ENRICO MATTEI

MORTO PERCHÉ VOLEVA

 UN'ITALIA LIBERA E SOVRANA

 

CHE ORRORE SE VEDESSE L'ITALIA DI ORA: SVENDUTA ALLO

STRANIERO E UMILIATA DALLA SUA STESSA CLASSE POLITICA

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

Chi decise la morte di Mattei?

 

 

INTRODUZIONE

ENRICO MATTEI - LA BIOGRAFIA

Enrico Mattei nacque ad Acqualagna, un paese delle Marche, il 29 aprile 1906, figlio di un brigadiere dei carabinieri. Frequentò le scuole elementari nel paese natio e in un paese vicino, Matelica. In collegio, a Vasto, fece le scuole tecniche inferiori, ed iniziò il corso superiore all’istituto tecnico di L'Aquila, senza riuscire a completarlo. Il padre lo mise subito al lavoro come manovale.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 lo si ritrova a Matelica, a dare una mano ai partigiani che si organizzano nella Resistenza. Nel marzo 1944 si reca a Milano. Qui egli ebbe uno stretto rapporto di amicizia con Augusto De Gasperi, fratello del futuro presidente del consiglio, Alcide De Gasperi. Per questo tramite, Mattei era venuto in contatto col gruppo cattolico e partecipò ai movimenti della Resistenza.

Alla fine del 1944 fu arrestato come partigiano, ma riuscì a fuggire in Svizzera, ove si fermò qualche settimana prima di tornare a Milano. Della sua vita partigiana non si sa altro, né le storie di quegli anni si ricordano di lui.

Tutto questo, tuttavia, spiega chiaramente l’influenza acquisita da Mattei nella Democrazia Cristiana dopo la liberazione d'Italia. A quel tempo egli era un industriale affermato, titolare di una fabbrica di oli per industrie tessili, concerie, zuccherifici e officine meccaniche, la Industria Chimica Lombarda Grassi e Saponi (ICL) di Milano. Il passo successivo a questo ruolo di piccolo imprenditore fu davvero di grande importanza: si ritrovò infatti in stretti contatti con l’AGIP (Azienda Generale Italiana Petroli).

Venne nominato Commissario per l'AGIP in Alta Italia con l’intenzione principale di rimuovere il Commissario preesistente. Si trovarono, a questo punto, di fronte due personaggi i cui nomi dovevano rimanere per sempre legati alla storia degli idrocarburi italiani. Colui che avrebbe dovuto scomparire era l’ingegnere Carlo Zanmatti.

Mattei aveva sostanzialmente l’ordine di sospendere le esplorazioni petrolifere e di liquidare gli impianti, ordine che è provato da numerosi documenti. Il 10 aprile del 1945, il sen. Petretti, allora presidente dell’AGIP, aveva affermato l’esigenza di una “politica di deciso raccoglimento nel settore della ricerca e della coltivazione per evitare ogni spesa che incidesse sul bilancio statale” lasciando “ogni ulteriore investigazione alla privata iniziativa”. Nel novembre, il ministro del tesoro Soleri ribadiva ufficialmente “la necessità di sospendere ogni attività nel campo delle ricerche, di curare soltanto lo sfruttamento delle sorgenti che si presentavano redditizie e di smobilitare il personale esuberante e gli impianti che dovrebbero essere al più presto alienati a condizioni favorevoli”.

Mattei trattò dunque per 250 milioni di lire la vendita degli impianti minerari delle concessioni AGIP, ma appena pronto il contratto qualche cosa lo trattene dal firmarlo: se gli acquirenti, rappresentati da alcune importanti società petrolifere straniere, erano disposti a pagare certe cifre per un residuo di apparecchiature che non valevano tanto, significava che il sottosuolo della Pianura Padana doveva celare ben altro che tracce di metano miste a tracce di petrolio di cattiva qualità. Inoltre, da alcuni documenti ufficiali, Mattei apprese che “Gulf” e “Standard Oil”, due delle più grosse multinazionali che lavoravano nel campo delle estrazioni petrolifere, avevano concluso un accordo secondo il quale si erano spartite le zone d’influenza sul territorio italiano. Infine, centinaia di permessi di ricerca di idrocarburi, quasi tutte relative a zone padane situate in prossimità di quelle dove si erano verificati i ritrovamenti dell’AGIP erano state presentate al Ministero dell’industria.

