"impatto economico negativo nel breve termine," ha detto ieri Katainen. Il suo
consiglio dei ministri si riunirà oggi per discutere di come reagire alle sfide
dell'economia. Ma nessuna decisione sarà presa, secondo un'affermazione del
governo.
L'anno scorso
la Finlandia aveva definito un piano da 9 miliardi di euro (12,3 miliardi di
dollari) che includeva interventi strutturali per affrontare i costi derivanti
dall'invecchiamento della popolazione. Il piano consiste in diverse misure che
verranno inviate al parlamento un pezzo per volta. Alcune delle proposte,
incluse modifiche alle pensioni e alle strutture sanitarie, sono ancora in fase
di definizione.
"L'attuale
problema di competitività della Finlandia non sarà risolto con una decisione sul
dilemma delle pensioni, deve essere risolto qui ed ora, nel prossimo anno o
due," ha detto Wahlroos, che è anche presidente di UPM-Kymmene e della compagnia
assicurativa Sampo Oyj.
La cattiva
situazione dell'economia finlandese ha costretto i leader politici a rivedere i
loro impegni per il welfare. E mentre Urpilainen dice che il suo Partito
Socialdemocratico ha scelto di difendere il diritto dei Finlandesi ai benefici
pubblici, dice anche che il suo paese "dovrà trovare delle risposte alle sfide
della società del welfare, e immaginare che tipo di stato sociale sarà possibile
nel futuro."
"La globalizzazione e la divisione internazionale del lavoro
hanno avuto un impatto, così come lo hanno avuto il progresso tecnologico e la
crescente automazione," ha detto Urpilainen. "Queste sono delle sfide per il
mercato del lavoro finlandese."
Sta
facendo il giro del mondo la notizia, trascurata dalla maggior parte dei media
internazionali, compresa l’Italia. Come pubblicato dal quotidiano on-line
losaioggi.it, si parla del pericolo Fukushima e che solo adesso il governo del
Giappone non sa come affrontarlo.
Le autorità
hanno finora mentito, ai giapponesi e al mondo intero: Fukushima era una
struttura a rischio, degradata dall’incuria. Un impianto che andava chiuso molti
anni fa, ben prima del disastro nucleare del marzo 2011. Da allora, la
situazione non è mai stata sotto controllo: la centrale non ha smesso di
emettere radiazioni letali. Tokyo finalmente ammette che, da mesi, si sta
inquinando il mare con sversamenti continui di acqua radioattiva, utilizzata per
tentare di raffreddare l’impianto. Ma il peggio è che nessuno sa esattamente in
che stato siano i reattori collassati: si teme addirittura una imminente
“liquefazione” del suolo. L’operazione più pericolosa comincerà a novembre,
quando sarà avviata la rimozione di 400 tonnellate di combustibile nucleare.
Operazione mai tentata prima su questa scala, avverte la “Reuters”: si tratta di
contenere radiazioni equivalenti a 14.000 volte la bomba atomica di Hiroshima.
Enormità: bonificare Fukushima – ammesso che ci si riesca – richiederà 11
miliardi di dollari. Se tutto va bene, ci vorranno 40 anni.
Scienziati non
hanno idea del vero stato dei nuclei dei reattori, riassume il “Washington’s
Blog” in un lungo reportage tradotto da “Megachip”: le radiazioni potrebbero
investire la Corea, la Cina e la costa occidentale del Nord America. Perché il
peggio deve ancora arrivare: gli stessi tecnici incapaci, che hanno prima
nascosto l’allarme e poi sbagliato tutte le procedure di emergenza, ora «stanno
probabilmente per causare un problema molto più grande». Letteralmente:
«La più grande
minaccia a breve termine per l’umanità proviene dai bacini del combustibile di
Fukushima: se uno dei bacini crollasse o si incendiasse, questo potrebbe avere
gravi effetti negativi non solo sul Giappone, ma sul resto del mondo».
Se anche solo
una delle piscine di stoccaggio dovesse crollare, avvertono gli esperti in
materia di allerta nucleare Arnie Gundersen e il medico Helen Caldicott, non
resterebbe che «evacuare l’emisfero nord della Terra e spostarsi tutti a sud
dell’equatore».
