OPUS DEI:
LUCI E OMBRE DI UNA CHIESA
DENTRO LA CHIESA
L'opus Dei è l'unico movimento ecclesiale ad avere la Prelatura personale, cioè non risponde a nessun vescovo come anche a nessuna conferenza episcopale ma solo al suo superiore generale che risiede a Roma e che a sua volta risponde solo al Papa. E' praticamente un corpo nel Corpo e solo Dio sa se questo è un bene o un male. Fatto sta che con gli ultimi scandali in Vaticano sembra che l'Opus Dei abbia acquisito ancora più potere a scapito di altre realtà vecchie e nuove (Comunione e Liberazione, Neocatecumenali, rimasugli della vecchia segreteria di Sodano, ecc.). Il peccato d'origine di tutti i movimenti ecclesiali, chi più chi meno, è quello di assolutizzare il proprio carisma finendo col credere di essere la vera e unica Chiesa di Cristo a scapito di altre realtà ecclesiali. E l'Opus Dei non sfugge a questa legge insita nella debolezza umana che a volte sconfina con il settarismo. |
(a cura di Claudio Prandini)
A Sua Santità Benedetto
XVI, Sappiamo bene che tutti gli adepti devono far affluire denaro all’Opus Dei. Stipendi «confiscati» insieme a ogni altro bene materiale. Se un membro tenta di uscire per ricostruirsi una nuova vita, inizia un forte accanimento… (dalla lettera di Franca Rotonnelli De Gironimo, 20 novembre 2007, a oggi senza risposta) |
Gli effetti collaterali di Vatileaks
Tra le conseguenze spicca il rafforzamento
dell'Opus Dei nella Curia romana
Per secoli nella Curia Romana quando c’erano situazioni di ingovernabilità o delicate inchieste interne da svolgere ci si rivolgeva ai Gesuiti o ai Domenicani. Ora, invece, il nuovo “blocco d’ordine” al quale la Santa Sede si affida dopo scandali finanziari o fughe di documenti è costituito dall’Opus Dei. E, infatti, il Vaticano ha assegnato all’ex braccio destro del fondatore dell’Opera la presidenza della commissione cardinalizia d’indagine e a un giornalista numerario la comunicazione. Insomma la caccia ai “corvi” ha avuto come effetto collaterale quello di allargare il raggio d’azione e di rafforzare la presenza dell’Opus Dei nella sacre stanze. A condurre l’accertamento delle responsabilità è lo stesso cardinale Julian Herranz, giurista di fiducia del Papa, ex presidente del dicastero dei testi legislativo e della commissione disciplinare della Curia Romana. E appunto storico segretario di San Josemaría Escrivá de Balaguer. Nei giorni scorsi, poi, il cielo dell'Obra si è arricchito di un altro paradigma di fede: Alvaro del Portillo (successore di san Josémaria Escrivà alla guida dell’Opus Dei) sarà beato grazie alla firma di Benedetto XVI al decreto che attesta l’eroicità delle sue virtù cristiane. Adesso alla beatificazione manca solo il riconoscimento del miracolo. Il Papa ha ricevuto Herranz, De Giorgi e Tomko collegialmente sabato 16 giugno, ma il presidente della commissione, Herranz aveva già avuto modo di riferire al Pontefice.
Del presidente della commissione, osserva il "Diario vaticano" de l'Espresso, è nota da tempo la proverbiale riservatezza:"Una riservatezza che però non gli ha impedito di scrivere, alcuni anni fa, un libro di memorie che, pur non violando alcun segreto, offre numerose informazioni inedite e curiose". Si tratta del volume “Nei dintorni di Gerico”, di 480 pagine, stampato dalle edizioni Ares, dell'area dell’Opus Dei, nel gennaio del 2006, due anni dopo che Giovanni Paolo II aveva creato Herranz cardinale consentendogli così di partecipare al conclave che ha eletto Benedetto XVI. Riguardo poi la fuga di documenti riservati Herranz mostra nel suo libro che "Vatileaks" non è una novità nelle cronache romane, anche se non nelle dimensioni massicce registrate ora. Alle pagine 300-301 racconta come nell’estate del 1979 "il materiale informativo sulla trasformazione dell’Opus Dei in prelatura personale e la lettera che lo completava", inviati dall’Opus al cardinale Sebastiano Baggio "e oggetti di studio riservato nella Santa sede, erano stati inviati da qualcuno – persona o istituzione – a vescovi e alla stampa di diversi paesi del mondo, presentandoli in modo parziale e tendenzioso". In nota a tale brano Herranz aggiunge sibillino:"In queste pagine di ricordi non voglio fornire alcun altro dato su questo punto, seguendo i consigli che ci diede il Padre [Escrivá, ndr] in una “tertulia”, il 14 giugno 1972".
E cioè: "Fin da principio, nei primi anni, ho preso le opportune misure perché nessuno serbasse rancore o guardasse con poca simpatia certe entità che, in modo organizzato, ci hanno fatto soffrire molto, in silenzio. Nell’Opus Dei ci sforziamo di non mancare di carità con nessuno. Ho sempre pregato il Signore, con tutte le fibre della mia anima, usando una frase dura: di non essere il boia di nessuna persona, di nessuna iniziativa che si muove o nasce per servire Dio. Sappiamo scusare. Perdonare. Siamo una affermazione: ciò che è negativo non ci piace". Difficile pensare, chiosa il “Diario vaticano” de l’Espresso, che il cardinale Herranz, nel nuovo incarico di capo della commissione cardinalizia di inchiesta su una fuga di documenti ben maggiore di quella da lui registrata trent’anni fa, abbia dimenticato la "tertulia" del suo maestro san Josemaria. Quel che è certo è che la fuga dei documenti ha rafforzato in Curia le posizioni dell’Opus Dei e dei gendarmi vaticani, oltre a consentire una forte avanzata nei sacri palazzi del “partito americano”. La commissione cardinalizia d’inchiesta lavora parallelamente alla magistratura vaticana continuando le sue audizioni e nulla lascia presagire quanto tempo ci vorrà perché le due inchieste arrivino a una conclusione. Ma questo non vuol dire che il cosiddetto caso "Vatileaks" non abbia già inciso sulla vita di quel particolare organismo che è la Curia romana. Tutt’altro.
