ATTACCO ALL'IRAN?

 

POTREBBE ESSERE NECESSARIO UN NUOVO 11/9 (MAGARI IN EUROPA)

PER CONVINCERE L'OPINIONE PUBBLICA AD ATTACCARE L'IRAN. QUALCUNO IN AMERICA LO AVEVA GIÀ PENSATO...

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

 

 

 

 

INTRODUZIONE

 

Un pretesto per fare guerra all’Iran

 

Fonte web

L’utilizzo della marina militare nella “guerra globale al terrorismo” si sta verificando su vari fronti: nel Mediterraneo Orientale (Nato e Israele) lungo la costa Siro-Libanese, nel Golfo Persico, nel Mare Arabico e in Oceano Indiano (Usa e alleati) e nel Mar Rosso (Arabia Saudita).

“Queste armate vengono strutturate in concomitanza una con l’altra. L’organizzazione nel Mediterraneo Orientale è composta essenzialmente da forze di terra e navali Israeliane e Nato. Nel Golfo Persico, l’armata navale è per lo più Americana, con la partecipazione di Inghilterra, Australia e Canada. Nell’ampio tratto di terra tra il Mediterraneo Orientale e il Golfo Persico, stanno avvenendo vari movimenti militari di terra, che comprendono anche il Nord dell’Irak e la Georgia.

Il già ampio teatro di guerra si potrebbe estendere anche oltre: a Nord, verso il bacino del Mar Caspio, e a Est, verso il Pakistan e la frontiera occidentale della Cina. Quella che abbiamo di fronte è una scacchiera pronta per un’altra guerra medio orientale, che potrebbe potenzialmente coinvolgere una regione molto più ampia.” (Nazemroaya, Ottobre 2006)

L’utilizzo continuo delle forze navali sotto il marchio della “guerra globale al terrorismo” cerca di creare una legittimità per dichiarare guerra contro l’Iran e la Siria, che sono considerate gli “stati sponsor” di Al Qaeda.

Secondo Debka, il sito web israeliano sui servizi di intelligence, lo scopo dell’utilizzo di navi da guerra americane è “di preparare un attacco militare guidato dagli Stati Uniti contro l’Iran….[e anche implementare] misure per la difesa da reali minacce di Al Qaeda agli obiettivi petroliferi.”

Secondo Debka, ci sono state avvisaglie di “possibili attacchi di Al Qaeda contro giacimenti di petrolio, porti petroliferi, petroliere dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi del petrolio.” Proprio le ipotesi su questi possibili attacchi di Al Qaeda alle infrastrutture petrolifere nel Golfo Persico sono parte del processo di disinformazione. Conosciuta e documentata, Al Qaeda è un prodotto dei servizi Usa. Ciò che Debka riporta, suggerisce che se dovesse accadere un attacco terroristico del genere, questo offrirebbe un pretesto agli Usa per attaccare guerra all’Iran, sulla base del fatto che il governo di Teheran si ritiene che protegga la rete di Al Qaeda.

Il Contingency Plan

L’utilizzo continuo di forze navali sotto il marchio della “guerra globale al terrorismo” sono parte di un piano militare ad ampio raggio “per combattere il terrorismo nel mondo”.

Nel mese successivo alle esplosioni di Londra il 7 luglio dello scorso anno, si riporta che il Vice Presidente Dick Cheney abbia dato istruzioni all’USSTRATCOM (United States Strategic Command, ndt.) per progettare un piano d’emergenza “da utilizzare in risposta ad un altro attacco contro gli Stati Uniti tipo 11 Settembre”.

In questo piano di emergenza è implicita la certezza che l’Iran sarebbe dietro questi attacchi terroristici.