Tutta questa serie di elementi contribuirono certamente a svegliare i sospetti di Mattei e, appoggiato dallo stesso ingegner Carlo Zanmatti da un lato e dai suoi collaboratori dall’altro, l’indussero a rinviare la liquidazione. Mattei chiese dunque al governo di pazientare ancora un po’ prima di liberarsi definitivamente dell’AGIP e predicò a lungo per una ricostruzione piuttosto che una liquidazione.

Mattei, sotto la sua responsabilità, diede quindi l’ordine di  riprendere i lavori di perforazione nella Pianura Padana con lo scopo di portare avanti una sorta di sfida personale contro lo scetticismo degli ambienti governativi. E questa sfida venne vinta con risultati eclatanti: nel pozzo principale di Caviaga vennero estratti oltre 50mila m3 al giorno di metano.

Il 17 ottobre 1945 Mattei si dimise dalla sua carica di commissario, ma dal 4 ottobre era entrato nel consiglio di amministrazione dell’AGIP, che aveva deciso di riservargli una vice-presidenza. L’assemblea straordinaria della società, il 31 ottobre, ratificò quella decisione, inserì Mattei nel comitato esecutivo e lo munì di un’ampia procura. Egli conserverà questa nuova posizione fino alla costituzione dell’ENI che avvenne nel 1953.

Morì il 27 ottobre 1962 a Bescapè, nell’esplosione del suo jet privato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Enrico Mattei in privato

In compagnia di Moro

Riconoscimento accademico del 1961

1 Ottobre 1961 - Enrico Mattei durante il discorso di Torino

Mattei durante i festeggiamenti del 25 Aprile 1960

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ecco come hanno ucciso Enrico Mattei

 

Dal film "Il Caso Mattei" di Francesco Rosi

 

 

Chi ha ucciso Enrico Mattei?

Fonte web

Enrico Mattei fu assassinato, il suo caso insabbiato, i testimoni messi a tacere. Ma una cosa è certa: l’aereo su cui viaggiava il presidente dell’ENI e che cadde la sera del 27 ottobre 1962 a Bascapé, alle porte di Milano, fu sabotato.

Era un uomo che dava molto fastidio. La strategia di Mattei era volta a spezzare il monopolio delle “sette sorelle”, non soltanto per il tornaconto del nostro ente petrolifero, ma anche per stabilire rapporti nuovi tra i paesi industrializzati e i fornitori di materie prime.
Una strategia semplicemente inaccettabile per le grandi compagnie petrolifere che si spartiscono le ricchezze del mondo.

Dall’inchiesta della Procura di Pavia, riaperta a metà degli anni ‘90, risulta inoltre evidente che l’insabbiamento di quel crimine fu diretto dai vertici dei servizi. Per il sostituto procuratore di Pavia Vincenzo Calia il fondatore dell’ENI fu “inequivocabilmente” vittima di un attentato. Vincenzo Calia giunge vicino alla soluzione del caso e formula l’ipotesi dell’attentato, ma non può provarla. Scrive Calia: “L’esecuzione dell’attentato venne pianificata quando fu certo che Enrico Mattei non avrebbe lasciato spontaneamente la presidenza dell’ente petrolifero di Stato”. Calia ha dimostrato che l’esplosione che abbatté il bimotore Morane-Saulnier su cui viaggiavano il presidente dell’ENI, il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista americano William McHale fu causata da una bomba collocata nel carrello d’atterraggio del velivolo. Le prove contenute nelle 208 pagine del fascicolo dimostrano anche che l’inchiesta del 1962, presieduta dal generale dell’Aeronautica Ercole Savi, conclusasi dichiarando l’impossibilità di “accertare la causa” del disastro, fu in realtà un mostruoso insabbiamento.