"Alcune conseguenze, infatti, si possono già individuare a breve, mentre altre possono essere ipotizzate a medio e lungo termine. Nel travolgente incedere dello scandalo Vatileaks è rapidamente aumentato nelle sacre stanze il ruolo visibile dell’Opus Dei, che già conta, nell'organigramma, il segretario del pontificio consiglio per i testi legislativi Juan Ignacio Arrieta, del clero dell’Obra, il segretario della congregazione per il clero Morga Iruzubieta, della fraternità sacerdotale della Santa Croce collegata all’Opus, e il segretario della prefettura degli affari economici Vallejo Balda". Colui che guida la commissione cardinalizia d'inchiesta è appunto Herranz, cioè il membro più altro in grado Oltretevere dell’Opus Dei e già presidente dello stesso dicastero di Arrieta. Ma non solo. Nell’inedito ruolo di "advisor" per le comunicazioni della segreteria di Stato è stato scelto Greg Burke, numerario dell’Obra, che potrà così rinverdire i fasti di Joaquín Navarro Valls, anche lui numerario, il celebre portavoce di Giovanni Paolo II. Burke andrà ad affiancare "l’unità di crisi" mediatica del Palazzo Apostolico formata dal sostituto, l’arcivescovo Giovanni Angelo Becciu, dall’assessore Peter Brian Wells, da monsignor Carlo Maria Polvani (nipote del nunzio negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò) e dai responsabili dei media vaticani, padre Federico Lombardi della Radio Vaticana e Giovanni Maria Vian de "L'Osservatore Romano".Con l’arrivo di Burke da Fox TV cresce in curia anche il peso degli Stati Uniti, sottolinea il “Diario Vaticano”. A Roma già operano il cardinale Raymond L. Burke, gli arcivescovi Augustine Di Noia e Joseph W. Tobin, monsignor Wells e padre Michael J. Zielinski. Senza contare il pensionando cardinale William J. Levada e i pensionati cardinali Bernard F. Law e James F. Stafford.
Opus Dei Società Segreta - Documentario Completo
Opus Dei: Prelatura o setta massonica?
Che
cos’è l’Opus Dei? La risposta, potrebbe essere questa: è una prelatura
personale, un’istituzione che opera in seno alla Chiesa Cattolica. Quella più
approfondita, invece, è che l’Opus Dei può essere considerata una setta
fondamentalista estremamente potente e ramificata, una sorta di massoneria
cattolica che si trincera spesso dietro la segretezza. E non solo nel campo
della fede.
Opus Dei ossia "Opera di Dio" fu fondata nel 1928 da Josemaría Escrivá
(1902-1975), sacerdote spagnolo canonizzato da papa Giovanni Paolo II nel 2002.
A seguito del Concilio Vaticano II l'istituto della prelatura personale entrò
nell'ordinamento canonico e tale status è stato acquisito dall'Opus Dei nel
1982. Oggi l'Opus Dei è l'unica prelatura personale della Chiesa cattolica.
Secondo le parole del suo fondatore, la sua principale finalità è diffondere
ovunque una "viva consapevolezza della chiamata universale alla santità e
all'apostolato nella vita quotidiana, in particolar modo nell'esercizio del
lavoro professionale e su una pratica di vita ispirata da un costante spirito di
mortificazione". Si contano circa 85.000 fedeli, uomini e donne, che fanno parte
dell'Opus Dei, per quanto riguarda i fini specifici della Prelatura sono guidati
da un prelato eletto da un Congresso generale elettivo e successivamente
confermato dal Papa (dal 1994 è monsignore Javier Echevarría, succeduto a mons.
Álvaro del Portillo, morto in quell'anno, e primo successore del fondatore).
Secondo il Codice di Diritto Canonico del 1983, le Prelature personali sono
composte da presbiteri, diaconi e da laici.
Nonostante la pubblicità negativa durante il furoreggiare del Codice da Vinci,
ad oggi in Italia dell'Opus Dei si è parlato e discusso molto poco, e le rare
volte che l'argomento si è affacciato sulle pagine della stampa, si è preferito
più che altro limitarsi agli aspetti più superficialmente sensazionalistici: il
cilicio (da indossare almeno due ore al giorno), la disciplina (la frusta con
cui i membri dell'Opera sono tenuti a flagellarsi settimanalmente) e, al limite,
le ''tute antimasturbazione''. Eppure, terminando la lettura di Opus Dei
segreta, l'impressione è che tali pratiche siano di gran lunga la cosa meno
inquietante.
''Il male viene dall'interno della Chiesa e dai suoi vertici. Nella Chiesa c'è
una autentica putredine e a volte sembra che il corpo mistico di Cristo sia un
cadavere in maleodorante decomposizione''Escrivá de Balaguer, 1972.
La sua figura è al centro di un culto
della personalità dagli aspetti sconcertanti e vagamente sacrileghi. Dennis
Dubro, un ex numerario americano, racconta di un suo direttore spirituale che
collezionava episodi e leggende sulla vita del fondatore dell'Opera''Mi disse
che uno dei più anziani collaboratori di Escrivá... gli aveva confidato questa
storia: Escrivá, morto ufficialmente il 26 giugno 1975, era in realtà morto una
prima volta il 27 aprile 1954, durante un incidente seguito da coma diabetico;
ma che era miracolosamente risorto per completare la fondazione dell'Opus Dei.
Questo direttore affermava di aver toccato il corpo risorto di Escrivá''.
Padre Vladimir Feltzmann ha conosciuto bene Escrivá, avendo fatto parte per anni
della ristretta cerchia dei suoi collaboratori, prima di uscire dall'Opus Dei
nel 1982 con queste parole: ''Per quanto nobili e magnanime fossero in origine
le idee del fondatore, con il passare del tempo l'Organizzazione venne talmente
forgiata dal terrore (...) che non posso continuare a contribuire a essa
reclutando nuovi membri''. I ricordi di padre Feltzmann contribuiscono a dare di
Escrivá un'immagine sfaccettata, ben diversa dall'agiografia para-stalinista:
''Aveva un temperamento brioso, vivace, cosa che ufficialmente veniva negata.
Quando era depresso, ufficialmente si diceva che era stanco. C'erano due
personaggi, quello ufficiale e quello vero. Il personaggio autentico era un uomo
che ti diceva: ‘Ti prego, aiutami. Sono depresso. Tienimi la mano, tienimi
sveglio, non vorrei addormentarmi'. Era molto caldo, molto schietto.
Il centro nevralgico dell'Opus Dei a livello mondiale, il cuore del sistema, è a
Roma, in Viale Buozzi 73, quartiere Parioli. Non ci sono targhe o cartelli di
identificazione, solo una scritta: ''cappella prelatizia''. Nei sotterranei del
complesso, in una cripta, trova il sepolcro del fondatore. Le spoglie mortali di
Josemaría Escrivá riposano in una teca gigantesca di metallo dorato.
