I.O.R.
LA BANCA DEL VATICANO DI
NUOVO NELLA BUFERA
Possiamo oggi sperare che la Chiesa recuperi lo spirito evangelico, che non prevede banche proprie? Oppure dobbiamo rassegnarci al motto di Monsignor Marcinkus: «Non si può governare la Chiesa con le sole Ave Maria»?! Si sa per certo che in Vaticano in passato, sempre restando al motto di Marcinkus, ci sono stati casi dove le offerte dei fedeli per le messe venivano dirottate su conti privati. Dall'Unione Europea intanto fanno sapere che lo IOR non ha ancora accettato, nemmeno formalmente, le norme antiriciclaggio comunitarie nonostante le buone intenzioni espresse dai suoi vertici. Ora più che mai il Vaticano deve scegliere tra San Francesco e il business!
(a cura di Claudio Prandini)
Che cosa è accaduto allora tra il 6 settembre, quando il Credito artigiano ha ricevuto dallo Ior il fax con la richiesta di bonifico, e il 14 settembre, quando ha inoltrato la denuncia alla Banca d’Italia? Possibile, si chiedono i porporati, che il presidente Gotti Tedeschi e il consigliere De Censi non si siano consultati nel corso di quella settimana? E perché non hanno informato la commissione cardinalizia di vigilanza? Incomprensibile anche il comportamento del direttore dello Ior, Cipriani, che ha insistito nel voler trasferire capitali in violazione della normativa antiriciclaggio, pur sapendo che tutti i conti correnti dello Ior presso gli istituti di credito italiano sono già da un anno sotto la lente della procura di Roma e lo stesso Credito artigiano fin dal mese di aprile aveva chiesto il blocco dell’operatività del conto dello Ior. Presso la Banca d’Italia negano che la procedura di adeguamento dello Ior alla normativa antiriciclaggio sia in fase avanzata, come sostiene il presidente Gotti Tedeschi. Anzi, i consulenti della banca vaticana nei mesi scorsi avrebbero messo in discussione la natura di istituto bancario dello Ior e dunque l’applicabilità della normativa comunitaria. In Vaticano c’è persino chi lega questa vicenda alla defenestrazione di Alessandro Profumo. Ma siamo solo, per ora, nel campo delle ipotesi (fonte web). |
INTRODUZIONE
NUOVE NUBI SUL VATICANO
«Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore. Nessuno può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, o preferirà l'uno e disprezzerà l'altro: non potete servire a Dio e a mammona» (Mt 6, 19-21; 24).
Così parlava Gesù. I suoi successori possiedono però una banca. Una banca molto chiacchierata, investita con la gestione Marcinkus dallo scandalo della P2, per i suoi rapporti con personaggi come Sindona e Calvi, per il riciclaggio di denaro di provenienza mafiosa. Qualche anno fa ci fu la clamorosa scoperta dell’archivio segreto di Monsignor Renato Dardozzi che, con migliaia di documenti, ha svelato operazioni finanziarie mascherate da opere di carità e fondazioni di beneficenza. Un vero Vaticano S.p.a. Sembrava che il nuovo presidente, il banchiere Ettore Gotti, recentemente nominato dal papa, volesse fare, finalmente, pulizia. Invece, siamo ancora daccapo. Si parla di elusione di norme antiriciclaggio. La magistratura ha così provveduto al sequestro di una somma importante.
Vorrà finalmente rispondere il Vaticano alla giustizia italiana senza farsi scudo del Concordato? Apparentemente sembra che ci si voglia incamminare verso la strada della trasparenza, ma ancora troppe nubi nere si addensano sul centro della Chiesa Cattolica fino ad oscurarlo e si sentono già voci di prelati che fanno resistenza. Riuscirà il Papa a togliere i mercanti dal tempio, come anche gli affari sporchi della “Propaganda Fide”? Dai documenti di Monsignor Dardozzi, che lavorò in Vaticano per decenni, salta anche fuori che nemmeno Giovanni Paolo II riuscì in questo intento. E poi: con quali provvidenziali alchimie lo IOR, secondo fonti di stampa, può assicurare fino al 12% netto di interesse ai suoi clienti occulti?
