A F R I C A:
ESSERI UMANI VENDUTI
ASSIEME ALLA LORO TERRA
E L'OCCIDENTE FA FINTA DI NIENTE:
TANTO SONO AFRICANI!
(a cura di Claudio Prandini)
INTRODUZIONE
L’Africa all’asta: arabi, indiani
e cinesi i nuovi feudatari
T
erre affittate per decenni o vendute a basso costo come colonie agricole ad arabi, indiani, cinesi ed emiri. È la nuova emergenza dell’Africa, che negli ultimi cinque anni, secondo l’allarme lanciato dalla Fao, ha ceduto sotto contratto, al miglior offerente, 2,41 milioni di ettari in Etiopia, Ghana, Mali, Sudan e Madagascar.Con la terra, come ai tempi della servitù della gleba, si affittano per dieci, quaranta, novant’anni, o a vita, anche gli uomini che ci vivono e la lavorano. Se la manodopera è dunque compresa nel pacchetto e sottopagata, i capi e gli amministratori delle neocolonie arrivano invece dall’estero. E i prezzi per gli acquirenti, siano essi stati petroliferi del Golfo o superpotenze asiatiche, sono davvero convenienti. Nel nord del Sudan il feddan (0,42 ettari) è affittato a due, tre dollari l’anno. In Etiopia l’ettaro è valutato dai tre ai dieci dollari. Forse anche per questo la Corea ha già acquistato 2,3 milioni di ettari di terreno, Pechino ne possiede 2,1 milioni, l’Arabia Saudita 1,6 e gli Emirati 1,3.
Nel continente molte terre sono mal sfruttate o in stato di totale abbandono. La stessa Fao, pur denunciando il problema, si chiede con molte cautele se l’impero dell’agrobusiness non possa comunque essere una strada alternativa per lo sviluppo. Ma anche l’Onu esprime preoccupazione: il timore è che, con la terra, si svenda anche la speranza degli africani al cambiamento.
I nuovi proprietari dell'Africa sono indiani, cinesi, arabi, sudcoreani.
I governi africani stanno vendendo loro la terra migliore,
Africa in vendita in cambio di cibo
La Fao denuncia: rischio catastrofe. Milioni di ettari ad arabi e cinesi per coltivazioni intensive di riso.
Vendono: non più le materie prime,
stavolta vendono la terra, grassa, ricca, che una agricoltura da secoli gratta
appena in superficie, o che è rimasta incolta per mancanza di mezzi, di braccia,
di capitali. Milioni di ettari d’Africa ingoiati in un sol boccone, 2,41 in
cinque anni, in Etiopia Ghana Mali Sudan e Madagascar con la semplice firma in
fondo a un contratto, ceduti per venti, trenta, novanta anni, per sempre, come
colonie agricole; e gli uomini che vi sopravvivono sono venduti con loro, senza
aver diritto di dire no, come ai tempi della servitù della gleba. E del
colonialismo. Che oggi ha i colori (e i dollari) delle autocrazie petrolifere,
della Cina e dell’India, della Corea. Seul possiede già 2,3 milioni di ettari,
Pechino ne ha comprati 2,1 milioni, l’Arabia Saudita 1,6, gli Emirati 1,3.
Eccoli i nuovi imperi in nome dell’agrobusiness. Tecnici, amministratori, capi
arrivano dall’estero; i locali sono usati solo come forza lavoro sottopagata e
addomesticata. Vendono: le infami, fradice élites, i presidenti coronati da
elezioni-plebiscito al novantanove per cento. Quelli che non possono arricchire
i loro conti nelle banche europee con il petrolio il rame l’oro i diamanti,
vendono l’Africa con la sua anima, i suoi orizzonti. Sono contratti mai resi
pubblici, opachi come segreti di stato. Si compra bene l’Africa: nel Nord del
Sudan il «feddan» (0,42 ettari) è affittato a due, tre dollari l’anno. In
Etiopia l’ettaro è valutato tra 3 e 10 dollari. C’è chi dice, anche la Fao, con
molte cautele e molti dubbi che potrebbe essere una occasione per lo sviluppo:
ovvero che nel continente troppe terre sono abbandonate o mal sfruttate. Forse:
ma la realtà è che con la terra si svende anche la speranza degli africani al
cambiamento, che nascono camuffate dietro il diritto della efficienza e della
produttività nuove schiavitù.