Naturalmente esiste la possibilità che non si tratti di oro vero. In quel luogo,
secondo Pinotti, spesso i potenti manager dell'Opera assistono alla messa. In
genere ''si tratta di giovani uomini vestiti con eleganza, attraenti. L'Opus Dei
ritiene infatti che un aspetto gradevole sia di forte aiuto nell'apostolato.
Niente gente brutta, malmessa, sofferente: facce abbronzate, denti perfetti,
capelli curati''.
Non dunque il decoro semplice della sobrietà ma un'estetica edonazi da manager
di Publitalia. Smalto trasparente sulle unghie, non un filo di barba, eleganza
nel vestire...Ripenso a una frase di Vittorio Messori che lessi anni fa, credo
sul Corriere: ''Se Cristo venisse oggi nel mondo, vestirebbe Armani''. Certo, e
mica si sporcherebbe le mani con i pezzenti di tutto il mondo, scherziamo?
Gli operai di Dio
Numerari: membri celibi dell'Opus Dei.
Studiano e lavorano ''nel mondo'', ma vivono nei centri e nelle case della
Prelatura. Nel momento in cui vengono ammessi nell'Opera, fanno testamento in
suo favore (beni mobili e immobili) e triplice voto di castità, povertà e
obbedienza. Sono inoltre tenuti a versare tutto ciò che guadagnano all'Opus Dei.
A causa di questa prassi, se a un certo punto un numerario volesse abbandonare
l'opera, magari dopo dieci o vent'anni, si troverebbe senza alcun sostegno
economico: l'Opus Dei non prevede alcuna liquidazione o pensione per i lavori
svolti dai suoi membri, né la giurisprudenza ha ancora colmato questa voragine
normativa.
Emanuela Provera, ex numeraria: ''Ci sono delle numerarie che lasciano l'Opus
dei e non sanno dove andare; non hanno una casa, non hanno una famiglia, non
hanno soldi. Per quello rimangono lì!''.
Soprannumerari: membri sposati dell'Opus Dei. Devono versare nelle casse
dell'Opus Dei una parte dei propri redditi proporzionata al guadagno. Sono
tenuti a rispondere settimanalmente delle loro scelte con un direttore
spirituale dell'Opera e a interpellarlo anche nel caso delle scelte
professionali. Pinotti: ''Questo aspetto pone dei problemi seri, relativamente
alla penetrazione dell'Opus Dei nei gangli più delicati della società – finanza,
magistratura, mass media, ricerca scientifica, insegnamento, sanità – perché
l'adesione dei membri dell'Opus Dei ai ‘diktat' comportamentali che vengono
dall'Opera stessa sono totalmente interiorizzati''.
''Prima di essere ammessi all'istituto [una scuola superiore dell'Opera], era
necessario un colloquio per stabilire le attitudini e le propensioni alla scelta
del liceo. Amina Sostenne l'‘esame' con una numeraria dell'Opus Dei, Paola
Binetti, una psichiatra che in seguito sarebbe divenuta famosa come presidente
del Comitato Scientifico Scienza e Vita, poi eletta deputato nelle liste della
Margherita alle elezioni politiche dell'aprile 2006''.
''Trattare'': il termine con cui i numerari indicano il lavorio di persuasione
per convincere una persona ad avvicinarsi all'Opus Dei.
I confini tra una legittima opera di apostolato e la manipolazione psicologica
sono incerti e non facilmente distinguibili; comunque sia, molto spesso il
trattamento riguarda ragazzini e ragazzine di tredici, quattordici anni: persone
cioè molto più indifese e malleabili degli adulti.
In molti casi, dunque, la decisione di entrare a far parte dell'Opera si forma
nel soggetto ''trattato'' a quella età, dopodiché i sensi di colpa
massicciamente inoculati (''Se ti tiri indietro, volti le spalle a Dio'')
interverranno quasi automaticamente a cauterizzare ogni ripensamento.
La richiesta di ammissione può essere inoltrata già dai quattordici anni e
mezzo, anche se per atatuto non può essere formalizzata prima dei diciassette.
Secondo diverse testimonianze, anche se non si è ancora membri dell'Opera, con
l'inoltro della domanda l'adolescente si sente numerario e viene trattato come
se già lo fosse. Ma è pensabile che un quattordicenne possa decidere in piena
consapevolezza di scegliere – il più delle volte irrevocabilmente – una vita di
castità, povertà, obbedienza e mortificazioni corporali (di cui viene informato
solo quando ormai la sua adesione è sicura)?
Giornata tipo di una studentessa numeraria: sveglia alle sei, bacio del
pavimento, preghiera, pulizie, orazione, messa, studio, due ore di cilicio,
apostolato, reclutamento di possibili nuove numerarie, orazione, lettura di un
libro di spiritualità, esame di coscienza.
La cravatta all'Opera
Purtroppo anche quanto potrebbe sembrare
esagerato è verissimo: conosco una persona altolocata, giovane e bella che non
ha mai potuto partecipare agli inconti dell'Opus Dei solo perchè non vuole usare
la cravatta.
Quanto al flagello: pensate che i cultori del SM lo facciano per ascesi?
Il confessore, dopo avermelo consigliato ha dovuto proibirmelo perchè il giorno
della flagellazione era sempre anche il giorno di una piacevolissima
polluzione.....
Le tattiche di reclutamento dell'Opus Dei
L’Opus Dei ha creato in tutto il mondo, nei campus universitari e nelle città
limitrofe, residence che fungono da centri di reclutamento. I metodi usati da
alcuni sacerdoti ricordano le tattiche della Chiesa dell'Unificazione e degli
adepti di Scientology. I loro obiettivi prediletti sono i giovani adolescenti
che si allontanano dalla famiglia per la prima volta. Gli ex membri disillusi e
i genitori amareggiati per aver "perso" i figli parlano di "controllo della
mente", espressione che richiama le opere di Escriva.
L'Opera
L'Opera è un CONTROPOTERE all'interno
della Chiesa. Escrivà scrisse cose di fuoco durante il Concilio Vaticano II. Ho
visto il loro elenco di testi proibiti, ve ne sono alcuni anche di Ratzinger!
Insomma sono una ''setta'' molto potente. Esercitano sui numerari delle
pressioni psicologiche che travalicano di parecchio la catechesi; devono
comunicare ai superiori non solo atti sessuali masturbatori ma uscite al cinema,
tutte le azioni della giornata, letture fatte insomma c'è un controllo mentale
totale. i fuoriusciti sono spesso persone con problemi psicopatologici gravi.
Fanno un grande e diffuso uso di psicofarmaci (molti medici neurologi sono
'numerari').