Tra gli anni 80-90 e fin quasi ai nostri giorni ci furono spericolate operazioni finanziarie mascherate da opere di carità e fondazioni di beneficenza. Dopo la fuoriuscita di Marcinkus dalla Banca del Papa, parte un nuovo e sofisticatissimo sistema di conti cifrati nei quali transitano centinaia di miliardi di lire. L'artefice è monsignor Donato de Bonis. Conti intestati a banchieri, imprenditori, immobiliaristi, politici tuttora di primo piano, compreso Omissis, nome in codice che sta per Giulio Andreotti. Titoli di Stato scambiati per riciclare denaro sporco. I soldi di Tangentopoli (la maxitangente Enimont) sono passati dalla Banca vaticana, ma anche il denaro lasciato dai fedeli per le messe è stato trasferito in conti personali. Lo Ior ha funzionato come una banca nella banca. Una vera e propria "lavanderia" nel centro di Roma, utilizzata anche dalla mafia e per spregiudicate avventure politiche. Un paradiso fiscale che non risponde ad alcuna legislazione diversa da quella dello Stato Vaticano. Tutto in nome di dio.
Possiamo oggi sperare che la Chiesa recuperi lo spirito evangelico, che non prevede banche proprie? Oppure dobbiamo rassegnarci al motto di Monsignor Marcinkus: «Non si può governare la Chiesa con le sole Ave Maria». Ora più che mai il Vaticano deve scegliere tra San Francesco e il business!
IOR: indagato Gotti Tedeschi. Sequestrati 23 milioni di euro
Tre operazioni di accredito, due conti correnti estinti, un elenco di «soggetti» che hanno incassato assegni o ricevuto bonifici. Su questo si concentra l’indagine della Procura di Roma sui depositi aperti presso il Credito Artigiano di Roma e intestati allo Ior dopo il sequestro dei 23 milioni avvenuto due giorni fa. Perché, nonostante il blocco operativo deciso dai vertici dell’istituto di credito il 19 aprile scorso, due settimane fa il presidente Ettore Gotti Tedeschi e il direttore generale Paolo Cipriani hanno tentato di trasferire quel denaro in parte in Germania (20 milioni di euro presso la JP Morgan di Francoforte), in parte presso un altro conto (3 milioni presso una filiale della Banca del Fucino sempre nella capitale). E per questo sono accusati di violazione della normativa antiriciclaggio.
I vertici dello Ior erano stati avvisati della necessità di mettersi in regola con la normativa che impone a tutte le banche extracomunitarie di comunicare le informazioni sulla propria clientela prima di effettuare qualsiasi operazione. Si tratta dei cosiddetti «obblighi rafforzati » che riguardano la fornitura di assegni, l’esecuzione di bonifici e le operazioni contanti. Avevano assicurato di avere attivato la procedura e di essere pronti a consegnare le informazioni richieste. Ma non è accaduto quanto promesso ed è intervenuta la magistratura.
La riunione riservata tra i vertici
delle banche
È proprio il provvedimento firmato dal giudice per «sigillare» la somma a
ricostruire le movimentazioni degli ultimi tre anni. Ma anche a rivelare che il
23 aprile scorso, dunque quattro giorni dopo la decisione di «congelare » il
conto, ci fu «un incontro tra i vertici dello Ior e del Credito Artigiano i cui
esiti però non sono noti» e di cui sarà adesso chiesto conto ai due indagati.
Bisognerà infatti verificare come mai, nonostante l’impegno a mettersi in
regola, i responsabili della banca vaticana abbiano eluso le richieste formali
che invece secondo quanto previsto dalle legge dovevano essere soddisfatte sin
dal gennaio scorso e in base a un decreto legislativo entrato in vigore nel
2007. Nell’attesa degli interrogatori, i pubblici ministeri stanno esaminando la
documentazione finanziaria già acquisita. Entrando nel dettaglio delle
operazioni si scopre che quelle «censite come "Accrediti e incassi connessi a
effetti" per un totale di 72 milioni e 440 mila euro corrispondono a tre
distinte operazioni in avere effettuate il 17 marzo, il 17 giugno e il 16
settembre del 2009 rispettivamente da 22 milioni di euro circa la prima e 25
milioni di euro circa le altre due». Ed è a questo punto che si entra nel
dettaglio rivelando come i 22milioni provengono «dall’estinzione del conto 11231
acceso sempre presso il Credito Artigiano, che in contropartita viene censita
impropriamente come "prelevamento con moduli di sportello"».
I controlli sui beneficiari di assegni
e bonifici
Simile procedura viene seguita anche negli altri casi. Gli accertamenti condotti
dal nucleo valutario della Guardia di Finanza hanno consentito di verificare
come i due versamenti da 25 milioni «si riferiscono all’accredito per
"estinzione di deposito" da ritenere verosimilmente remunerato presso il
medesimo istituto (circostanza ancora da verificare nel dettaglio con la banca).
