ATTENTI AI

NUOVI ANTICRISTI

CHE SONO NELLA CHIESA

 

UNO SCISMA STRISCIANTE NELLA CHIESA CATTOLICA È

CIÒ CHE PREOCCUPA DI PIÙ IL SANTO PADRE

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

"Il fumo di Satana è entrato nel Tempio di Dio”, disse drammaticamente Paolo VI. E anche Papa Ratzinger ci mette in guardia dagli Anticristi che sono fra noi (es. la pseudo teologia di Vito Mancuso, i teologi Hans Kung e Eugen Drewermann, ecc.) e più insidiosi di certi attacchi calunniosi dei nemici esterni (come il romanzo di Dan Brown).  Questi anticristi, travestiti da teologi e pastori, parlano anche della necessità di un Concilio Vaticano III, essenzialmente per secolarizzare la Chiesa e per aprire la strada all'aborto, all'eutanasia, al divorzio, ecc. Vogliono una Chiesa del "sì" al mondo, una Chiesa pienamente naturalizzata e sganciata dall'Assoluto. La chiesa dell'Anticristo, appunto! Ma essi hanno anche un'altro sogno non ancora confessato: intaccare l'Eucarestia come vero Corpo e Sangue di Cristo e farne solo un simbolo, come avviene nel mondo protestante. Questo è dunque il nucleo centrale del loro lavoro non ancora  reso pienamente esplicito: espellere Cristo da questo mondo! Tuttavia, non ci riusciranno poiché Gesù lo ha promesso: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa" (Mt 16,18). (....)
 

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Devi anche sapere che negli ultimi tempi verranno momenti difficili. Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, senza religione, senza amore, sleali, maldicenti, intemperanti, intrattabili, nemici del bene, traditori, sfrontati, accecati dall'orgoglio, attaccati ai piaceri più che a Dio, con la parvenza della pietà, mentre ne hanno rinnegata la forza interiore. Guardati bene da costoro! (2Tm 3,1-5)

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Figlioli, questa è l'ultima ora. Come avete udito che deve venire l'anticristo, di fatto ora molti anticristi sono apparsi. Da questo conosciamo che è l'ultima ora. Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; ma doveva rendersi manifesto che non tutti sono dei nostri. (1Gv 2,18-19).

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Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra (Ap 12,3-4). (Da notare che nella esegesi classica "le stelle" stanno a significare la caduta dei fedeli e in modo particolare dei pastori a causa dell'apostasia o di uno scisma).

 

 

INTRODUZIONE

Il Papa: "Pregate per me, non
lasciatemi solo"

articolo della Stampa del 22 febraio 2009

Benedetto XVI denuncia «smarrimento e tempeste» all’interno della Chiesa, riafferma il primato del Papa (il cui ruolo «è stato ribadito dal Concilio») e invita i fedeli a pregare per lui. Un accorato richiamo all’ordine proprio nel giorno in cui, dopo il quotidiano britannico «Financial Times», anche il conservatore «Sunday Times» spara sul Palazzo Apostolico. Le scelte prese troppo «in solitudine» e lo stile «regale e distaccato» di un Pontefice quasi «invisibile» starebbero irritando anche chi dovrebbe essergli più vicino e in particolare alcuni cardinali. In prima pagina la corrispondenza dalla Città del Vaticano descrive una Curia allo sbando (sotto assedio per le critiche dagli episcopati francese, austriaco, tedesco, svedese, svizzero, inglese) e registra forti malumori tra i porporati, incluso il ministro dei Vescovi, Giovanni Battista Re, «costretto ad una decisione affrettata» sulla revoca della scomunica ai lefebvriani». La routine giornaliera del Papa viene messa sotto accusa «per una serie di passi falsi che hanno provocato una rara manifestazione di dissenso da parte di cardinali esasperati». Insomma un’impietosa raffigurazione di «un Pontefice che sta guidando la Chiesa e i suoi 1,2 miliardi di fedeli come un monarca, separato dal mondo che sta fuori dalla finestre del suo palazzo, aiutato solo da consiglieri leali ma inetti». Perciò, «la gente si sente disorientata e la sensazione condivisa da tradizionalisti e riformisti è che al timone non ci sia nessuno». E mentre la Santa Sede apre un’indagine sugli stili di vita delle 59 mila suore americane («quelle impegnate nell’apostolato, non le religiose di clausura») e una delegazione pontificia visiterà oltre 400 conventi, Benedetto XVI è tornato sull’attuale situazione ecclesiale.