Tra qualche anno in Sudan plebi in perenne bilico sulla carestia, sfiancate
dalla guerra civile vedranno passare davanti ai loro campi sterili e arroventati
camion stracarichi di ottimo grano: ma non ne toccheranno un chicco, è destinato
agli abitanti degli Emirati Arabi Uniti, dell’Arabia Saudita, di un consorzio
giordano che hanno comprato 400 mila ettari per trasformarli nel proprio
privatissimo granaio. Comincia a preoccuparsi anche l’Onu, dopo un allarmato
studio condotto in otto paesi dall’Istituto internazionale per l’ambiente e lo
sviluppo. Entro il prossimo anno ci saranno in Africa un milione di operosi
contadini cinesi, addetti a 14 gigantesche fattorie che Pechino ha comprato in
Zambia Uganda Tanzania e Zimbabwe. Metteranno a cultura le nuove varietà ibride
di riso create dai cinesi che permettono di aumentare la produzione del 60 per
cento: serviranno a sfamare i sudditi del capital-comunismo la cui agricoltura è
in pericoloso ritardo sullo sviluppo. Affiorano i problemi di questa grande
razzia e sono politici. Daewoo Logistics, filiale agricola del grande gruppo
industriale sudcoreano ha affittato in Madagascar un territorio grande come la
metà del Belgio, 1,3 milioni di ettari. Per la durata del contratto, 99 anni,
saranno seminati a mais e coperti di palme da olio. Daewoo vuole sfamare il
mercato coreano con 4 milioni di tonnellate di mais e 500 mila tonnellate di
olio ogni anno: in cambio investirà 4,8 miliardi di euro su 25 anni per
bonificare le terre, installare le infrastrutture e comprare le sementi negli
Usa e in Indonesia. Ebbene è la prima vendita di terre che ha innescato una
rivoluzione vittoriosa: il presidente venditore è stato cacciato da un sussulto
di orgoglio nazionalistico. Una volta erano United Fruits, Dole o Michelin a
comprare stati interi per trasformarli in monocolture, di gomma o di banane. E
facevano e disfacevano i governi e i presidenti.
Ora sono gli stati petroliferi del Golfo e le Tigri asiatiche che affittano gli
stati e i loro dirigenti. Si agisce con accordi espliciti, da stato a stato.
Dove, come in Mozambico, la costituzione vieta di vendere la terra a stranieri,
la Cina ha messo in piedi un consorzio «locale». Rarissimi i casi in cui una
parte della produzione servirà a sfamare i mercati locali. Il consorzio Bin
Laden, i parenti non terroristi del capo di Al Qaeda, ha comprato 500 mila
ettari in Indonesia per produrre riso. Ha annunciato che una parte sarà venduta
ai locali. Motivo: «Per evitare che diano seccature».
La mappa dell'invasione cinese in Africa
Negli ultimi cinque anni gli scambi
commerciali tra Cina e Africa sono decuplicati. Se nel 1999 il volume degli
scambi era di 5,6 miliardi di dollari, per il 2006 il ministero del Commercio
cinese prevede di superare i 50 miliardi di dollari.
Sono ottocento le aziende cinesi presenti in 28 Paesi africani, dove hanno
investito 6 miliardi di dollari solo nel 2005 per progetti che vanno dalle
costruzioni all'energia, dal petrochimico all'agricoltura. Ma la presenza cinese
è molto più articolata e diffusa in tutto il continente. Le relazioni economiche
vanno spesso di pari passo con i rapporti diplomatici e i valori crescono in
maniera più rapida dei dati aggregati. Ecco una mappa, per forza di cose
parziale, della presenza cinese in Africa.
Paesi del Maghreb, edilizia e commercio
Marocco. Nel 2005 il volume del commercio fra Cina e Marocco ha raggiunto 1,484 miliardi di dollari; le esportazioni cinesi verso questo Paese sono cresciute del 30% rispetto all'anno precedente e le importazioni del 121% (principalmente la Cina importa fosfato e metalli di cobalto). In Marocco i cinesi sono i primi costruttori di infrastrutture, imbattibili per la rapidità e il basso costo della mano d'opera. Lo scorso anno si sono aggiudicati importanti gare d'appalto per la costruzione di case popolari e di reti ferroviarie. La Cina preme, però, soprattutto per la creazione di un'accordo di libero scambio con il Marocco, porta d'ingresso per il mercato dei Paesi arabi e della stessa Europa.
