Le formichine d’Asia

accumulano per la grande cicala

di Maurizio Blondet, da Avvenire del 9 marzo 2004

 

È accaduto anche a febbraio: gli Usa si aspettavano dalla ripresa la creazione di 125mila posti di lavoro, e ne hanno prodotti 21mila. In ogni caso, meglio di gennaio: degli attesi 200mila nuovi impieghi, ne erano comparsi 1000. Diconsi mille anemici posti di lavoro, per 260 milioni di abitanti della superpotenza mondiale. Ma che ripresa è? È facile dire jobless recovery, ripresa senza lavoro. Bisogna capirne il motivo. John Mauldin, analista finanziario della Millennium Wave Advisors, nota che dal 2000 ad oggi la produzione industriale ha subìto un calo del 3 per cento, più che compensato dall'accresciuta produttività della manodopera (+17 per cento). «Produciamo la stessa quantità di beni con meno lavoratori», dice. Secondo lui, è un cambiamento non «ciclico», ma «strutturale»: il che significa che durerà..

Ufficialmente, la disoccupazione americana resta al 5,6 per cento. Ma le statistiche americane conteggiano solo quelli che hanno cercato un lavoro nel mese precedente. Se si prendono in conto anche i disoccupati che non l'hanno cercato nelle ultime quattro settimane, si sale all'8,8%. E se si contano i 4,4 milioni di americani che lavorano part-time ma vorrebbero un lavoro full-time, si arriva all'11,8 per cento.

Tassi di disoccupazione da Sud-Europa. E non da ripresa, ma da semi-recessione: durante il New Deal di Roosevelt, 1933, il tasso era del 17%. Eppure la ripresa c'è: un robusto + 4% annuo. Qual è allora il motore della locomotiva americana?

La risposta è nota: i consumi degli individui. È esclusivamente la sete di acquisti di auto, case, cellulari, computer delle famiglie americane a tenere su i giri. E se chiedete come mai gli americani spendano tanto, mentre i loro redditi non crescono, anche qui la risposta è nota: indebitandosi.

Ma è la misura di questo indebitamento ad essere nuova. Richard Benson, altro analista (SFGroup), dice: l'anno scorso il reddito individuale è cresciuto del 2%, e il debito individuale del 10%. La somma dei debiti privati ha raggiunto i 2 trilioni di dollari. Il trilione è una cifra da fumetti, la misura della ricchezza di Paperon de' Paperoni. Oggi in Usa è una realtà familiare. Che si aggiunge ai 7 trilioni di debito pubblico.

Gli americani consumano, consumando se stessi. Data la politica di bassi tassi d'interesse attuata dalla Banca centrale, ne hanno approfittato per rinegoziare i mutui sulla casa in termini più favorevoli: e quel che hanno ricavato l'hanno gettato in consumi. Anche i 200 miliardi di dollari rimasti nelle loro tasche a causa delle riduzioni fiscali di Bush, sono andati in spese. Insaziabili, gli americani incettano le merci del mondo, pagando a credito.

E chi fa loro credito in quella misura astronomica? Il mondo intero. La Banca centrale del Giappone continua da mesi a comprare Buoni del Tesoro americani, ossia titoli del debito pubblico del grande debitore, nel tentativo (vano) di frenare il rialzo dello yen. I risparmiatori asiatici incettano titoli americani; le formiche prestano così alle cicale. In fondo, è un vantaggio reciproco: così la locomotiva americana tira, e la recessione globale viene rimandata.

Ma fino a quando? Ormai, l'80% dei risparmi di tutta l'Asia vengono riversati in Usa, per consentire agli americani di vivere sopra i loro mezzi. Chiamiamola "ripresa": ma è una ripresa malata. E malata grave.