Appena tre giorni fa il Papa si era lamentato delle «polemiche distruttive e l’arroganza intellettuale» che affliggono la Chiesa, e ieri, all’Angelus, ha riaffermato con forza il «primato di Pietro» invitando i fedeli a non cedere ai «turbamenti e alle tempeste», e a mantenersi «fedeli all’unità», «nell’amore reciproco». Da piazza San Pietro è partito un richiamo per l’intera Chiesa cattolica affinché «ciò che è particolare, non solo non nuoccia all’unità, ma piuttosto la serva». E vegliare perché ciò avvenga tocca al Papa. Un «alto compito» nel quale Joseph Ratzinger chiede di essere «accompagnato» dalle preghiere dei fedeli. Lo «schiaffo» del «Sunday Times» è l’ultimo di una lunga serie di attacchi. Il caso Williamson, il vescovo negazionista graziato dal Pontefice, ha scatenato una bufera internazionale, con le proteste del Gran rabbinato di Gerusalemme e del governo israeliano, la richiesta di chiarimenti (senza precedenti) del cancelliere tedesco Angela Merkel, l’appello al Pontefice di 50 membri cattolici del Congresso Usa, le critiche del presidente francese Sarkozy («E’ inammissibile, increscioso e choccante che nel XXI secolo si possa negare la Shoah»). Fino alla nota della Segreteria di Stato che ha imposto a Williamson di ritrattare le sue dichiarazioni negazioniste sulla Shoah «per essere ammesso a funzioni episcopali nella Chiesa».

Due settimane fa anche il «Financial Times» ha preso di mira Benedetto XVI definendolo «un rottweiler di Dio maltrattato» e descrivendolo come «un Papa timido e isolato, sepolto dalle sue letture e scritture, vulnerabile alle manipolazioni». Un Papa che «potenzialmente può essere intimorito» e che «per sua stessa ammissione, non presta mai attenzione alle critiche». Intanto la sollevazione della Conferenza episcopale austriaca ha costretto il Vaticano a rimangiarsi la nomina a Linz dell’ultraconservatore Wagner, secondo cui i gay «vanno guariti», l’uragano Katrina è stato il «castigo di Dio per le cliniche abortiste di New Orleans» e i libri di Harry Potter sono «satanisti e occultisti». Un quadro allarmante dovuto alla «percezione generale» di questo pontificato più che alle singole decisioni di Benedetto XVI, secondo Francesco Margiotta Broglio, studioso di relazioni tra Stato e Chiesa. «L’odierno governo della Chiesa difetta nel far comprendere il proprio operato all’esterno dei sacri palazzi», osserva Margiotta Broglio. E per risalire a un pontificato così sotto scacco, occorre risalire «alle durissime campagne giornalistiche del ’49 contro Pio XII per la scomunica dei comunisti, i comitati civici e le reazioni alle difficili scelte politiche del Papa durante la guerra fredda».

I mass media anglosassoni, aggiunge Margiotta Broglio, «sono tradizionalmente severi con il capo della Chiesa cattolica» e «neppure Paolo VI aveva doti comunicative». Karol Wojtyla, invece, «era un grande comunicatore e curargli l’ufficio stampa era un gioco da ragazzi» perché «anche quando diceva cose discutibili lo faceva sempre nel modo giusto e otteneva unanime consenso». Però «la preparazione e il livello di Ratzinger sono indiscutibili».

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Chi sono e che cosa vogliono colpire gli hanskunghi?

Sono i «teologhi» da strapazzo «del Reno» (del Neckar e dintorni) che da generazioni sfornano vani arzigogoli per protestantizzare la Chiesa. Dicendosi cattolici, o sono in dannata mala fede, o sono degli ignari ebeti, come dev’essere il caso della loro macchietta più tipica: Hans Kung, «monture di Troia» eletta dai gran media anticattolici, poiché si crede «mente» di nuovi «asserti», mentre esala inezie atte a imbarazzare perfino qualche ateo più scaltro.
Che cosa vogliono colpire e spegnere, se non tutto quanto porta il nome fiammeggiante di Tradizione cattolica? Della Tradizione si deve, quindi, parlare qui dopo aver capito qual è la gran montatura presente in ogni loro sparata.