Algeria. Oltre alle aziende del settore delle costruzioni, qui sono presenti anche i giganti cinesi del petrolio che si sono assicurati la gestione dei pozzi più grandi del Paese. Sinopec ha già firmato un contratto da 525 milioni di dollari per sviluppare il giacimento di Zarzatine, nel sud dell'Algeria, e China National Petroleum Corporation ha ottenuto un contratto simile del valore di 350 milioni di dollari per importare il petrolio algerino. Dal canto suo, la Cina è il quarto fornitore dell'Algeria con 954 milioni di dollari spesi nei primi otto mesi del 2006. Nel 2005 l'interscambio commerciale fra i due Paesi era stato di 1,77 miliardi di dollari.
Tunisia. La Tunisia è un Paese in cui la presenza cinese è ancora debole e gli scambi commerciali con il gigante asiatico ancora marginali. Privo di grandi risorse naturali ma uno dei primi produttori tessili dell'Africa, la Tunisia ha ancora poco da offire alla Cina. Nel 2005 l'interscambio è stato solo di 340 milioni di dollari, ma la Cina non dispera di rilanciare una cooperazione più fruttuosa. All'inizio di quest'anno ha siglato un accordo per erogare prestiti preferenziali alla Tunisia per un valore di 37,5 milioni di dollari, ed ha già iniziato la costruzione di una rete di telefonia mobile.
Libia. Nel 2005 il volume del commercio totale con la Cina è stato di 1,3 miliardi di dollari, una larga parte del quale rappresentato dalle importazioni di petrolio. Ma gli umori instabili del governo libico rendono più difficile la penetrazione cinese. La Cina sta da lungo tempo corteggiando la Libia con investimenti in infrastrutture e nelle telecomunicazioni (è la cinese Zet che sta fornendo il sistema di telefonia di terza generazione alla compagnia telefonica Libyana) e visite bilaterali, l'ultima effettuata a gennaio dal Ministro degli Esteri Li Zhaoxing. Mauritania. Recentemente la Cina ha accordato alla Mauritania un prestito senza rimborso di 4,5 milioni di dollari, che come molti altri di questo genere erogati ai paesi africani, sono in parte spesi per la costruzione di infrastrutture da parte di compagnie cinesi. Nel 2005 l'interscambio commerciale fra i due paesi e' stato di 78 milioni di dollari.
Africa dell’Est, armi e materie prime
Egitto. La Cina diventerà nei prossimi 5 anni il primo partner commerciale dell'Egitto, fonte di investimenti e di trasferimento di tecnologie. Nel 2005 l'interscambio commerciale ha raggiunto i 2,145 miliardi di dollari, e per quest'anno gli iinvestimenti previsti in Egitto dovranno assestarsi intorno ai 2 miliardi di dollari. Lo scorso settembre le grandi compagnie cinesi sono riuscite a strappare contratti milionari per la costruzione di infrastrutture (500 milioni di dollari per un centro congressi alla periferia de Il Cairo) e acciaierie (da 100 milioni di dollari) finanziate dal governo egiziano che utilizzeranno esclusivamente tecnologia cinese. Durante il forum l'Egitto chiederà alla Cina il sostegno per l'avvio di un programma nucleare ad uso civile, per il quale si aspetta anche di firmare contratti di trasferimento tecnologico e aiuti economici.
Eritrea. Pur mantenendo buoni rapporti con tuttii paesi del Corno d'Africa, la Cina ha nel corso degli anni alimentato il conflitto fra Etiopia ed Eritre attraverso la vendita di armi ed equipaggiamenti militari ad entrambe le parti, accompagnata da frequenti consultazioni delle alte gerarchie dell'esercito. Oltre a ciò essa è presente nel settore delle costruzioni, nella vendita di macchine industriali e di prodotti medici. Nel 2005 l'interscambio commerciale e' stato del valore di 8,41 milioni di dollari.
Etiopia. Solo all'inizio di quest'anno il ministro del Commercio etiopiano aveva dichiarato che «la Cina è il partner più affidabile», essendo l'Etiopia, assieme al Sudan, il principale beneficiario degli investimenti cinesi nella regione. Prestiti a basso tasso di interesse, cancellazione del debito e tariffe preferenziali sono la strategia di Pechino per lusingare un partner che non ha grosse potenzialità energetiche ma ha una posizione strategica di sbocco sul mare per i ricchi vicini come Sudan ed Egitto. Le compagnie cinesi oggi si aggiudicano le costruzioni di quasi tutte lel infrastrutture, collegamenti stradali e ferroviari, aeroporti e così via. Nel 2005 l'interscambio commerciale fra i due paesi è stato di 370 milioni di dollari.
