LA MALEDIZIONE

 DELL'AGRICOLTURA PALESTINESE:

L'OCCUPAZIONE SIONISTA DELLA TERRA

 

I coloni di Hebron: "Abbiamo ucciso

Gesù, uccideremo anche voi"!

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"La terra dei profeti diverrà sterile per più generazioni".

Sarà in questa nazione che si svolgerà una tremenda

battaglia. Israele non sarà più.

(profezia di un monaco bavarese, vissuto nel XVI secolo)

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

INTRODUZIONE

 

Obama: sul processo di pace

 israelo-palestinese le solite, vuote parole

Fonte web

All’indomani del discorso con cui, giovedì, il Presidente Usa Barack Obama ha delineato le posizioni dell’amministrazione americana sul medio oriente, dando ampio spazio alle questioni legate al processo di pace tra Israeliani e Palestinesi, i principali giornali e notiziari televisivi hanno profuso parole di meraviglia e di stupore per la “novità” della clamorosa affermazione secondo cui i confini tra Israele e il futuro Stato di Palestina dovranno seguire quelli del 1967 (la cd. green line).

Ma, in realtà, nulla di nuovo è stato detto, ed anzi il discorso di Obama è apparso ancora una volta nettamente e pericolosamente sbilanciato verso le esigenze e i desiderata di Israele.

Si, certo, i confini saranno quelli del 1967, ma già ieri mattina, parlando per 50 minuti alla
convention dell’Aipac a Washington, Barack Obama si è premurato di specificare che a questi confini si arriverà solo parzialmente e “tenendo conto delle nuove realtà demografiche sul terreno”, il che riecheggia perfettamente quanto affermato da Bush figlio nel famoso scambio di lettere con Sharon di qualche anno addietro: non si tornerà per niente ai confini della green line, ma Israele manterrà il possesso dei maggiori blocchi di insediamenti all’interno della West Bank.

Questo per tacere del fatto che, nel suo discorso, il Presidente Usa non ha minimamente fatto cenno al problema di Gerusalemme est (che pure è anch’essa all’interno delle frontiere del 1967!), né a quello dei rifugiati.

Di contro, Obama ha assicurato che lo Stato palestinese sarà demilitarizzato, ha ampiamente criticato l’accordo di unità nazionale tra Hamas e Fatah, ha bocciato senza appello (e non si capisce bene perché) l’intenzione dell’Anp di chiedere all’Assemblea dell’Onu, a settembre, il riconoscimento del nuovo stato palestinese.

Benché i media abbiano parlato di “raffredamento” dei rapporti tra Usa e Israele, in realtà si potrebbe malignare sul fatto che Bibi e Barack abbiano dato luogo al solito gioco delle parti, in cui ognuno ha detto quello che doveva dire ma, alla fine, non è cambiato assolutamente nulla, e la politica Usa in medio oriente continua ad essere al servizio di Israele e dei suoi interessi.

Il vero è che, ancora una volta, risulta chiaro come lo strapotere della lobby ebraica negli Usa impedisca all’amministrazione Obama, così come alle precedenti, di assumere il ruolo di honest broker del conflitto israelo-palestinese, che imporrebbe anche un’attività di pressione sull’alleato volta a fermare la continua espansione delle colonie e a costringerlo a sedersi seriamente al tavolo delle trattative, discutendo di tutti gli argomenti sul tappeto sulla base di una precisa scaletta temporale.

Nulla di tutto questo avviene, purtroppo, e Obama non ha nulla di concreto da proporre. E, allora, Israele può tranquillamente annunciare la costruzione di
1.550 nuovi alloggi proprio a Gerusalemme est, in aperta violazione al diritto internazionale ed in piena contraddizione con l’asserita volontà di un accordo di pace con i Palestinesi…
 

 

 

"Eroici" soldati israeliani sparano a ragazze disarmate

 

 

Gaza, chi coltiva muore

Fonte web

Inizia il raccolto del grano. E al confine con Israele si ripete la stessa scena: i contadini sotto il fuoco dei cecchini.