Tali operazioni trovano contropartita in altrettante operazioni in dare di
analogo importo». I magistrati dovranno adesso accertare quali siano i reali
motivi di questi "giroconto", ma soprattutto identificare i "soggetti" che hanno
ricevuto bonifici o incassato assegni in modo da verificare la natura di questi
rapporti. E dunque stabilire se le movimentazioni servissero in realtà a
riciclare i soldi. E lo faranno partendo dall’analisi degli estratti conto già
acquisiti. In base ai documenti è stato accertato che «al momento del blocco sul
conto erano depositati 28 milioni e 300 mila euro, ma tra il 31 dicembre 2007 e
il 30 novembre 2009 ci sono state movimentazioni nella colonna "dare" per 116
milioni e 300 mila euro e nella colonna "avere" per 117 milioni e 600 mila
euro».
Le contestazioni di Bankitalia sul
deposito Unicredit
L'esame di tutte queste operazioni deve partire, secondo il giudice, dalla
relazione della Banca d'Italia che alla fine di un'ispezione effettuata «per
approfondire il funzionamento di un conto corrente che risultava intestato allo
Ior presso una dipendenza di Unicredit ha evidenziato alcune criticità e in
particolare: il mancato rispetto degli obblighi di adeguata verifica della
clientela, di norma non sono stati infatti individuati i titolari effettivi
delle operazioni poste in essere dallo Ior; fino al 31 gennaio non risultano
assolti gli obblighi di registrazione nell'archivio unico informatico delle
operazioni di versamento di contante sul conto intestato allo Ior; in materia di
negoziazione dei titoli di credito è stata riscontrata una prassi tendente ad
escludere la tracciabilità dei fondi trasferiti oltre che violazioni alla legge
sull'assegno». Nella richiesta di sequestro del denaro che doveva essere
trasferito dal Credito Artigiano i pubblici ministeri evidenziano come «la
condotta dell’esecutore di un’operazione che omette di comunicare la generalità
dei soggetti per conto dei quali eventualmente esegue l’operazione stessa o non
fornisce informazioni sullo scopo e sulla natura prevista dal rapporto
continuativo integra gli estremi di reato previsti dal decreto 231 del 2007,
appunto quello sulle norme antiriciclaggio, dunque non può che concludersi,
esclusa evidentemente ogni indagine ulteriore volta a verificare la natura e gli
scopi delle operazioni di trasferimento di fondi, che allo stato nei fatti di
cui si tratta si ravvisano le fattispecie di reato delineate». Una tesi che il
giudice ha accolto con un provvedimento motivato che adesso costituisce la base
per effettuare i nuovi accertamenti.
CITTÀ DEL VATICANO - Sia la Segreteria di Stato sia il portavoce della Santa Sede avevano già chiarito la totale «fiducia» e «stima» nei confronti del banchiere che un anno fa il cardinale Tarcisio Bertone, ovvero il più stretto collaboratore del Papa, ha scelto per avviare l'operazione trasparenza nello Ior, la banca vaticana che ancora sconta opacità e cattiva fama dell'era Marcinkus. Ed è lecito ritenere che il segnale di ieri, la stima a Gotti Tedeschi mostrata dallo stesso Benedetto XVI, fosse rivolto più dentro che fuori le Mura vaticane.
Le resistenze interne non sono mancate, in questi mesi. L'operazione trasparenza, di là dagli slogan, è scandita da una serie di propositi, alcuni già attuati e altri in via di definizione. Tra questi ultimi, il più significativo (e temuto) riguarda i conti correnti cifrati intestati in realtà a laici, nel senso di non ecclesiastici. Fonti ai più alti livelli della Santa Sede parlano di tredici conti «laici» che il nuovo corso vorrebbe, semplicemente, chiudere: cancellando inoltre la possibilità che altri laici possano mai aprirne in futuro. Se ne è parlato ma non è accaduto ancora nulla. E il fatto stesso che Oltretevere ci sia chi scelga il termine «riduzione» anziché «abolizione» la dice lunga.
Non si sa a chi siano intestati o a che cosa siano serviti. Nei mesi scorsi si è parlato della possibilità che uno facesse capo ad Angelo Balducci, il «gentiluomo di Sua Santità» finito in carcere per l'inchiesta sul G8. Di certo gli intestatari, e magari i prelati che hanno permesso loro di aprirli, potrebbero non essere entusiasti.
Per definire ciò che è accaduto, d'altra parte, Ettore Gotti Tedeschi ha scelto un termine neutro, «equivoco», e lo stesso padre Federico Lombardi in una lettera al Financial Times ha parlato di un «misunderstanding in via di approfondimento» tra «lo Ior e la Banca che aveva ricevuto l'ordine di trasferimento».
