AFGHANISTAN:

DATECI DEI MOTIVI VALIDI PER QUEI MORTI, PERCHÉ

 NOI SENTIAMO SOLO PUZZA DI UN GRANDE IMBROGLIO!

 

“Le bombe di La Russa? Servono solo alla

lobby dell’industria militare”

(Fabio Mini, ex comandante Nato)

 

 

“…e gli uomini… col sangue dei concittadini ingrossano le proprie sostanze e avidi raddoppiano le ricchezze, accumulando strage su strage; crudeli si rallegrano del triste funerale di un fratello…” (Lucrezio Caro, De rerum natura, Libro Terzo)

 

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

I nostri soldati muoiono per questo gasdotto, per la droga, per il litio e per

tenere a bada, in un futuro non troppo lontano, la Cina. La storia del

terrorismo è una balla per tenere buono il popolino!

 

 

INTRODUZIONE

I PUNTI PRINCIPALI DELL'IMPEGNO

 OCCIDENTALE IN AFGHANISTAN

Con le quattro vittime di questi ultimi giorni, salgono a 34 il numero dei militari italiani morti in Afghanistan dall'inizio della missione Isaf, nel 2004. Di questi, la maggioranza è rimasta vittima di attentati e scontri a fuoco, altri invece sono morti in incidenti, alcuni anche per malore e uno si è suicidato. Già dodici le vittime in questo 2010. (....) Ma quali sono le vere ragioni dell'invasione dell'Afghanistan da parte degli americani? Eccole:

GASDOTTO

Dopo anni di incertezze e trattative, lunedì 13 settembre 2010 ad Ashgabat, capitale dell'ex repubblica sovietica del Turkmenistan, i ministri energetici afgano, pachistano, indiano e turkmeno hanno firmato l'accordo quadro per la costruzione della gasdotto 'Tapi' (dalle iniziali dei quattro paesi coinvolti) entro la fine del 2014. (....) Il gas verrà completamente captato lungo il suo percorso attraverso i tre paesi: ogni giorno, circa 14 miliardi di litri rimarranno in Afghanistan, 38 finiranno nei gasdotti pachistani e altrettanti in quelli indiani. Il Tapi, quindi, non servirà a rifornire i mercati energetici occidentali. (....) Ma le compagnie petrolifere occidentali ci guadagneranno lo stesso, partecipando alla costruzione e alla gestione del gasdotto, finora sponsorizzato dalla Banca per lo sviluppo dell'Asia (Adb), istituto finanziario internazionale controllato da Stati Uniti e Giappone. Il suo costo di realizzazione è calcolato attorno agli 8 miliardi di dollari. Probabile il coinvolgimento dell'italiana Eni. (....)
 
DROGA
 
Secondo lo storico Usa Alfred McCoy, principale studioso del coinvolgimento della Cia nel narcotraffico in tutti i teatri di guerra americani degli ultimi cinquant'anni (fino alla resistenza antisovietica afgana degli anni '80), il principale obiettivo dell'occupazione americana dell'Afghanistan era il ripristino della produzione di oppio, inaspettatamente vietata l'anno prima dal Mullah Omar nella speranza di guadagnarsi il riconoscimento internazionale. (....) Possibile tutto questo? Il direttore generale dell'Ufficio Onu per la droga e la criminalità (Unodc), Antonio Maria Costa, ha implicitamente risposto a questa domanda, dichiarando che gli enormi capitali derivanti dal riciclaggio dei proventi del narcotraffico costituiscono la linfa vitale che garantisce la sopravvivenza del sistema economico americano e occidentale nei momenti di crisi.
 
POSIZIONE STRATEGICA
 
L'Afghanistan ha la sfortuna di trovarsi nel cuore del continente asiatico, in una posizione strategica che consente a chi lo controlla di monitorare da vicino tutte le potenze nucleari della regione, Cina, Russia, India e Pakistan, e di completare l'accerchiamento dell'Iran, che in caso di guerra con gli Usa si troverebbe a fronteggiare un attacco su due fronti: quello iracheno e quello afgano. Secondo molti analisti militari la volontà statunitense di controllare l'Afghanistan va però letta soprattutto in chiave di contrapposizione alla Cina, considerata dal Pentagono come la maggiore minaccia potenziale all'egemonia militare ed economica globale degli Stati Uniti non solo in Asia, ma anche in Medio Oriente, Africa e America Latina. (....)
 