Ogni
tanto arriva qualche buona notizia. La Monsanto, il gigante cattivo
dell’agricoltura transgenica, è stata bloccata dalla giustizia argentina, che le
ha vietato di costruire una fabbrica di mais geneticamente modificato a Malvinas
Argentinas, un municipio della provincia di Cordoba, a circa 650 km da Buenos
Aires.
La sentenza
della Sala Segunda de la Cámara del Trabajo di Cordoba è arrivata lo scorso 8
Gennaio (ho pubblicato il .pdf della sentenza a fondo articolo, ndr), in seguito
alle proteste di migliaia di argentini, stufi dei soprusi e dell’ipocrisia di
una delle peggiori aziende con cui dobbiamo fare i conti oggigiorno.
La Monsanto ha
dovuto abbandonare i cantieri e non potrà continuare a costruire la nuova
fabbrica, almeno fino a che non venga realizzato uno studio sull’impatto
ambientale e sanitario.
Ovviamente, la
Monsanto ha cercato di difendersi dicendo che ha soddisfatto “tutti i requisiti
legali” e che ha già a disposizione il rapporto (che avranno comprato a qualche
ricercatore ed analista corrotto, ndr) e che “è in processo di valutazione da
parte della Segreteria per l’Ambiente della provincia”.
La fabbrica
avrebbe dovuto produrre circa 60mila tonnellate di mais transgenico all’anno e
continuare ad avvelenarci.
Lo scorso Maggio
2013, circa 3 milioni di persone di ben 52 Paesi diversi, si sono unite in una
protesta mondiale contro la Monsanto, per ricordare a questi signori che il
geneticamente modificato non piace e fa male.
Per conoscere di
più sulle efferatezze della Monsanto, potete leggere gli studi del prof. Raúl
Montenegro, presidente della fondazione argentina FUNAM, che lotta per la difesa
dell’ambiente e della salute delle persone.
Se volete
boicottare la Monsanto, sappiate che controlla tutti i prodotti che riporto
nella tabella qua sotto e che tutti contengono materie prime transgeniche.
Il
microchip è un circuito integrato applicato nel tessuto sottocutaneo. I
microchip sono delle dimensioni circa di un chicco di riso e sono basati su una
tecnologia passiva NWO. I microchip sono particolarmente utili in caso di
rapimento o scomparsa dei bambini.Molte nazioni già utilizzano e richiedono il
microchip insieme alla vaccinazione.
Da Maggio 2014 entrerà in vigore, in tutta Europa, l’obbligatorietà di
sottoporre
i neonati all’installazione del microchip sottocutaneo che dovrà essere
applicato negli ospedali pubblici al momento della nascita.
Il microchip in questione è dotato, oltre che di una scheda tecnica con le
informazioni relative all’individuo, (nome, cognome, gruppo sanguigno, data di
nascita ecc) anche di un potente rilevatore GPS che funzionerà con una micro
batteria sostituibile ogni 2 anni presso i centri ospedalieri statali. Il GPS
all’interno del microchip è di nuova generazione e dunque consente un margine di
errore del rilevamento pari o inferiore ai 5 metri. Sarà collegato direttamente
ad un satellite, che gestirà le connessioni. Chi vorrà, potrà farsi impiantare
gratuitamente (o far impiantare ai propri figli) il microchip, anche se nato/i
prima del Maggio 2014, compilando un modulo di richiesta all’ASL di
appartenenza.
La CCCP (Comitato Consultivo per il Controllo della Popolazione) ha preso in
considerazione l’obbligatorietà di installazione anche ai cittadini nati prima
della suddetta data, ma ciò non avverà prima del 2017. L’istallazione sarà
totalmente indolore grazie al fatto che il chip verrà impiantato sotto pelle nel
gomito sinistro, privo di terminazioni nervose.
Finalmente una buona notizia dal mondo della tecnologia. Grazie a questo chip,
finalmente, si eviteranno tutti i casi di scomparsa o rapimenti che hanno
turbato il mondo in tutti questi anni. Inoltre sarà possibile, grazie a questa
tecnologia, nel futuro,
rintracciare facilmente tutti i criminali latitanti.