Il branco degli hanskunghi colpisce ancora

Per i docenti della Facoltà di «Teologia cattolica» di Tubinga «la revoca della scomunica ai vescovi della Fraternità Sacerdotale San Pio X rappresenta uno scandalo e offesa... un grave peso per il nostro lavoro, ma anche per il lavoro di molti preti, di collaboratori e collaboratrici pastorali, insegnanti di religione. Chi si impegna, sulla base del Concilio Vaticano II, per una Chiesa e una teologia che siano in dialogo aperto con il mondo e le religioni, si sente offeso. Rispettiamo gli sforzi del papa per l’unità della Chiesa. Tuttavia ci sono oggi nella Chiesa cattolica vescovi che rifiutano la libertà di religione e di coscienza, che mostrano apertamente una mentalità antiecumenica, che difendono un’immagine di Chiesa clericale, all’interno della quale il sacerdozio comune di tutti i credenti non ha quasi più significato, e che disprezzano consapevolmente la ‘Chiesa conciliare’. Per di più, uno di questi vescovi nega l’entità della Shoah e manifesta un pensiero antisemita. In questo modo egli, come in precedenza, sta al di fuori della communio della Chiesa. Temiamo che la revoca della scomunica di questi vescovi segni un momento di svolta nella storia della Chiesa postconciliare. Essa viene giustificata con il riferimento al fatto che dopo il Concilio spesso vi sono state omissioni che hanno condotto ad un consolidamento di divisioni. Eppure la storia della Chiesa è ricca e annovera anche esperienze contrarie. Nel caso di ulteriori concessioni alla Fraternità San Pio X temiamo conflitti permanenti e fratture che arrecheranno danno alla Chiesa. Per noi è incomprensibile che si facciano rientrare nella Chiesa persone che rifiutano apertamente il Concilio Vaticano II, mentre ne sono state - e ne saranno - allontanate altre che intendono il loro lavoro a partire dal Concilio, come per esempio i rappresentanti della Teologia della Liberazione. In questo ci sembra che il principio di giustizia non sia rispettato. Siamo molto preoccupati per l’unità della Chiesa sulla base del Concilio Vaticano II e facciamo appello a tutti i vescovi, a tutte le colleghe e ai colleghi impegnati nell’insegnamento accademico, a tutti coloro che sono impegnati nell’annuncio e a tutti i cattolici, donne e uomini, affinché si esiga e si difenda con fermezza l’eredità del Concilio» (tratto dall’Agenzia Adista, febbraio 2009).
(Vedere qui)

 

 

L'attacco del "teologo ribelle" Küng: 'Nella

Chiesa c'è una restaurazione'.

 

 

 

 

Eresie moderne e progressiste

 

Il modernismo fu un'eresia, sì, e

il suo erede è il progressismo


Mise la coscienza al centro di tutto. E fece della fede non più l’assenso dell’intelletto alla verità rivelata da Dio ma un cieco sentimento religioso.

 

Fonte web
 
È praticamente passato sotto silenzio, lo scorso settembre, il centenario dell’enciclica Pascendi Dominici gregis con cui il papa San Pio X condannava il modernismo definendolo «sintesi di tutte le eresie». Eppure, rileggendola oggi nelle edizioni Cantagalli (pagg. 134, euro 13,50), ci sarebbe ogni motivo per un ampio dibattito, dal momento che il modernismo, scomunicato cent’anni fa, ha conquistato gran parte del clero (e dei vescovi) con il nuovo nome di progressismo.

In appendice al testo dell’enciclica sono riportati il decreto Lamentabili (che condannava 65 proposizioni moderniste) e il «giuramento antimodernista» che quel papa impose nei seminari. Il vescovo di San Marino, Luigi Negri, nella prefazione così si esprime: «Sono rimasto quasi sgomento; le proposizioni fondamentali, tutte chiaramente in contrasto con la dottrina cattolica, hanno costituito in questi ultimi vent’anni il contenuto anche esplicito di tante pubblicazioni teologiche ed esegetiche e hanno sicuramente influenzato l’insegnamento in facoltà teologiche e in seminari».

La Pascendi Dominici gregis venne addirittura elogiata, «per la sua potenza filosofica e la sua coerenza» (come ricorda lo storico Roberto De Mattei nell’introduzione), dai due massimi esponenti del pensiero laico del tempo, Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Era, infatti, un «affare interno» della Chiesa, che così isolava i suoi nemici più pericolosi e subdoli, il cui obiettivo era trasformare il cattolicesimo «da dentro» lasciandone intatto l’involucro strutturale.