Sudan. È il secondo fornitore
africano di petrolio per la Cina, secondo solo all'Angola, che per questo il
gigante asiatico difende su tuttii forum internazionali dalle accuse di
violazione dei diritti umani e di genocidio nella regione del Drafour.
Recentemente la Cina si è opposta alla proposta dell'Onu di sanzioni contro il
regime sudanese e ha minacciato l'uso del veto contro l'invio di una forza
internazionale nella regione. Dal canto suo il governo cinese ha inviato 4 mila
soldati dell'Esercito di liberazione nazionale per controllare le zone di suo
interesse e vegliare sugli oleodotti costruiti e sfruttati dalle compagnie
cinesi, esprimendo oltretutto l'intenzione di voler rafforzare la cooperazione
militare con l'esercito locale. Oltre alla fornitura di armi, la Cina ha anche
aiutato il governo sudanese nella costruzione di 3 industrie belliche. Tutto ciò
per difendere gli interessi asiatici nel settore petrolifero: il Sudan fornisce
da solo il 7% di tutte le importazioni cinesi di petrolio, il 50% della sua
produzione finisce in estremo oriente e beneficia i piu' consistenti
investimenti nella regione. Tredici delle 15 compagnie petrolifere straniere
presenti in Sudan sono cinesi, la China National Petroleum Corporation (Cnc)
possiede il 40% della Greater Nile Petroleum Operating Company, che controlla i
giacimenti petroliferi del paese, e ha investito 3 miliardi di dollari nella
costruzione di raffinerie e eoleodotti. Nel 2005 l'interscambio commerciale fra
i due paesi ha raggiunto 3,9 miliardi di dollari.
Uganda. Nel 2005 il volume complessivo del commercio con la Cina è stato di 99,37 milioni di dollari, dovuto soprattutto agli investimenti cinesi nei settori delle costruzioni e delle infrastrutture. China Petroleum Pipeline Engineering Corporation costruirà un oleodotto di 320 km a collegare l'Uganda con il vicino Kenya produttore dipetrolio. Al forum il governo ugandese intende chiedere l'aiuto cinese per la costruzione di una linea ferroviara che collegherà il paese con il Sudan.
Kenya. Dopo il passaggio di Hu Jintao lo scorso aprile, la Cina ha concluso nuovi accordi la ricerca di giacimenti petroliferi in Kenya, una regione in cui le compagnie occidentali non vogliono più investire. La compagnia petrolifera Cnooc condurrà i lavori di esplorazione in mare e sulla terra ferma, oltre a fornire tecnologia e formazione. Altra merce di importazione sono il cemento e i minerali. Lo scorso anno la Cina ha elargito prestiti per 36 milioni di dollari al governo kenyano per la modernizzazione dell'industria energetica, l'impiantazione d iindustrie per beni di consumo e la costruzione di infrastrutture. I lavori sono poi stati condotti dalle grandi aziende cinesi presenti anche qui, la cui ultima opera è stata la costruzione della strada che collega Mombasa a Nairobi. Nel 2005 l'interscambio commerciale è stato di 475 milioni di dollari.
Somalia. È un altro porto di sbocco per i prodotti petroliferi provenienti dall'entroterra, che la Cina intende ammodernare con la costruzione di infrastrutture, strade, porti e ferrovie. Vista la crescita del settore delle telecomunicazioni somalo, le imprese cinesi, come Huawei, investono nel paese per erigere le infrastrutture necessarie e fare ingresso nella telefonia mobile.
Africa dell’Ovest, petrolio, edilizia e tecnologie.
Senegal. Il governo cinese ha
appena annullato un debito di 20 milioni di dollari al Senegal e accordato un
prestito di 7 milioni di dollari per la costruzione di scuole, strade e centrali
elettriche. L'accordo include la clausola di realizzazione dei lavori da parte
di imprese costruttrici cinesi, nonostante gli asiatici non godano di buona
reputazione presso la popolazione locale. Da alcuni anni, infatti, è in corso
una battaglia dei senegalesi contro l'invasione di prodotti cinesi a basso costo
che distruggono l'industria locale specializzata anch'essa nei beni di consumo.