Finora davanti alla sbarra è finito soltanto un contadino di Bascapé, Mario Ronchi, accusato di “favoreggiamento personale aggravato”. Secondo l’accusa vide l’aereo di Mattei esplodere in volo, rilasciò alcune interviste in questo senso a diversi organi di stampa e alla Rai e poi… si rimangiò tutto. Chi ha sabotato l’aereo? Chi sono i mandanti? Il pubblico ministero Calia non riesce ad accertarlo, ma è probabile che vi siano responsabilità di uomini inseriti nell’Eni e negli organi di sicurezza dello Stato. E ancora depistaggi, manipolazioni, soppressioni di prove e di documenti, pressioni che impediscono l’accertamento della verità.
Il 27 luglio 1993 dal “pentito” di mafia Gaetano Iannì giungono dichiarazioni importanti.

Secondo Iannì per l’eliminazione di Mattei ci fu un accordo tra non meglio identificati “americani” e Cosa nostra siciliana. A mettere una bomba sull’aereo di Mattei fuono alcuni uomini della famiglia mafiosa capeggiata da Giuseppe Di Cristina. Anche Tommaso Buscetta rivela che la mafia americana chiese a Cosa nostra il favore di eliminare Enrico Mattei “nell’interesse sostanziale delle maggiori compagnie petrolifere americane”. In Italia, poi, Mattei era un finanziatore della politica, nemico dei circoli economici e politici legati ai grandi interessi.
La certezza è che il presidente dell’ENI Enrico Mattei, il più potente manager di stato italiano viene uccisola sera del 27 ottobre 1962 insieme al pilota Irnerio Bertuzzi e al giornalista americano William Mc Hale. Parallelamente all’inchiesta amministrativa condotta dall’Aeronautica Militare, la Procura di Pavia apre un’inchiesta per i reati di omicidio pluriaggravato e disastro aviatorio. L’inchiesta militare si chiude rapidamente, nel marzo 1963, senza avere sostanzialmente accertato la causa dell’incidente; Pavia chiude le indagini penali il 7 febbraio 1966, accogliendo le richieste della procura e pronunciando sentenza “di non luogo a procedere perché i fatti non sussistono”. A ridare fiato alla vicenda sul finire degli anni Settanta sono un libro e un film. Il libro, scritto da Fulvio Bellini e Alessandro Previdi, è intitolato “L’assassinio di Enrico Mattei”. Il film è “Il caso Mattei” di Francesco Rosi.

Contemporaneamente Italo Mattei, fratello di Enrico, chiede che venga istituita una commissione parlamentare di inchiesta. Sono troppi i dubbi sull’incidente e inoltre la scomparsa di Mattei ha fatto comodo a troppe persone, in Italia e all’estero, dal momento che i suoi rapporti con i paesi del terzo mondo produttori di petrolio avevano urtato il cartello petrolifero delle sette sorelle. La riapertura delle indagini viene chiesta anche da una campagna stampa del settimanale “Le ore della settimana” e da una serie di interrogazioni parlamentari. L’interesse attorno alla misteriosa fine del “re del petrolio italiano” riceve nuovo impulso dalle indagini sulla scomparsa del giornalista dell’ “Ora” di Palermo Mauro De Mauro, il 16 settembre 1970. Una delle piste seguita dall’inchiesta sulla fine di De Mauro ipotizza infatti che il giornalista palermitano sia stato sequestrato e ucciso per aver scoperto qualcosa di molto importante circa la morte del presidente dell’E.N.I.: De Mauro aveva infatti ricevuto dal regista Rosi l’incarico di collaborare alla preparazione della sceneggiatura del film “Il caso Mattei”, ricostruendo gli ultimi due giorni di vita trascorsi dal presidente dell’E.N.I. in Sicilia.