Documenti militari intercettati dal Washington Post suggeriscono che questi piani del Pentagono sono propagandati in base alla possibilità di un “attacco terroristico di larga scala” e nascono dal bisogno di vendetta come auto difesa se e quando gli Usa o i loro alleati siano attaccati:

“Un terzo piano stabilisce come i militari possano bloccare e rispondere ad un altro grosso attacco terroristico sugli Stati Uniti. Il piano comprende ampie appendici che offrono una serie di opzioni per i militari per potersi vendicare rapidamente contro gruppi terroristici specifici, individui o stati supporter a seconda di chi si ritiene che sia dietro un attacco (Washington Post 23, Aprile 2006).

Questo “piano d’emergenza” usa come pretesto “un altro attacco terroristico tipo 11 Settembre contro gli Stati Uniti” per prepararsi per una grande operazione militare contro l’Iran, mentre viene anche esercitata una pressione su Teheran in relazione al suo (inesistente) programma per le armi nucleari.

Ciò che è diabolico in questa decisione del Vice Presidente è che la giustificazione presentata da Cheney per attaccare guerra contro l’Iran si basa sul presunto coinvolgimento dell’Iran in un ipotetico attacco terroristico contro l’America, che non si è ancora verificato.

Il piano comprende un attacco aereo su larga scala contro l’Iran, che utilizzerà sia armi nucleari convenzionali che tattiche. … In Iran ci sono più di 450 obiettivi strategici principali, compresi numerosi siti sospettati di sviluppare i programmi per le armi nucleari. Molti degli obiettivi sono fortificati o sono sottoterra e non potrebbero essere presi con le armi convenzionali, di qui la scelta nucleare. Come nel caso dell’Iraq, questa reazione non è a condizione che l’Iran sia in effetti coinvolto nell’atto di terrorismo diretto contro gli Stati Uniti. Diversi ufficiali anziani dell’aeronautica Militare coinvolti in questa pianificazione sono, a quanto risulta, sconvolti dalle implicazioni di ciò che stanno facendo, cioè che l’Iran sia posto come obiettivo di un attacco nucleare non provocato, ma nessuno è pronto a recare danno alla propria carriera ponendo qualsiasi obiezione. (Philip Giraldi, Attack on Iran: Pre-emptive Nuclear War, The American Conservative, 2 Agosto 2005)

Dobbiamo dunque pensare che gli strateghi militari di Stati Uniti, Inghilterra, Israele stiano aspettando nel limbo “l’occasione” di un attacco terroristico, che quindi offrirebbe “la giustificazione” per il lancio di un’operazione militare diretta contro Siria e Iran? Nelle parole del Pentagono, citate alla lettera dal Washington Post (23 aprile 2006):

“Un altro attacco [terroristico] potrebbe creare sia la giustificazione che l’opportunità che ancora oggi manca per vendicarsi contro alcuni obiettivi noti, secondo ufficiali della difesa attualmente in carica o ex ufficiali che sono a conoscenza di questo piano.”(citato dal Washington Post, 23 Aprile 2006, enfasi aggiunta)

 

 

 

L'attacco anche con armi nucleari all'Iran

sembra essere questione di pochi mesi

 

 

 

 

 

Washington prevede un nuovo

 11 settembre tra sei mesi

Fonte web

I principali leader delle agenzie di intelligence degli Stati Uniti, hanno suscitato emozione nelle loro audizioni annuali presso la Commissione parlamentare sull’Intelligence del 2 febbraio 2010.

Dennis C. Blair, Direttore della National Intelligence, per primo a evocato una possibile guerra nel cyberspazio, da cui si è capito che sarebbe stata dichiarata dalla Cina e metterebbe a repentaglio l’intera infrastruttura informatica mondiale.

Poi ha annunciato che il suo dipartimento si riservava il diritto di assassinare chiunque fosse legato a un gruppo terroristico che minacci la vita dei cittadini degli Stati Uniti, anche quando l’indagato è egli stesso un cittadino degli Stati Uniti, e ovunque si trovasse.