Nel 2005 l'interscambio commerciale fra i due paesi è stato di 141 milioni di
dollari.
Mali. La Cina è saldamente insediata nei settori delle costruzione e
dell'industria leggera (zucchero, farmacia tessile), dal 1994 possiede l'80%
della più grande industria cotoniera del paese, la Comatex (il restante 20% è
detenuto dal governo malese). Ma anche qui l'invasione di prodotti cinesi e di
manodopera a basso costo ha destabilizzato l'equilibrio del paese. Nel 2005 il
valore totale del commercio tra i due paesi è stato di 145 milioni di dollari,
principalmente dovuto alle importazioni cinesi di oro.
Niger. Come anche in Mali, qui la Cina finanzia un progetto di esplorazione di giacimenti petroliferi, nonostante la rentabilità' non sia assicurata, e prevede di allargare la cooperazione economica. Nel 2005 il commercio complessivo è stato solo di 34 milioni di dollari.
Ciad. Ha scelto di abbandonare il fronte taiwanese e riallacciare i rapporti diplomatici con la Cina appena ad agosto di quest'anno, ma nonostante ciò l'interscambio commerciale nel 2005 ha ragiunto 206 milioni di dollari. I legami del paese con Taiwan non hanno impedito alla China National Petroleum Corporation (Cnpc) di sviluppare progetti per lo sfuttamento dei giacimenti petroliferi del Chad.
Guinea. I paesi del Golfo di Guinea, che producono 5 milioni di barili al giorno, sono la risorsa pretrolifera più promettente della regione su cui la Cina ha già messo gli occhi. La compagnia cinese CNOOC ha firmato un accordo, all'inizio del 2006, per l'estrazione di petrolio in una piattaforma al largo della costa della Guinea, su una superficie di 2.300 km quadrati. Nel 2005 l'interscambio commerciale è stato di 147 milioni di dollari.
Liberia. La Cina è stata ripetutamente accusata di alimentare il traffico di armi in Liberia e negli stati vicini della Costa d'Avorio e Sierra Leone, per ottenere in cambio le risorse naturali della regione, quali legno e diamanti. Ma dal 2003 la Cina partecipa alla forza di pace dell'ONU stanziata in Liberia con 550 uomini, la sua più grande missione all'estero. Nel 2005 l'interscambio commerciale fra i due paesi ha raggiunto 164 milioni di dollari.
Costa d’Avorio. Nel 2005 gli scambi totali con la Cina hanno raggiunto 222 milioni di dollari, costituiti essenzialmente dall'esportazione verso l'Asia di materie prime (oro, alluminio, rame). Per l'esplorazione petrolifera la Costa d'Avorio è già stata indicata da Pechino come zona di interesse per futura cooperazione.
Togo. Paese destinatario di prestiti agevolati da parte del governo cinese, che negli ultimi hanni ha finanziato e costruito il palazzo presidenziale ed altri uffici governativi. All'inizio di quest'anno i due governi hanno firmato accordi per la costruzione da parte della Cina di una centrale idroelettrica e di altri progetti nel settore delle telecomunicazioni. In cambio la Cina riceve dal Togo materie prime importanti come cemento, fosfati e cotone. Nel 2005 l'interscambio commerciale ha raggiunto 570 milioni di dollari.
Benin. La Cina è diventata il primo partner commerciale e primo investitore del Benin, con un interscambio che nel 2005 ha raggiunto 1,09 miliardi di dollari. Imprese cinesi hanno rilevato parti delle più importanti industrie del paese, da quella cotoniera a quella della pesca e dell'agroalimentare. Grandi aziende come Zet e Huawei forniscono le tecnologie per l'installazione di una rete di telecomunicazioni GSM e telefonia di terza generazione. Nel 2004 il Benin ha esportato verso la Cina cotone per un valore di 110 milioni di dollari.
Nigeria. È il terzo fornitore africano di prodotti petroliferi alla Cina. Lo scorso anno Petro China ha concluso un accordo da 800 milioni di dollari con la Nigerian National Petroleum Corporation per l'acquisto di 30 mila barili di petrolio al giorno per un anno. All'inizio di quest'anno è stata Cnooc a siglare un'intesa con il governo nigeriano per una partecipazione del 45% in un giacimento offshore. La Cina ha anche realizzato il primo satellite nigeriano per le telecomunicazioni che sarà lanciato ad inizio 2007, costruito dalla China Great Wall Industry e finanziato dalla banca cinese Eximbank. Dal punto di vista politico, la Cina sostiene nei forum internazionali il conferimento alla Nigeria di un seggio permanente all'Onu. Nel 2005 l'interscambio commerciale e' stato di 2,83 miliardi di dollari.