L’indagine sulla scomparsa di De Mauro si conclude in un nulla di fatto, nonostante la richiesta di ulteriori investigazioni formulata dal GIP di Palermo ancora nel 1991. Il procedimento viene archiviato il 18 agosto 1992: De Mauro non poteva aver scoperto nulla di particolare intorno alla morte di Enrico Mattei, dal momento che la magistratura di Pavia aveva ritenuto del tutto accidentale la natura del disastro di Bascapè. Il 20 settembre 1994 il gip di Pavia autorizza la riapertura delle indagini nei confronti di ignoti. La riapertura era stata chiesta dalla procura pavese che, per competenza, aveva ricevuto dalla procura di Caltanisetta l’estratto delle dichiarazioni rese da un pentito di mafia. Il 5 novembre 1997 il pubblico ministero di Pavia Vincenzo Calia giunge a questa conclusione: “l’aereo, a bordo del quale viaggiavano Enrico Mattei, William Mc Hale e Inrneio Bertuzzi, venne dolosamente abbattuto nel cielo di Bascapè la sera del 27 ottobre 1962. Il mezzo utilizzato fu una limitata carica esplosiva, probabilmente innescata dal comando che abbassava il carrello e apriva i portelloni di chiusura dei loro alloggiamenti”. Di più non si riesce a scoprire e le domande rimangono. Enrico Mattei stava per spezzare la morsa costruita attorno a lui dal cartello petrolifero che escluse l’ENI dal mercato petrolifero internazionale, negandogli concessioni nei paesi produttori alla pari con le altre compagnie petrolifere. Mattei allora dichiarò guerra al sistema neocoloniale delle concessioni, offrendo ai paesi produttori un accordo rivoluzionario, il 75% dei profitti contro il 50% finora offerto dalle compagnie, e la qualificazione della forza lavoro locale. Il cartello reagì furiosamente, giungendo a rovesciare governi, come quello libico, che avevano accettato l’offerta e aperto all’ENI prospettive di grandi forniture. Nel 1962, quando si andava prospettando la soluzione della questione algerina, Mattei era riuscito ad aggirare il blocco.

Sostenendo il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), Mattei aveva ipotecato un trattamento preferenziale verso l’ENI dal futuro governo. Si pensava allora che l’Algeria possedesse, al confine con la Libia , le più vaste riserve di petrolio inesplorate del mondo. Parallelamente a Mattei si mosse De Gaulle, che decise di riconoscere l’indipendenza algerina. Come contropartita, la compagnia petrolifera francese ottenne gli stessi privilegi dell’ENI. L’ingresso trionfale dell’ENI sul mercato petrolifero era quindi quasi assicurato.
Non solo, l’Executive Intelligence Review, attraverso una ricostruzione minuziosa del caso Mattei, afferma che il presidente dell’Eni, alla fine, era riuscito ad aprire un dialogo con la Casa Bianca , nonostante la stampa internazionale avesse dipinto Mattei come un pericoloso sovversivo anti-americano. Mattei, per l’Eir, era riuscito a far capire alla nuova amministrazione Kennedy che tutto ciò che desiderava era essere trattato alla pari, che egli non ce l’aveva con l’America ma con i metodi coloniali applicati dalle “sette sorelle” del petrolio. L’amministrazione Kennedy accettò il dialogo e fece pressioni su una compagnia petrolifera, la Exxon , per concedere all’Eni dei diritti di sfruttamento. L’accordo sarebbe stato celebrato con la visita di Mattei a Washington, dove avrebbe incontrato il Presidente Usa e ottenuto il conferimento di una laurea honoris causa da parte di una prestigiosa università statunitense.

Alla vigilia di quel viaggio, il 27 ottobre 1962, Mattei fu assassinato. Un anno dopo, fu ucciso Kennedy. In un rapporto confidenziale del Foreign Office del 19 luglio 1962, si leggeva che “il Matteismo” era “potenzialmente molto pericoloso per tutte le compagnie petrolifere che operano nell’ambito della libera concorrenza (…). Non è un’esagerazione asserire che il successo della politica ‘Matteista’ rappresenta la distruzione del sistema libero petrolifero in tutto il mondo”. E quindi Mattei andava eliminato, in un modo o nell’altro.