Problema: come è stata possibile una simile «incomprensione» che ha portato all'accusa di violare le norme antiriciclaggio? Che dallo Ior si sia cercato di «forzare» dei conti al Credito Artigiano nel frattempo bloccati? «Dirigenti che hanno passato un'intera vita in banca, avrebbero operato su quei conti se avessero avuto consapevolezza che erano bloccati?», ha risposto Gotti Tedeschi. Se le cose stanno così, se nei vertici non c'era «consapevolezza», tutto sta nel capire chi lo sapesse.
In Vaticano qualcuno ha cercato di puntare il dito all'esterno e fatto filtrare sospetti su trame ostili di Bankitalia. Ma è significativo che proprio Gotti Tedeschi abbia insistito a ripetere che no, «non c'è stata nessuna incomprensione, i rapporti con la Banca d'Italia sono pressoché perfetti e continui e anzi sono stati loro a darci i suggerimenti più importanti». Tutte le procedure di ingresso nella «White List», e quindi l'adesione della Santa Sede alle normative europee antiriciclaggio. E ancora, poiché la Banca d'Italia non vigila quella vaticana, le procedure con le banche italiane secondo le direttive. E infine le nuove regole di controllo e autorizzazione dentro lo Ior: vedi i conti correnti.
A tutto questo si aggiunge l'organizzazione interna alla Santa Sede: la commissione affidata al cardinale Attilio Nicora per adeguarsi alle esigenze della «White List»; e un organo di vigilanza che in prospettiva dovrà controllare tutte le finanze vaticane, guidato dallo stesso Nicora: il cardinale diventerà una sorta di banchiere centrale vaticano, come Draghi in Italia. Il proposito è di voltare pagina. Ma il timore è che dentro le Mura, sospirano Oltretevere, «ci sia chi non vuole fare pulizia».
L'operazione trasparenza dello Ior. Gotti Tedeschi rinuncia agli
scudi giudiziari del Vaticano: vedrà gli inquirenti. Il Papa non li teme
Di Gianluigi Nuzzi -
Paul Casimir Marcinkus nel 1987 non varcava Porta Sant’Anna pur di evitare
l’arresto per il crac dell’Ambrosiano per la sua spregiudicata presidenza dello
Ior, la banca del Papa. Suo padre era uno degli autisti prediletti da Al Capone
e già da ragazzo Paul Casimir sapeva portare a casa la pelle a Cicero, nel
sobborgo più violento di Chicago. Qualche anno dopo il suo successore, il
bazoliano Angelo Caloia, durante Mani pulite temeva di finire anche lui
arrestato per la maxi tangente Enimont riciclata nella banca.
Lo avvisarono amici delle Fiamme Gialle: «In procura ci hanno chiesto dove
abiti». Caloia aprì canali diplomatici con Francesco Saverio Borrelli, per
evitare di presentarsi anche come teste e trovarsi «sulle spalle tutta la
responsabilità - scriveva all’allora segretario di Stato Angelo Sodano - della
migliore rappresentazione di una situazione che sembra avere risvolti personali
e istituzionali nonché ecclesiali, di dimensione inaudita». Grazie alla
mediazione del cardinale Carlo Maria Martini, i giudici di Milano optarono per
una rogatoria.
Oggi tocca ad Ettore Gotti Tedeschi, a un anno dalla staffetta proprio con
Caloia. Anche lui è finito indagato per un’operazione che avrebbe violato i
criteri anti-riciclaggio. Con una prima differenza, che segnerà la storia
vaticana, e indica un rumoroso punto di rottura con il passato. Il neo
presidente infatti, tra una settimana, dieci giorni, verrà interrogato dai
pubblici ministeri della procura di Roma Nello Rossi e Stefano Rocco Fava.
Sarà l’avvocato della Santa Sede Vincenzo Scordamaglia a formalizzare la
richiesta che spariglia le carte e i pregiudizi. Gotti Tedeschi rinuncia quindi
agli scudi spaziali previsti dai Patti Lateranensi, rinuncia a quell’immunità di
fatto che è in vigore grazie all’assenza di trattati giudiziari tra Roma e
Oltretevere.
È un passo che non può e non deve essere sottovalutato, nel faticoso cammino di
Joseph Ratzinger nel rinnovamento. È un passo che non può non essere
profondamente apprezzato. Per voltare pagina servono gesti ad alto impatto.
il passato
Per allontanare un passato ancora oggi sotto gli occhi di tutti. Il mandato di
cattura per Marcinkus finì cestinato dalla Cassazione perché ritenuto
illegittimo tra stati sovrani. Monsignor Donato de Bonis, il prelato chiave ai
tempi di Enimont, ben si guardò dal presentarsi ai magistrati milanesi per
proteggere la rete di conti cripati descritta nel mio Vaticano SpA.