RISORSE MINERARIE
 
In Afghanistan il tesoro è sotto terra: rame, ferro, litio, cobalto, oro, uranio. Prendere tutto o abbandonare il Paese a se stesso lasciando ad altri questo ben di Dio? Una notizia del New Tork Times fa il giro del mondo. (....) Un appunto del Pentagono citato dal giornale chiama l’Afghanistan l’“Arabia saudita del litio” e un funzionario anonimo dice che il Paese dell’Asia centrale è uno dei più importanti centri minerari del mondo. Anche per questo è importante non mollare l'osso afgano che potrebbe valere un triliardo di dollari!

 

 

Il lato oscuro delle guerre americane - 1

 

Il lato oscuro delle guerre americane - 2

 

Il lato oscuro delle guerre americane - 3

 

 

Uccisi quattro militari italiani

Erano impegnati in una operazione nel distretto del Gulistan, nella provincia di Farah

Fonte web

L'attentato che ha causato la morte dei 4 militari italiani in Afghanistan si è verificato nel distretto del Gulistan, nell'area di competenza italiana del Prt (Provincial Reconstruction Team) di Herat. Un'area, quella del Gulistan che nel settembre del 2005 era stata conquistata dai combattenti talebani e successivamente riconquistata dall'esercito afgano.

Sarebbe stato uno 'Ied', un ordigno esplosivo improvvisato, a provocare la morte dei quattro militari italiani. L'ordigno, rudimentale ma potentissimo, avrebbe investito in pieno un blindato Lince che non ha retto all'urto. Il mezzo, sul quale sembra viaggiassero tutti e quattro i militari uccisi e il ferito, è andato distrutto. All'esplosione sarebbe seguita una imboscata compiuta dai combattenti talebani che secondo le prime ricostruzioni sarebbero stati respinti dagli altri militari della colonna coinvolta nello scontro a fuoco.

Sarebbero gravi le condizioni del quinto militare italiano ferito. Il militare avrebbe riportato numerosi traumi di vario genere.

I militari italiani colpiti erano tutti alpini. Si trovavano a bordo di un mezzo che faceva parte di una colonna logistica di circa 70 unità.

Con le quattro vittime di oggi, sale a 34 il numero dei militari italiani morti in Afghanistan dall'inizio della missione Isaf, nel 2004. Di questi, la maggioranza è rimasta vittima di attentati e scontri a fuoco, altri invece sono morti in incidenti, alcuni anche per malore e uno si è suicidato. Già dodici le vittime in questo 2010.

Su Facebook, i commenti nelle pagine vicine all'ambiente militare sono diversi e di segno opposto. C'è chi suggerisce di bombardare l'Afghanistan con il napalm (senza forse sapere che si sta già facendo questo tipo di operazione) e chi invece si dispera perché "Si continua a morire in nome di una pace che non ci sarà mai", e chi chiede "Ma quando la finiscono? Portiamo a casa alle loro famiglie questi ragazzi vivi e non dentro a una bara!".

Sempre su Facebook, il commento di Fiorella Mannoia: "Quattro nostri connazionali perdono la vita in attentato in Afghanistan, e Bersani che cosa dice? Dobbiamo rivedere la strategia! Sono 34 i soldati uccisi in questa guerra inutile a noi e utile ai petrolieri e ai produttori di armi, di quale strategia parla? Sapete quanto ci costa anche in termine di denaro nostro? 306 MILIONI DI EURO SOLO IL PRIMO SEMESTRE 2010. Non dico più niente - conclude la cantante - fate le vostre valutazioni".

I militari facevano parte della la Task Force South-East, formata dal 7° reggimento alpini di Belluno,  schierata nelle basi operative avanzate di Gulistan e Bakwa. L’unità è destinata a operare nei distretti di Gulistan, Bakwa e Por Chaman nel settore sud-orientale dell’area di responsabilità del Regional Command West a guida italiana.

Zone desertiche e scarsamente abitate, i disrtretti di  Gulistan, Bakwa e Por Chaman, sono la via di fuga dei guerriglieri talebani in fuga dall'Helmand, dove è in corso la più pesante offensiva militare che si ricordi da dopo la seconda guerra mondiale.

Non a caso la Task Force South East comandata dal colonnello Paolo Sfarra si chiama in realtà "Task Force South East - Battle group 4". Perché è il quarto gruppo costituito per combattere una guerra che nulla ha a che fare con la missione di pace che continuano a propagandare i governi che si sono susseguiti dall'inizio della guerra afgana e gli stati maggiori della difesa.