 

 

Sfilata a Milano con Mattei insieme ai partigiani

 

 

i RAPPORTI SEGRETI A LONDRA

Fonte web

Rapporti top secret inviati a Londra. Fino all'articolo del "Financial Times" alla vigilia dell'incidente aereo: "Se ne deve andare"

Enrico Mattei: L'UOMO CHE guardava al futuro: con questo titolo, andò in onda su Rai Uno la fiction su Enrico Mattei. Ma ai suoi tempi, per i sussiegosi e pragmatici funzionari della diplomazia britannica, più che guardare al futuro il capo dell'Eni era l'uomo che intralciava il loro presente. Anzi, seriamente e decisamente lo minacciava.

Fino al punto di...? Alt, no, questo non si può dire. Anche se il cospicuo dossier arrivato in Italia include carte a loro modo profetiche - tipo la fotocopia di un articolo del Financial Times che a due giorni dalla morte di Mattei si chiede se questi "dovrà andarsene" (Will signor Mattei have to go?) - i documenti recuperati da Mario J. Cereghino negli archivi britannici non autorizzano forzature, né automatismi cospirativi. Eppure, a meno di tre mesi dall'incidente aereo di Bascapé, 27 ottobre 1962, in un documento classificato come "segreto", dal ministero dell'Energia scrivono al Foreign Office: "L'Eni sta diventando una crescente minaccia agli interessi britannici. Ma non dal punto di vista commerciale [...] La minaccia dell'Eni si sviluppa, in molte parti del mondo, nell'infondere una sfiducia latente nei confronti delle compagnie petrolifere occidentali". Insomma, l'Eni incoraggia "l'autarchia" energetica a scapito dell'Inghilterra.

Una questione di principio. A settembre, al ministero degli Esteri del governo di Sua Maestà, fanno il punto "sui passi per contrastare il gruppo italiano". Ovviamente "è una materia da trattare con attenzione". Ci sono questioni da girare all'intelligence: "Fino a che punto l'Eni dipende dal petrolio russo? [...] È possibile distinguere tra le attività dell'Eni e gli interessi italiani? [...] Siamo in grado di affrontare il problema della virulenta propaganda di Mattei contro l'imperialismo e contro le compagnie petrolifere?". Non si conoscono le risposte. Eppure tante altre carte ricostruiscono in modo abbastanza impressionante lo scenario, il contesto, l'atmosfera che nell'autunno del 1962 si era venuta a creare attorno a quello che è diventato un eroe da tele-fiction.

Lo storico Nico Perrone, il massimo studioso di Mattei, ha esaminato questi documenti: "Contengono giudizi più sottili, più articolati e più intelligenti di quelli che si trovano negli archivi americani. A Washington reagivano grossolanamente e in ritardo; mentre gli inglesi avevano capito meglio e subito".

I funzionari britannici stanno addosso al presidente dell'Eni. Abbondano le schede, i rapporti, i memorandum. Si inventano pure il termine Matteism per indicare un modo di fare politica e affari. A loro modo lo ammirano anche. Questo si legge in un rapporto del Foreign Office alla legazione britannica di Washington: "Mattei punta in alto. A nostro parere è un manager tosto e un uomo potente nonché pericoloso".

È il 1957 quando l'ambasciatore a Roma, Ashley Clarke, nota: "A differenza di molti esponenti democristiani non sembra corrotto a livello personale. Vive in modo tutto sommato modesto. Il suo unico svago è la pesca: non ci pensa due volte a volare in Alaska per una battuta di pesca di una settimana [...] Si trova nelle condizioni di fare gran bene o gran male all'Italia".