In particolare l’ammiraglio Blair, il direttore della CIA, Leon Panetta, il direttore dell’FBI, Robert Mueller, il direttore del servizio segreto militare, Ronald Burgess, e il direttore del dipartimento dell’intelligence di Stato, John Dinger hanno tutti detto che Al-Qaida sta progettando un attacco di nuovo tipo, in modo da sfuggire alla lotta contro il terrorismo, e potrebbe colpire il territorio degli Stati Uniti entro tre-sei mesi.

A uso interno, questa affermazione mira a preparare l’opinione pubblica statunitense a una nuova catastrofe, e a un possibile ritorno alla politica dei neo-conservatori. Ma, a uso esterno, mira a contrastare le voci diffuse da importanti giornali del Medio Oriente, come Kheyan (Iran), Al-Binaa (Libano) e Al-Wataan (Siria). Secondo questi media, per rilanciare lo "scontro di civiltà", lo stato ebraico sta organizzando un nuovo 11 settembre, che verrebbe attribuito ad Al-Qaida. Tuttavia, secondo queste fonti, funzionari dei servizi segreti iraniani e turchi hanno osservato consiglieri israeliani compiere preparativi non negli Stati Uniti, ma in Europa. Tel Aviv starebbe esplorando la possibilità di colpire un bersaglio dal forte valore religioso, come Notre-Dame de Paris o la Basilica di San Pietro a Roma. Questo attacco potrebbe giustificare una nuova crociata contro l’Islam.

principali leader delle agenzie di intelligence degli Stati Uniti, hanno suscitato emozione nelle loro audizioni annuali presso la Commissione parlamentare sull’Intelligence del 2 febbraio 2010.

Dennis C. Blair, Direttore della National Intelligence, per primo a evocato una possibile guerra nel cyberspazio, da cui si è capito che sarebbe stata dichiarata dalla Cina e metterebbe a repentaglio l’intera infrastruttura informatica mondiale.

Poi ha annunciato che il suo dipartimento si riservava il diritto di assassinare chiunque fosse legato a un gruppo terroristico che minacci la vita dei cittadini degli Stati Uniti, anche quando l’indagato è egli stesso un cittadino degli Stati Uniti, e ovunque si trovasse.

In particolare l’ammiraglio Blair, il direttore della CIA, Leon Panetta, il direttore dell’FBI, Robert Mueller, il direttore del servizio segreto militare, Ronald Burgess, e il direttore del dipartimento dell’intelligence di Stato, John Dinger hanno tutti detto che Al-Qaida sta progettando un attacco di nuovo tipo, in modo da sfuggire alla lotta contro il terrorismo, e potrebbe colpire il territorio degli Stati Uniti entro tre-sei mesi.

A uso interno, questa affermazione mira a preparare l’opinione pubblica statunitense a una nuova catastrofe, e a un possibile ritorno alla politica dei neo-conservatori. Ma, a uso esterno, mira a contrastare le voci diffuse da importanti giornali del Medio Oriente, come Kheyan (Iran), Al-Binaa (Libano) e Al-Wataan (Siria). Secondo questi media, per rilanciare lo "scontro di civiltà", lo stato ebraico sta organizzando un nuovo 11 settembre, che verrebbe attribuito ad Al-Qaida. Tuttavia, secondo queste fonti, funzionari dei servizi segreti iraniani e turchi hanno osservato consiglieri israeliani compiere preparativi non negli Stati Uniti, ma in Europa. Tel Aviv starebbe esplorando la possibilità di colpire un bersaglio dal forte valore religioso, come Notre-Dame de Paris o la Basilica di San Pietro a Roma. Questo attacco potrebbe giustificare una nuova crociata contro l’Islam.

UN ALTRO UNDICI SETTEMBRE PER ATTACCARE L’IRAN?