 

 

Bambina ferita da missili della Nato in missione di pace...

 

 

Il gasdotto transafgano diventa realtà

E' deciso: il famoso gasdotto transafgano – quello per realizzare il quale gli Stati Uniti hanno sostenuto i talebani negli anni '90 e hanno poi, secondo molti, invaso l'Afghanistan nel 2001 – si farà entro il 2014

Fonte web

Dopo anni di incertezze e trattative, lunedì 13 settembre 2010 ad Ashgabat, capitale dell'ex repubblica sovietica del Turkmenistan, i ministri energetici afgano, pachistano, indiano e turkmeno hanno firmato l'accordo quadro per la costruzione della gasdotto 'Tapi' (dalle iniziali dei quattro paesi coinvolti) entro la fine del 2014.

Una tubatura lunga 1.680 chilometri che trasporterà (a un ritmo di circa 90 miliardi di litri al giorno) il gas naturale estratto dai giacimenti turkmeni di Daulatabad attraverso l'Afghanistan occidentale e meridionale (Herat, Farah, Helmand e Kandahar) fino in Pakistan e in India.

Il gas verrà completamente captato lungo il suo percorso attraverso i tre paesi: ogni giorno, circa 14 miliardi di litri rimarranno in Afghanistan, 38 finiranno nei gasdotti pachistani e altrettanti in quelli indiani.

Il Tapi, quindi, non servirà a rifornire i mercati energetici occidentali, com'era previsto nel progetto iniziale della compagnia petrolifera californiana Unocal, che non includeva l'India e prevedeva che i gasdotto terminasse al porto pachistano di Gwadar, sul Mar Arabico, da dove poi avrebbe dovuto essere trasportato via mare.

Ma le compagnie petrolifere occidentali ci guadagneranno lo stesso, partecipando alla costruzione e alla gestione del gasdotto, finora sponsorizzato dalla dalla Banca per lo sviluppo dell'Asia (Adb), istituto finanziario internazionale controllato da Stati Uniti e Giappone. Il suo costo di realizzazione è calcolato attorno agli 8 miliardi di dollari.

Probabile il coinvolgimento dell'italiana Eni, non solo perché la compagnia di Paolo Scaroni è già il principale partner energetico occidentale del Turkmenistan per lo sviluppo dei suoi giacimenti, ma anche perché buona parte del tratto afgano del Tapi dovrebbe passare nel territorio sotto controllo militare italiano: la provincia occidentale di Herat.

Nonostante l'entusiasmo suscitato dalla firma dell'accordo di lunedì, l'effettiva realizzazione di questo gasdotto nel giro di quattro anni appare ancora un progetto al quanto velleitario, visto che le regioni afgane dove dovrebbe passare il tubo sono le più insicure del paese.

Il viceministro dell'Interno afgano, generale Munir Mangal, presente alla firma dell'accordo di Ashgabat, ha ostentato sicurezza, garantendo che le forze di sicurezza di Kabul saranno perfettamente in grado di proteggere il gasdotto da eventuali attacchi. Difficile credergli.

L'unica condizione che permetterebbe al tratto afgano del Tapi di venire costruito e di funzionare in sicurezza, sarebbe l'assenza della minaccia armata talebana. Ma questo accadrà solo se e quando i talebani saranno formalmente tornati al potere, se non a Kabul, almeno nelle province pashtun - ipotesi, quest'ultima, sempre più in voga a Washington.

 

 

Il Generale, ex comandante Nato, Fabio Mini

 

 

“Le bombe di La Russa? Servono solo alla

lobby dell’industria militare”

Fabio Mini, ex comandante Nato, all’Unità: “Agli Usa non mancano gli ordigni ma non hanno ancora risolto i problemi. E con i blitz aerei aumentano le vittime civili”.

Fonte web

“Le parole del ministro La Russa non rassicurano i nostri soldati né l’opinione pubblica italiana. Quelle parole non spaventano i talebani, ma servono a tranquillizzare le lobby militari-industriali”. A sostenerlo in un’intervista a Umberto de Giovannangeli per l’Unità non è il solito pacifista, ma il generale Fabio Mini, ex Capo di stato maggiore delle forze Nato del sud Europa, già comandante della missione Nato-Kfor nel periodo 2002-2003.

GLI AMERICANI NON HANNO RISOLTO I PROBLEMI - “Agli americani – rileva Mini – non mancano certo bombe e aerei ma non è che così hanno risolto i loro problemi”. Che poi circostanzia ancora di più l’accusa su quello che c’è dietro le parole del ministro Ignazio La Russa di ieri.