È vanesio, certo, e dittatore. Mostra "tendenze napoleoniche" ed "estrema suscettibilità". Gli americani, fanno sapere a Londra i diplomatici di Sua Maestà, pensano che "soffra di megalomania". I difetti di un personaggio ragguardevole sono spesso la faccia in ombra delle sue virtù: "Come tutti gli uomini che si sono fatti da sé, Mattei è vanitoso e non tollera il benché minimo affronto, soprattutto se proviene da uno straniero. Nel lavoro è autocratico e spietato, ma al contempo molto ammirato e rispettato".

Dinamismo e dedizione al lavoro, gli riconosce anche un dirigente della Bp: "È l'apostolo delle imprese statali. Però molti ritengono che la sua psicologia si avvicini molto al concetto de "Lo Stato sono io"". Questo orgoglio può solleticare un certo spirito sportivo degli inglesi, ma certo non li rassicura negli affari. Mattei fa il diavolo a quattro, fa abbassare i prezzi del petrolio dall'Iran all'Etiopia, dal Marocco al Pakistan all'Arabia Saudita. Un po' bluffa, ma dal punto di vista degli inglesi un po' anche bara. O almeno: "Gioca con più mazzi di carte allo stesso tempo", si legge in un memorandum del ministero dell'Energia. Clarke insiste: "È un tipo che non si ferma dinanzi a niente".

Dai documenti si capisce che il "pericolo" è doppio. Riguarda da un lato le questioni dell'energia, ma dall'altro va a sbattere sulle alleanze e sulla stabilità di intere aree del mondo, a partire dal Medio Oriente, per giunta all'indomani della crisi di Suez. Il guaio supplementare è che dell'anticolonialismo questo italiano ha fatto una bandiera. Il petrolio è un mezzo per affermare una politica sociale e nazionale: "I successi in Egitto e in Persia gli hanno dato alla testa [...] Di fatto ha dato fuoco alle navi".

Le compagnie petrolifere cominciano a "preoccuparsi seriamente della loro posizione in Italia", avvisa l'addetto commerciale dell'ambasciata di Roma nel luglio del 1960. Ma già ad agosto Clarke prevede: "Non vi è dubbio che in futuro Mattei diventerà una notevole spina nel fianco delle nostre imprese, anche in altre aree del mondo". E colpiscono le conclusioni su questo personaggio "indubbiamente infido" che "in passato ha già utilizzato tattiche ricattatorie [...] E Mattei non solo non è crollato, ma al momento è più forte che mai".

Ha appena concluso accordi commerciali con l'Urss e si dispone a stringerne con la Cina comunista: "In futuro", scrivono all'ambasciata britannica di Pechino, "potrebbe fornire ai cinesi tutto il petrolio di cui hanno bisogno". Così da Londra cercano di capire se il governo italiano ispira o si limita a coprire le scorribande dell'Eni, o se è pronto a scaricare il leader del cane a sei zampe. Le carte offrono resoconti mortificanti sui politici italiani: distratti, ambigui, sfuggenti. Il ministro degli Esteri, il liberale Martino, fa spallucce; il presidente Segni è tutto preso dall'agricoltura.

Meno vaghi, anche se sorprendentemente ostili all'Eni, appaiono due diplomatici italiani. Un funzionario del Foreign Office contatta a Londra un diplonatico italiano, Prunas: "La sua impressione è che, se non affrontato in maniera appropriata, Mattei potrebbe diventare pericoloso: e nel dirmi ciò", specifica Mr Beeley, "mi ha chiesto di mantenere il massimo riserbo". Lo stesso riserbo che in tempi non sospetti il segretario generale della Farnesina, marchese Rossi-Longhi, chiede a Mr Hohler, incaricato d'affari dell'ambasciata: "Secondo Rossi-Longhi potremmo raggiungere migliori risultati assumendo un atteggiamento fermo e piuttosto duro con Mattei".

In realtà, dai documenti trovati da Cereghino viene fuori che il governo britannico, per tutto il 1961, spinge la Bp e la Shell, due delle sette sorelle, a trovare un accordo con l'Eni: "Fino a quando", scrive nell'agosto del 1961 Mr Laskey, un funzionario dell'ambasciata, "continueranno a considerare Mattei come una sorta di verruca o di escrescenza da ignorare (o che al momento non può essere asportata) è difficile che egli si comporti in maniera amichevole".