Oggi, quindi, con Benedetto XVI, Gotti Tedeschi si presenta, anzi, chiederà lui
stesso lunedì di essere interrogato. È una mossa della segreteria di Stato, del
cardinale Tarcisio Bertone, che cristallizza bene la forza del Santo Padre nel
desiderio del proporre moduli nuovi. Anche nel mercato finanziario, dove ci si
può proporre solo e se si offrono strumenti competitivi. E la trasparenza non
può non essere considerata tra questi. Nasce quindi come frutto di una
condivisione nei Sacri Palazzi tra lo stesso Bertone e un gruppo di cardinali
coinvolti, come Attilio Nicora, per arrivare fin lassù con padre George
sensibile alla delicatezza del momento. “Andiamo e raccontiamo che non abbiamo
lavato i soldi di nessuno; quelli sono investimenti nostri”.
È una mossa di indubbia efficacia mediatica. Non annovera precedenti né nella
storia dello Ior che, anzi, è sempre stata caratterizzata dal segreto assoluto e
da ignobili scandali, né in quella del Vaticano. Bisogna tornare indietro al
1999 per trovare qualche vicenda raffrontabile.
All’epoca il cardinale di Napoli Michele Giordano venne sentito per una
inchiesta di usura che poi si sgonfiò finendo nel nulla. Ma il porporato non
stava oltre le mura leonine e la storia aveva una radicalizzazione
territoriale, non toccando i segreti del torrione Nicolò V che ospita i caveau
del Papa. La mossa esprime forza e sicurezza della Santa Sede nel rivendicare
bontà dell’azione e dei propositi. Rilancia il confronto con la banca d’Italia
e, soprattutto, offre un volto di dialogo già percipito con la prima nota
attendista della Santa Sede sull’operazione con Jp Morgan Frankfurt.
A questo punto sarà il procuratore capo di Roma con l’aggiunto Nello Rossi, a
decidere se e quando sentire il presidente della banca.
faccia a faccia
In linea di diritto l’indagato può farsi sentire tra la conclusione delle
indagini e la determinazione successiva (richiesta di archiviazione o di rinvio
a giudizio). Ma è anche chiaro che una mossa di questo tipo non può essere
relegata nella fase successiva alle indagini preliminari. È un segno di
apertura che molti magistrati attendono da anni, dopo essersi visti respingere
rogatorie di ogni tipo e da ogni latitudine del mondo, dopo aver visto
mortificata ogni indagine di fronte al niet che ricevevano dalla Santa Sede. Se
la richiesta non venisse accolta andrebbe a creare una distanza siderale, un
incidente diplomatico di rara rilevanza. I magistrati, è chiaro, sono e devono
essere liberi nella loro iniziativa giudiziaria di interrogare chi vogliono ma
non sfugge la rilevanza della tesi difensiva che andrà espressa e del
pragmatismo giudiziario che la situazione chiede.
Il fatto che la segreteria di Stato mandi in procura il proprio banchiere a fare
chiarezza è un ulteriore momento concreto di un percorso inarrestabile, che
coniuga i dettami dell’enciclica Caritas in Veritate con una politica di
trasparenza tangibile. Ignorarlo o accettarlo per fabbricare una dilatazione
mediatica sull’interrogatorio, sarebbe solo il frutto di una miopia di altri
tempi.
Intervista a Gianluigi Nuzzi autore di "Vaticano spa"
Che cosa è lo
Ior?
Lo Ior (Istituto per le opere di Religione) è un istituto privato, creato nel
1942 da papa Pio XII, con sede nella Città del Vaticano, quindi in zona
extraterritoriale. Ha un direttore generale, che fa capo a un consiglio di
amministrazione, formato da cardinali. Dopo i problemi creati dalla gestione di
monsignor Marcinkus, negli anni ’70 e ’80, alla guida dello Ior è stato scelto
un laico, proveniente dal mondo della finanza. L’attuale presidente è Ettore
Gotti Tedeschi.
Che cosa fa lo Ior?
Secondo il suo statuto, compito dello Ior è «provvedere alla custodia e
all’amministrazione dei beni mobili e immobili trasferiti o affidati allo Ior
medesimo da persone fisiche o giuridiche e destinati a opere di religione e
carità. L’Istituto pertanto accetta beni con l destinazione, almeno parziale e
futura, di cui al precedente comma»; anche se l’applicazione di questa regola,
nella realtà è piuttosto aleatoria.
Chi può aprire un conto?