Il messaggio che il Governo italiano ha inteso lanciare con le parole del ministro della Difesa non è rivolto al Paese ma alle lobby militari-industriali che stanno spingendo da anni per avere nuovi aerei. L’esigenza vera in Afghanistan non si risolve dando le bombe ai nostri aerei, perché lì di bombe e aerei ce ne sono anche troppi. Gli americani non hanno risolto i problemi, né rafforzato la sicurezza dei propri soldati, con le bombe e gli aerei di cui sono abbondantemente dotati.

E poi Mini precisa:

Quello evocato dal ministro La Russa è un falso scopo. Il vero scopo è quello di evitare che i programmi di acquisizione degli F-35 e di altri aerei da combattimento, che sono a rischio perché non abbiamo i soldi e perché la loro utilità è dubbia, vengano accantonati definitivamente. Insisto su questo punto: il messaggio che viene lanciato da La Russa non rassicura né i nostri soldati né gli italiani.

E LE VITTIME CIVILI? - Mini poi punta il dito sulle migliaia di vittime civili che provocherebbe l’uso delle bombe in luogo degli altri metodi, dicendo che dal punto di vista strategico tra mitragliare e bombardare c’è poca differenza. E rimarca la differenza storica che comporterebbe questo tipo di decisione:

“Non è che ci sia molta differenza tra mitragliare e bombardare. Adesso i nostri soldati possono mitragliare per scopi di autodifesa attiva. Bombardare significa andare in un posto che non ti sta offendendo ed eliminare dei presunti obiettivi. Di storico semmai ci sarebbe altro”

Cosa, generale Mini?

“Capire l’entità della presunzione degli obiettivi da eliminare ed anche il fatto che la decisione di bombardare non verrebbe da noi, ma da qualcun altro. Perché a scegliere gli obiettivi non saremmo noi ma altri da cui comunque dipenderemo.

 

 

Droga afgana. Nonostante la guerra la

produzione non cala. Perché?

 

 

Narcoguerra

Eroina afgana sui voli militari britannici di ritorno dal fronte. La notizia rafforza i sospetti sui reali interessi economici che si nascondono dietro la guerra in Afghanistan

Fonte web

La notizia, diffusa lunedì dalla Bbc, dei militari britannici e canadesi accusati di trasportare eroina in Europa sfruttando l'assenza di controllo sui voli militari di ritorno dal fronte, non fa che rafforzare i sospetti sui reali interessi economici che si nascondono dietro la guerra in Afghanistan.

Il traffico 'militare' di eroina scoperto tra le basi Nato nel sud dell'Afghanistan (Helmand e Kandahar) e l'aeroporto militare di Brize Norton, nell'Oxfordshire, verrà liquidato con la solita spiegazione delle 'mele marce', del caso isolato che riguarda solo alcuni individui.

Più probabilmente si tratta invece della punta dell'iceberg, o meglio delle briciole di un traffico ben più grande e strutturato che i suoi principali gestori - militari e servizi segreti Usa - lasciano ai loro alleati, evidentemente meno bravi di loro nel non farsi scoprire.

Solo pochi mesi fa sulla stampa tedesca era venuto fuori che una delle principali agenzie private di contractors addette alla logistica delle basi Nato in Afghanistan - la Ecolog, sospettata di legami con la mafia albanese - era coinvolta in traffici di eroina afgana verso il Kosovo e la Germania.

L'anno scorso fece molto scalpore la rivelazione, del New York Times, che Walid Karzai, fratello del presidente afgano e principale trafficante di droga della provincia di Kandahar, fosse da anni sul libro paga della Cia.

"I militari americani non contrastano la produzione di droga in Afghanistan perché questa frutta loro almeno 50 miliardi di dollari all'anno: sono loro a trasportare la droga all'estero con i loro aerei militari, non è un mistero", dichiarava nell'estate 2009 a Russia Today il generale russo Mahmut Gareev.

Già nel 2008 la stampa russa, sulla base di informazioni di intelligence non smentite dall'allora ambasciatore di Mosca a Kabul, Zamir Kabulov, rivelava che l'eroina viene portata fuori dall'Afghanistan a bordo dei cargo militari Usa diretti nelle basi di Ganci, in Kirghizistan, e di Inchirlik, in Turchia.

