CON LA COMPLICITÀ E
L'IGNAVIA DI UN'INTERA CLASSE POLITICA DOVE DESTRA, SINISTRA E CENTRO SONO SOLO
SPECCHI PER IL POPOLINO. CHI COMANDA ORMAI È LA GRANDE FINANZA ANGLOAMERICANA.
Ecco a
voi la lista aggiornata dei nostri spacciatori di debito pubblico…
Elenco degli Specialisti strozzini d'Italia 2010
Questo è il cartello che
strozza, usura e ricatta l’Italia. Questo è il cartello che dobbiamo mandare a
casa. Questo è il cartello dei criminali che ci stanno spennando. Ecco l’elenco
degli specialisti in titoli di Stato, attraverso le cui grinfie lo Stato
italiano deve passare per ottenere la liquidità che gli spetterebbe per diritto
e per definizione.
Gli specialisti strozzini
d’Italia comprano per primi il nostro debito rivendendolo ai loro amici e
decidendo di non presentarsi a un’asta, possono far saltare quel che resta
dell’impalcatura del nostro paese – ciò che si guardano bene di fare –
aumentando in modo esponenziale gli interessi sul debito pubblico. Essi hanno
deciso di farci bollire piano piano essendo la rana italica più gustosa
“stufata” ed essendoci molta carne sul fuoco (molte ricchezze da depredare). Più
c’è da spolpare, più lento sarà lo spolpamento. Se la rana è grossa, non sia mai
che schizzasse fuori dalla pentola o che addirittura si arrabbiasse, mordendo i
cuochi..
Vedete che uno spin off
della MPS è pressoché l’unico istituto ancora italiano. Capirete quindi come mai
proprio il suo presidente sia diventato capo dell’ABI. Scoprirete indi come mai
questa banca è diventata talmente cruciale per il saccheggio e l’occupazione
finanziaria del nostro territorio. Ricorderete che lo stesso Mussari è cooptato
nel consiglio di amministrazione di AXA, e che gli azionisti cosiddetti
minoritari in MPS sono tutt’altro che minoritari dal punto di vista di altre
gerarchie (Morgan and Chase Corporation, Axa) e hanno comprato la Unicoop (PD) e
le fondazioni bancarie, azionista di maggioranza di MPS. Senza contare
l’immancabile Caltagirone, l’anello di scorrimento tra finanza internazionale e
radicamento sul territorio presente in tutti i porti, in tutti gli aeroporti,
nell’acqua, nei media, d’Italia. Senza dimenticare il sodalizio con Casini.
1992-2012 - "Guerra Finanziaria" all'Italia (con commento di Paolo Barnard)
Fermare il “delirio”. Analisi di un manifesto
liberista
“Fermare il declino” è il titolo del
manifesto di quello che si candida ad essere un nuovo partito
liberale-liberista-libertarian, promosso da alcuni liberisti noti al grande
pubblico come Oscar Giannino e Michele Boldrin.
Al manifesto hanno aderito anche diversi esponenti del partito di Fini e della
fondazione di Luca Cordero di Montezemolo.
1) Ridurre l’ammontare del debito pubblico: è
possibile scendere rapidamente sotto la soglia simbolica del 100% del PIL anche
attraverso alienazioni del patrimonio pubblico, composto sia da immobili non
vincolati sia da imprese o quote di esse.
E’ stato già fatto negli ultimi 20 anni. Dopo la cessione
a Fiat dell’Alfa Romeo (anni 80), nel decennio seguente l’Italia ha realizzato
un’enorme dismissione di partecipazioni statali, tra cui:
Alimentari: Sme, Gs, Autogrill, Cirio Bertolli De Rica,
Pavesi
Siderurgia, alluminio, vetro: Italsider,
Acciarieri di Terni, Dalmine, Acciaierie e Ferriere di Piombino, Csc, Alumix,
Cementir, Siv
Meccanica ed elettromeccanica: Nuovo
Pignone, Italimpianti, Elsag Bailey Process Automation, Savio Macchine Tessili,
Esaote Biomedica, VitroselEnia, Dea, Alenia Marconi Communication
Costruzioni: Società Italiana per Condotte d’Acqua
TLC: Telecom Italia
Editoria e pubblicità: Seat Pagine Gialle, Editrice Il
Giorno, Nuova Same
Banche e assicurazioni: BNL,
INA, IMI, ecc.
Trasporti: Società Autostrade
Negli anni 2000, inoltre, il governo ha messo sul mercato ingenti quantità di
immobili di proprietà dello stato.
Questo non ha fatto “scendere rapidamente” il debito
pubblico, visto anche che molte di queste società sono state vendute a prezzi
bassi a causa della crisi degli inizi degli anni ’90.
Il risultato netto di queste privatizzazioni è che oggi
le imprese italiane che hanno una qualche rilevanza internazionale sono solo le
due principali aziende ancora controllate dallo stato: Eni ed Enel. L’esatto
opposto di quello che i promotori dell’appello sostengono riguardo la presunta
efficienza del privato e la irriformabile inefficienza del pubblico.
2) Ridurre la spesa pubblica
di almeno 6 punti percentuali del PIL nell’arco di 5 anni. La spending review
deve costituire il primo passo di un ripensamento complessivo della spesa, a
partire dai costi della casta politico-burocratica e dai sussidi alle imprese
(inclusi gli organi di informazione). Ripensare in modo organico le grandi voci
di spesa, quali sanità e istruzione, introducendo meccanismi competitivi
all’interno di quei settori. Riformare il sistema pensionistico per garantire
vera equità inter—e intra—generazionale.
Al di là degli ammiccamenti populisti (“i
costi della casta politico-burocratica”; chissà perché non i costi della casta
degli economisti che sbagliano le previsioni) il punto centrale è “Ripensare
in modo organico le grandi voci di spesa, quali sanità e istruzione”. Ma la
nostra spesa sanitaria non è affatto eccessiva, anzi è sotto la media OCSE.
Addirittura è minore della sola spesa pubblica pro-capite negli Stati Uniti,
assicurando però una copertura maggiore, ed è inferiore a quella di paesi come
il Regno Unito, il Canada, la Francia, la Germania.
Gli estensori dell’appello forse
dovrebbero essere più chiari: quanti infermieri e medici occorre licenziare?
Quanti insegnanti perderanno il loro posto di lavoro? E che dire della spesa per
gli altissimi interessi che paghiamo sul debito pubblico? Perché non se ne fa
alcun cenno?
Riguardo i sussidi alle imprese,
rimandiamo a quanto già detto in un
precedente articolo.
3) Ridurre la pressione
fiscale complessiva di almeno 5 punti in 5 anni, dando la priorità alla
riduzione delle imposte sul reddito da lavoro e d’impresa. Semplificare il
sistema tributario e combattere l’evasione fiscale destinando il gettito alla
riduzione delle imposte.
Tutti vogliamo meno tasse. Il problema è
fare in modo che il maggiore reddito disponibile non finisca in risparmio. Per
ora quel che succede è che lo Stato
preleva dalle tasche degli italiani troppo e lo destina in quantità sempre
crescenti a pagare gli interessi ai rentier (sia italiani che
stranieri) detentori di titoli di stato. Forse sarebbe il caso di analizzare
come risolvere questo problema, dopodiché abbassare le tasse sarà facile senza
compromettere i servizi.
4) Liberalizzare rapidamente
i settori ancora non pienamente concorrenziali quali, a titolo di esempio:
trasporti, energia, poste, telecomunicazioni, servizi professionali e banche
(inclusi gli assetti proprietari). Privatizzare le imprese pubbliche con
modalità e obiettivi pro-concorrenziali nei rispettivi settori. Inserire nella
Costituzione il principio della concorrenza come metodo di funzionamento del
sistema economico, contro privilegi e monopoli d’ogni sorta. Privatizzare la
RAI, abolire canone e tetto pubblicitario, eliminare il duopolio imperfetto su
cui il settore si regge favorendo la concorrenza. Affidare i servizi pubblici,
incluso quello radiotelevisivo, tramite gara fra imprese concorrenti.