La settimana scorsa si è svolto il raccolto del grano per alcuni contadini di Khuza'a, villaggio vicino al confine con Israele nel sud della Striscia di Gaza. Per tre giorni essi si sono recati nei campi, partendo molto presto la mattina e raccogliendo i frutti della loro terra. Per tre giorni dalle torrette automatizzate le forze di occupazione israeliane hanno sparato e per tre giorni i contadini hanno continuato a raccogliere il grano, senza permettere a chi sparava dalle torrette a controllo remoto di impedire loro di recarsi nella propria terra. L'area dove i contadini, insieme a tre attivisti internazionali dell'Ism e cinque attivisti palestinesi si sono recati si trovava a circa 450 metri dal confine.

Prima della seconda Intifada qui venivano coltivati angurie e meloni, c'erano alberi da frutto ed olivi. "Venivamo qui a fare barbecue, festeggiare e rilassarci... le jeep israeliane passavano in lontananza ma non ci disturbavano, ci lasciavano in pace." racconta Akhmad. Oggi gli alberi sono stati sradicati, le piante distrutte. L'unica cosa che si riesce a coltivare, perché non richiede attenzioni continue, è il grano. Però anche il grano necessita di diverse ore di lavoro per essere raccolto, ed i cecchini si divertono a terrorizzare i contadini in queste ore. L'otto di maggio sui campi oltre agli attivisti erano presenti inizialmente otto agricoltori, per lo più donne, ma anche un bambino di 13 anni ed una bambina di 7 anni, tutti fratelli e sorelle di una delle famiglie anNajjar residenti nel villaggio. Stavano nei loro dicei dunum di terra raccogliendo il grano giallo oro in diverse fascine, quando anche i vicini, svegliatosi, hanno pensato che la presenza di attivisti (stranieri e non) potesse proteggerli nel lavoro, e hanno deciso si allontanarsi più del solito per raccogliere erbe da dare a mangiare agli animali. Dove finiscono i campi di grano il terreno è incolto e solcato da dune e fossi causati dai bulldozer israeliani, crescono cespugli spinosi e piccole piante che sembrano secche, ma che sono un buon mangime per asini e pecore. Una donna chinata a raccogliere queste erbe alza il volto, allunga il braccio e punta il dito verso una duna a poche decine di metri: "La vedi quella terra li? Quella terra è mia e non ci posso andare." E dalle torrette, le forze di occupazione israeliane non hanno tardato a ricordare chi ha il potere di decidere quali terre possano o no coltivare questi contadini: si sono uditi degli spari in aria, divisi in due raffiche tra le 7.40 e le 8.30. Prima delle 9, improvvisamente e senza preavviso, tre proiettili sono atterrati a cinquanta metri o meno da chi stava lavorando la propria terra. Quando qualcuno spara in aria si sente solo un colpo, ma se il proiettile viene nelle tua direzione è possibile sentire il sibilo, ed il colpo dell'atterraggio. Il terreno era sabbioso e dopo i sibili si sono levate tre nuvole di polvere. Vicine, troppo vicine a un gruppo di quasi venti civili che lavorava in maniera pacifica. Qualche decina di minuti dopo un uomo, inviperito, interrompe la sua raccolta dell'erba per gli animali e indica al di là del confine, dove un trattore sta arando un terreno: "Guarda, gli israeliani possono coltivare indisturbati. Noi, invece, se usciamo qui fuori ci sparano contro!".

Il secondo giorno anche un altro gruppo, sempre legato alla famiglia allargata anNajjar, ha iniziato a raccogliere il grano nella terra vicina, anch'essa che si estende su un'area di dieci dunam. Ma quanto possono rendere 10 dunam di terra? Akhmad anNajjar prova a quantificarlo: "in passato ci portavamo a casa 50-60 borse da un chilo di grano, adesso ne riusciamo a fare tra le dieci e le venti: non riusciamo a prenderci cura della terra perchè non possiamo raggiungerla, e coltivandola sempre a grano per tanti anni di seguito si impoverisce: la dimensione del chicco è molto molto più piccola di quella che era dieci anni fa!".

Dalle torrette di controllo hanno sparato verso le 7.30 e verso le 8, il movimento di jeep e carri armati al di la del confine si cominciava a fare insistente. Il terzo giorno jeep e carri armati hanno continuato a spostarsi incessantemente, alzando nugoli di polvere in quella terra che oggi è riconosciuta come israeliana. Gli spari non sono mancati. Un uomo ci ha spiegato: "tutti i giorni le jeep israeliane si spostano e fanno i loro balletti al di la della rete. Tutti i giorni sparano. Però quando c'è presenza di internazionali sparano un po' meno." Khuza'a è un villaggio di contadini che si trova al sud della striscia di Gaza, nel governatorato di Khan Younis. Il centro di Khuza'a si trova a circa un chilometro dal confine, mentre circa l'80 percento delle terre coltivabili (per un totale di duemila dunam) si trova in aree dove è alto il rischio di essere colpiti dai proiettili israeliani o in zone in cui l'entità sionista ha unilateralmente proibito l'accesso, la cosiddetta "buffer zone".