Lo Statuto recita che «L’Istituto può accettare depositi di beni da parte di
Enti e persone della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano». Secondo
gli ultimi dati disponibili, ci sono attualmente nell’Istituto
quarantaquattromila mila conti correnti, riservati a dipendenti vaticani, ad
ecclesiastici di tutto il mondo (diocesi e ordini religiosi compresi) e ad una
ristretta quantità di enti privati. Rilevanti sono gli investimenti esteri, in
prevalenza titoli di stato, o portafogli a basso rischio. Dopo le disastrose
esperienze degli anni ’70 e ’80, in cui speculazioni finanziarie gettarono
l’Istituto in una crisi profonda, sembra che la politica sia quella di una
gestione molto prudente e tranquilla.
Perché è interessante un conto allo Ior?
Perché gli interessi medi annui sui conti correnti oscillano dal 4 al 12% e, non
esistendo tasse all’interno della Città del Vaticano, si tratta di rendimenti
netti; anche se alla fine dell’anno, o in momenti particolari, ai correntisti
può essere chiesto un obolo per aiutare la carità del Papa. Qualche anno fa, per
esempio, in un momento di particolare bisogno della Santa Sede (che non ha
nessun introito) fu chiesto alle diocesi più ricche e agli ordini religiosi di
dare un contributo alle spese per il funzionamento del governo centrale della
Chiesa.
A chi vanno gli utili guadagnati dall’Istituto?
Non esistono azionisti, in questo Istituto così particolare, il cui referente
ultimo è il Papa. Alla «carità del Papa» e ad altre iniziative sempre di genere
caritatevole vanno quindi i frutti annuali.
Come funziona l’Istituto?
E’ gestito da professionisti bancari e guidato da un presidente, non
necessariamente un consacrato o un religioso, che riferisce direttamente ad un
collegio di cinque cardinali, nominati dal Papa e in carica per un quinquennio
con lo scopo di vigilare sulla fedeltà dell’istituto agli obblighi statutari, e
al Papa (o al cardinale camerlengo durante un periodo di sede vacante). Il
bilancio e tutti i movimenti che vengono fatti dall’Istituto sono noti solo ed
esclusivamente al Papa, al collegio dei cardinali che lo gestiscono, al Prelato
dell’istituto, al Consiglio di sovrintendenza, alla Direzione generale ed ai
revisori dei conti.
Perché lo Ior si trova al centro di questa iniziativa giudiziaria?
Lo Ior dispone di un’ampia rete di contatti con gli istituti bancari di tutto il
mondo, e questo rende possibile l’esportazione di quantità notevoli di denaro in
condizioni di assoluta riservatezza, poiché la Città del Vaticano non aderisce
ai patti internazionali antiriciclaggio, anche se nel 2010 il Vaticano si è
impegnato, entro la fine dell’anno, a far proprie le norme dell'Unione europea
in materia di lotta al riciclaggio. Inoltre, il conto può essere aperto sia in
euro che in valuta straniera. I clienti vengono identificati solo attraverso un
numero codificato, alle operazioni non si rilasciano ricevute, non esistono
libretti di assegni intestati allo Ior e tutti i depositi e passaggi di denaro
avvengono tramite bonifici Infine, avendo sede in uno Stato sovrano, ogni
richiesta di rogatoria deve partire tramite il ministero degli esteri del paese
richiedente. Finora quasi nessuna rogatoria è stata mai concessa dal Vaticano.
Nel 1993 lo Ior decise di rispondere ad una rogatoria richiesta dall’allora pm
Antonio Di Pietro che lavorava allora nel pool di Mani pulite ed indagava sul
caso della tangente Enimont. Tuttavia secondo i magistrati la documentazione
fornita era incompleta e insufficiente.
Dove è lo Ior, e chi ci lavora?
Lo Ior ha una sola sede, all’interno delle mura vaticane, vicino alla porta
Sant’Anna, il più frequentato degli ingressi alla Città. E’ collocato nel
torrione di Niccolò V addossato al Palazzo di Sisto V. Lo Ior impiega 130 dipendenti.
Vaticano Spa - Il libro di Gianluigi Nuzzi
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LA STORIA DELL'ISTITUTO
DELLE OPERE RELIGIOSE (I.O.R.)
Deve investire i beni del Vaticano: è celebre per i suoi scivoloni
E’ l’organismo del
Vaticano che ha sempre creato il maggior numero di problemi a quella che è stata
definita una multinazionale dello spirito; proprio perché di spirituale sembra
abbia ben poco. La sua nascita risale all’11 febbraio 1887, quando papa Pecci,
Leone XIII, costituì la Commissione delle Opere Pie. Roma è capitale d’Italia da
neanche vent’anni, le cicatrici della Breccia sono ancora aperte, la Santa Sede
non si fida di amministrazioni finanziarie esterne… Pio X nel 1908 confermò
bisogno ed esistenza della gestione autonoma dei soldi vaticani, sotto un nuovo
nome: Commissione amministratrice delle Opere di Religione.