Fonte web

Lo strano caso dell’Arctic Sea, il mercantile scomparso il 24 luglio scorso e riapparso a Capo verde in agosto, continua a sollevare interrogativi. E’ poco credibile la versione secondo cui sarebbero stati dei pirati a dirottare il carico diretto in Algeria: nella Manica non ce ne sono da secoli. Inspiegabile anche l’intervento della flotta russa e della Nato, costato di certo più dello stesso carico di legname. Dunque cosa si nasconde dietro all’Arctic Sea? Secondo il quotidiano israeliano Ha’aretz, il carico trasportava batterie anti missile S-300 che il governo russo avrebbe venduto all’Iran. Della stessa opinione è il Moscow Times, questo spiega la visita non ufficiale di Netanhyau a Mosca. Ma perché non passare dal mar Caspio, mettendo a rischio un’impresa coperta? Secondo fonti militari russe la nave in realtà trasportava missili nucleari recuperati dal sommergibile Kursk, affondato nel 2001, che dovevano essere smaltiti in Texas. Ma chi sono le otto persone arrestate dai russi? Sono forse agenti del Mossad? La faccenda si complica e ricorda da vicino la vicenda del B-52 che il 30 agosto 2007 volò per errore con sei missili nucleari dalla base di Minot a quella di Barskdale. Secondo fonti interne all’Aviazione Statunitense, non si trattava di uno sbaglio ma di un dietro front vero e proprio, o meglio, di un ammutinamento interno all’aviazione per impedire che le testate raggiungessero la vera destinazione, il Medio Oriente.
Un’attacco nucleare all’Iran è comunque da escludere per l’Artic Sea, anche perché difficilmente verrebbe sferrato senza il sostegno dell’opinione pubblica. Ci vuole un’altra Undici Settembre o una nuova Pearl Harbour, per giustificare un intervento duro e decisivo. Ma l’ossessione Israelo-americana non si è certo arrestata con Obama. Lo abbiamo visto in Afghanistan e in Pakistan, e nei piani di certo non mancano i cosiddetti “Stati Canaglia”: Iran, Siria, Venezuela e Corea del Nord.

 

 

Attacco all'Iran - Il generale Mini per PandoraTV.it

 

 

L'ex zar dell'Atomica israeliana:

l'Iran non è una minaccia nucleare

Fonte web

Un generale, a suo tempo responsabile delle armi nucleari di Israele, ha affermato che l'Iran è «molto, molto, molto lontano dal costruirsi una capacità nucleare». Il generale di brigata Uzi Eilam, 75 anni, un eroe di guerra e un pilastro dell’establishment della difesa, ritiene che all’Iran serviranno probabilmente sette anni per potersi fabbricare armi atomiche.

Le opinioni espresse dall'ex direttore generale della Commissione per l'energia atomica di Israele contraddicono le valutazioni dell’establishment della difesa israeliano e lo mette in disaccordo con i leader politici.

Il Maggior Generale Amos Yadlin, capo dell'intelligence militare, ha recentemente detto alla commissione difesa della Knesset che l'Iran sarà probabilmente in grado di costruire un singolo ordigno nucleare quest'anno.

Binyamin Netanyahu, il primo ministro, ha ripetutamente affermato che Israele non tollererà un Iran dotato di armi nucleari. Le forze israeliane si sono addestrate per attaccare le installazioni nucleari iraniane e alcuni analisti ritengono che potrebbero essere lanciati degli attacchi aerei nel corso di quest’anno, se le sanzioni internazionali non riuscissero a dissuadere Teheran dal perseguire il suo programma.

Eilam, che si ritiene sia aggiornato da ex colleghi sugli sviluppi in Iran, definisce la rappresentazione ufficiale da parte del suo paese come isterica. «La comunità dell’intelligence sta diffondendo voci spaventose sull’Iran», ha dichiarato.

Suppone che «i vertici della difesa stiano esternando dei falsi allarmi al fine di accaparrarsi un budget più grosso», mentre alcuni politici hanno utilizzato l'Iran per distogliere l'attenzione dai problemi di casa.