Moltissimi dunam non sono possono affatto essere coltivati, e l'accesso stesso ad alcune terre è stato ostruito dalle forze di occupazione. Secondo un rapporto dell'Onu, in tutta la Striscia di Gaza le aree coltivabili che rientrano nella "zona ad alto rischio" comprendono il 35 percento delle terre coltivabili dai palestinesi, e non sono rari i casi di contadini feriti anche gravemente od uccisi mentre si recavano a coltivare la propria terra. Akmad spiega perchè ancora e di nuovo nonostante tutto lui e la sua famiglia si recano li a raccogliere il grano: "Vogliamo mangiare, vivere e fare una vita normale. Questo è un nostro diritto, questa è la nostra terra, non ce ne andremo, non abbandoneremo i nostri campi, anche se Israele continua a sparare e cercare di intimorirci."

 

 

Raccolta delle olive in Palestina

 

 

ESSERE CONTADINI A GAZA

Fonte web

Jaber è magro e non molto alto, ha la carnagione abbronzata, zigomi sporgenti e mani callose. Parla poco, è paziente Jaber, ma anche molto deciso. Viene da una famiglia di agricoltori, ha 45 anni, e da quando ne aveva sei aiutava suo padre a prendersi cura dei mandorli. Il terreno che coltiva si trova tra i 300 e i 500 metri dal confine, e lavora nell’incertezza di poter vedere i frutti della sua terra. Cinque anni fa le forze di occupazione hanno dato fuoco al suo campo di grano al momento del raccolto, mandando in fumo il lavoro e gli investimenti di un anno. I pompieri non sono potuti arrivare in tempo, perchè, a causa della vicinanza del campo alla no-go zone unilateralmente dichiarata dalle forze di occupazione, necessitavano del coordinamento col l’esercito israeliano, e questo coordinamento non è arrivato. Circa un anno fa i bulldozer hanno distrutto buona parte della sua casa, che si trovava a circa 400 metri dal confine, il piccolo allevamento di galline, 40 dunam di grano, 3 dunam di ulivi, e 3 dunam di verdure. Racconta che se non fosse uscito in tempo dalla sua casa con la sua famiglia la avrebbero demolita con loro dentro. Oggi Jaber coltiva cipolle nel terreno dove c’era la sua vecchia abitazione.

Israele ha dichiarato unilateralmente “no-go zone” la fascia di terreno che corre vicino al confine fino ad una distanza di 300 metri. Quest’area è completamente inaccessibile per i palestinesi, anche per chi lì aveva le sue terre e le coltivava. Ma secondo un rapporto ONU l’area in cui l’accesso è “ad alto rischio” arriva fino ad un chilometro e mezzo, talvolta due chilometri di distanza dal confine. Il 35% delle terre coltivabili di Gaza si trovano in questa zona “ad alto rischio”, e per i contadini è difficile o impossibile riuscire a raccogliere frutti dai loro terreni situati in quest’area. La politica israeliana in proposito ha tutto l’aspetto di voler semplicemente impedire ai contadini di coltivare la loro terra, e di poter raggiungere una qualche forma di autosufficienza alimentare.

Sempre Jaber racconta: “Prima coltivavamo mandorle, poi Israele ha iniziato a riempire i nostri mercati di mandorle, facendo artificialmente calarne il prezzo, così chi coltivava i mandorli ha convertito le coltivazioni in qualcos’altro, poi hanno ritirato le loro mandorle ed il prezzo è di nuovo aumentato, ma noi non avevamo più mandorli. La stessa cosa è successa con le arance. Durante la prima intifada, chiudendo i confini ci hanno impedito di esportare ortaggi…e da allora le cose sono andate sempre peggio.”