E’ l’epoca del «prigioniero del Vaticano»; il Pontefice non varca le Mura
Leonine, e l’attività della Santa Sede è limitata. Ci vogliono i Patti
Lateranensi firmati un altro 11 febbraio – 1929 – per riconoscere la Santa Sede
come Stato indipendente. L’accordo riconobbe l’extraterritorialità del minuscolo
stato e dei suoi organismi; e per rifondere la Chiesa di una serie di espropri
iniziati in era napoleonica e terminati con la presa di Roma le versava 750
milioni di lire; inoltre la Santa Sede riceveva titoli di debito pubblico per un
miliardo. Con questa «dote» ha inizio la storia moderna della finanza di
Oltretevere.
Il banchiere laico Bernardino Nogara fu scelto da papa Ratti, Pio XI, come capo
della neo-costituita Amministrazione speciale per le Opere di Religione,
l’antenato più recente dello Ior. Nogara accettò, a due condizioni: gli
investimenti dovevano essere slegati da considerazioni religiose o dottrinali e
doveva poter operare in ogni parte del mondo. Nel periodo – poco più di dieci
anni – che separò l’accordo Stato-Chiesa dall’inizio della Seconda Guerra
mondiale Nogara investì i capitali vaticani nell’economia italiana: energia
elettrica, comunicazioni telefoniche, credito bancario, ferrovie locali,
produzione di macchine agricole, cemento, acqua e fibre tessili sintetiche.
Il 27 giugno 1942 un documento autografo di papa Pio XII segna la nascita
dell’Istituto per le Opere di Religione; una banca vera e propria con lo scopo
di far fruttare i capitali a disposizione. Siamo giunti al periodo di tormentato
e discusso della Banca vaticana. Se la sua esistenza trova una giustificazione –
almeno agli occhi del mondo ecclesiale – nella necessità di porre al riparo da
speculazioni, partecipazioni finanziarie problematiche da un punto di vista
etico e indiscrezioni sempre temute, d’altro canto la gestione dello Ior egli
ultimi sessanta anni è stata marcata da scandali e infortuni clamorosi.
Il primo grande scandalo risale agli anni ’60. Nel 1962 lo Ior deteneva il 24,5%
della Banca privata finanziaria di Michele Sindona, al quale, nel 1969, papa
Paolo VI affidò una consulenza per la modernizzazione dello Ior. A Sindona fu
venduta la Società Generale Immobiliare, della quale lo Ior mantenne una quota
del 3%. Successivamente, furono numerosissime le partecipazioni comuni, comprese
le movimentazioni di capitali in paradisi fiscali, fra Ior e Sindona. Le
disavventure giudiziarie del finanziere siciliano, e la sua morte per
avvelenamento gettarono un’ombra pesante anche sulla banca vaticana.
Ma il peggio doveva ancora venire. Nel 1971 l’arcivescovo statunitense Paul
Marcinkus, che si era guadagnata la fiducia di papa Montini, Paolo VI, per
l’energia e l’efficienza con cui organizzava i viaggi papali, fu nominato
presidente dello Ior, dopo un breve corso di formazione bancaria negli Usa, il
suo unico (e scarso) bagaglio professionale.
Nel 1972 lo Ior possedeva circa il 51% della Banca Cattolica del Veneto. Per
volontà di Marcinkus, il 37% delle azioni vennero cedute al Banco Ambrosiano di
Roberto Calvi, provocando la reazione dei vescovi veneti e dell’allora vescovo
Albino Luciani (futuro papa Giovanni Paolo I) che, non essendone stati
informati, chiusero per protesta i loro conti presso la Cattolica del Veneto.
Dieci anni più tardi, nel giugno del 1982 esplose il caso del Banco Ambrosiano.
Il crac della banca di Roberto Calvi vide il coinvolgimento diretto dei vertici
dello Ior, che si salvarono dall’arresto solo grazie all’extraterritorialità
della Città del Vaticano. Lo Ior fu, tra il 1946 e il 1971, il maggior azionista
del Banco Ambrosiano; ma i problemi diventarono gravissimi con l’arrivo di
Calvi. Marcinkus firmò lettere di «patronage» – una sostanziale copertura – per
le operazioni eseguite all’estero, su società fittizie o di comodo. Tutte
società fantasma con sede in paradisi fiscali, la cui funzione era fare da
schermo alla scomparsa di circa duemila miliardi di lire dalle casse
dell’Ambrosiano.