La concorrenza nei trasporti ferroviari
c’è da alcuni mesi: il risultato è che le tariffe standard sono sostanzialmente
le stesse tra operatore pubblico e privato, mentre le FS, pressate dalla
concorrenza, sono indotte a ridurre i servizi meno remunerativi (treni notte,
trasporto locale).
L’energia è già liberalizzata. Per la
verità, se si guarda questo grafico, si nota come le tariffe di mercati
liberalizzati da più tempo siano cresciute più delle nostre e soprattutto più di
quelle francesi, dove la liberalizzazione è molto indietro e il principale
operatore è una società controllata dallo stato (ma è largamente indipendente
dal petrolio).
Variazioni dei prezzi dell’elettricità nei principali paesi
europei
(percentuali sull’anno precedente) – Autority energia ed Eurostat
Quanto alle privatizzazioni, di cui si è
già detto, aggiungiamo che questo è senz’altro il momento meno indicato a causa
della svalutazione delle nostre imprese, che già sta favorendo importanti
acquisizioni estere.
5) Sostenere i livelli di
reddito di chi momentaneamente perde il lavoro anziché tutelare il posto di
lavoro esistente o le imprese inefficienti. Tutti i lavoratori,
indipendentemente dalla dimensione dell’impresa in cui lavoravano, devono godere
di un sussidio di disoccupazione e di strumenti di formazione che permettano e
incentivino la ricerca di un nuovo posto di lavoro quando necessario,
scoraggiando altresì la cultura della dipendenza dallo Stato. Il pubblico
impiego deve essere governato dalle stesse norme che sovrintendono al lavoro
privato introducendo maggiore flessibilità sia del rapporto di lavoro che in
costanza del rapporto di lavoro.
Dal 2003 l’Italia ha diminuito le
protezioni dai licenziamenti (cioè ha aumentato la flessibilità) più di ogni
altro paese OCSE. Il risultato è che l’occupazione non è aumentata, l’incertezza
è diventata la condizione standard del lavoratore, i figli guadagnano meno dei
padri. Ovviamente non si è proceduto ad alcuna compensazione in termini di
welfare: difficile sostenere contemporaneamente che occorre diminuire la spesa
pubblica mentre si propongono misure che la farebbero aumentare a dismisura. A
meno che tali costi non siano a carico di imprese e lavoratori, ovvero si
trasformino in un aumento dei contributi (quindi dell’imposizione). Ma non si
era detto al punto 3) di diminuire la tassazione su lavoro e imprese?
Da questo punto in poi procederemo più
velocemente perché si tratta di ovvietà o di ripetizioni dei punti precedenti.
6) Adottare immediatamente
una legislazione organica sui conflitti d’interesse.
Nulla da dire.
7) Far funzionare la
giustizia. Riformare il codice di procedura e la carriera dei magistrati, con
netta distinzione dei percorsi e avanzamento basato sulla performance; no agli
avanzamenti di carriera dovuti alla sola anzianità. Introdurre e sviluppare
forme di specializzazione che siano in grado di far crescere l’efficienza e la
prevedibilità delle decisioni. Difendere l’indipendenza di tutta la
magistratura, sia inquirente che giudicante. Assicurare la terzietà dei
procedimenti disciplinari a carico dei magistrati. Gestione professionale dei
tribunali generalizzando i modelli adottati in alcuni di essi. Assicurare la
certezza della pena da scontare in un sistema carcerario umanizzato.
Un sistema carcerario umanizzato richiede
più spesa, ma non possiamo farla perché il punto 2) dice che dobbiamo ridurla.
Stranamente però, il manifesto “liberale” non dice nulla circa la
depenalizzazione dei reati “fascistissimi” che non sono percepiti più come tali:
consumo di droghe, violazioni del copyright, ingiuria, ecc. Questo farebbe
risparmiare tempo e denaro e farebbe funzionare più speditamente la giustizia,
molto più che la “netta distinzione dei percorsi”.
8) Liberare le potenzialità
di crescita, lavoro e creatività dei giovani e delle donne, oggi in gran parte
esclusi dal mercato del lavoro e dagli ambiti più rilevanti del potere economico
e politico. Non esiste una singola misura in grado di farci raggiungere questo
obiettivo; occorre agire per eliminare il dualismo occupazionale, scoraggiare la
discriminazione di età e sesso nel mondo del lavoro, offrire strumenti di
assicurazione contro la disoccupazione, facilitare la creazione di nuove
imprese, permettere effettiva mobilità meritocratica in ogni settore
dell’economia e della società e, finalmente, rifondare il sistema educativo.
“Eliminare il dualismo occupazionale”
richiederebbe dare ai giovani le stesse garanzie dei padri. Ma questo è
l’opposto di quanto affermato in precedenza. L’alternativa è fare il contrario,
ovvero togliere garanzie ai lavoratori a tempo indeterminato, come si è iniziato
a fare con la riforma dell’art.18. Ma come questo aiuterebbe i giovani è
difficile immaginarlo. Riguardo gli “strumenti di assicurazione contro la
disoccupazione” si è già detto.
“Facilitare la creazione di nuove
imprese”: è stato già fatto. Ora si può aprire un’impresa con un solo euro.
Trovare un cliente che si fidi di una società senza capitali è altro discorso.
Peraltro il problema del nostro paese è l’esatto opposto: ci sono troppe aziende
e troppo piccole per realizzare quelle necessarie economie di scala che
permettano l’aumento della produttività.
9) Ridare alla scuola e
all’università il ruolo, perso da tempo, di volani dell’emancipazione
socio-economica delle nuove generazioni. Non si tratta di spendere di meno,
occorre anzi trovare le risorse per spendere di più in educazione e ricerca.
Però, prima di aggiungere benzina nel motore di una macchina che non funziona,
occorre farla funzionare bene. Questo significa spendere meglio e più
efficacemente le risorse già disponibili. Vanno pertanto introdotti cambiamenti
sistemici: la concorrenza fra istituzioni scolastiche e la selezione
meritocratica di docenti e studenti devono trasformarsi nelle linee guida di un
rinnovato sistema educativo. Va abolito il valore legale del titolo di studio.
Ma come, non si era detto al punto 2) che
bisogna intervenire anche sull’istruzione per ridurre le spese? Riguardo
all’abolizione del valore legale del titolo di studio, gli unici che se ne
avvantaggerebbero sono le scuole e le università private, come accade negli
Stati Uniti.
10) Introdurre il vero
federalismo con l’attribuzione di ruoli chiari e coerenti ai diversi livelli di
governo. Un federalismo che assicuri ampia autonomia sia di spesa che di entrata
agli enti locali rilevanti ma che, al tempo stesso, punisca in modo severo gli
amministratori di quegli enti che non mantengono il pareggio di bilancio
rendendoli responsabili, di fronte ai propri elettori, delle scelte compiute.
Totale trasparenza dei bilanci delle pubbliche amministrazioni e delle società
partecipate da enti pubblici con l’obbligo della loro pubblicazione sui
rispettivi siti Internet. La stessa “questione meridionale” va affrontata in
questo contesto, abbandonando la dannosa e fallimentare politica di sussidi
seguita nell’ultimo mezzo secolo.
Il federalismo porta ad aumentare
l’inefficienza moltiplicando i centri di spesa e di decisione. Non a caso
infatti nella spending review si è puntato molto sugli acquisti centralizzati.
Si guardi alle Regioni che già oggi sono più autonome, come la Val d’Aosta e la
Sicilia: non esattamente un modello in termini di efficienza. Certo, il
manifesto parla di “pareggio di bilancio”, ma dare alle Regioni una più ampia
autonomia in termini di entrate significa una cosa semplice: più tasse. Darla in
termini di spesa significa più spesa, magari in prebende agli amici degli amici,
come ci ricordano sempre gli stessi firmatari del manifesto. Il pareggio di
bilancio si fa anche tassando al 100% i redditi privati e spendendo il 100%
degli introiti: gli estensori dell’appello vogliono una repubblica federale
socialista?
La strada è semmai opposta, a partire
dall’abolizione delle province (tutte).