Così, infatti, si esprimeva uno dei loro esponenti di spicco, il sacerdote Ernesto Buonaiuti, riferendosi alla Chiesa nella sua opera "Il modernismo cattolico": «Diventerà un protestantesimo; ma un protestantesimo ortodosso, graduale, e non uno violento, aggressivo, rivoluzionario, insubordinato; un protestantesimo che non distruggerà la continuità apostolica del ministero ecclesiastico né l’essenza stessa del culto». Un altro famoso modernista, il romanziere Antonio Fogazzaro, quando vide una sua opera messa all’Indice fece atto (esteriore) di pentimento ma si giocò il Nobel, che gli antipapisti del comitato assegnarono all’anticlericale Carducci.

Non era facile, in effetti, cogliere esattamente l’eresia modernista, dal momento che essa non si opponeva a questa o a quella delle verità rivelate. Ma Papa Sarto ne individuò il punto centrale nel mutamento della nozione stessa di «verità», che per il modernismo era in evoluzione; così anche i dogmi. In tal modo la coscienza diventava il centro di tutto, la regola universale, l’autorità suprema. Perciò, la fede non era più assenso dell’intelletto alla verità rivelata da Dio, bensì una specie di cieco sentimento religioso. Ma non fu facile la lotta al modernismo, proprio per l’evanescenza del suo insegnamento: ci vollero dieci lunghi anni prima che Buonaiuti venisse sospeso a divinis. Negli anni Quaranta il modernismo riemerse con la cosiddetta "Nouvelle théologie", che ebbe tra i suoi ispiratori Maurice Blondel e fu condannata da Pio XII con l’enciclica Humani generis del 1950. Tra i suoi eredi successivi, il panteismo cosmico-mistico del gesuita-archeologo Pierre Teilhard de Chardin e la svolta razionalista del teologo, celebre negli anni Sessanta, Karl Rahner.

La trasformazione del vecchio modernismo nel progressismo odierno si ebbe al tempo del concilio Vaticano II; soprattutto dopo, quando il cosiddetto «spirito del concilio» convertì molto clero a «quell’ermeneutica della rottura» che l’attuale pontefice non si stanca di condannare: il Vaticano II - dice in sostanza Benedetto XVI - va letto in continuità con tutta la tradizione precedente, e non costituisce affatto una «rottura» con il cattolicesimo definito sprezzantemente «pacelliano» o «preconciliare». Infine, una vera e propria leggenda nera è stata artatamente creata attorno al prete Umberto Benigni, che affiancò San Pio X nella lotta al modernismo con il "Sodalitium Pianum" (Sodalizio San Pio V, creato nel 1909 e sciolto nel 1921) e l’agenzia di informazioni Corrispondenza romana.

Come nota De Mattei, certa storiografia contemporanea «ha ripreso le accuse di “delazione” e “spionaggio” già lanciate dai modernisti contro il prelato romano». Il che costituisce un’ulteriore conferma dell’odierna egemonia culturale del progressismo. Ma si dovrebbe, del pari, ricordare il clima del tempo, e soprattutto quello che lo storico Lorenzo Bedeschi definiva il «multiforme e fervido lavorio segreto» dei modernisti, che costituivano «un reticolo inafferrabile e variegato» diffuso nelle principali città italiane. La lotta antimodernista di San Pio X ebbe anche l’appoggio di un santo come don Orione, che aveva compreso come il modernismo, sganciando l’uomo da ogni realtà oggettiva posta al di fuori di sé e della propria coscienza, preparasse il terreno al nichilismo

 

 

Il teologo Eugen Drewermann

 

 

Il teologo non vede e non tocca

Antonio Socci
 

Drewermann e la storicità della risurrezione. Il caso Drewermann è solo la punta dell'iceberg. Così libri e giornali stanno andando all'attacco delle prove storiche della resurrezione.

Fonte web

E' il 1970. Paolo VI, dopo la grande testimonianza data alla Chiesa e al mondo con il 'Credo del popolo di Dio' del 30 giugno '68, in parecchi drammatici discorsi parla dell'«ora inquieta della Chiesa», vede su di essa «nuvole, tempesta, buio», denuncia la penetrazione dentro le sue volte del «fumo di Satana». Proprio in questi mesi Paolo VI riesce a realizzare un suo grande desiderio per confermare il fondamento della fede: «Et resurrexit tertia die», un grande simposio internazionale sulla resurrezione di Gesù. Il titolo fu proprio «Resurrexit». Alla fine gli studiosi furono ricevuti dal Papa. «Ricordo che Paolo VI parlava in francese» dice il padre Ignace de la Potterie «e sottolineò i due capisaldi storici della testimonianza degli apostoli: la tomba vuota e le apparizioni di Gesù risorto. Il come e il quando della resurrezione è un mistero, ma resta il 'fatto' e qui Paolo VI scandì bene queste parole: "Il fatto empirico e sensibile delle apparizioni pasquali". Ed aggiunse un monito che colpì molti di noi: "Se non manteniamo la fede in questo fatto empirico e sensibile trasformiamo il cristianesimo in una gnosi"».