Ibrahim vive a Khuza’a, al sud della striscia. La sua casa è stata distrutta durante la guerra, e non può accedere al terreno che coltiva. Ha un trattore per arare, ma anche con questo c’è poco lavoro, infatti dove vive lui la maggior parte dei terreni coltivabili sono a poche centinaia di metri dal confine, e i contadini non vi possono accedere. Anche Yusef è di Khuza’a, ed ha due terreni, uno di 8 dunam e l’altro di 24, li coltivava entrambi a grano per fare il pane. Il terreno di 8 dunam non è più accessibile, si trova a 200 metri dal confine, mentre l’altro, a 300 mettri dal confine, non viene coltivato da 2 anni perchè quando prova a recarvisi le forze di occupazione iniziano a sparare.

Abu Taima, anch’egli al sud, racconta come all’inizio le forze di occupazione abbiano distrutto gli aranci, e poi non abbiano permesso la coltivazione nemmeno di grano ed altri vegetali, sebbene molto più bassi degli alberi. Nel 2008, nel 2009 e nel 2010 ha coltivato la sua terra, ma i bulldozer israeliani la hanno distrutta prima del raccolto. Sparano ai contadini che vanno a coltivare, e poi sradicano le coltivazioni. Sparano ed uccidono anche il bestiame, le pecore portate a pascolare, l’ultima pecora uccisa si trovava a 700 metri dal confine. I soldati sionisti sparano quando c’è nebbia, senza vedere chiaramente cosa colpiscono. “Avevo 50 dunam di terra, ora non si possono più coltivare. C’erano dieci persone che lavoravano per me, e ciascuna di esse aveva una famiglia di dieci persone. Oggi tutti questi lavoratori sono disoccupati, e dipendono da programmi assistenziali o aiuti umanitari.”

L’ultimo contadino ammazzato da Israele aveva 65 anni e si chiamava Shaban Kharmoot, è stato colpito a Beit Hannoun, al nord, con 3 proiettili: uno al collo, uno al petto ed uno all’addome perchè stava coltivando la sua terra esattamente come aveva fatto negli ultimi 40 anni, e non aveva altre alternative per mantenere la sua famiglia.

Sono numerosissimi i terreni che per almeno un anno non hanno portato frutto a causa della contaminazione da fosforo bianco usato durante l’invasione israeliana “piombo fuso”: ulivi dalla foglie distrutte, terreni contaminati che davano frutti avvelenati. Sono state avvelenate così le falde acquifere, sono stati bombardati pozzi, e l’accesso all’acqua è diventato uno dei principali problemi dei contadini. In particolare nell’area di El Kharrara un pozzo situato a più di 2 km dal confine e che forniva acqua potabile e per l’irrigazione di 700 dunam di terra da cui dipendono 5000 persone, è stato bombardato durante piombo fuso e, poiché solo poche famiglie possono permettersi il trasporto nelle cisterne di grosse quantità di acqua per irrigare, questo ha causato fortissimi problemi per l’agricoltura. Nell’area di Faraheen i soldati sparano ai contadini, e le mine rimaste sul territorio impediscono ai lavoratori di coltivarlo. Inoltre nelle frequenti incursioni vengono colpite solo o soprattutto le piante pronte a dare frutto, che hanno richiesto fatica e denaro per arrivare a maturazione: viene per esempio lasciato in vita un ulivo di di tre anni e sradicato uno di sei.

In un territorio già stremato da un assedio che non permette l’importazione di molti beni essenziali, che crea povertà e disoccupazione in una delle aree più popolate del mondo, questa esplicita politica di attacco ai contadini e all’agricoltura in generale è un’ulteriore crimine che si va a sommare alla lunghissima lista di cui Israele è colpevole. L’UNRWA, l’ente dell’ONU per i rifugiati, provvede per alcune famiglie con donazioni di cibo trimestrali, ma è estremamente cinico fornire assistenzialismo nei casi in cui forze di occupazione, contro ogni accordo internazionale, impediscono ad un popolo di coltivare il suo pane e provvedere al suo stesso sostentamento.

Saber racconta:

“Era calmo e tranquillo nell’area vicino al confine, sette del mattino, venerdì. Mi sono recato col mio trattore a 300 – 350 metri dal confine. Volevo coltivare perchè era tutto tranquillo: se avessi sentito degli spari avrei avuto paura e non ci sarei mai andato. Quando ho raggiunto la mia terra, hanno cominciato a sparare, hanno distrutto il trattore. Il referto medico dice che questo mi ha causato problemi psicologici e psicosomatici: panico a livello mentale e tensione a livello fisico, battito cardiaco alterato, ed ho iniziato a prendere medicine. È successo nel dicembre 2007.”