Come credente io ho paura dell'Opera; instillano nei numerari anche una
diserzione verso le loro Diocesi e sopratutto
VIOLANO IL SIGILLO SACRAMENTALE DELLA CONFESSIONE, I PECCATI VENGONO PORTATI IN
UN ASSEMBLEA DETTA TERTULLIUM IN CUI PARLANO DELLE NUOVE CONOSCENZE DETTE
''carne fresca'' DA SOGGIOGARE.
Dentro l'OPUS DEI intervista a Emanuela Provera
lettera che una numeraria ha scritto recentemente
al prelato dell'Opus Dei, Javier Echevarría:
(Lettera dei primi mesi del 2012)
O
Padre, è da tempo che non Le scrivo
Nota: d'intesa con l'autrice della lettera, si sono omessi il suo nome,
quello del centro d'appartenenza e quello della città.
Carissimo Padre,
sono una Sua figlia, mi chiamo [...] e vivo al [...], un centro di [...] che si
occupa di aggregate e soprannumerarie anziane.
E' da tempo che non Le scrivo, Padre, da quando mi pongo molti
interrogativi, e mi chiedo se possa essere opportuno commentarli con
Lei. Non ho molte speranze che questa lettera venga recapitata sino a Lei: i
suoi rappresentanti e i suoi collaboratori più vicini penseranno che sia piena
di spirito critico e di mancanza di unità e, temendo che possa recarLe disgusto,
non la porranno nella cartella che ogni giorno lasciano sul Suo tavolo con
alcune lettere che pretendono di essere rappresentative dei suoi figli e figlie
sparsi per tutto il pianeta. In ogni caso, eseguirò le mie preghiere nello
scriverla, sapendo che il Signore mi ascolta ...
Le posso assicurare, o Padre, che in queste righe non c'è alcuno spirito
critico, e ancor meno una mancanza di unità cosciente, tollerata, cercata o
desiderata. Si tratta semplicemente di farLe arrivare con spirito costruttivo
i miei dubbi, e ciò che vedo che non funziona, anche se
chiudiamo gli occhi e pretendiamo che tutto vada come meglio non potrebbe
andare, e di cui non so se Lei, da Roma, sia consapevole.
Chiesi l'ammissione a 14 anni e mezzo e ora ne ho quasi cinquanta: se ho qualche
merito perché Lei mi ascolti è che ho lasciato i migliori anni della mia vita
nell'Opus, perché credetti e credo che sia il mio cammino e la volontà di Dio
per me. Benché non sapessi quello che stavo facendo quando chiesi l'ammissione,
perché ero ancora una bambina, non ho mai per nulla dubitato della mia
vocazione. Quello che non riesco a capire è come conciliare la volontà
di Dio con abitudini e pratiche abituali nell'Opus che non sono
compatibili né con una mentalità laicale, né con lo stare in mezzo al mondo, né
con la vita che conducono "quelli di fuori", "uguali a me", né, se mi è
permesso, con il più elementare buon senso.
Si domanderà, o Padre, dove io non veda la volontà di Dio, e le faccio qualche
esempio:
- Donne adulte, alcune anziane, come le aggregate che seguo,
dopo aver chiesto il permesso si comprano uno sgabello per casa loro e
discutiamo la questione nel consiglio direttivo locale, nel quale approviamo
purché facciano spese di una certa entità, perché nel centro non manchi nulla.
- Nel colloquio personale che facciamo durante ogni ritiro mensile
si continua a dire di evitare la "famigliosi": o Padre, del mio gruppo di
aggregate poche hanno ancora genitori vivi, una di loro ha la madre affetta da
demenza senile che non le permette di riconoscere e ricordare da molto - troppo
- tempo. Le altre non hanno più i genitori già da molti anni e vedono poco o per
nulla la loro famiglia di origine perché, giustamente per non cadere nella "famigliosi",
non hanno mai coltivato relazioni familiari e sono sconosciute ai loro stessi
fratelli. Quelle che hanno genitori che vivono in un'altra città chiedono
puntualmente il permesso quando vogliono andare a vederli e di solito le si
esortano a rimandare i loro viaggi per motivi di povertà, disponibilità e
attenzione al lavoro di proselitismo, argomenti che cadono da soli se si
considerano con oggettività le loro condizioni e i loro incarichi.
- L'altro giorno, consideravo, una numeraria del centro (66 anni) mi
chiedeva il permesso di guardare la TV per vedere una partita di
tennis. Mi venne da dirle: "ovvio, sei in casa tua, non chiedermelo nemmeno".
Ovviamente, continuerà a chiederlo. E' quello che si è sempre detto, quello che
è previsto, quello che si ripete nei mezzi di formazione e nessun mutamento è
buono a priori. O Padre, davvero possiamo sentirci a casa nostra, se non abbiamo
neanche la libertà e la responsabilità neanche per le azioni più piccole e
dobbiamo chiedere il permesso per ogni cosa? Non Le pare questo un modo di
comportarsi più adatto a una residenza di bambine di 12 anni?
- Molte delle numerarie e aggregate del mio centro si trovano, sono e si
sentono straordinariamente sole. Non hanno amicizie, perché nel periodo
della vita in cui occorre coltivare autentiche amicizie hanno cercato soltanto
possibili candidate all'ammissione all'Opus, hanno trascorso molti anni
frequentando solo ragazze di 20 anni più giovani di loro, la maggior parte delle
quali sono sparite e le poche che hanno chiesto l'ammissione e che sono rimaste
dentro hanno preso le distanze per evitare ogni apparenza di amicizia
particolare. In questo momento non hanno nessuno, e sopportano con rassegnazione
una situazione di solitudine.
- Ci sono varie aggregate prive di indipendenza economica.
Hanno prestato il loro lavoro nelle opere corporative o nei lavori personali
dell'Opus, con una retribuzione da miseria e la contribuzione minima richiesta
dagli enti previdenziali, nessuno si è preso cura di dar loro condizioni di
lavoro che garantissero una pensione decente in futuro. Dov'è la mentalità
laicale in simili situazioni?
- Vivo con una numeraria che vedo un giorno sì e l'altro ancora con gli
occhi gonfi dal piangere e non posso per nessuna ragione chiederle che
cosa le accade, perché la direttrice mi ha "spiegato" in ripetute occasioni che
non me ne devo preoccupare, che l'unica cosa che devo fare è pregare per lei,
che sta semplicemente passando un brutto periodo, ma che è ben seguita. Neanche
a me nessuno chiede come sto. Che razza di famiglia sarebbe questa?