In conclusione, il manifesto “Fermare il
declino” potrebbe tradursi in “accelerare la caduta” o “ripetere gli stessi
errori”. I suoi estensori appaiono in definitiva animati da una sorta di visione
“delirante” della crisi, in quanto staccata dalla realtà dei fatti e spesso
autocontraddittoria. Ma, al di là della buona fede di costoro, il
ridimensionamento del settore pubblico ha ben altri e più smaliziati sponsor.
Prof. Giulio Sapelli: "Monti e gli economisti neoclassici raccontano balle"
Ladri di Alto Bordo, Saccheggiano l’Italia
Per vedere cosa c’è sotto
il proprio naso occorre un grande sforzo. (G.Orwell)
Ogni governo può creare,
emettere e far circolare tutta la valuta ed il credito necessari per
soddisfare le proprie necessità di spesa ed il potere d’acquisto dei
consumatori (Abraham Lincoln, XVI presidente degli Stati Uniti)
L’arma che questa banda di banchieri
utilizza per derubare il mondo non è una bomba atomica, anche se è ugualmente
letale, ma un’ideologia : il
Liberismo.
Come potete leggere su Wikipedia, il
liberismo è una dottrina economica che teorizza il disimpegno dello stato
dall’economia (perciò un’economia liberista è un’economia di mercato solo
temperata da interventi esterni); Il liberismo fu abbozzato durante la
Rivoluzione Francese, si sviluppò ampiamente nel corso dell’Illuminismo scozzese
e all’interno della scuola detta “fisiocratica”, ma trovò forse la sua
formulazione più compiuta in Inghilterra nel corso del XIX secolo, spinto dalla
rivoluzione industriale, dagli studi di Adam Smith.Entrato in difficoltà in
seguito alla crisi del 1929 e al diffondersi delle teorie keynesiane e più in
generale con il diffondersi di visioni collettiviste,
il liberismo ha conosciuto una rinascita negli ultimi anni del XX secolo,intorno
al 1980, (neoliberismo) in seguito
all’affermazione della globalizzazione e – ancor più – con la
rinascita della cosiddetta Scuola austriaca (Carl Menger, Ludwig von Mises,
Bruno Leoni,Murray N. Rothbard, Friedrich von Hayek).
Il liberismo afferma la
tendenza del mercato (la mano invisibile) ad evolvere spontaneamente
verso la struttura più efficiente possibile, che è poi il “mondo
migliore” sia per il produttore che per il consumatore. Quindi, per
il liberismo il sistema-mercato tende verso una situazione di ordine
crescente.
Oggi sappiamo tutti che queste sono
sciocchezze, giusto per usare un eufemismo, favolette che la cruda realtà dei
giorni nostri ha smentito seccamente. Favolette raccontate, da chi insofferente
del primato dello Stato e degli interessi dello Stato al proprio profitto
personale si è inventato una teoria senza nessun fondamento razionale (e nessuna
esperienza reale); si è inventato una teoria fondata su aspirazioni e desideri
di avidi sciocchi, piuttosto che sull’analisi reale delle dinamiche dei mercati.
Grafico 1 : Indice di sostenibilità del debito
pubblico e rapporto debito su Pil, 1862-2000
Vorrei esaminare insieme a voi il grafico sopra;
il grafico rappresenta in blu l’indice di sostenibilità del debito
pubblico italiano, e in rosso il famigerato rapporto Debito
su PIL1. Come possiamo vedere, a partire dal
1948 inizia un lungo periodo di sostanziale stabilità fino al 1980
con pochi anche se significativi scostamenti o leggeri slittamenti
di tendenza, come quello che si verifica dal 1965 fino al 1980
di moderato declino; dopo di essa, le condizioni di sostenibilità
tendono a peggiorare sempre più per tutto il periodo che va dal 1981
fino al 1994; infine, nell’ultimo periodo, dal 1995 si assiste a un
miglioramento progressivo dei problemi di sostenibilità che si
mantiene fino al 2000, quando tale tendenza si inverte nuovamente e
precipita ai giorni nostri.
Cosa
è successo tra il 1980 e
il 1995 in Italia:
Eliminazione
della moneta di
stato.Il
16 marzo 1978
Aldo Moro fu
rapito e ucciso
il 9 maggio
successivo da
appartenenti al
gruppo
terrorista
denominato
Brigate Rosse;
subito dopo
l’Italia smise
di emettere
cartamoneta di
Stato.
I sindacati
dalla parte dei
padroni.
La Marcia dei 4000
Quadri Fiat: è
una manifestazione
svoltasi a Torino il
14 ottobre 1980.
Migliaia di
impiegati e quadri
della FIAT scesero
in piazza per
protestare contro le
violente forme di
picchettaggio che
impedivano loro di
entrare in fabbrica
a lavorare, da ormai
35 giorni. La
manifestazione,
secondo l’analisi di
molti storici, segnò
un punto di svolta
nelle relazioni
sindacali: il
sindacato a breve
capitolò e chiuse
con un accordo
favorevole alla Fiat
la vertenza,
iniziando una
progressiva perdita
di potere ed
influenza che si
protrasse per tutti
gli anni ottanta non
solo in Fiat ma nel
paese.
Congelamento
dei salari.
Tra il 1984 e il
1992, è abrogata
la scala mobile:
i governi di Bettino
Craxi e Giuliano
Amato,
con l’accordo degli
stessi sindacati;
giustificarono
l’abrogazione
sostenendo che aveva
generato un circolo
vizioso che
contribuiva una
continua crescita
dell’inflazione. In
realtà la scala
mobile era uno
strumento economico
di politica dei
salari, volto ad
indicizzare
automaticamente i
salari
all’inflazione e
all’aumento del
costo della vita
secondo un indice
dei prezzi al
consumo. Era cioè
uno strumento utile
al fine di mantenere
inalterato il
salario reale dei
lavoratori, e dunque
il loro
potere di acquisto;
entrava in azione
se l’inflazione
cresceva;
mentre Craxi, Amato,
e i sindacati (e
tutta la stampa
nazionale)
sostenevano che era
la scala mobile a
creare inflazione,
un poco come dire
che viene a piovere
se esci con
l’ombrello.
Ludwig von Mises(definito
l’incontrastato
decano della
scuola austriaca
economica)
sosteneva che,
poiché l’aumento
salariale non
comportava una
variazione della
base monetaria ma
soltanto una
riduzione dell’utile
delle imprese, che
veniva redistribuito
ai lavoratori, sia
da escludere un
legame tra scala
mobile e inflazione.
Studio di
una Strategia per
una privatizzazione
selvaggia:
II 2 giugno 1992 si
svolgeva una
riunione semisegreta
tra i principali
esponenti della
City, il mondo
finanziario
londinese, ed i
manager pubblici
italiani,
rappresentanti del
Governo di allora e
personaggi che poi
sarebbero diventati
ministri o direttori
generali nei Governi
Amato, Dini, Ciampi,
Prodi, D’Alema (ma
anche Berlusconi,
per quanto riguarda
la centrale figura
di Mario Draghi).
Oggetto di
discussione: le
privatizzazioni.
Questa riunione si
tenne a bordo del
panfilo della Corona
inglese, il
“Britannia”in
navigazione lungo le
coste siciliane.In
quella riunione si
decise di acquistare
le aziende italiane
e la Banca d’Italia,
e come far crollare
il vecchio sistema
politico per
insediarne un altro,
completamente
manovrato dai nuovi
padroni. A quella
riunione
parteciparono anche
diversi italiani,
come Mario
Draghi,
allora direttore
delegato del
ministero del
Tesoro, il dirigente
dell’Eni
Beniamino Andreatta
e il dirigente
dell’Iri
Riccardo Galli.Gli
intrighi decisi
sulla Britannia
avrebbero permesso
agli anglo-americani
di
mettere le mani sul
48% delle aziende
italiane, fra
le quali c’erano la
Buitoni, la
Locatelli, la
Negroni, la
Ferrarelle, la
Perugina e la
Galbani. La stampa
martellava su “Mani
pulite”, facendo
intendere che da
quell’evento
sarebbero derivati
grandi cambiamenti.
Nel giugno 1992 si
insediò il governo
di Giuliano
Amato. Si
trattava di un
personaggio in
armonia con gli
speculatori che
ambivano ad
appropriarsi
dell’Italia. Tutto
era pronto e
favorevole,
bisognava solo
trovare un pretesto
per convincere
l’opinione pubblica
italiana che fosse
necessario
privatizzare. Il
pretesto lo crea ad
arte George Soros.