Era anche un grido di allarme... Poi accadde un piccolo incidente. Racconta padre De La Potterie: «Quando, nel 1974, uscirono gli Atti del simposio con l'allocuzione pontificia, pubblicati dalla Libreria editrice vaticana, quella frase -essendo stata pronunciata a braccio non c'era». Una metafora di ciò che doveva avvenire nella Chiesa. Nelle scorse settimane alcuni giornali hanno avanzato delle conclusioni: nella Chiesa si è tacitamente smesso di credere al fatto storico della resurrezione e alla prova costituita dalle apparizioni «empiriche e sensibili» di Gesù.

Nuovi Lutero?

A Pasqua il settimanale francese L'Express dedica la copertina a Eugen Drewermann. Il teologo tedesco, autore di veri best seller, che vuol trasformare Gesù Cristo in una favola/terapia psicanalitica, è al centro di un grande battage giornalistico in tutta Europa. All'Express rivela che i Vangeli non vanno presi alla lettera, il loro carattere infatti è «simbolico». La resurrezione di Gesù? «E' la sua persona che è resuscitata, non il suo corpo». Infatti «la sua resurrezione ha avuto luogo nel corso della sua vita». In che consiste questa strana resurrezione? «Egli si è liberato da un "io" che trae i suoi strumenti dal dominio, dal potere, dal denaro, dalla pretesa di possedere la verità». Così, ridotto a simbolo, l'avvenimento di Gesù Cristo non ha più niente di «unico»: «Anche altre religioni, per esempio l'antica religione egiziana, conoscono l'idea della divinità che, in forma umana, muore e risorge». Ad un'agenzia cattolica (la vecchia Informations catholiques) dice: «Bisogna innanzitutto comprendere che la resurrezione non si applica in particolare alla persona di Cristo. Gesù stesso è cresciuto in questa credenza che ha almeno duemila anni più del cristianesimo».

Grazie alle edizioni du Cerf, dei padri domenicani, che hanno invitato il teologo tedesco a Parigi alla veglia di Pasqua, adesso i francesi potranno trovare in libreria tre delle maggiori opere di Drewermann.

Ma c'è di più. L'Express pubblica anche un sondaggio sulla fede dei cattolici francesi. Ne viene fuori che il 25% dei praticanti non crede alla resurrezione di Gesù ed il 48% non crede alla resurrezione dei morti che professa nel Credo. Per i teologi le cose vanno anche peggio. Drewermann in una precedente intervista a Der Spiegel aveva dichiarato: «Quello che dico, lo dice la maggior parte dei teologi che trattano la medesima questione. Solo che non lo fanno se non servendosi di proposizioni subordinate limitative che dovrebbero garantire da una eventuale persecuzione dall'alto».

Un'accusa sconcertante? E' vero che gran parte dei teologi contemporanei -come Drewermann- non credono che i resoconti evangelici sulla resurrezione vadano presi alla lettera? E' vero che non credono alla presenza «empirica e sensibile» di Gesù quando tornò fra i suoi dopo la resurrezione? Ed è vero che nei loro libri dicono con complicate perifrasi ciò che Drewermann scrive apertamente?

«Purtroppo penso di sì» risponde amaramente padre De la Potterie, «e mi sembra che la tendenza a negare la storicità dei Vangeli sia oggi molto diffusa». Sul fronte opposto sentiamo Rosino Gibellini, che ha appena pubblicato il volume La teologia del XX secolo (Queriniana): «Drewermann vuole sottolineare soprattutto il valore simbolico della resurrezione. E' la sua idea. Ma è vero che la maggior parte dei teologi cattolici oggi afferma la 'realtà' della resurrezione, non la 'storicità'». Sofismi o necessarie distinzioni, ricerca teologica o eresie travestite da astrusi giochi di parole?