«Coloro che dicono che l'Iran otterrà una bomba entro un anno, su quali basi lo affermano?», si è chiesto. «Dove sono le prove?»

Ha appena pubblicato “L’arco di Eilam”, un memoriale in cui rivela di essersi opposto all'attacco israeliano contro il reattore nucleare iracheno di Osirak nel 1981.

Secondo fonti della difesa ben inserite, Israele sta accelerando i preparativi per un possibile attacco ai siti nucleari iraniani.

La scorsa settimana le sue forze di difesa hanno diffuso filmati che mostravano esercitazioni di rifornimento in volo di jet F-15 da combattimento. «Questo era un avvertimento non tanto all'Iran, quanto agli americani sul fatto che facciamo sul serio», ha detto una fonte della difesa israeliana.

Ma Eilam controbatte che «un attacco del genere [contro l'Iran] sarebbe controproducente».

«Un attacco non è pratico. Al fine di ritardare il programma iraniano di tre o quattro anni, si ha bisogno di una flotta di aerei, che solo un superpotenza è in grado di fornire. Solo l'America lo può fare».

 

 

 

Attacco Israele all'Iran - prima parte

 

 

 

Attacco Israele all'Iran - seconda parte

 

 

 

 

 

Il fattore israeliano nell’aggravarsi

della crisi iraniana

 

Un confronto militare fra l’Occidente e l’Iran causerebbe grave distruzione a entrambe le parti, ma soprattutto sarebbe catastrofico per i paesi arabi – scrive l’analista Sobhi Ghandour
 

Fonte web

La questione iraniana è di nuovo al centro dell’attenzione internazionale a causa della controversia fra i paesi occidentali e Teheran riguardo all’arricchimento dell’uranio iraniano e alla possibilità di un suo trasferimento all’estero.

Queste trattative sono affiancate dalle indiscrezioni sui preparativi militari per un possibile attacco all’Iran e per contrastare le possibili risposte iraniane su più fronti.

Tutto ciò riporta in primo piano l’interrogativo sulle possibilità di arrivare a un accordo o allo scontro militare con Teheran.

Il fattore israeliano è estremamente importante in questa crisi fra l’Occidente – e Washington in particolare – e l’Iran. Nella regione mediorientale, Israele è l’unico stato in possesso di un arsenale nucleare. Ma l’Occidente non presta alcuna attenzione ai pericoli che questo comporta, mentre invece impedisce a qualsiasi paese arabo o islamico di entrare in possesso di armi atomiche.

E non ha alcun valore la scusa sulla quale l’Occidente basa questa sua posizione, cioè il fatto che Israele sarebbe uno “stato democratico alleato” del quale ci si può fidare. Molti paesi mediorientali hanno infatti rapporti privilegiati con l’Europa e con gli Stati Uniti, ma ad essi non è permesso possedere armi nucleari.

Forse il miglior esempio a questo proposito è la Turchia, la quale fa parte della NATO ed è governata da un regime laico e democratico; ma ad essa l’Occidente impedisce di entrare nel club nucleare.

Israele ora spinge perché si giunga a un confronto militare con l’Iran. Nel caso in cui si dovesse arrivare a questo, Israele porterebbe a compimento i “successi” che ha realizzato finora a partire dall’11 settembre 2001 sotto la bandiera della “guerra al terrore islamico”.

Israele ha infatti sempre da guadagnare da qualsiasi conflitto che avviene tra l’ “Occidente” e l’ “Oriente”, perché ciò rafforza il suo ruolo (in primo luogo sotto il profilo della sicurezza) nei confronti dei grandi paesi occidentali, primi fra tutti gli Stati Uniti.