“Ovvio che sapevano che ero un contadino! Indossavo indumenti da lavoro, guidavo un trattore. Un trattore per arare, non un carro armato: non lo riconoscono forse quando lo vedono? Hanno binocoli con cui ci possono monitorare da decine di chilometri di distanza, mi hanno riconosciuto. Sapevano che ero un contadino, e la prova è che dopo hanno chiesto scusa sostenendo fosse un incidente. Possono contarmi i peli della barba, come potevano non sapere che sono un contadino? No, sapevano che ero un contadino, e mi hanno sparato di proposito, perché sono un contadino e non vogliono che io stia qui nella mia terra.”

 

 

Campo di Bourj ash-Shamali: Raccolta delle Arance (parte 1)

 

Campo di Bourj ash-Shamali: Raccolta delle Arance (parte 2)

 

 

La distruzione intenzionale del

patrimonio naturale della Palestinar

Fonte web

Negli ultimi decenni i territori palestinesi hanno dovuto affrontare una serie di problemi ambientali che hanno inquinato e distrutto l’ambiente in modo rapido e grave, soprattutto a causa delle politiche dell’occupazione israeliana. Anche un incremento della popolazione ha aumentato l’inquinamento, la produzione di rifiuti e il logoramento delle varie risorse naturali. Per proteggere l’ambiente palestinese e le risorse ancora disponibili, l’Autorità Palestinese (ANP) nel 1996 creò l’Environment Quality Authority (EQA). Questo è l’ente governativo responsabile della pianificazione strategica, della legislazione, del monitoraggio e della regolamentazione di tutte le questioni ambientali. E’ inoltre responsabile del coordinamento tra tutti gli enti locali, regionali e internazionali per tutelare e sviluppare l’ambiente palestinese.

 
Abbiamo incontrato il principale funzionario palestinese responsabile per l’ambiente, con una delegazione di giovani presso il terzo Arab Universities Youth Forum, patrocinato dalla Youth and Environment Union a Sharm El-Sheikh.
 
Il direttore dell’EQA Youssef Kamel Ibrahim ha affermato che l’occupazione sionista ha fino ad ora fatto dell’ambiente un elemento del conflitto. Ci sono molti indicatori che dimostrano come le risorse e l’ambiente palestinese siano il bersaglio di una guerra di logoramento, come ad esempio i bombardamenti contro le risorse idriche e il pozzo principale che fornisce acqua alla città di Gaza, oltre ai danni intenzionali di vaste aree, tra cui lo sradicamento intenzionale di più di 500.000 alberi. Egli ha inoltre osservato che la carenza d’acqua nella regione occidentale e le scarse risorse alimentari nella parte orientale costituiscono la realtà odierna del popolo palestinese. Si tratta di un tentativo dell’occupazione finalizzato al controllo delle risorse idriche e alimentari in Palestina, ha affermato Kamel. Circa il 25% della regione di Al-Aghwar è diventata una zona militare occupata, e il popolo palestinese ne controlla meno del 40%. Egli ha aggiunto che le forze di occupazione hanno scavato 27 pozzi per raccogliere l’acqua piovana prima che essa defluisca verso i palestinesi.
 
Kamel ha osservato che studi geografici e geologici e alcune mappe dimostrano l’esistenza di un legame geologico tra Rafah e Sheikh Zowayd in Egitto, e la Rafah palestinese e la Striscia di Gaza fino alla città di Ashdod, occupata nel 1948. Questa connessione geologica indica che la falda acquifera sotterranea nella Striscia di Gaza si estende fino al confinante Sinai settentrionale a Rafah, Sheikh Zowayd e Areesh, il che significa che qualsiasi inquinamento del bacino idrico sotterraneo a Gaza si estenderebbe ad altre parti ad esso collegate, sia in Egitto che nei territori occupati.
 