Attacco
speculativo alla
Lira:L’attacco
speculativo del
settembre 1992,
condotto da George
Soros, portò ad
una svalutazione
della lira del 30%
ed al prosciugamento
delle riserve della
Banca d’Italia, che
fu costretta a
bruciare 48 miliardi
di dollari nel vano
tentativo di
arginare l’attacco
speculativo. La
crisi portò anche
allo scioglimento
del Sistema
Monetario Europeo.
A seguito
dell’attacco
speculativo contro
la lira e della sua
immediata
svalutazione del
30%, la
privatizzazione,delle
aziende italiane,
sarebbe stata fatta
a prezzi stracciati,
a beneficio della
grande finanza
internazionale e a
discapito degli
interessi dello
stato italiano e
dell’economia
nazionale e
dell’occupazione.
Stranamente, gli
stessi partecipanti
all’incontro del
Britannia avevano
già ottenuto
l’autorizzazione da
parte di uomini di
governo come Mario
Draghi, di studiare
e programmare le
privatizzazioni
stesse. I complici
italiani furono il
ministro del Tesoro
Piero Barucci,
l’allora Direttore
di Bankitalia
Lamberto Dini e
l’allora governatore
di Bankitalia Carlo
Azeglio Ciampi.
Altre responsabilità
vanno all’allora
capo del governo
Giuliano Amato e al
Direttore Generale
del Tesoro Mario
Draghi. Alcune
autorità italiane
(come Dini) fecero
il doppio gioco:
denunciavano i
pericoli ma in
segreto appoggiavano
gli speculatori.
Amato aveva
costretto i
sindacati ad
accettare un accordo
salariale non
conveniente ai
lavoratori, per la
“necessità di
rimanere nel Sistema
Monetario Europeo”,
pur sapendo che
l’Italia ne sarebbe
uscita a causa delle
imminenti
speculazioni.
Quindi dal 1980, vediamo un vero e
proprio attacco allo Stato italiano, supportato dall’interno da personalità di
spicco del mondo economico e
politico (del Centro-Sinistra) italiano, molti dei quali ancora
in carica. Il Centro Sinistra italiano dal 1997 al 2000 stabilisce il record
europeo di privatizzazioni di aziende statali (battendo persino l’Inghilterra
patria del liberismo). Quindi qui in Italia, abbiamo una sinistra che per più di
mezzo secolo in Tv e sui giornali,ci ha raccontato una politica basata sulla
solidarietà sociale, sul mondo del lavoro, sui diritti dei cittadini, mentre al
parlamento e sui panfili dei reali Inglesi studiavano il modo su come far
arricchire pochi privati,distruggendo la nostra economia e svendendo nostri
diritti.
Ma di tutte le privatizzazioni fatte, il
colpo di grazia, quella che ha consegnato l’Italia nelle mani dei mercati
internazionali (ergo ciò che ha esposto l’Italia alla speculazione finanziaria)
è stato il “Divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia, con la successiva
privatizzazione della stessa nel quinquennio tra il 1990 e il 1994. Finì così
per realizzarsi un autentico scippo. Le azioni della Banca d’Italia, di fatto e
di diritto un’istituzione pubblica creata con il preciso fine di difendere
l’interesse nazionale, quindi l’interesse di tutti, vennero infatti trasferite a
società bancarie private, portate quindi a fare gli interessi dei propri
azionisti privati. Un cambiamento non da poco e che accomuna l’Italia, guarda
caso, alla realtà statunitense dove sono le banche private ad essere gli
azionisti della Federal Reserve, l’unico soggetto autorizzato ad stampare ed
emettere moneta e che fu messo in condizione di farlo grazie ad un autentico
colpo di mano realizzato all’inizio del secolo scorso. E’ appena il caso di
ricordare che il disegno di legge Tremonti sul risparmio, che di fatto
dimissionò l’ex governatore Antonio Fazio, prevedeva tra l’altro che entro il
gennaio del 2009 le quote delle banche in Via Nazionale tornassero di proprietà
del Tesoro o altri enti pubblici ad un prezzo di vendita stabilito dallo stesso
Ministero”. Ancora oggi, la questione del trasferimento delle quote della Banca
d’Italia, un passo importante per rientrare in possesso del signoraggio
monetario, è rimasta sospesa.
Si presume cioè che lo Stato sia una
istituzione sociale, ed invece si comporta come una istituzione antisociale. Già
alle scuole elementari si sostiene che lo stato è fondato sui tre poteri
esecutivo, legislativo e giudiziario, omettendo di menzionare il potere
economico-monetario che sovrasta i prime tre. Eppure il bambino che non ha i
soldi per la merenda, lo sa già bene. In pratica non si descrive appieno in che
cosa consiste la sovranità popolare né si puntualizza che, in caso di abuso da
parte delle istituzioni,
è necessario insorgere.
Sapelli: Questo è un governo crudele e di incompetenti
Era
il 1992, all'improvviso un'intera classe politica dirigente crollava sotto i
colpi delle indagini giudiziarie. Da oltre quarant'anni era stata al potere. Gli
italiani avevano sospettato a lungo che il sistema politico si basasse sulla
corruzione e sul clientelismo. Ma nulla aveva potuto scalfirlo. Né le denunce,
né le proteste popolari (talvolta represse nel sangue), né i casi di connivenza
con la mafia, che di tanto in tanto salivano alla cronaca. Ma ecco che,
improvvisamente, il sistema crollava.
Cos'era successo da fare in modo che gli italiani potessero avere,
inaspettatamente, la soddisfazione di constatare che i loro sospetti sulla
corruzione del sistema politico erano reali?
Mentre l'attenzione degli
italiani era puntata sullo scandalo delle tangenti, il governo italiano stava
prendendo decisioni importantissime per il futuro del paese.
Con l'uragano di "Tangentopoli" gli italiani credettero che potesse iniziare un
periodo migliore per l'Italia. Ma in segreto, il governo stava attuando
politiche che avrebbero peggiorato il futuro del paese. Numerose aziende saranno
svendute, persino la Banca
d'Italia sarà messa in vendita. La svendita venne chiamata "privatizzazione".
Il 1992 fu un
anno di allarme e di segretezza. L'allora Ministro degli Interni Vincenzo
Scotti, il 16 marzo, lanciò un allarme a tutti i prefetti, temendo una serie
di attacchi contro la democrazia italiana. Gli attacchi previsti da Scotti erano
eventi come l'uccisione di politici o il rapimento del presidente della
Repubblica. Gli attacchi ci furono, e andarono a buon fine, ma non si trattò
degli eventi previsti dal Ministro degli Interni. L'attacco alla democrazia fu
assai più nascosto e destabilizzante.
Nel maggio del
1992, Giovanni Falcone venne ucciso dalla mafia. Egli stava indagando sui
flussi di denaro sporco, e la pista stava portando a risultati che potevano
collegare la mafia ad importanti circuiti finanziari internazionali. Falcone
aveva anche scoperto che alcuni personaggi prestigiosi di Palermo erano
affiliati ad alcune logge massoniche di rito scozzese, a cui appartenevano anche
diversi mafiosi, ad esempio Giovanni Lo Cascio. La pista delle logge
correva parallela a quella dei circuiti finanziari, e avrebbe portato a
risultati certi, se Falcone non fosse stato ucciso.
Su Falcone
erano state diffuse calunnie che cercavano di capovolgere la realtà di un
magistrato integro. La gente intuiva che le istituzioni non lo avevano protetto.
Ciò emerse anche durante il suo funerale, quando gli agenti di polizia si
posizionarono davanti alle bare, impedendo a chiunque di avvicinarsi. Qualcuno
gridò: "Vergognatevi, dovete vergognarvi, dovete andare via, non vi avvicinate a
queste bare, questi non sono vostri, questi sono i nostri morti, solo noi
abbiamo il diritto di piangerli, voi avete solo il dovere di vergognarvi".
Che la mafia stesse utilizzando metodi per colpire il paese intero, in modo da
spaventarlo e fargli accettare passivamente il "nuovo corso" degli eventi, lo si
vedrà anche dagli attentati del 1993.