Il confronto militare fra l’Occidente e l’Iran causerà grave distruzione a entrambe le parti, e coinvolgerà numerose città arabe. La catastrofe colpirà anche le ricchezze petrolifere e finanziarie arabe, e le sue conseguenze potrebbero portare a una riduzione delle forze armate americane nella regione. Gli Stati Uniti dipenderebbero allora in misura ancora maggiore dalla forza militare israeliana in Medio Oriente.

L’escalation della crisi, e il confronto militare con l’Iran, sono destinati a creare un clima di conflitto interno in molti paesi arabi, da cui potrebbero nascere delle guerre civili che sconvolgeranno questi paesi, favorendo ulteriormente il progetto israeliano nella regione, che punta alla creazione di staterelli su base etnica e confessionale facilmente controllabili da Israele.

Secondo i calcoli israeliani, Israele sarà certamente colpito dagli attacchi militari dell’Iran e dei suoi alleati nella regione, ma sicuramente in misura minore, sia sotto il profilo militare che economico e finanziario, e sarà il paese che ne trarrà maggior vantaggio a livello politico e strategico, poiché l’entità israeliana rimarrà unita, ed anzi maggiormente in grado di rafforzare gli insediamenti nei territori occupati e la pratica del trasferimento forzato dei palestinesi all’interno di Israele e della Cisgiordania, e forse addirittura verso la riva orientale del Giordano – un vecchio progetto caro a Israele, ed in particolare all’attuale classe di governo, quello cioè della “patria alternativa”.

Il confronto fra gli Stati Uniti e l’Iran ha aspramente polarizzato il mondo arabo in questi anni. In questo conflitto tutti i mezzi sono divenuti leciti, compresa la mobilitazione settaria e confessionale, la strumentalizzazione dei mezzi di informazione e l’arruolamento delle grandi firme dei giornali al servizio di questa o quella parte.

Alla fine, alcuni attori arabi, per interessi diversi, sono divenuti strumenti del conflitto, ed i loro paesi sono candidati a diventare i campi di battaglia di questo scontro. Ma le “questioni” regionali per le quali si combatte sono forse questioni “straniere” che non riguardano gli arabi, e che non interessano i loro governi ed i loro popoli?

Le radici della questione irachena risalgono alla guerra che il precedente regime di Saddam Hussein dichiarò contro l’Iran reduce dalla Rivoluzione che aveva rovesciato il regime dello scià; così come risalgono alla teoria del “doppio contenimento” adottata da diverse amministrazioni a Washington, e in base alla quale l’amministrazione Reagan sosteneva allo stesso tempo il governo iracheno e i contratti per la vendita di armi all’Iran, affinché le due parti si dissanguassero a vicenda.

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che si è riunito più volte per studiare l’applicazione di nuove sanzioni all’Iran (sebbene l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica [AIEA] non abbia ancora smentito le affermazioni di Teheran secondo cui il suo programma nucleare ha scopi pacifici), non si riunisce per studiare le conseguenze della minaccia nucleare israeliana, o per esaminare la questione palestinese, così come negli anni passati non si è riunito per definire il destino della “questione irachena”.

Queste ultime due questioni sono infatti sotto la “tutela” americana diretta, o sotto l’occupazione israeliana. Questioni di questo genere non vengono esaminate dal Consiglio di Sicurezza! Il denominatore comune dell’Iraq e della Palestina è che l’occupazione israeliana si rifiuta di applicare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, e delle Nazioni Unite, mentre l’occupazione americana in Iraq si rifiutò nel 2003 di rimettersi all’autorità del Consiglio di Sicurezza prima dell’invasione militare!

E’ vero, la “questione iraniana” è una faccenda sulla quale è importante che i governi arabi si soffermino, soprattutto alla luce di dichiarazioni ed azioni iraniane che suscitano timori e preoccupazioni nei paesi arabi del Golfo. Tutto ciò rende legittimo anche l’interrogativo sull’entità delle ingerenze iraniane negli affari iracheni.