Uno studio delle Nazioni Unite e della Banca Mondiale ha dimostrato che il bacino sotterraneo di Gaza è profondamente contaminato da sostanze inquinanti di nitrato e cloruro che raggiungono livelli record al di sopra di standard accettabili. Alcuni studi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dimostrano che il nitrato permesso per il consumo umano non deve superare i 250 mg per litro, ma l’acqua in alcune zone vicino al confine di Gaza con l’Egitto, come Khan Younis e Rafah, ne contiene più di 2500mg. Ciò dimostra che l’inquinamento ha raggiunto il bacino egiziano di Rafah e da lì potrebbe inquinare Sheikh Zowayd e Areesh.
 
Secondo Kamel, l’elevata concentrazione di inquinanti di nitrato nelle acque di Gaza presenta un alto rischio di avvelenamento tra i neonati, soprattutto nelle zone rurali. Il programma ambientale dell’ONU stima che sono necessari 1,5 miliardi di dollari per i prossimi due decenni per ripristinare la falda acquifera sotterranea alla sua condizione precedente, cosa che comprende la costruzione di impianti di desalinizzazione per ridurre la necessità di risorse idriche sotterranee.
 
Il direttore dell’EQA ha evidenziato i pericoli rappresentati dalle sostanze tossiche e radioattive che Israele scarica nella Striscia di Gaza, che si sciolgono e si decompongono nel suolo e raggiungono il bacino idrico sotterraneo. Questi rifiuti tossici, radioattivi e pericolosi possono raggiungere l’Egitto attraverso gli strati geologici e la falda acquifera sotterranea. Kamel ha spiegato che questo inquinamento potrebbe non essere nemmeno avvertito dagli egiziani in quanto essi utilizzano acqua proveniente dal Nilo, e non da serbatoi sotterranei. Ma, egli ha avvertito, se in qualsiasi momento vi fosse una crisi idrica in Egitto, il paese potrebbe essere costretto a utilizzare l’acqua sotterranea presente nel nord del Sinai. Gli egiziani potrebbero rimanere sorpresi dal fatto che l’acqua sotterranea è inadatta al consumo umano o all’agricoltura, ha detto Kamel.
 
Egli ha aggiunto che alcuni studi dimostrano che circa il 95% dell’acqua del bacino sotterraneo è inquinata e non idonea all’uso diretto. L’ONU ha recentemente messo in guardia contro l’utilizzo di acqua proveniente dal bacino idrico per i prossimi 20 anni, fino a quando la falda acquifera non sarà riportata al suo stato naturale, e ha incoraggiato a restaurare il bacino idrico nella Striscia di Gaza e a ricercare fonti alternative. Kamel ha affermato che aerei F-16 israeliani hanno bombardato zone disabitate, “e non ne conoscevamo il motivo finché non abbiamo scoperto che i missili utilizzati contenevano prodotti chimici tossici che danneggiano direttamente il suolo e il bacino sotterraneo. Alcuni campioni di terra e le biopsie di 90 vittime cadute durante l’ultima guerra a Gaza hanno rivelato la presenza di circa 30 minerali tossici, tra cui uranio in quantità più di 30 volte superiore rispetto ai livelli permessi”.
 
Il direttore dell’EQA ha affermato che i terreni agricoli e il suolo sono stati direttamente e criticamente danneggiati dalle azioni israeliane. I ripetuti attacchi con missili e munizioni di vario genere hanno causato profondi crateri nel terreno agricolo, il quale è stato anche inquinato da tossine provenienti dai missili e dalle munizioni utilizzate. Le forze di occupazione hanno anche reso i terreni aridi e sterili, in particolare quelli situati nei pressi del confine, precedentemente irrigati e coltivati con ulivi e palme.

 

 

Coloni di Hebron attaccano una donna palestinese

 

 

I coloni di Hebron: "Abbiamo ucciso

Gesù, uccideremo anche voi"!

 

PACIFISTA SVEDESE BRUTALMENTE

ATTACCATA DA UN COLONO ISRAELIANO

 

Fonte web

Oggi, a Hebron, ad una pacifista svedese diciannovenne è stato rotto uno zigomo da un colono israeliano. Tove Johansson, di Stoccolma, stava oltrepassando il posto di blocco di Tel Rumeida con un piccolo gruppo di pacifisti per accompagnare degli alunni palestinesi alle loro case. Sono stati affrontati da circa 100 coloni divisi in piccoli gruppi, che hanno iniziato a cantare in ebraico “Abbiamo ucciso Gesù, uccideremo anche voi!”, un ritornello che i coloni avevano ripetuto agli internazionali di Tel Rumeida tutto il giorno.