Nello stesso periodo, un articolo apparso sul quotidiano britannico Guardian riferiva delle crescenti voci riguardanti la pratica dei militari Usa in Afghanistan di nascondere la droga nelle bare dei caduti aviotrasportate all'estero, riempite di eroina al posto dei cadaveri dei soldati.

"Le esperienze passate in Indocina e Centroamerica - si leggeva, sempre nel 2008, sull'americano Huffington Post - suggeriscono che la Cia potrebbe essere coinvolta nel traffico di droga afgana in maniera più pesante di quello che già sappiamo. In entrambi quei casi gli aerei Cia trasportavano all'estero la droga per conto dei loro alleati locali: lo stesso potrebbe avvenire in Afghanistan. Quando la storia della guerra sarà stata scritta, il sordido coinvolgimento di Washington nel traffico di eroina afgana sarà uno dei capitoli più vergognosi".

Nel 2002 il giornalista americano Dave Gibson di Newsmax ha citava una fonte anonima dell'intelligence Usa secondo la quale "la Cia è sempre stata implicata nel traffico mondiale di droga e in Afghanistan sta semplicemente portando avanti quello che è il suo affare preferito, come aveva già fatto durante la guerra in Vietnam".

Secondo lo storico Usa Alfred McCoy, principale studioso del coinvolgimento della Cia nel narcotraffico in tutti i teatri di guerra americani degli ultimi cinquant'anni (fino alla resistenza antisovietica afgana degli anni '80), il principale obiettivo dell'occupazione americana dell'Afghanistan era il ripristino della produzione di oppio, inaspettatamente vietata l'anno prima dal Mullah Omar nella speranza di guadagnarsi il riconoscimento internazionale.

I fatti, e il buon senso, sembrano confermare la tesi di McCoy: dopo l'invasione del 2001, la produzione e lo smercio di oppio afgano (e dell'eroina) sono ripresi a livelli mai visti, polverizzando in pochi anni i record dell'epoca talebana, mentre le truppe Usa e Nato si sono sempre rifiutate di impegnarsi nella lotta al narcotraffico, continuando a sostenere i locali signori della droga.

Rimane una domanda di fondo: perché mai gli apparati militari e d'intelligence americani, in teoria dediti alla sicurezza nazionale e internazionale, mirano da decenni al controllo del narcotraffico? Per la venalità dei loro vertici corrotti? Per garantirsi fondi neri per operazioni coperte? O forse dietro c'è qualcosa di più strategico e sistemico che, alla fine, riguarda realmente il mantenimento della sicurezza?

Il direttore generale dell'Ufficio Onu per la droga e la criminalità (Unodc), Antonio Maria Costa, ha implicitamente risposto a questa domanda, dichiarando che gli enormi capitali derivanti dal riciclaggio dei proventi del narcotraffico costituiscono la linfa vitale che garantisce la sopravvivenza del sistema economico americano e occidentale nei momenti di crisi.

''La maggior parte dei proventi del traffico di droga, un volume impressionante di denaro, viene immesso nell'economia legale con il riciclaggio'', affermava Maria Costa nel gennaio 2009. ''Ciò significa introdurre capitale da investimento, fondi che sono finiti anche nel settore finanziario, che si trova sotto ovvia pressione (a causa della crisi finanziaria globale, ndr)''.

''Il denaro proveniente dal narcotraffico attualmente è l'unico capitale liquido da investimento disponibile'', proseguiva il direttore dell'Unodc. ''Nel 2008 la liquidità era il problema principale per il sistema bancario e quindi tale capitale liquido è diventato un fattore importante. Sembra che i crediti interbancari siano stati finanziati da denaro che proviene dal traffico della droga e da altre attività illecite. E' ovviamente arduo dimostrarlo, ma ci sono indicazioni che un certo numero di banche sia stato salvato con questi mezzi''.

 

 

Gli Stati Uniti hanno annunciato la scoperta di vastissimi giacimenti di minerali in Afghanistan, di tale portata da poter alterare l'economia afgana e forse modificare il corso della guerra che imperversa da anni. Una cosa è certa: ora che la scoperta è stata fatta, difficilmente gli americani lasceranno il Paese.