Sono
in duemila le persone nel mirino dei miliziani di Al Nusra e salafiti vicini ad
Al Qaeda. Monsignor Nazzaro lancia l’allarme e chiede l’aiuto delle forze
internazionali per salvare la piccola comunità
Duemila
cristiani sono in trappola dalla sera del 14 dicembre nel loro villaggio di Kanaye, in Siria, occupato militarmente da gruppi di miliziani di Al Nusra e
salafiti. Rischiano di essere massacrati se non si convertiranno all’Islam o se
non abbandoneranno le proprie case. Un abitante è riuscito a telefonare di
nascosto al vescovo emerito di Aleppo, mons. Giuseppe Nazzaro, il quale lancia
l’allarme e chiede aiuto per salvare la piccola comunità.
“Temiamo – ha detto il presule – che la popolazione sia costretta a fuggire in
massa o a convertirsi all’Islam se non vuol essere trucidata. In base alle
informazioni ricevute – riferisce mons.Nazzaro – gli al qaedisti stranieri sono
entrati nel villaggio e hanno impedito al parroco di suonare le campane per
avvertire del pericolo i suoi compaesani. Poi hanno bloccato le vie di accesso e
ordinato alla popolazione di adeguarsi alla legge coranica. Se anche una sola
donna dovesse uscire senza il velo islamico, tutti gli abitanti del villaggio
verrebbero passati per le armi”.
“La gente era terrorizzata – prosegue il vescovo – ma purtroppo da stanotte non
sono più riuscito a mettermi in contatto con loro e non ho ulteriori notizie”.
Nella regione di Idlib, prima che scoppiasse la guerra, vivevano 60mila
cristiani. Già lo scorso anno, gruppi di fondamentalisti avevano conquistato un
altro villaggio della zona, Ghassanieh, costringendo la popolazione civile
cristiana a fuggire, sotto minaccia di morte. In quell’occasione, intere
famiglie avevano abbandonato le case e tutti i loro beni nel giro di una notte.
I ribelli, dopo aver saccheggiato abitazioni e luoghi sacri, avevano trasformato
l’abitato in una loro roccaforte. “Anche Kanaye rischia la stessa sorte –
osserva mons.Nazzaro – ed è assurdo che nessuno muova un dito per proteggere i
cristiani siriani”. Il presule, ormai settantottenne, è stato arcivescovo di
Aleppo fino al marzo scorso, ed è tornato in Siria anche in ottobre, senza però
riuscire a raggiungere né la zona di Idlib né la sua ex sede vescovile.
Dall’inizio del conflitto, su oltre due milioni di cristiani siriani, circa
500mila hanno lasciato il Paese, mentre altre centinaia di migliaia sono
profughi all’interno della Siria. “A minacciarli – sottolinea mons. Nazzaro –
non sono i musulmani siriani, con i quali hanno convissuto in armonia per tanti
secoli, ma gli estremisti islamici provenienti dall’estero. Questa – conclude –
è una guerra di potenze straniere, in prima fila l’Arabia Saudita e il Qatar,
contro la Siria”. TGcom24 16 dicembre 2013
La
nuova regolamentazione del lavoro raccomandata dalla Trojka in Grecia produce i
suoi frutti... che si cominciano a vedere anche da noi. Nella Grecia della
recessione e dei nuovi accordi di finanziamento col FMI la realtà del mercato
del lavoro si è trasformata nel nostro peggiore incubo. I datori di lavoro non
solo pagano i propri dipendenti con fino a sei mesi di ritardo. Un nuovo
fenomeno si è presentato recentemente nel mercato del lavoro greco. Offerte di
posti di lavoro su base volontaria. In tempi di debiti, disoccupazione e
disperazione, i cittadini europei sono costretti non solo a lavorare per un
pezzo di pane in un paese onerato dai debiti con i prezzi al consumo che restano
spudoratamente alti. Ora, i dipendenti sono anche invitati a lavorare senza
stipendio, a lavorare per niente. Per nessuno stipendio affatto, su base
volontaria. L'unico premio per il dipendente disperato è la brillante
prospettiva di essere scelto come volontario dell'anno.