Gli attentati del 1993 ebbero
caratteristiche assai simili agli attentati terroristici degli anni della
"strategia della tensione", e sicuramente avevano lo scopo di spaventare il
paese, per indebolirlo. Il 4 maggio 1993, un'autobomba esplode in via Fauro a
Roma, nel quartiere Parioli. Il 27 maggio un'altra autobomba esplode in via dei
Georgofili a Firenze, cinque persone perdono la vita. La notte tra il 27 e il 28
luglio, ancora un'autobomba esplode in via Palestro a Milano, uccidendo cinque
persone. I responsabili non furono mai identificati, e si disse che la mafia
volesse "colpire le opere d'arte nazionali", ma non era mai accaduto nulla di
simile. I familiari delle vittime e il giudice Giuseppe Soresina saranno
concordi nel ritenere che quegli attentati non erano stati compiuti soltanto
dalla mafia, ma anche da altri personaggi dalle "menti più fini dei mafiosi".[1]
Falcone era un vero
avversario della mafia. Le sue indagini passarono a Borsellino, che venne
assassinato due mesi dopo. La loro morte ha decretato il trionfo di un sistema
mafioso e criminale, che avrebbe messo le mani sull'economia italiana, e
costretto il paese alla completa sottomissione politica e finanziaria.
Mentre il ministro Scotti faceva una dichiarazione che suonava quasi come una
minaccia: "la mafia punterà su obiettivi sempre più eccellenti e la lotta si
farà sempre più cruenta, la mafia vuole destabilizzare lo stato e piegarlo ai
propri voleri", Borsellino lamentava regole e leggi che non permettevano una
vera lotta contro la mafia. Egli osservava: "non si può affrontare la potenza
mafiosa quando le si fa un regalo come quello che le è stato fatto con i nuovi
strumenti processuali adatti ad un paese che non è l’Italia e certamente non la Sicilia. Il nuovo codice, nel suo
aspetto dibattimentale, è uno strumento spuntato nelle mani di chi lo deve
usare. Ogni volta, ad esempio, si deve ricominciare da capo e dimostrare che
Cosa Nostra esiste".[2]
I metodi statali di
sabotaggio della lotta contro la mafia sono stati denunciati da numerosi
esponenti della magistratura. Ad esempio, il 27 maggio 1992, il Presidente del
tribunale di Caltanissetta Placido Dall’Orto, che doveva occuparsi delle
indagini sulla strage di Capaci, si trovò in gravi difficoltà: "Qui è molto
peggio di Fort Apache, siamo allo sbando. In una situazione come la nostra la
lotta alla mafia è solo una vuota parola, lo abbiamo detto tante volte al Csm".[3]
Anche il Pubblico Ministero di Palermo, Roberto Scarpinato, nel giugno
del 1992 disse: "Su un piatto della bilancia c’ è la vita, sull’altro piatto ci
deve essere qualcosa che valga il rischio della vita, non vedo in questo
pacchetto un impegno straordinario da parte dello Stato, ad esempio non vedo
nulla di straordinario sulla caccia e la cattura dei grandi latitanti".[4]
Nello stesso anno, il senatore Maurizio Calvi raccontò che Falcone gli
confessò di non fidarsi del comando dei carabinieri di Palermo, della questura
di Palermo e nemmeno della prefettura di Palermo.[5]
Che gli assassini di capaci
non fossero tutti italiani, molti lo sospettavano.
Il Ministro Martelli, durante una visita in Sudamerica, dichiarò: "Cerco legami
tra l’assassinio di Falcone e la mafia americana o la mafia colombiana".[6]
Lo stesso presidente del consiglio Amato, durante una visita a Monaco, disse:
"Falcone è stato ucciso a Palermo ma probabilmente l’omicidio è stato deciso
altrove".
Probabilmente, le tecniche d'indagine di Falcone non piacevano ai personaggi con
cui il governo italiano ebbe a che fare quell'anno. Quel considerare la lotta
alla mafia soprattutto un dovere morale e culturale, quel coinvolgere le persone
nel candore dell'onestà e dell'assenza di compromessi, gli erano valsi la
persecuzione e i metodi di calunnia tipici dei servizi segreti inglesi e
statunitensi. Tali metodi mirano ad isolare e a criminalizzare, cercando di fare
apparire il contrario di ciò che è. Cercarono di far apparire Falcone un
complice della mafia. Antonino Caponnetto dichiarò al giornale La
Repubblica: "Non si può negare che c’è stata una campagna (contro Falcone),
cui hanno partecipato in parte i magistrati, che lo ha delegittimato. Non c’è
nulla di più pericoloso per un magistrato che lotta contro la mafia che l’essere
isolato".[7]
L'omicidio di due simboli
dello Stato così importanti come Falcone e Borsellino significava qualcosa di
nuovo. Erano state toccate le corde dell'élite di potere internazionale, e
questi omicidi brutali lo testimoniavano. Ciò è stato intuito anche da
Charles Rose, Procuratore distrettuale di New York, che notò la
particolarità degli attentati: "Neppure i boss più feroci di Cosa Nostra hanno
mai voluto colpire personalità dello Stato così visibili come era Giovanni,
perché essi sanno benissimo quali rischi comporta attaccare frontalmente lo
Stato. Quell’attentato terroristico è un gesto di paura... Credo che una mafia
che si mette a sparare ai simboli come fanno i terroristi... è condannata a
perdere il bene più prezioso per ogni organizzazione criminale di quel tipo,
cioè la complicità attiva o passiva della popolazione entro la quale si muove".[8]
Infatti,
quell'anno gli italiani capirono che c'era qualcosa di nuovo, e scesero in
piazza contro la mafia. Si formarono due fronti: la gente comune contro la
mafia, e le istituzioni, che si stavano sottomettendo all'élite che coordina le
mafie internazionali.
Quell'anno l'élite anglo-americana non voleva soltanto impedire la lotta
efficace contro la mafia, ma voleva rendere l'Italia un paese completamente
soggiogato ad un sistema mafioso e criminale, che avrebbe dominato attraverso il
potere finanziario.
Come segnalò il presidente
del Senato Giovanni Spadolini, c'era in atto un'operazione su larga scala
per distruggere la democrazia italiana: "Il fine della criminalità mafiosa
sembra essere identico a quello del terrorismo nella fase più acuta della
stagione degli anni di piombo: travolgere lo stato democratico nel nostro paese.
L’obiettivo è sempre lo stesso: delegittimare lo Stato, rompere il circuito di
fiducia tra cittadini e potere democratico…se poi noi scorgiamo – e ne abbiamo
il diritto – qualche collegamento internazionale intorno alla sfida mafia più
terrorismo, allora ci domandiamo: ma forse si rinnovano gli scenari di
dodici-undici anni fa? Le minacce dei centri di cospirazione
affaristico-politica come la P2
sono permanenti nella vita democratica italiana. E c’è un filone piduista che
sopravvive, non sappiamo con quanti altri. Mafia e P2 sono congiunte fin dalle
origini, fin dalla vicenda Sindona".[9]
Anche Tina Anselmi
aveva capito i legami fra mafia e finanza internazionale: "Bisogna stare
attenti, molto attenti... Ho parlato del vecchio piano di rinascita democratica
di Gelli e confermo che leggerlo oggi fa sobbalzare. E’ in piena attuazione...
Chi ha grandi mezzi e tanti soldi fa sempre politica e la fa a livello nazionale
ed internazionale. Ho parlato in questi giorni con un importante uomo politico
italiano che vive nel mondo delle banche. Sa cosa mi ha detto? Che la mafia è
stata più veloce degli industriali e che sta già investendo centinaia di
miliardi, frutto dei guadagni fatti con la droga, nei paesi dell’est... Stanno
già comprando giornali e televisioni private, industrie e alberghi… Quegli
investimenti si trasformeranno anche in precise e specifiche azioni politiche
che ci riguardano, ci riguardano tutti. Dopo le stragi di Palermo la polizia
americana è venuta ad indagare in Sicilia anche per questo, sanno di questi
investimenti colossali, fatti regolarmente attraverso le banche".[10]
Anni dopo, l'ex
ministro Scotti confesserà a Cirino Pomicino: "Tutto nacque da una
comunicazione riservata fattami dal capo della polizia Parisi che, sulla
base di un lavoro di intelligence svolto dal Sisde e supportato da informazioni
confidenziali, parlava di riunioni internazionali nelle quali sarebbero state
decise azioni destabilizzanti sia con attentati mafiosi sia con indagini
giudiziarie nei confronti dei leaders dei partiti di governo".