 

 

Cina e Usa mettono le mani sulle miniere in

Afghanistan: un tesoro di miliardi di dollari

 

AVEVA RAGIONE IL PRESIDENTE TEDESCO: "SIAMO

IN AFGHANISTAN PER INTERESSI ECONOMICI"

 

Fonte web

 

In Afghanistan il tesoro è sotto terra: rame, ferro, litio, cobalto, oro. Prendere tutto o abbandonare il Paese a se stesso lasciando ad altri questo ben di Dio? Una notizia del New Tork Times fa il giro del mondo

A distanza di un paio di giorni due articoli di segno opposto, apparsi su uno dei più autorevoli quotidiani americani, disegnano un quadro del tutto nuovo su un Paese ormai in guerra da trent’anni. E se quello apparso ieri testimoniava dell’interesse per un immenso tesoro nascosto sotto terra che potrebbe valere un triliardo di dollari, un commento del premio Pulitzer ed editorialista del Times Bob Herbert di un paio di giorni fa, si intitolava laconicamente: “Il coraggio di lasciare”. Se a pensare male non sempre si fa peccato, verrebbe da immaginare che l’articolo di ieri fosse la risposta al precedente. Perché restare in un paese dove, diceva Herbert – forse per la prima volta in modo così netto sulla stampa Usa – la guerra è persa, i soldati muoiono, Karzai è incapace, il consenso decresce, le tasse e i contratti miliardari con le compagnie di contractor corrono? Perché, risponde a se stesso il Times dopo tre giorni, c’è di che leccarsi i baffi.

Se al Nyt sia scoppiato un improvviso interesse per i minerali, se l’inchiesta fosse in cantiere, se qualche nuova evidenza ha suggerito l’articolo, non sappiamo. La ricchezza mineraria è nota sin dai tempi dei sovietici ed evidenze nuove pare non ce ne siano. Ma, scrive il giornale, è pur vero che in Afghanistan c’è un tesoro sottostimato e valutabile in miliardi di miliardi.

Al New York Times suggeriscono geologi e militari, soggetti che, ancora una volta, si occupano di materia che non è esattamente militare: un appunto del Pentagono citato dal giornale chiama l’Afghanistan l’“Arabia saudita del litio” e un funzionario anonimo dice che il Paese dell’Asia centrale è uno dei più importanti centri minerari del mondo. Un roseo futuro che potrebbe cambiare il corso della guerra. Anche in negativo, fornendo ai talebani – scrive il Nyt – un altro buon motivo per non mollare l’osso.

In realtà il sottosuolo afgano gli appetiti li ha già scatenati. E a tavola per ora si sono seduti soprattutto i cinesi anche se col beneplacito degli americani. Degli affari dei cinesi si sa poco anche perché la legge sullo sfruttamento, fresca fresca e varata con l’aiuto degli gnomi della World Bank, è piena di lacune. Lo sa bene un piccola ma tenace Ong afgana che, non a caso, si chiama Integrity Watch Afghanistan. Iwa ha pubblicato uno studio, più che sulla grande miniera di Anyak, considerato il secondo più grande deposito non sfruttato di rame al mondo, sulla trasparenza del processo di acquisizione dei diritti della China Metallurgical Group. Che nel progetto metterà circa tre miliardi di dollari, il più reimportante investimento nella storia del Paese (dopo la guerra). Anyak potrebbe far salire l’Afghanistan nella top tendei produttori posizionando Kabul tra i primi 15. Chi ci guadagnerà?

Teoricamente, dice Iwa, a lungo termine l’investimento potrebbe fruttare al Paese qualcosa come la metà del budget statale (adesso di 12 mld), produrre 2400 posti di lavoro diretti e 6mila indiretti e avere un impatto positivo generale sul mercato locale. Ma tutto ciò è solo sulla carta, quella di un contratto che in realtà non è possibile visionare. Non è chiaro se il rame sarà o meno trasformato in Afghanistan e dove si prenderà l’energia per la produzione, problema che riguarda un ambiente a forte rischio di degrado. Infine le comunità locali sono al momento tagliate fuori dai processi decisionali.

Il tesoro sotto c’è, ma chi ne godrà sopra è ancora tutto da capire.

 

 

APPROFONDIMENTO

 

www.youtube.com/watch?v=piP8RTXXNG4

Il lato oscuro delle guerre americane

Film documentario Premio Oscar 2008

Il film che non vi faranno mai vedere in TV

 

Guerra in Afghanistan: missione di pace?

Lettera aperta di Pax Christi e di Mons. Raffaele

 Nogaro, Vescovo Emerito di Caserta

 

Dossier Afghanistan

Gli ultimi articoli di PeaceReporter sul conflitto afgano

 

Cosa si nasconde dietro la guerra in Afghanistan?

Le miniere d'uranio? Il gasdotto trans-afgano? Il posizionamento geostrategico? O forse il controllo del narcotraffico?