Niente di più difficile: e infatti Mattei insiste nel suo gioco - anche se forse non si rende conto che sta oltrepassando il terreno petrolifero per entrare di slancio nel campo scivoloso degli equilibri geopolitici. È di nuovo un italiano, il banchiere Lolli, Bnl, a mettere sull'avviso gli inglesi: "I sentimenti antiamericani di Mattei sono così forti che potrebbero trasformarsi in un pericolo sostanziale. In altre parole, potrebbe commettere qualche sciocchezza". Meglio quindi che le compagnie inglesi trovino un'intesa.

L'unico leader italiano che tiene testa a Mattei è Fanfani. Nell'autunno del 1961 l'allora presidente del Consiglio convoca a Palazzo Chigi Arnold Hofland, responsabile del settore Europa meridionale della Shell. Fanfani tenta una spericolata mediazione: "Personalmente il premier non vede di buon occhio l'intesa con Mosca e si è detto pronto ad annullarla. A patto però che Mattei sia messo in condizione di aggiudicarsi quei diritti estrattivi che permetterebbero all'Italia di disporre di una fonte di rifornimento autonoma".

Il colloquio dura due ore e mezzo, ma non produce risultati. Peggio: Hofland, petroliere disincantato, concorda con l'ambasciatore sul fatto che Mattei "risulta sempre più pericoloso, anche se", aggiunge, "personalità come Paul Getty sono in grado di creare grane ben peggiori". Clarke è più risoluto e pessimista: quelli che chiama "i ricatti di Mattei" sono "meno marginali di quanto sembrano". In questo cupo scenario, pur venato da un garbato understatement, si apre il 1962: l'ultimo della vita di Mattei.

Ora, anche in politica internazionale, i "pericoli" è meglio sventarli per tempo; e nessuno ama farsi "ricattare". C'è parecchio nervosismo all'ambasciata di Roma, al ministero dell'Energia, alla Bp, alla Shell. Il 7 agosto i funzionari del Foreign Office inseriscono in un già corposo dossier una strana, ma eloquente nota semi-anonima.

La spedisce, su carta intestata, un non meglio identificato Mr Searight: "Di recente una certa persona ha sostenuto una conversazione con una importante personalità dell'industria petrolifera che recentemente è entrata in contatto con Mattei. A suo dire, Mattei gli avrebbe confidato la seguente riflessione: "Ci ho messo sette anni per condurre il governo italiano verso una apertura a sinistra (in italiano nel testo, ndr). E posso dire che ce ne vorranno di meno per far uscire l'Italia dalla Nato e metterla alla testa dei Paesi neutrali"". I "Non Allineati", come si diceva in quegli anni. Aggiunge la noticina: "Non ci sono motivi per dubitare che tali affermazioni siano state effettivamente fatte". Possibile: il personaggio era quello che era. Gli eroi da tele-fiction guarderanno pure al futuro, ma intanto è ancora la lezione del passato che bisognerebbe capire meglio.

I documenti:
I documenti del Foreign Office su Enrico Mattei su cui sono basate queste pagine sono stati trovati dal ricercatore Mario J. Cereghino negli Archivi nazionali britannici di Kew Gardens, a sud di Londra, e sono ora consultabili presso l'Archivio Casarrubea di Partinico, in provincia di Palermo (www.casarrubea.wordpress.com)
nelle foto Mattei entra a Milano con capi partigiani

 

 

Enrico Mattei con la moglie Greta

 

 

 

L'AUTISTA DI MATTEI: 'IO SO CHI Lo UCCISE'

Fonte web

ROMA - ' Chi ha ucciso Mattei? Io lo so e l' ho scritto in un documento segreto che si trova nell' archivio storico dell' Eni' . Antonio Freddi, 80 anni, autista del presidente dell' Eni ucciso 33 anni fa, racconta in una intervista esclusiva sul Venerdi di Repubblica, domani in edicola, i segreti e i retroscena di uno dei casi più misteriosi nella storia politica della Repubblica italiana. Freddi scelto come autista da un collaboratore di Mattei per la somiglianza con il presidente ucciso, passa in rassegna tutte le ipotesi sui possibili mandanti dell' omicidio. ' La mafia? Può essere' sostiene.