Una delle riunioni di cui parlava Scotti si svolse il 2 giugno del 1992, sul
panfilo Britannia, in navigazione lungo le coste siciliane. Sul panfilo
c'erano alcuni appartenenti all'élite di potere anglo-americana, come i reali
britannici e i grandi banchieri delle banche a cui si rivolgerà il governo
italiano durante la fase delle privatizzazioni (Merrill Lynch, Goldman Sachs e
Salomon Brothers).
In quella riunione si decise
di acquistare le aziende italiane e la Banca d'Italia, e come far crollare il
vecchio sistema politico per insediarne un altro, completamente manovrato dai
nuovi padroni. A quella riunione parteciparono anche diversi italiani, come
Mario Draghi, allora direttore delegato del ministero del Tesoro, il
dirigente dell'Eni Beniamino Andreatta e il dirigente dell'Iri
Riccardo Galli. Gli intrighi decisi sulla Britannia avrebbero permesso agli
anglo-americani di mettere le mani sul 48% delle aziende italiane, fra le quali
c'erano la Buitoni,
la Locatelli,
la Negroni,
la Ferrarelle, la Perugina e la Galbani.
La stampa martellava su "Mani pulite", facendo intendere che da quell'evento
sarebbero derivati grandi cambiamenti.
Nel giugno 1992 si insediò il governo di Giuliano Amato. Si trattava di
un personaggio in armonia con gli speculatori che ambivano ad appropriarsi
dell'Italia. Infatti, Amato, per iniziare le privatizzazioni, si affrettò a
consultare il centro del potere finanziario internazionale: le tre grandi banche
di Wall Street, Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers.
Appena salito al potere,
Amato trasformò gli Enti statali in Società per Azioni, valendosi del decreto
Legge 386/1991, in modo tale che l'élite finanziaria li potesse controllare, e
in seguito rilevare.
L'inizio fu concertato dal Fondo Monetario Internazionale, che, come aveva fatto
in altri paesi, voleva privatizzare selvaggiamente e svalutare la nostra moneta,
per agevolare il dominio economico-finanziario dell'élite. L'incarico di far
crollare l'economia italiana venne dato a George Soros, un cittadino americano
che tramite informazioni ricevute dai Rothschild, con la complicità di alcune
autorità italiane, riuscì a far crollare la nostra moneta e le azioni di molte
aziende italiane.
Soros ebbe l'incarico, da parte dei banchieri anglo-americani, di attuare una
serie di speculazioni, efficaci grazie alle informazioni che egli riceveva
dall'élite finanziaria. Egli fece attacchi speculativi degli hedge funds per far
crollare la lira. A causa di questi attacchi, il 5 novembre del 1993 la lira
perse il 30% del suo valore, e anche negli anni successivi subì svalutazioni.
Le reti della
Banca Rothschild, attraverso il direttore Richard Katz, misero le
mani sull'Eni, che venne svenduta. Il gruppo Rothschild ebbe un ruolo preminente
anche sulle altre privatizzazioni, compresa quella della Banca d'Italia. C'erano
stretti legami fra il Quantum Fund di George Soros e i Rothschild. Ma
anche numerosi altri membri dell'élite finanziaria anglo-americana, come
Alfred Hartmann e Georges C. Karlweis, furono coinvolti nei processi
di privatizzazione delle aziende e della Banca d'Italia.
La Rothschild ItaliaSpa, filiale di Milano della
Rothschild & Sons di Londra, venne creata nel 1989, sotto la direzione di
Richard Katz. Quest'ultimo diventò direttore del Quantum Fund di Soros
nel periodo delle speculazioni a danno della lira. Soros era stato incaricato
dai Rothschild di attuare una serie di speculazioni contro la sterlina, il marco
e la lira, per destabilizzare il sistema Monetario Europeo. Sempre per conto
degli stessi committenti, egli fece diverse speculazioni contro le monete di
alcuni paesi asiatici, come l'Indonesia e la Malesia. Dopo la distruzione
finanziaria dell'Europa e dell'Asia, Soros venne incaricato di creare una rete
per la diffusione degli stupefacenti in Europa.
In seguito, i
Rothschild, fedeli al loro modo di fare, cercarono di far cadere la
responsabilità del crollo economico italiano su qualcun altro. Attraverso una
serie di articoli pubblicati sul Financial Times, accusarono
la Germania, sostenendo che la Bundesbank aveva attuato
operazioni di aggiotaggio contro la lira. L'accusa non reggeva, perché i
vantaggi del crollo della lira e della svendita delle imprese italiane andarono
agli anglo-americani.
La privatizzazione è stata un saccheggio, che ancora continua. Spiega Paolo
Raimondi, del Movimento Solidarietà:
Abbiamo avuto anni di privatizzazione,
saccheggio dell'economia produttiva e l'esplosione della bolla della finanza
derivata. Questa stessa strategia di destabilizzazione riparte oggi, quando
l'Europa continentale viene nuovamente attratta, anche se non come promotrice e
con prospettive ancora da definire, nel grande progetto di infrastrutture di
base del Ponte di Sviluppo Eurasiatico.[11]
Qualche anno dopo la
magistratura italiana procederà contro Soros, ma senza alcun successo.
Nell'ottobre del 1995, il presidente del Movimento Internazionale per i Diritti
Civili-Solidarietà, Paolo Raimondi, presentò un esposto alla magistratura per
aprire un'inchiesta sulle attività speculative di Soros & Co, che avevano
colpito la lira. L'attacco speculativo di Soros, gli aveva permesso di
impossessarsi di 15.000 miliardi di lire. Per contrastare l'attacco, l'allora
governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, bruciò
inutilmente 48 miliardi di dollari.
Su Soros indagarono le Procure della Repubblica di Roma e di Napoli, che fecero
luce anche sulle attività della Banca d'Italia nel periodo del crollo della
lira. Soros venne accusato di aggiotaggio e insider trading, avendo utilizzato
informazioni riservate che gli permettevano di speculare con sicurezza e di
anticipare movimenti su titoli, cambi e valori delle monete.
Spiegano il Presidente e il segretario generale del "Movimento Internazionale
per i Diritti Civili - Solidarietà", durante l'esposto contro Soros:
È stata... annotata nel
1992 l
'esistenza... di un contatto molto stretto e particolare del sig. Soros con
Gerald Carrigan, presidente della Federal Reserve Bank di New York, che fa
parte dell'apparato della Banca centrale americana, luogo di massima
circolazione di informazioni economiche riservate, il quale, stranamente, una
volta dimessosi da questo posto, venne poi immediatamente assunto a tempo pieno
dalla finanziaria "Goldman Sachs & co." come presidente dei consiglieri
internazionali. La
Goldman Sachs è uno dei centri della grande speculazione sui
derivati e sulle monete a livello mondiale. La Goldman Sachs è anche coinvolta
in modo diretto nella politica delle privatizzazioni in Italia. In Italia
inoltre, il sig. Soros conta sulla strettissima collaborazione del sig.
Isidoro Albertini, ex presidente degli agenti di cambio della Borsa di
Milano e attuale presidente della "Albertini e co. SIM" di Milano, una delle
ditte guida nel settore speculativo dei derivati. Albertini è membro del
consiglio di amministrazione del "Quantum Fund" di Soros.
III. L'attacco speculativo contro la lira del settembre 1992
era stato preceduto e preparato dal famoso incontro del 2 giugno 1992 sullo
yacht "Britannia" della regina Elisabetta II d'Inghilterra, dove i massimi
rappresentanti della finanza internazionale, soprattutto britannica, impegnati
nella grande speculazione dei derivati, come
la S. G.