- Si insulta la nostra intelligenza quando si trattano
argomenti nei quali l'Opus ha cambiato linea (mai pubblicamente, come si fa nel
resto della Chiesa) o nei quali risulta che le direttrici si siano sbagliate. Mi
ha dato indignazione e tristezza sentire nel circolo breve settimanale, alcuni
mesi fa, che tutto quello che si riferisce alla direzione spirituale continua
allo stesso modo, che in fondo non è cambiato un gran che, perché non si è mai
fatto nulla di poco corretto. O Padre, sono stata testimone diretta in vari
consigli direttivi locali di abusi flagranti in questa materia.
Tutto è previsto, o Padre. Tutto è scritto, contemplato, indicato, consigliato,
normalizzato, stabilito, legiferato, previsto, considerato, pensato, deciso. E
la conseguenza è che l'individualità personale, la diversità che implica
ricchezza, ha cessato di esistere. Tutte pensiamo allo stesso modo e
nel mio paese si potrebbe dire che quasi, quasi vestiamo e parliamo allo stesso
modo. Non c'è spazio per la differenza, c'è uno stampo unico al quale o ti
adatti, o sei "singolare". Non sarei sicura che sia come un guanto di gomma che
si adatta alla forma della mano che lo indossa: è un guanto di ferro al quale è
la mano che deve adattarsi anche a costo di perdere la propria forma originale,
quella che le diede Dio perché vide che era cosa buona.
Un'altra conseguenza della normativa che invade tutti gli aspetti della vita è
che l'unica cosa che uno può fare è obbedire. O Padre, se non
c'è alcuna possibilità alternativa, che merito c'è nello scegliere? Se c'è
soltanto un unico cammino, qual è il merito nel seguirlo? La libertà consiste
nel poter scegliere tra due o più possibilità, se ce n'è soltanto una la
libertà cessa di essere tale. Se non posso connettermi a internet
quando lo desidero, come posso rinunciare a connettermi per vivere meglio il
tempo notturno? Se mi posso svegliare alle tre del mattino e dire "non mi
connetto e prego un rosario" sto scegliendo, se invece ho solo la possibilità di
dire un rosario, non sto scegliendo nulla.
A proposito di internet: ha così poca fiducia in me l'Opus dopo 35 anni di
donazione che deve controllare l'uso che ne faccio? Seriamente qualcuno pensa
che per connettermi dopo le 23.00 commetto peccato mortale? Tengono in così poco
conto la mia responsabilità personale, il mio amore a Dio, la mia volontà di
fare le cose bene? Il nostro fondatore diceva che si fidava più della parola di
un suo figlio che di quella di cento notai insieme ... lui si fidava, e le
direttrici no?
L'essere umano impara dai propri errori. Se non posso commetterne, perché tutto
è stato previsto e stabilito, non imparerò mai. Presuppongo di non parlare di
offendere Dio, perché ho donato la mia vita, parlo di dimostrarLe che desidero
essere fedele per adesione volontaria, non perché non abbia altra alternativa.
Seguirò il percorso che altri hanno tracciato per me senza sapere se potrò
seguirlo o no, o ancor peggio, senza preoccuparmi di ciò. Sono salite in
cattedra, hanno deciso che le cose si facessero così, hanno chiuso la
porta e hanno buttato la chiave. E' tutto detto, scritto, previsto, scolpito
come su pietra. Per sempre. Senza possibilità di cambiamenti. Senza possibilità
di adattamenti, benché il mondo cui apparteniamo, nel quale viviamo e che
amiamo, cambi e si evolva.
Ho ricevuto innumerevoli commenti, strani silenzi, "complimenti" o "correzioni
fraterne" per il fatto di continuare a vedere numerarie e aggregate che se ne
sono andate dall'Opera. Come si può comprendere che quelle che ieri erano le mie
sorelle, che componevano una famiglia con legami più forti di quelli di sangue,
oggi non sono più nulla, non esistono, e si evita di parlare di loro? Devo
smettere di voler loro bene, come se l'affetto si potesse governare e tagliare,
o come se potesse essere elargito a comando? Sono state condannate in anteprima
solo per il fatto di aver lasciato l'Opera? Non sarà forse che abbiamo confuso
l'Opus Dei con la Chiesa e che crediamo che "extra Opus Dei nulla salus"?
Alcune di loro per me sono un esempio per la loro capacità di perdono, donare la
loro vita per gli altri, praticare opere di misericordia o vivere la carità nel
senso più ampio, senza restrizioni né costrizioni.
O Padre, c'è un'emorragia terribile di persone che non restano.
Non parlo di vocazioni recenti, parlo di numerarie e aggregate con più di 25
anni di incorporazione definitiva alle spalle. E' possibile che nessuno se ne
chieda la ragione? E' possibile che si continui a pensare che siano foglie
secche, che sono cadute giustamente e che se se ne sono andate l'unica
spiegazione sia che abbiano voltato le spalle a Dio, quando ci rendiamo conto in
modo affidabile che questo non è certo? Nessuno ha studiato i punti comuni di
queste "diserzioni"? Nessuno si sofferma a considerare cosa stia accadendo?
Nessuno fa un esame di coscienza e accetta la possibilità che
ci sia qualcosa di errato dentro?
O Padre, non siamo poveri. Di fatto, questa è probabilmente una delle ultime
cose che una numeraria dell'Opus Dei possa essere. Ho un tetto più che
confortevole sopra la mia testa, tre o quattro pasti al giorno, denaro nel
portafoglio che io lavori o no e la assistenza sanitaria che possa servire. Che
mi importa di non possedere, se uso e sfrutto? Che mi importa che l'atto di
proprietà della casa non sia intestato a mio nome, se vi vivo in pieno diritto?
Questo sarebbe povertà? Non mi è mai mancato nulla, e questo è un paese che ha
conosciuto alti e bassi economici e politici di ogni tipo: io non ne sono stata
toccata, di fatto, non mi tocca nulla di quello che possa accadere nel mondo,
perché il mio mondo non cambia. Chi può dire lo stesso? Che razza di essere
gli altri sarebbe questo? Quando cambio centro, e già ne ho cambiati
alcuni, mi trovo tutto fatto, trovo la pappa fatta.
O Padre, ho cercato di trasmetterle queste considerazioni attraverso i canali
regolamentari: l'ho fatto nel colloquio settimanale, con direttori regionali e
nazionali: nessuno è capace di darmi risposte, nessuno, senza
eccezione. "Prega molto", "non rigirare tanto le cose, sono molto più semplici
di tutto ciò", "ci son cose che cambiano, ora c'è internet in tutti i centri",
"chiedi un altro incarico" è solo un esempio delle stupidaggini che mi sono
state risposte, come se fossi una bimba piccola che si ascolta con compassione
fin quando le passa il capriccetto.