E’ vero, la “questione iraniana” è essenziale per l’amministrazione Obama in relazione all’Iraq e all’Afghanistan, ma anche per il destino del conflitto arabo-israeliano e per le conseguenze estremamente negative per il Medio Oriente e per il mondo che potrebbero derivare da un ulteriore incancrenirsi di questo conflitto. E’ vero, l’amministrazione Obama forse non commetterà una follia che non commise nemmeno l’amministrazione Bush, malgrado tutta la sua avventatezza e malgrado le pressioni israeliane.

Tutto questo è vero. Tuttavia gli arabi si trovano a dover scegliere fra due alternative: o puntare sulla solidarietà e sull’unificazione nazionale araba, ponendo le basi di una visione araba condivisa per rapportarsi con tutte le potenze internazionali e regionali interessate al Medio Oriente, o fare il gioco di Israele, con tutto quello che ciò comporterà in termini di devastante frammentazione dei popoli, degli stati e delle ricchezze arabe.

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Sobhi Ghandour è fondatore e direttore esecutivo di “al-Hewar Center”, con sede a Washington

 

 

 

 

Un incidente tipo "Golfo del Tonchino" per attaccare l'Iran?
 

 

 

 

UN PO' DI STORIA RECENTE

 

Gli auspici di Rusmfeld per un nuovo 11 Settembre

Fonte web

Era il 2006. Nello stanco mondo post 11 settembre c’era in giro poco entusiasmo per come l’Amministrazione USA si spendeva per la guerra. Un problema serio, per i fuochisti che volevano far carburare ancora i conflitti. Donald Rumsfeld, l’allora segretario della Difesa, una risposta ce l’aveva. Cosa si poteva fare? «La correzione per questo, suppongo, è un altro attacco.» Un bell’11 settembre nuovo di zecca.

Sappiamo con certezza che Rumsfeld pronunciò quella frase. Quando e dove la pronunciò?

Abbiamo già visto un’impressionante inchiesta di David Barstow sulle pagine di «The New York Times» del 20 aprile 2008 (Behind TV Analysts, Pentagon’s Hidden Hand). Barstow raccontava con centinaia di riscontri la manipolazione dei mass-media organizzata dal Pentagono lungo il primo lustro di guerra in Iraq.

Decine di analisti militari che anelavano a sontuosi appalti per conto delle industrie belliche venivano catechizzati sulle cose da dire in TV: un’infinita sequela di bugie.

L’ex segretario della Difesa e i suoi collaboratori programmavano con frequenza martellante decine e decine di riunioni, briefing, pranzi di lavoro, lettere dettagliate, blandizie, consigli amichevoli, offerte che non si potevano rifiutare. Gli analisti davano una lustratina alle loro ex stellette e soprattutto alle monete che grondavano dai nuovi sfavillanti contratti, ben nascosti al pubblico ignaro, e poi ripetevano pappagallescamente le “magnifiche sorti e progressive” della Guerra al Terrorismo imbeccate dagli uffici di Rumsfeld.

Il loro ottimismo ballista inquinava gli schermi dei principali network statunitensi, a dispetto degli enormi problemi incontrati sul terreno dalle forze armate angloamericane.

Il grande quotidiano newyorchese ha avuto successo nel far causa al Dipartimento della Difesa per riuscire ad accedere a migliaia di pagine e registrazioni che rivelano la simbiosi che ha spazzato via ogni confine tra governo e giornalismo.

È in questo contesto che – pur non potendo arrivare ancora al nucleo di certi segreti né alle “pistole fumanti” delle falsificazioni più atroci, quelle dell’11 settembre 2001 – siamo in grado però di conoscere alcune categorie fondamentali del potere di questi anni, e vedere da vicino gli “strumenti di lavoro” della Guerra al Terrorismo, in primo luogo la docile utilità strumentale del terrorismo stesso per gli scopi di Rumsfeld e i suoi sodali.