Beniamino Andreatta, allora ministro del Tesoro, impose la liquidazione
dell’Ambrosiano. Marcinkus fu indagato in Italia nel 1987 per concorso in
bancarotta fraudolenta. La Banca Vaticana non ammise alcuna responsabilità per
il fallimento del Banco Ambrosiano, una commissione mista (Agostino Gambino,
Pellegrino Capaldo e Renato Dardozzi per il Vaticano, Filippo Chiomenti, Mario
Cattaneo e Alberto Santa Maria per lo Stato Italiano) giunse – non all’unanimità
– ad ammettere una responsabilità morale dello Ior nel crac. Il 25 maggio 1984,
a Ginevra, lo Ior siglò un accordo con le banche creditrici dell’Ambrosiano,
versando 406 milioni di dollari a titolo di «contributo volontario». E gli
affari ricominciarono…
IOR nella bufera...
... Il documentato libro di Gianluigi Nuzzi, "Vaticano spa", basato sull'archivio di monsignor Renato Dardozzi, rappresenta in modo puntuale lo zibaldone di operazioni finanziarie spericolate che mascherate da opere di carità e beneficenza hanno contraddistinto lo Ior per oltre 30 anni. ... In una lettera del 5 giugno 1982 pubblicata nel saggio di Ferruccio Pinotti 'Poteri forti', Calvi scriveva a Giovanni Paolo II: "Santità, sono stato io ad addossarmi il pesante fardello degli errori nonché delle colpe commesse dagli attuali e precedenti rappresentanti dello Ior, comprese le malefatte di Sindona...; sono stato io che, su preciso incarico dei suoi autorevoli rappresentanti, ho disposto cospicui finanziamenti in favore di molti Paesi e associazioni politico-religiose dell'Est e dell'Ovest...; sono stato io in tutto il centro-Sudamerica che ho coordinato la creazione di numerose entità bancarie, soprattutto allo scopo di contrastare la penetrazione e l'espandersi di ideologie filomarxiste...".
Nel febbraio 1987 il giudice istruttore del tribunale di Milano, emette un mandato di cattura contro Paul Marcinkus, Luigi Mennini e Pellegrino de Strobel, allora vertici dello Ior, individuando gravi responsabilità della banca vaticana nel dissesto dell'istituto di credito di Calvi, ma la Cassazione non convalida il provvedimento, in forza dell'articolo 11 dei Patti Lateranensi, che recita: "Gli enti centrali della Chiesa sono esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano". I reportage giornalistici, i servizi di questo o quella testata, venuti dopo, hanno solo registrato il peso del diniego offerto da 'Oltretevere'.
Nel 2003, però, la Suprema Corte, dalle sale di piazza Cavour, a poca distanza in linea d'aria dal colonnato di San Pietro, nel rimandare alla corte d'appello di Roma, il procedimento per il caso elettrosmog di Radio Vaticana, conclude che "lo Stato italiano, assumendosi pattiziamente l'obbligo di non ingerenza (...) e riconoscendo l'assoluta sovranità e l'indipendenza della Chiesa cattolica in ordine all'attività spirituale e di evangelizzazione, ha peraltro conservato la propria sovranità nell'ordine temporale, in particolare non subendo limiti all'esercizio della giurisdizione penale per fatti illeciti i cui eventi si verifichino in territorio italiano e siano legati da rapporto di causalità con condotte poste in essere in territorio appartenente alla Santa Sede".
In base a quanto rivelato da Nuzzi,
attraverso i conti dello Ior sarebbe passata anche la maxitangente Enimont, con
titoli di Stato scambiati per riciclare il denaro sporco. Dalla sentenza del
2003 della Cassazione, la riservatezza era rimasta un valore, un surplus
difficile da trovare in Europa, dove anche la Svizzera ha ormai aperto più volte
i suoi forzieri alle autorità di vigilanza del credito. Lo Ior era rimasto
sicuro, in sostanza.
Almeno fino a ieri, quando gli uomini della Guardia di finanza, nucleo speciale
di polizia valutaria, hanno eseguito il sequestro disposto dal gip Maria Teresa
Covatta, così come era stato richiesto dal pm Stefano Rocco Fava e dal
procuratore aggiunto Nello Rossi.
APPROFONDIMENTO
L'archivio segreto di Vaticano S.p.A.
Pubblico di seguito
i documenti nell'ordine cronologico in cui sono comparsi nella
rubrica
RASSEGNA STAMPA SUGLI SCANDALI DELLO IOR