Dopo circa trenta secondi di attesa, un piccolo gruppo di coloni uomini molto aggressivi ha circondato i volontari internazionali e ha iniziato a sputare loro addosso, a tal punto che gli internazionali hanno descritto tutto ciò come “pioggia”. Poi, i coloni dalle retrovie della calca hanno iniziato a saltar su e a sputare, mentre altri coloni prendevano a calci i volontari da dietro e di fianco.

I soldati, che stavano solo a pochi passi dietro gli internazionali, al posto di blocco, sono rimasti semplicemente a guardare mentre costoro venivano attaccati.

Un colono ha quindi colpito Tove sul lato sinistro del viso con una bottiglia vuota, rompendogliela sul viso e lasciandola con lo zigomo rotto. Lei è immediatamente caduta a terra e il gruppo di coloni che stavano guardando hanno iniziato ad applaudire, ad acclamare e a cantare. I soldati, che fino a quel momento avevano solo guardato, sono venuti avanti e hanno fatto un cenno ai coloni, in un modo che gli internazionali hanno descritto come: “ok…basta, ragazzi…”.

Ai coloni, tuttavia, è stato permesso di rimanere nella zona, e hanno continuato a guardare e ad applaudire mentre gli internazionali cercavano di fermare il flusso del sangue dal viso della donna. Alcuni coloni che stavano sopraggiungendo da un colle hanno persino cercato di scattare foto a se stessi vicini alla ragazza sanguinante, facendo all’obbiettivo il gesto del pollice alzato.

A questo punto, un internazionale è stato condotto in un furgone della polizia e gli è stato chiesto di identificare chi aveva attaccato il gruppo. L’internazionale lo ha fatto, indicando tre coloni che la polizia ha condotto nei propri veicoli. Tuttavia, i coloni sono stati tutti condotti in zone differenti del quartiere e rilasciati quasi subito. Quando un colono è stato rilasciato in Suhada Street, la folla di coloni che stava ancora festeggiando le ferite della donna, ha applaudito e acclamato.

Un colono medico è giunto sulla scena 15 minuti dopo l’attacco e ha immediatamente iniziato a interrogare gli internazionali attaccati sul perché si trovavano a Hebron. Si è rifiutato di aiutare in qualsiasi modo la donna sanguinante giacente per terra.

Cinque minuti dopo che era arrivato il colono medico, è arrivato un medico dell’esercito e ha iniziato a minacciare la donna ferita. Quando più tardi lei è stata messa su una barella, la folla di coloni ha di nuovo applaudito e festeggiato.

Gli ufficiali di polizia presenti sulla scena hanno quindi iniziato subito a minacciare di arresto gli internazionali rimanenti se non avessero lasciato subito la zona, sebbene anch’essi erano stati attaccati.

La donna ferita è stata portata nell’insediamento di Kiryat Arba e poi nell’ospedale Hadassah Ein Keren di Gerusalemme.

Agli internazionali è stato poi detto dalla polizia che la polizia non aveva neppure preso i nomi dei coloni che erano stati identificati dopo aver attaccato gli internazionali e che uno dei principali assalitori aveva semplicemente detto alla polizia che era atteso all’aeroporto entro due ore per tornare in Francia.  

 

 

APPROFONDIMENTO

 

Palestina libera!

Un piccolo spazio di informazione e riflessione per rimediare al colpevole silenzio dei media sulla tragedia del popolo palestinese.

 

I pescatori di Gaza e il loro spirito di sopravvivenza

Gaza - Speciale InfoPal. Nella Striscia di Gaza assediata, la categoria dei pescatori resta quella più povera e la più esposta alle aggressioni fisiche delle forze d'occupazione israeliane. Sono tanti i pescatori locali che hanno perso la vita al lavoro, e numerosi coloro che ogni giorno la rischiano addentrandosi in mare, a pescare.

 

Da Gerusalemme a Betlemme: nuovi progetti

coloniali di Israele. I coloni festeggiano

Al-Quds (Gerusalemme) - InfoPal. Per il 25 maggio, l'associazione "Ateret Cohanim" ha organizzato una cerimonia per l'avvio dei lavori di costruzione di decine di unità abitative a Ra's al-'Amoud, ad al-Quds (Gerusalemme).
Con queste 50 unità abitative diventeranno 200 quelle nel quartiere gerosolimitano.