Come le dicevo all'inizio, non ho alcuna speranza che questa lettera arrivi in
mano Sua, e ancor meno che mi arrivi risposta perché Lei, o Padre, non sa
neanche chi io sia, nessuno mi ha ingannata su questo. E dato che sono sicura
che ci sono numerose numerarie e aggregate nella mia stessa situazione, e che
fanno considerazioni ancora più importanti, volendo assolutamente rimanere
nell'Opus ed essere fedeli, ho deciso di rendere pubblica questa lettera
attraverso qualcuno che conosco,
in un sito che
costituisce anatema per l'Opus e che nello stesso tempo, ironia della vita, è
molto letto da membri della Prelatura. Aggiungo anche un account di posta per
chi voglia utilizzarlo:
quieroserfiel@gmail.com. Non so cosa accadrà, forse Dio si servirà di me e
di tante altre e altri per cambiar le cose; quello che sì che so con piena
certezza è che Dio mi vuole fedele e che l'Opus non ha bisogno di cambiamenti
profondi, ma di un rinnovamento simile a quello che fecero
santa Teresa nel Carmelo o sant'Ignazio nella Compagnia di Gesù quando fu a
Lisbona. E simili cambiamenti devono nascere da dentro e nessuno meglio di chi
sta dentro - e, ripeto, desidera continuare a restare fedele - li può provocare.
Prego molto per Lei, sua figlia [nome e cognome].
"Questa santa coercizione è necessaria: compelle intrare - obbligateli a venire... Non abbiamo scopi diversi da quello comune:
proselitismo, nuove vocazioni... Quando una persona non ha zelo per conquistare le altre è morta... io sotterro cadaveri".
OPUS DEI: LA TESTIMONIANZA DI UN'ASSISTENTE NUMERARIA GETTA
OMBRE SUL RUOLO DELLA DONNA NELL'ASSOCIAZIONE...
Il racconto personale che segue è stato scritto da una giovane donna europea che ha vissuto in prima persona la vita da numeraria assistente dell’Opus Dei. L’Opus Dei recluta donne dalle classi più povere perché dedichino la loro vita a cucinare e pulire gli opulenti centri dell’Opus Dei, vivendo una vita di castità.
Nel suo libro, Oltre la soglia: una vita nell’Opus Dei, Maria del Carmen Tapia afferma: "Secondo il fondatore, un’ausiliaria non poteva aspirare ad essere più che una buona serva… In Paesi in cui numerari e serve svolgono lavori domestici nei centri maschili della prelatura, esse ricevono un salario, molto basso, peraltro, ma nessuna previdenza sociale. In base al principio della povertà, questi salari vanno direttamente nelle casse della casa dove le serve vivono. Le serve non ricevono soldi. Si suppone che i numerari che le accompagnano paghino per qualsiasi acquisto venga fatto. Naturalmente, quando hanno bisogno di vestiti o scarpe, le ottengono, ma non possono maneggiare denaro". ODAN è grata alla giovane donna che ha condiviso la sua difficile testimonianza. Applaudiamo il suo coraggio nel parlare delle realtà della vita da assistente numeraria.
«Sono
stata membro dell’Opus Dei per sette anni. Il mio status all’interno dell’Opus
era detto "assistente" numeraria.
Il mio primo contatto con l’Opus Dei è avvenuto tramite un’inserzione per un
servizio di catering in uno dei loro collegi in un giornale nazionale.
L’inserzione offriva a giovani donne un certificato in economia domestica e
cucina. Le interessate ebbero due colloqui, uno in casa e uno al centro
dell’Opus Dei. A quell’epoca nel mio Paese vi era una forte recessione economica
ed un alto tasso di disoccupazione. A potenziali studenti veniva garantita
un’occu-pazione permanente a tempo pieno alla fine del corso di catering. Questo
"dolcificante" influenzò la decisione dei miei genitori di iscrivermi a questa
scuola particolare. Quindi, all’età di 15 anni, cominciò il mio corso di
economia domestica.
Quattro mesi dopo, ero assistente numeraria. Fui reclutata nel solito modo. Ero
considerata dai membri dell’Opus Dei una leader, perciò con un’alta probabilità
di influenzare altre ragazze. Tuttavia, ora comprendo che fu qualcosa di
sovversivo a far sì che i direttori dell’Opus Dei mi scegliessero tra le altre
studentesse. La mia famiglia aveva un problema particolare, che io avevo
discusso con la mia "tutrice" durante i nostri cosiddetti "tutorials". Non seppi
fino a molti anni dopo che lei aveva discusso dei problemi della mia famiglia
con altre direttrici, che misero in atto un piano sofisticato per reclutarmi.
Iniziarono col suggerirmi di pregare per la mia famiglia; poi di confessarmi
settimanalmente, fare la comunione tutti i giorni e così via. Mi dissero che, se
avessi seguito la volontà di Dio, la situazione della mia famiglia sarebbe
migliorata. Prima che io lo sapessi, avevo una vocazione; mi dissero che sarei
stata infelice per il resto della vita se non avessi fatto ciò che Dio voleva.
Inoltre, il problema nella mia famiglia sarebbe peggiorato. Ero fuori di senno
per il terrore, quando mi "fecero un fischio" da Roma alla Conferenza UNIV come
assistente numeraria.
Quando tornai nel mio Paese, dopo la Conferenza UNIV, mi separarono dalle altre
studentesse nel corso di catering. Censuravano la mia posta in entrata e in
uscita, controllavano le mie telefonate e frugavano tra i miei effetti
personali. Dovevo fare un resoconto alle direttrici sulle mie attività
giornaliere. Dovevo consegnare quel poco di denaro che avevo. Ciò che mi
disturbò di più a quel tempo era il modo in cui i membri dell’Opus Dei
analizzavano e guidavano il mio rapporto con la famiglia. Mi dicevano cosa
potevo o non potevo scrivere nelle mie lettere e cosa potevo dire quando parlavo
con loro al telefono. C’era sempre una numeraria nei pressi, quando la mia
famiglia mi chiamava, che mi prendeva da parte per chiedermi informazioni sulla
telefonata.
Inutile dire che i miei familiari erano totalmente all’oscuro del fatto che io
fossi diventata membro dell’Opus Dei. Le direttrici mi avevano detto che avrei
potuto comunicarglielo solo una volta finito il corso.