Warburg,
la Barings e simili, si incontrarono con la controparte italiana guidata da
Mario Draghi, direttore generale del ministero del Tesoro, e dal futuro ministro
Beniamino Andreatta, per pianificare la privatizzazione dell'industria di
stato italiana. A seguito dell'attacco speculativo contro la lira e della sua
immediata svalutazione del 30%, codesta privatizzazione sarebbe stata fatta a
prezzi stracciati, a beneficio della grande finanza internazionale e a discapito
degli interessi dello stato italiano e dell'economia nazionale e
dell'occupazione. Stranamente, gli stessi partecipanti all'incontro del
Britannia avevano già ottenuto l'autorizzazione da parte di uomini di governo
come Mario Draghi, di studiare e programmare le privatizzazioni stesse. Qui ci
si riferisce per esempio alla Warburg, alla Morgan Stanley, solo per fare due
tra gli esempi più noti. L'agenzia stampa EIR (Executive Intelligence Review) ha
denunciato pubblicamente questa sordida operazione alla fine del 1992 provocando
una serie di interpellanze parlamentari e di discussioni politiche che hanno
avuto il merito di mettere in discussione l'intero procedimento, alquanto
singolare, di privatizzazione.[12]
I complici italiani furono il
ministro del Tesoro Piero Barucci, l'allora Direttore di Bankitalia
Lamberto Dini e l'allora governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi.
Altre responsabilità vanno all'allora capo del governo Giuliano Amato e
al Direttore Generale del Tesoro Mario Draghi. Alcune autorità italiane
(come Dini) fecero il doppio gioco: denunciavano i pericoli ma in segreto
appoggiavano gli speculatori.
Amato aveva costretto i sindacati ad accettare un accordo salariale non
conveniente ai lavoratori, per la "necessità di rimanere nel Sistema Monetario
Europeo", pur sapendo che l'Italia ne sarebbe uscita a causa delle imminenti
speculazioni.
Gli attacchi all'economia italiana andarono avanti per tutti gli anni Novanta,
fino a quando il sistema economico- finanziario italiano non cadde sotto il
completo controllo dell'élite. Nel gennaio del 1996, nel rapporto semestrale
sulla politica informativa e della sicurezza, il Presidente del Consiglio
Lamberto Dini disse:
I mercati valutari e le borse delle principali
piazze mondiali continuano a registrare correnti speculative ai danni della
nostra moneta, originate, specie in passaggi delicati della vita
politico-istituzionale, dalla diffusione incontrollata di notizie infondate
riguardanti la compagine governativa e da anticipazioni di dati oggetto delle
periodiche comunicazioni sui prezzi al consumo... è possibile attendersi la
reiterazione di manovre speculative fraudolente, considerato il persistere di
una fase congiunturale interna e le scadenze dell'unificazione monetaria.[13]
Il giorno dopo, il
governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, riferiva che l'Italia
non poteva far nulla contro le correnti speculative sui mercati dei cambi,
perché "se le banche di emissione tentano di far cambiare direzione o di fermare
il vento (delle operazioni finanziarie) non ce la fanno per la dimensione delle
masse in movimento sui mercati rispetto alla loro capacità di fuoco".
Le nostre autorità denunciavano il potere dell'élite internazionale, ma
gettavano la spugna, ritenendo inevitabili quegli eventi. Era in gioco il futuro
economico-finanziario del paese, ma nessuna autorità italiana pensava di poter
fare qualcosa contro gli attacchi destabilizzanti dell'élite anglo-americana.
Il Movimento Solidarietà fu
l'unico a denunciare quello che stava effettivamente accadendo, additando i veri
responsabili del crollo dell'economia italiana. Il 28 giugno 1993, il Movimento
Solidarietà svolse una conferenza a Milano, in cui rese nota a tutti la riunione
sul Britannia e quello che ne era derivato.[14]
Il 6 novembre
1993, l
'allora presidente del Consiglio, Carlo Azeglio Ciampi scrisse una lettera al
procuratore capo della Repubblica di Roma, Vittorio Mele, per avviare "le
procedure relative al delitto previsto all'art. 501 del codice penale ("Rialzo e
ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio"),
considerato nell'ipotesi delle aggravanti in esso contenute". Anche a Ciampi era
evidente il reato di aggiotaggio da parte di Soros, che aveva operato contro la
lira e i titoli quotati in Borsa delle nostre aziende.
Anche negli anni successivi
avvennero altre privatizzazioni, senza regole precise e a prezzi di favore. Che
stesse cambiando qualcosa, gli italiani lo capivano dal cambio di nome delle
aziende, la Sip era diventata Telecom Italia e le Ferrovie dello Stato erano
diventate Trenitalia.
Il decreto legislativo 79/99 avrebbe permesso la privatizzazione delle aziende
energetiche. Nel settore del gas e dell'elettricità apparvero numerose aziende
private, oggi circa 300. Dal 24 febbraio del 1998, anche le Poste Italiane
diventarono una S.p.a. In seguito alla privatizzazione delle Poste, i costi
postali sono aumentati a dismisura e i lavoratori postali vengono assunti con
contratti precari. Oltre 400 uffici postali sono stati chiusi, e quelli rimasti
aperti appaiono come luoghi di vendita più che di servizio.
Le nostre
autorità giustificavano la svendita delle privatizzazioni dicendo che si doveva
"risanare il bilancio pubblico", ma non specificavano che si trattava di pagare
altro denaro alle banche, in cambio di banconote che valevano come la carta
straccia. A guadagnare sarebbero state soltanto le banche e i pochi imprenditori
già ricchi (Benetton, Tronchetti Provera, Pirelli, Colaninno, Gnutti
e pochi altri).
Si diceva che le privatizzazioni avrebbero migliorato la gestione delle aziende,
ma in realtà, in tutti i casi, si sono verificati disastri di vario genere, e il
rimedio è stato pagato dai cittadini italiani.
Le nostre aziende sono state
svendute ad imprenditori che quasi sempre agivano per conto dell'élite
finanziaria, da cui ricevevano le somme per l'acquisto. La privatizzazione della
Telecom avvenne nell'ottobre del 1997. Fu venduta a 11,82 miliardi di euro, ma
alla fine si incassarono soltanto 7,5 miliardi. La società fu rilevata da un
gruppo di imprenditori e banche., e al Ministero del Tesoro rimase una quota del
3,5%.
Il piano per il controllo di Telecom aveva la regia nascosta della Merril
Lynch, del Gruppo Bancario americano Donaldson Lufkin & Jenrette e
della Chase Manhattan Bank.
Alla fine del 1998, il titolo aveva perso il 20% (4,33 euro). Le banche
dell'élite, la Chase Manhattan e la Lehman Brothers,
si fecero avanti per attuare un'opa. Attraverso Colaninno, che ricevette
finanziamenti dalla Chase Manhattan, l'Olivetti diventò proprietaria di Telecom.
L'Olivetti era controllata dalla Bell, una società con sede a Lussemburgo, a sua
volta controllata dalla Hopa di Emilio Gnutti e Roberto Colaninno.
Il titolo, che durante l'opa
era stato fatto salire a 20 euro, nel giro un anno si dimezzò. Dopo pochi anni
finirà sotto i tre euro.
Nel 2001 la Telecom
si trovava in gravi difficoltà, le azioni continuavano a scendere. La Bell di
Gnutti e la Unipol di Consorte decisero di vendere a Tronchetti Provera
buona parte loro quota azionaria in Olivetti. Il presidente di Pirelli,
finanziato dalla J. P. Morgan, ottenne il controllo su Telecom, attraverso la
finanziaria Olimpia, creata con la famiglia Benetton (sostenuta da Banca Intesa
e Unicredit).
Dopo dieci anni dalla
privatizzazione della Telecom, il bilancio è disastroso sotto tutti i punti di
vista: oltre 20.000 persone sono state licenziate, i titoli azionari hanno fatto
perdere molto denaro ai risparmiatori, i costi per gli utenti sono aumentati e
la società è in perdita.
La privatizzazione, oltre che un saccheggio, veniva ad essere anche un modo per
truffare i piccoli azionisti.