Camerun. Lo scorso anno la Cina ha elargito al Camerun un prestito di 2,5 milioni di yuan in cambio di accordi con imprese locali per l'esplorazione di giacimenti petroliferi e di gas naturale. Nel 2005 il volume degli scambi commerciali fra i due paesi è stato di 197 milioni di dollari.
Ombre cinesi sull’Africa
L’importanza strategica dell’Africa
Dal 1993 la Cina ha compreso l’importanza
strategica del continente nero in funzione di sostenere il rapido sviluppo
economico del Dragone.
Per sostenere gli attuali livelli di crescita industriale ed economica la Cina
assorbe il 40% della produzione mondiale di carbone, il 35% del ferro, il 94% di
alluminio e il 10% di petrolio grezzo. E’ il secondo consumatore mondiale di
petrolio dopo gli Stati Uniti.
Con una estensione territoriale che la rende un sub continente e una popolazione
ufficiale di un miliardo e quattro cento milioni di persone la Cina,
contrariamente ai miti su di essa, deve far fronte ad una scarsità interna di
risorse naturali. Possiede solo il 7% delle foreste e il 2% dei giacimenti
petroliferi mondiali.
Nessuna meraviglia se la Cina sta accelerando la penetrazione in Africa per il
controllo delle risorse naturali. Con un’economia che da due decenni sta
crescendo a velocità inaudita, la domanda di materie prime è vorace e non vi
sono dubbi che gli investimenti cinesi in Africa sono strategici per la
sopravvivenza di questa nuova potenza mondiale.
La strategia del Soft Power
In contrasto con le politiche neo coloniali dell’Europa e l’utilizzo (diretto o
indiretto) del potere militare degli Stati Uniti per imporre il dominio sul
continente, la Cina ha scelto una strategia definita soft power che è diventata
la componente fondamentale della sua penetrazione in Africa.
Questo cavallo di troia cinese è composto da un cocktail di tattiche
estremamente adatte all’attuale realtà africana rivolte esclusivamente alla
corrotta classe dirigente : amicizia, soldi, cooperazione, promesse sempre
mantenute e buone intenzioni.
Pechino apre le porte a massicci investimenti in diversi settore dell’economia
africana, offre prestiti non commerciali a tasso zero, costruisce ospedali,
scuole, teatri, stadi e altre infrastrutture sociali attraverso programmi di
cooperazione bilaterali (Stato – Stato). Offre borse di studio in Cina a
migliaia di studenti africani, cancella i debiti contratti e soprattutto non
mette in discussione la politica interna dei vari presidenti, evitando ogni
critica o accenno ad eventuali violazioni dei diritti umani. Accetta di
sostenere fermamente ma in modo discreto brutali dittatori come il Sudanese
Bashir o il Zimbabwano Mugabe.
Nel forum della Cooperazione Cino - Africa, tenutosi nel novembre 2006, il
Dragone ha promesso di duplicare l’assistenza allo sviluppo entro il 2009,
offrendo un piano di crediti a tasso zero per 5 miliardi di dollari,
incrementando gli scambi commerciali bilaterali di 100 miliardi di dollari entro
il 2010, aprendo cinque centri di studio economico per la formazione gratuita di
nuove classe manageriali africane.
La maggior parte di queste promesse fatte al forum sono state già mantenute.
Sintetizzando, la strategia del soft power consiste nel mettere milioni di
dollari nella bocca dei presidenti africani senza imporre austere condizioni
tipiche dell’aiuto occidentale.
I risultati non si fanno attendere
Grazie a questa strategia in meno di un decennio il commercio cinese con
l’Africa è cresciuto da 11 miliardi di dollari nel 2000 a 50 miliardi di dollari
nel 2006. Nel 2007 le importazioni cinesi nel continente sono aumentate del 40%
, mentre le esportazioni (soprattutto di materie prime) dell’ 81%.
La Cina si è garantita importanti accordi di sfruttamento di rame e cobalto in
Zambia e in Congo. Compra legno pregiato in Gabon, Cameroon, Mozambico, Congo,
Guinea Equatoriale e Liberia. Compra platino e cromo dallo Zimbabwe, ferro,
carbone nickel e alluminio in ogni angolo del continente.