Nel frattempo mi dissero di mentire loro riguardo a ciò che stava accadendo
nella mia vita quando andavo a trovarli e quando passavo le vacanze con loro.
Dopo ogni visita, i membri dell’Opus Dei mi interrogavano su dove avevo dormito,
di cosa avevamo parlato e quali giornali avevamo letto.
La mia famiglia, tuttavia, vide un grande cambiamento nel mio comportamento. La
mia personalità spumeggiante ed estroversa era scomparsa. Ero diventata
introversa e sospettosa di tutto.
Verso la fine del corso, mi ordinarono di parlare ai miei genitori circa la
decisione che stavo maturando di aderire all’Opus Dei! I miei genitori seppero
della mia decisione e impazzirono. La mia sola risposta al loro fuoco di fila di
domande era "è la volontà di Dio".
I miei genitori, molto a malincuore, mi lasciarono tornare a dare i miei esami,
sperando che avrei cambiato idea. Non sarebbe accaduto. Anzi, l’Opus Dei mi
trasferì in uno dei suoi Centri con molte numerarie assistenti e poche
numerarie. Prestavamo il nostro servizio nella gestione di diversi Centri
dell’Opus Dei sia maschili che femminili.
Ora cominciavo ad essere pienamente consapevole della mia condizione di
numeraria assistente. Non ero mai stata informata sul ruolo e le responsabilità
di una numeraria assistente. Mi avevano solo detto che numerarie assistenti e
numerarie erano la stessa cosa e che solo il lavoro che svolgevamo era diverso.
Ma io cominciavo a capire che la mia sarebbe stata fatta di lunghe ore di lavoro
duro e di nessuna vita sociale. Inoltre, era chiarissimo che non eravamo affatto
nella stessa condizione delle numerarie.
Prima di tutto, c’erano differenze materiali tra le due categorie di membri. Le
numerarie indossavano abiti costosi, mentre le numerarie assistenti portavano
divise con un grembiule bianco. Le numerarie assistenti possono indossare abiti
civili solo se lasciano il Centro, ma si tratta normalmente di abiti di seconda
mano o di poco costo. Le numerarie mangiavano in sale da pranzo separate con
cibi di qualità migliore; noi invece mangiavamo gli avanzi. Le numerarie erano
solitamente servite a tavola da una numeraria assistente vestita con un abito
nero a maniche lunghe con colletto bianco inamidato, polsini, crestina e
grembiule. Le numerarie avevano tovaglie, lenzuola, stoviglie e arredamento di
migliore qualità rispetto a quello usato dalle numerarie assistenti.
I nostri dormitori e bagni erano anch’essi diversi. Le numerarie normalmente
avevano alloggi individuali, mentre le numerarie assistenti avevano camere da
letto e bagni in comune. In Paesi in cui vi era un più alto numero di membri,
come in Spagna o a Roma, le due categorie avevano cappelle separate. Le cappelle
delle numerarie erano sontuose e ornate in oro; quelle usate dalle numerarie
assistenti erano semplicemente in legno. Le numerarie assistenti usavano anche
ingressi separati per entrare nei Centri dell’Opus Dei chiamati "ingressi di
servizio", che di solito erano appartati sul retro dell’edificio.
Se queste differenze tra i due gruppi apparentemente "uguali" possono sembrare
semplicemente materiali, ci sono atteggiamenti molto disturbanti che
sottolineano queste distinzioni.
Il catechismo dell’Opus Dei definisce le numerarie assistenti come segue: "vi
sono altre numerarie che svolgono il lavoro domestico e umile nelle case
dell’Opus Dei che vengono chiamate domestiche". Mentre il termine "domestica" è
stato soppresso e ora si parla di assistente o ausiliaria, in tutto il mondo la
realtà continua ad essere la stessa per molte numerarie assistenti.
Le numerarie assistenti vengono spesso reclutate in ambienti rurali, poveri e
privi di istruzione, mentre i numerari tendono ad essere reclutati in ambienti
colti e ricchi. Le numerarie assistenti non possono mai occupare posizioni di
autorità, né possono lavorare al di fuori delle case dell’Opus Dei.
La Tapia suggerisce che il fondatore dell’Opus Dei considerava le numerarie
assistenti come dotate di intelligenza limitata o, come diceva lui, dotate "di
una loro mentalità".
Tutti i membri dell’Opus Dei ricevono un’edu-cazione in molteplici forme in
corsi annuali, quindi la differenza nel tipo di educazione impartito riflette
gli atteggiamenti nei confronti di ogni gruppo. I numerari seguono corsi di
teologia, diritto canonico e spagnolo, mentre le numerarie assistenti
frequentano corsi di igiene fondamentale, alfabetizzazione e un’istruzione
religiosa elementare.
Escrivá considerava poi le numerarie assistenti prive di emozioni umane. Per
esempio, le numerarie assistenti potevano prendersi cura di bambini, mentre le
numerarie no. Escrivá riteneva che il fatto di occuparsi di un bambino potesse
suscitare in una numeraria l’istinto materno, mentre pensava che ciò non sarebbe
accaduto in una numeraria assistente perché la reputava incapace di provare una
tale emozione.
Per ironia, i direttori ci dicevano in continuazione che noi eravamo le madri di
tutti i membri dell’Opus Dei. E perché non avremmo dovuto esserlo? Cucinavamo,
pulivamo, stiravamo dal mattino alla sera, sette giorni su sette, cinquantadue
settimane all’anno, tutti gli anni, per questi numerari.
A Escrivá piaceva chiamare le numerarie assistenti le sue "bambine". È noto che
egli incoraggiasse un loro atteggiamento infantile. La Tapia dice che era
imbarazzata nel vedere donne adulte comportarsi come tredicenni. Anche le
direttrici ci incoraggiavano ad indulgere in questo atteggiamento. Dopo un po’
era diventata un’abitudine difficile da abbandonare.
Le numerarie assistenti non potevano essere lasciate sole. Le numerarie dovevano
sempre accompagnarci dovunque andassimo dentro e fuori dei Centri. Non potevamo
possedere né avere accesso al denaro; le numerarie dovevano pagare per tutto.
Questi atteggiamenti e condizioni costituivano la base della mia vita nell’Opus
Dei. La mia vita era controllata e repressa e avevo pochissime possibilità di
entrare in contatto col mondo esterno. I nostri giornali erano censurati e la
nostra televisione veniva spesso spenta se ritenuta inadatta da una delle
numerarie fanatiche. La mia vita claustrofobica lasciava ben poco spazi
all’individualità o alla creatività. Come ragazze di campagna, spesso eravamo
oggetto degli scherzi delle numerarie. Loro erano per lo più di città, ridevano
per il nostro accento, il nostro modo di parlare e le nostre tradizioni rurali.