La Telecom, come molte altre società, ha posto la
sua sede in paesi esteri, per non pagare le tasse allo Stato italiano. Oltre a
perdere le aziende, gli italiani sono stati privati anche degli introiti fiscali
di quelle aziende. La Bell, società che controllava
la Telecom Italia, aveva sede in Lussemburgo, e aveva
all'interno società con sede alle isole Cayman, che, com'è noto, sono un
paradiso fiscale.
Gli speculatori finanziari
basano la loro attività sull'esistenza di questi paradisi fiscali, dove non è
possibile ottenere informazioni nemmeno alle autorità giudiziarie. I paradisi
fiscali hanno permesso agli speculatori di distruggere le economie di interi
paesi, eppure i media non parlano mai di questo gravissimo problema.
Mettere un'azienda importante come quella telefonica in mani private significa
anche non tutelare la privacy dei cittadini, che infatti è stata più volte
calpestata, com'è emerso negli ultimi anni.
Anche per le altre
privatizzazioni, Autostrade, Poste Italiane, Trenitalia ecc., si sono verificate
le medesime devastazioni: licenziamenti, truffe a danno dei risparmiatori,
degrado del servizio, spreco di denaro pubblico, cattiva amministrazione e
problemi di vario genere.
La famiglia Benetton è diventata azionista di maggioranza delle Autostrade. Il
contratto di privatizzazione delle Autostrade dava vantaggi soltanto agli
acquirenti, facendo rimanere l'onere della manutenzione sulle spalle dei
contribuenti.
I Benetton hanno incassato un bel po' di denaro grazie alla fusione di
Autostrade con il gruppo spagnolo Abertis. La fusione è avvenuta con la
complicità del governo Prodi, che in seguito ad un vertice con Zapatero, ha
deciso di autorizzarla. Antonio Di Pietro, Ministro delle Infrastrutture,
si era opposto, ma ha alla fine si è piegato alle proteste dell'Unione Europea e
alla politica del Presidente del Consiglio.
Nonostante i disastri delle
privatizzazioni, le nostre autorità governative non hanno alcuna intenzione di
rinazionalizzare le imprese allo sfacelo, anzi, sono disposte ad utilizzare
denaro pubblico per riparare ai danni causati dai privati.
La società Trenitalia è stata portata sull'orlo del fallimento. In pochi anni il
servizio è diventato sempre più scadente, i treni sono sempre più sporchi, il
costo dei biglietti continua a salire e risultano numerosi disservizi. A causa
dei tagli al personale (ad esempio, non c'è più il secondo conducente), si sono
verificati diversi incidenti (anche mortali). Nel 2006, l 'amministratore delegato di
Trenitalia, Mauro Moretti, si è presentato ad una audizione alla
commissione Lavori Pubblici del Senato, per battere cassa, confessando un buco
di un miliardo e settecento milioni di euro, che avrebbe potuto portare la
società al fallimento. Nell'ottobre del 2006, il Ministro dei Trasporti,
Alessandro Bianchi, approvò il piano di ricapitalizzazione proposto da
Trenitalia. Altro denaro pubblico ad un'azienda privatizzata ridotta allo
sfacelo.
Dietro tutto questo c'era
l'élite economico finanziaria (Morgan, Schiff, Harriman, Kahn, Warburg,
Rockfeller, Rothschild ecc.) che ha agito preparando un progetto di
devastazione dell'economia italiana, e lo ha attuato valendosi di politici, di
finanzieri e di imprenditori. Nascondersi è facile in un sistema in cui le
banche o le società possono assumere il controllo di altre società o banche.
Questo significa che è sempre difficile capire veramente chi controlla le
società privatizzate. E' simile al gioco delle scatole cinesi, come spiega
Giuseppe Turani: "Colaninno & soci controllano al 51% la Hopa, che controlla
il 56,6% della Bell, che controlla il 13,9% della Olivetti, che controlla il 70%
della Tecnost, che controlla il 52% della Telecom".[15] Numerose aziende di imprenditori italiani
sono state distrutte dal sistema dei mercati finanziari, ad esempio
la Cirio e la
Parmalat. Queste aziende hanno truffato i risparmiatori vendendo obbligazioni
societarie ("Bond") con un alto margine di rischio.
La Parmalat
emise Bond per un valore di 7 miliardi di euro, e allo stesso tempo attuò
operazioni finanziarie speculative, e si indebitò. Per non far scendere il
valore delle azioni (e per venderne altre) truccava i bilanci.
Le banche nazionali e
internazionali sostenevano la situazione perché per loro vantaggiosa, e
l'agenzia di rating, Standard & Poor's, si è decisa a declassare
la Parmalat
soltanto quando la truffa era ormai nota a tutti.
I risparmiatori truffati hanno avviato una procedura giudiziaria contro
Calisto Tanzi, Fausto Tonna, Coloniale S.p.a. (società della famiglia
Tanzi), Citigroup, Inc. (società finanziaria americana), Buconero LLC (società
che faceva capo a Citigroup), Zini & Associates (una compagnia finanziaria
americana), Deloitte Touche Tohmatsu (organizzazione che forniva consulenza e
servizi professionali), Deloitte & Touche SpA (società di revisione contabile),
Grant Thornton International (società di consulenza finanziaria) e Grant
Thornton S.p.a. (società incaricata della revisione contabile del sottogruppo
Parmalat S.p.a.).
La Cirio
era gestita dalla Cragnotti & Partners. I "Partners" non erano altro che una
serie di banche nazionali e internazionali.
La Cirio emise Bond per circa 1.125 milioni di Euro. Molte di
queste obbligazioni venivano utilizzate dalle banche per spillare denaro ai
piccoli risparmiatori. Tutto questo avveniva in perfetta armonia col sistema
finanziario, che non offre garanzie di onestà e di trasparenza.
Grazie alle privatizzazioni, un gruppo ristretto di ricchi italiani ha acquisito
somme enormi, e ha permesso all'élite economico-finanziaria anglo-americana di
esercitare un pesante controllo, sui cittadini, sulla politica e sul paese
intero.
Agli italiani venne dato il contentino di "Mani Pulite", che si risolse con
numerose assoluzioni e qualche condanna a pochi anni di carcere.
A causa delle
privatizzazioni e del controllo da parte della Banca Centrale Europea, il paese
è più povero e deve pagare somme molto alte per il debito. Ogni anno viene
varata la finanziaria, allo scopo di pagare le banche e di partecipare al
finanziamento delle loro guerre. Mentre la povertà aumenta, come la
disoccupazione, il lavoro precario, il degrado e il potere della mafia.
Il nostro paese è oggi controllato da un gruppo di persone, che impongono,
attraverso istituti propagandati come "autorevoli" (Fondo Monetario
Internazionale e Banca Centrale Europea), di tagliare la spesa pubblica, di
privatizzare quello che ancora rimane e di attuare politiche non convenienti
alla popolazione italiana. I nostri governi operano nell'interesse di questa
élite, e non in quello del paese.
Antonella
Randazzo ha scritto Roma Predona. Il colonialismo italiano in Africa,
1870-1943, (Kaos Edizioni, 2006); La Nuova Democrazia.
Illusioni di civiltà nell'era dell'egemonia Usa (Zambon Editore 2007) e Dittature. La Storia Occulta
(Edizione Il Nuovo Mondo, 2007).
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[1]
http://www.reti-invisibili.net/georgofili/ [2]La Repubblica , 27 maggio
1992. [3]La Repubblica , 28 maggio
1992. [4]La Repubblica, 10
giugno 1992. [5]La Repubblica , 23 giugno
1992. [6]La Repubblica , 23 giugno
1992. [7]La Repubblica , 25 giugno
1992. [8]La Repubblica, 27
maggio 1992. [9]La Repubblica, 11
agosto 1992.
[10] L'Unità, 12 agosto 1992.
[11]Solidarietà, anno IV n. 1, febbraio 1996.
[12] Esposto della Magistratura contro George Soros
presentato dal Movimento Solidarietà al Procuratore della Repubblica di
Milano il 27 ottobre 1995.
[13] Servizio per le Informazioni e
la Sicurezza
Democratica , Rivista N. 4 gennaio-aprile 1996.
[14]Solidarietà, anno 1, n. 1, ottobre 1993.
[15]La Repubblica , 5 settembre
1999.