Nel settore petrolifero la sola Angola contribuisce alla metà delle esportazioni
di greggio dall’Africa alla Cina. In cambio sono stati garantiti prestiti a
fondo perduto per un valore di 3 miliardi di dollari destinati alla
modernizzazione le infrastrutture petrolifere statali.
Nel luglio 2005 la Petrochina International e la Nigerian National Petroleum
Corporation hanno firmato un accordo commerciale per la vendita di 800 milioni
di dollari di petrolio, assicurandosi una fornitura di 30.000 barili di greggio
al giorno.
La Cina ha inoltre firmato accordi aggiuntivi per 4 miliardi di dollari per il
diritto di estrazione del petrolio. Questi accordi includono oltre al pagamento
delle royalities, anche programmi di cooperazione tecnologica, donazioni di
medicinali anti malaria e sostegno alla produzione di riso attraverso moderne
tecnologie agricole.
Da almeno quattro anni la Cina detiene più del 40% delle esportazioni di greggio
del Sudan, monopolizzando di fatto i pozzi petroliferi nel Darfur. Il Dragone è
il benvenuto perché alleato politicamente ed economicamente al presidente Bashir.
Un’alleanza preziosa che ha vanificato il blocco economico imposto dagli Stati
Uniti e la presenza di truppe europee di interposizione nel Darfur. Il Sudan
permette solo la presenza di caschi blu ONU delle nazioni africane, estremamente
compiacenti e tolleranti. L’alleanza cinese ha anche vanificato il non meno
importante tentativo internazionale di mettere al bando il governo di Kartoom
per le gravi violazioni dei diritti umani contro le popolazioni non arabe del
Darfur.
Il tentativo francese di abbandonare il dittatore Tchadiano appoggiando
velatamente i ribelli che hanno attaccato la capitale nel febbraio di
quest’anno, ha aperto le porte per la penetrazione cinese in Tchad. Il dittatore
uscito vincitore dalla famosa e cruenta battaglia di N’djamena, pur non dando
segni di rottura con il tradizionale alleato francese, si sta rivolgendo a
Pechino, estremamente interessato al mercato petrolifero nel sud del paese.
Una penetrazione cinese nella produzione di greggio in Tchad aprirebbe le porte
per il controllo di un immenso bacino petrolifero che dal Darfur si estende fino
al Cameroon inglobando il Tchad e parte della Repubblica Centroafricana, bacino
attualmente controllato dalle multinazionali franco-americane.
APPROFONDIMENTO
L'Africa colonizzata dai cinesi
La grande Cina,
statalista, industrialista, illiberale (ma non certo comunista) espande cosi'
anche la sua sfera di influenza politica. E' un fenomeno che all'Africa non
porta nulla di buono, ma che i governi africani, non vogliono o non sanno
fermare. Immense navi trasportano straordinarie quantità di legno pregiato
dall'Africa alla Cina, senza che i cinesi abbiano pagato un centesimo per gli
alberi tagliati, e ancora pelli di animali, piante rare e metalli. Un gigantesco
trasloco di risorse che sta ulteriormente impoverendo l'Africa e che sta
avvenendo nel silenzio generale della comunità internazionale.
Democrazia alimentare e nuovi colonialismi
L'espansione
coloniale di alcuni paesi in Africa e in Asia sta provocando la dipendenza
alimentare di questi ultimi a causa della loro estrema povertà. Nei paesi ricchi
l'impatto sulle superfici coltivabili per l'allevamento è davvero insostenibile.
Dove vogliamo arrivare?
CINA-AFRICA: Sfruttamento Sud-Sud?
Alle cinque di
domenica pomeriggio finisce un’altra giornata di lavoro per Thomas Haimbodi, un
falegname impiegato nei cantieri di costruzione della sede del Ministero della
terra e del reinsediamento rurale di Windhoek, in Namibia.
Dopo la chiusura del cantiere, Haimbodi deve aspettare
insieme ai colleghi il camion che lo riporterà a Katatura, alla periferia della
capitale. “Lavoro nove ore al giorno, sette giorni a settimana”, racconta
Haimbodi. “Non tutti lo fanno, ma io ho bisogno di fare gli straordinari”. I
suoi capi cinesi incoraggiano orari infernali. “La proposta è un accordo
informale, con una paga di poco superiore al salario abituale”. Nel caso di
Haimbodi, “abituale” significa 10 dollari al giorno.