La frase rivelatrice dell’uomo che guidava il Pentagono sulla forza “correttiva” di un attacco terroristico fu il clou di una colazione di lavoro, in risposta alle dolenti considerazioni di uno degli scodinzolanti ex ufficiali che partecipavano alla sua mensa, il quale deplorava la scarsa partecipazione politica dell’opinione pubblica alle scelte dell’Amministrazione in tema di guerra.
La registrazione ci fa sentire un Rumsfeld, al solito, molto assertivo:

«Il Presidente è piuttosto la vittima di un successo. Non abbiamo avuto un attacco per cinque anni. La percezione della minaccia è cosi flebile nella società che non è sorprendente che il quadro dei comportamenti rifletta una bassa valutazione della minaccia. Accade lo stesso in Europa, dove c’è una debole percezione del pericolo. La correzione per questo, suppongo, è un attacco. E quando questo accade, ognuno risulta infervorato per un altro [parte inudibile] ed è una vergogna che non abbiamo la maturità di riconoscere la serietà delle minacce… la letalità, i massacri che possono essere inflitti alla nostra società sono così reali e presenti, e così seri, che sapete come noi lo si abbia compreso, ma la società, quanto più ci si allontana dall’11 settembre, meno… sempre meno…»

L’11 settembre non è dunque un’ossessione mia. È invece l’ossessione dei poteri che hanno egemonizzato l’Amministrazione Bush e i principali mass media, è il tema cardinale dello “stato d’eccezione” da loro voluto con tempi e ritmi di una vera rivoluzione.

Gli auspici del vecchio falco di Washington non sono da leggere come il lapsus sfuggito al cospiratore. Non è tipo da farsi mettere in castagna così, nel caso. Era invece la dottrina che delimitava il campo d’azione degli eminenti propagandisti che pendevano dalle sue labbra. Ai commensali si garantivano i migliori piatti del ristorante-mangiatoia Pentagono. A tutta la galassia di contractor che privatizzava e rendeva meno trasparente la spesa militare si assicuravano ancora lauti pasti, ma attenzione, le cucine stavano esaurendo le provviste, dovevano sapere che la loro sazietà sarebbe dipesa dall’attualità del terrorismo, dalla condivisione di azioni e reazioni che si sarebbero rette ancora sul dogma dell’11 settembre. Non è ambientino da “gole profonde”, sono voci di un coro ben guidato, che deve cantare le stesse note e non ammette dissonanze.

Poco tempo dopo queste frasi, Rumsfeld non era già più segretario della Difesa. Ma il blocco d’interessi di cui è espressione rimane ancora, e continua a prefiggersi un casus belli all’altezza dei tempi.

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« La senatrice repubblicana Karen Johnson: “Prove inconfutabili” sulle demolizioni delle Torri Gemelle - Crolli accidentali, una spiegazione che lascia troppi buchi neri sull’11/9 »

 

 

APPROFONDIMENTO

 

CARO PRESIDENTE OBAMA, E' IL

MOMENTO DI ATTACCARE

Obama ha bisogno di un gesto plateale per cambiare l'immagine che l'opinione pubblica ha di lui come campione dei pesi leggeri, raffazzonando ideologi, preferibilmente in un'arena dove la posta è molto alta e dove lui può battere le aspettative. Una simile opportunità esiste: Obama può dare ordini all'esercito di distruggere la capacità di produzione delle armi nucleari di Teheran. Le circostanze sono propizie.
 

Perché gli Usa provocano la Cina?

Un attacco all'Iran da parte americana potrebbe essere un modo per sfidare la Cina: "Stando alla storia e cercando di ritrovare esempi simili nel corso degli anni, i più maliziosi potrebbero ravvisare in questo l'inizio di una strategia della tensione per portare a qualche 'incidente' capace di creare uno stato di guerra, magari non totale, ma sufficiente a bloccare i normali rapporti economici e di mercato, con lo scopo finale di azzerare l'esposizione debitoria americana nei confronti dello stato cinese".