Spesso eravamo anche bersaglio dei loro malumori, ma non potevamo dare loro la
correzione fraterna. La direttrice stava sempre dalla parte della numeraria in
questione. Vivevo una vita di conformismo e indottrinamento. Cominciai a fare
domande su alcune contraddizioni che vedevo, ma venivo rapidamente tacitata con
la motivazione che sarei andata all’inferno anche soltanto per aver pensato
quelle cose. Per la mia mancanza di istruzione ero incapace di formulare una
risposta.
Alla fine non ne potei più. Non potevo accettare le incoerenze che avevo
intorno. Ero confusa su chi fosse Dio. Mi sembrava che Escrivá fosse più
venerato di Dio stesso. A volte mi accorgevo che spesso passavano settimane
senza che io sentissi la parola Dio. Si parlava sempre del "padre" o del "nostro
padre". Avevo bisogno del Dio che conoscevo prima di entrare nell’Opus Dei.
Una mattina, umida e ventosa, lasciai il Centro dell’Opus Dei e le mie numerose
amiche numerarie assistenti. La numeraria che mi accompagnò alla partenza lanciò
la mia borsa per terra e se ne andò senza nemmeno salutarmi. Ero sconvolta dal
comportamento di questa persona che apparentemente si dedicava a Dio. Quando
salii sul mezzo pubblico, che mi avrebbe riportato alla mia famiglia, capii che,
mentre ero nell’Opus Dei, mi avevano persino sottratto la capacità di comprare
un biglietto.
Arrivai a casa, dalla mia famiglia che mi perdonava, ferita, confusa, in preda
al senso di colpa e ad un grave shock. Lentamente cominciai a capire che il
mondo non era così crudele o cattivo come l’Opus Dei lo dipingeva. C’erano molte
persone buone.
Cercai di tirare avanti per un po’, dicendomi che tutto andava bene e che io
potevo farcela. Tuttavia, essendo stata privata di tutte le facoltà sociali e
della fiducia in me stessa, avevo urgente bisogno di assistenza psicologica.
Dopo un lungo periodo, lentamente riconquistai la mia autostima. Tornai a scuola
e finii la scuola e andai all’università, dove mi laureai. Spero di ottenere un
master nel giro di qualche anno. Ho un buon lavoro, una macchina, una casa e una
buona relazione.
Ci sono molte numerarie assistenti nel mondo che vivono una vita simile a quella
che ho descritto. Sento che i diritti umani di queste donne sono stati
gravemente violati dai comportamenti e dalle regole dell’Opus Dei. Tuttavia
l’Opus Dei continua a giustificare e a permettere l’esistenza di questo tipo di
condizione. Essa può essere descritta soltanto come grave sfruttamento di un
gruppo vulnerabile di donne nel nome di Dio.
Conosco molte donne molto infelici e psicologicamente disturbate che stanno
ancora nell’Opus Dei dando tutto per questa organizzazione. Ho vissuto in prima
persona le automutilazioni di alcune di queste persone e posso ancora sentire i
loro gemiti soffocati di notte. Erano diffusi depressione e disordini
alimentari. Alcune numerarie assistenti che non ce la facevano più fisicamente a
lavorare, vennero espulse senza spiegazioni, denaro e una casa dove andare.
Molte non parlano per la loro mancanza di istruzione e per il senso di colpa che
sentono. Molte vivono temendo i membri dell’Opus Dei e la loro capacità di
compiere ritorsioni su coloro che parlano contro di essi. Mentre molta gente è
consapevole dei metodi di reclutamento usati dall’Opus Dei e del tipo di vita
che le numerarie vivono in particolare, la vita delle numerarie assistenti è
spesso sconosciuta. Vi sollecito a interessarvi delle circostanze in cui queste
donne vivono. Dobbiamo dare voce a questo gruppo di donne silenzioso,
vulnerabile, dimenticato. Non ho trattato il tema delle punizioni corporali
perché non erano quelle, la punizione nella nostra vita. Avevamo cose ben
peggiori da affrontare.
Vi prego di riflettere sulle parole della Carta dei diritti umani: articolo 7:
nessuno deve essere sottoposto a tortura o a un trattamento crudele, inumano o
degradante o alla punizione. Articolo 8 (2): Nessuno deve essere tenuto in
schiavitù.
Vi sono molti altri temi che non ho trattato. Tuttavia, ho tentato di dare
un’idea della vita che le numerarie assistenti vivono. Pregate per loro».
APPROFONDIMENTO
Emanuela Provera, milanese, 42 anni, sposata, con una bambina. Lavora come consulente.
All’età di 17 anni conosce l’Opus Dei a Manchester durante una vacanza studio. Nel 1986 a 19 anni e mezzo chiede l’ammissione come numeraria mentre viveva come studentessa fuori sede presso la Residenza Universitaria Viscontea, un’elegante sede dell’Opus Dei, femminile, nel cuore di Milano, a due passi da Piazza Duomo. La residenza si apriva in quell’anno scolastico e lei fu la prima studentessa a iscriversi. Pochi anni fa fu costituita l’Associazione delle ex-residenti, Emanuela non è citata, né compare nelle foto delle iscritte. Nel 1988 va a vivere stabilmente in un Centro della Prelatura per sole numerarie, a Milano (Residenza Universitaria Torriana). Dopo due anni entra a far parte del Consiglio Locale del Tandem Club, centro della Prelatura a Milano, frequentato prevalentemente da giovani studentesse. Mentre svolge incarichi di governo all’interno della Prelatura, contemporaneamente conclude gli studi universitari. Inizia a collaborare con uno studio legale ma deve interrompere il lavoro perché nel 1992 si trasferisce a Verona per entrare nella direzione della Residenza Universitaria Clivia (Fondazione RUI), dove si occupa prevalentemente di animare un Centro culturale rivolto a ragazze giovani da avvicinare all’Opus Dei. Durante la permanenza a Verona, nel 1993, le viene concessa la «fedeltà», l’incorporazione definitiva nell’Opera. Nel 1998 chiede di essere esonerata dall’incarico di governo, nel 2000 riceve la dispensa dal Prelato che la libera dal vincolo contratto con l’istituzione. Durante tutto il periodo di permanenza nell’Opus Dei collabora con la Fondazione Rui in attività di coaching e organizzazione di eventi oltre che di formazione delle persone appartenenti all’istituzione.
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Sito americano che raccoglie testimonianze sull'Opus Dei
Tratto dal libro "Habemus Papam" di David A. Yallop