Pubblico alcuni esempi dei più recenti sviluppi nel mercato del lavoro greco,
nella speranza che qualcuno si rivolga alla Corte europea dei diritti dell'uomo.
Lavorare per niente
Nella
Grecia del capitalismo sfrontato e selvaggio, gli interessi privati e il
profitto diventano luoghi di sfruttamento selvaggio e di condizioni precarie del
mercato del lavoro, mentre allo stesso tempo si asseconda la nobile causa del
volontariato, un'attività altruistica per il miglioramento della vita umana e la
promozione della buone cause.
Società privata di Atene cerca volontari per il Dipartimento di Marketing,
orario di lavoro 09:00-17:00, almeno per quattro giorni al mese.
Conoscenze richieste : lavoro di squadra, voglia di imparare, ecc.
Offerte: esperienza di vita, soddisfazione morale, contatto con altri volontari,
certificazione di volontariato, "volontario dell'anno" . (fonte)
Lavorare per vitto e alloggio
Nel
migliore dei casi, i datori di lavoro offrono un pasto e un alloggio gratuiti,
come nel caso di un albergo sull'isola di Egina.
"Hotel cerca cameriera di piano per lavoro volontario a Egina, offre vitto e
alloggio."
Lavorare e restituire parte dello stipendio al datore di lavoro
I datori di lavoro sembrano non essere mai a corto di idee quando si tratta di
sfruttare le forze di lavoro. Un'addetta alle pulizie ha denunciato la scorsa
settimana che il datore di lavoro stava richiedendo indietro parte dello
stipendio.
La
donna era stata assunta da una società privata che aveva un contratto con un
ospedale pubblico di Atene. "Solitamente versavano sul mio conto in banca € 800
al mese, ma un paio di giorni dopo, due signore mi venivano a trovare e mi
chiedevano 200 € in contanti ", ha detto l'addetta alle pulizie a skai TV. . Ha
aggiunto che questa era la prassi comune per tutto il personale e che i
lavoratori erano costretti a restituire 200-300 euro a seconda del loro
stipendio.
Lavorare e attendere tre mesi per ricevere il salario.
Con
l'abolizione della contrattazione collettiva imposta dal FMI, operai e impiegati
in Grecia si trovano ad affrontare le nuove regole del lavoro, come la settimana
di sei giorni, orari di lavoro flessibili, lavoro a rotazione di 3 o 4 giorni la
settimana, senza indennità né remunerazione del lavoro straordinario.
Uno
degli ultimi esempi della nuova morale nel mercato del lavoro greco è stato
firmato all'inizio di novembre:
I
dipendenti di una compagnia di assicurazioni sono stati costretti a firmare
contratti di lavoro in base ai quali il pagamento dello stipendio avviene
regolarmente con un ritardo di 90 giorni!
" Il
pagamento degli stipendi per il personale avverrà entro 90 giorni dalla fine del
mese in cui è stato prestato il lavoro, sia tramite bonifico sul conto corrente
del dipendente sia in contanti o in combinazione dei due." (imerisia.gr)
Lavorare per dei buoni pasto
Nel
settore dei trasporti internazionali della Grecia una nuova contrattazione
collettiva prevede che i dipendenti saranno pagati in base al fatturato
dell'impresa. Se il fatturato diminuisce per un periodo di nove mesi, gli
stipendi saranno ridotti del 4 per cento. Se il suo fatturato aumenta, verrà
dato un bonus sotto forma di denaro o buoni pasto.
KeepTalkingGreece conclude così:
Ma lo
sapet qual'è la cosa più strana e vergognosa di tutta la situazione? Che il
settore pubblico greco, lo stato cosìprofondamente indebitato, mantiene ancora
dei salari più alti e pensioni più alte rispetto al settore privato.
...Mi
chiedo come mai questa debba essere vista come una vergogna, invece che come
l'ultimo baluardo di riconoscimento della dignità del lavoro in un paese
catturato e svenduto. (La forza del lavaggio del cervello).