E aggiunge: 'Mattei voleva far pagare poco agli italiani il consumo del petrolio. Ma questo non piaceva a qualcuno. E allora è stato fatto fuori'. Freddi commenta positivamente la riapertura dell' inchiesta sul caso Mattei da parte del giudice di Pavia, Vincenzo Calia. 'Falcone, Borsellino, il generale Dalla Chiesa avevano scoperto molti segreti di Cosa Nostra. Per questo sono stati uccisi' afferma. Freddi ricorda anche i momenti belli passati con Mattei. 'Gli piaceva molto andare con la sua Giulietta. Era una sua debolezza. Ne aveva acquistata un' altra per sua moglie'.

E ancora: 'Tutte le mattine veniva dall' albergo Eden dove alloggiava alla sede dell' ente di Stato. Puntualissimo alle 8,05 del mattino, parcheggiava la sua Giulietta nel garage. Poi la sera, a volte anche alle dieci, la riprendeva e se ne andava'. Freddi è stato l'autista di Mattei per oltre venti anni. Nella tragica mattina dell' attentato lo accompagnò anche all'aeroporto di Ciampino, da dove doveva partire per Gela. 'In macchina c' era anche un giornalista americano. Parlarono molto' dice. Freddi ascoltava in silenzio come ha sempre fatto in venti anni di servizio.

 

 

Raffigurazione giornalistica del momento prima dell'impatto

 

 

LA STORIA GIUDIZIARIA

Un'inchiesta lunga di decenni non ancora conclusa

Fonte web

Il presidente dell'ENI Enrico Mattei, il più potente manager di stato italiano, muore la sera del 27 ottobre 1962 quando l'aereo sul quale viaggiava, un Morane Saulnier 760, precipita a Bascapè (Pavia), poco prima di atterrare a Linate. Insieme a Mattei perdono la vita il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista americano William Mc Hale. Incidente o sabotaggio? Parallelamente all'inchiesta amministrativa condotta dall'Aeronautica Militare, la Procura di Pavia apre un'inchiesta per i reati di omicidio pluriaggravato e disastro aviatorio.

Mentre l'inchiesta militare si chiude rapidamente, già nel marzo 1963, senza avere sostanzialmente accertato la causa dell'incidente, il giudice istruttore pone fine alle indagini penali il 7 febbraio 1966, accogliendo le richieste della Procura e pronunciando sentenza "di non luogo a procedere perché i fatti non sussistono".
A ridare fiato alla vicenda sul finire degli anni Settanta sono un libro e un film. Il libro, scritto da Fulvio Bellini e Alessandro Previdi, è intitolato "L'assassinio di Enrico Mattei". Il film è "il caso Mattei" di Francesco Rosi.

Contemporaneamente Italo Mattei, fratello di Enrico, chiede che venga istituita una commissione parlamentare di inchiesta. Sono troppi i dubbi sull'incidente e inoltre la scomparsa di Mattei ha fatto comodo a troppe persone, in Italia e all'estero, dal momento che la sua spregiudicatezza, la sua aggressività, i suoi rapporti con i paesi del terzo mondo produttori di petrolio avevano urtato il cartello petrolifero delle sette sorelle. La riapertura delle indagini viene chiesta anche da una campagna stampa del settimanale "Le ore della settimana" e da una serie di interrogazioni parlamentari. L'interesse attorno alla misteriosa fine del "re del petrolio

 

 

APPROFONDIMENTO VIDEO

 

Benito Livigni al V° Congresso di Senza Bavaglio (1)

Benito Livigni al V° Congresso di Senza Bavaglio (2)

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Benito Livigni al V° Congresso di Senza Bavaglio (5)