Per la verità lo stesso presidente della Conferenza episcopale tedesca, il vescovo Karl Lehmann, uno dei vicepresidenti del Sinodo sull'Europa, ha usato questa distinzione in un'intervista rilasciata il 16 aprile all'agenzia Kna: «Quanto alla 'fattualità storica' della resurrezione di Gesù Cristo, la cosa è complessa. Comunque è un evento reale. La resurrezione di Gesù Cristo da parte di Dio Padre è, strettamente intesa, un avvenimento nella sfera di Dio, che nel suo nucleo non appartiene alla nostra storia. Ma essa si ripercuote in quanto evento nello spazio e nel tempo». Lehmann, che è stato l'assistente di Karl Rahner, parla difficile per i semplici cristiani. Non così il cardinale Camillo Ruini che, negli stessi giorni, nell'articolo di Pasqua, comparso sul Messaggero, usava la semplicità di san Pietro e san Paolo: «E' anzitutto una questione di fatto: Gesù è o no risorto? Le testimonianze sono molte, ed alcune sono arrivate a noi in forma diretta e personale da parte dei protagonisti, come ad esempio, e incontestabilmente, quella dell'apostolo Paolo nelle sue lettere. Su questo piano dei dati di fatto nulla di altrettanto attendibile, o anche solo di paragonabile, può essere addotto per negare la resurrezione di Gesù».

Le prove

Perché la teologia è oggi così fumosa e astrusa sulla resurrezione? Ha forse ragione Drewermann? Come vengono trattati i due capisaldi storici della testimonianza degli apostoli indicati da Paolo VI: il sepolcro vuoto e le apparizioni del Risorto?

«Sì» ammette Gibellini «è vero che i racconti delle apparizioni di Gesù sono contestati. Ma è chiarissimo, è ormai assodato che le apparizioni sono racconti credenti della comunità cristiana che presuppongono la fede e non resoconti cronachistici. Perciò hanno tutto un tessuto simbolico».

La prova? «Non sono concordabili fra loro: i racconti delle tre donne, poi la Maddalena, poi Pietro, Giacomo, Gesù in Galilea o a Gerusalemme...» Ma è corretta questa liquidazione?

Erich Stier, uno storico tedesco dell'antichità, risponde così ai teologi: «Come esperto in storia antica devo dichiarare che le fonti sulla resurrezione di Gesù, con la loro notevole relativa contraddittorietà nel dettaglio, rappresentano per lo storico addirittura un criterio di straordinaria credibilità. Perché se fossero state costruite ad arte da una comunità o da un qualsiasi altro gruppo, formerebbero un blocco completo, chiaro e privo di lacune. Qualsiasi storico, infatti, è particolarmente scettico proprio quando un evento straordinario viene riferito mediante resoconti assolutamente privi di contraddizioni». Ma Gibellini, e con lui i teologi, è irremovibile: «Con il progresso degli studi biblici questi resoconti non si possono più accogliere come racconti cronachistici: presuppongono la fede». Ed è questo che si trova scritto nei testi di teologia?

Facciamo una rapida carrellata. Karl Rahner scrive: «Possiamo ammettere tranquillamente che i resoconti, che ci si presentano a prima vista come dettagli storici (historische) degli eventi della resurrezione e rispettivamente degli eventi delle apparizioni, non si lasciano totalmente armonizzare: quindi vanno interpretati piuttosto come rivestimenti plastici e drammatizzanti (di tipo secondario) dell'esperienza originaria "Gesù vive", e non come descrizione di questa stessa nella sua autentica essenza originaria», insomma non vanno interpretati «come esperienza quasi grossolanamente sensibile». Gli apostoli vedrebbero la resurrezione soprattutto in riferimento al destino di Cristo, «questo destino (e non semplice mente una persona esistente cui in antecedenza è capitato questo e quello) viene spe rimentato come valido e salvato» (Corso fondamentale sulla fede, Edizioni Paoline, pag. 357). Rahner è un simbolo. Quando fu sottoposta ai 1007 studenti della Gregoriana -la più prestigiosa università pontificia- la domanda «quale teologo antico o moderno ha avuto o ha maggiore influenza?» quasi la metà (501) rispose: Karl Rahner (a san Tommaso andarono 203 voti, a sant'Agostino ancora meno).

«Gli antichi, non noi, potevano accettare sic et simpliciter quei racconti» ci spiega ancora Gibellini. «E' ciò che va sotto il nome di "innocenza narrativa". Oggi sappiamo come sono nati quei testi, dove sono nati -nella comunità- e ci guardiamo bene dal prenderli alla lettera come resoconti storici: così salviamo quel nocciolo di realtà che pur vi è dietro. Chiamiamo la nostra "seconda innocenza narrativa"».

Ma quando Paolo VI parlava di presenza «empirica e sensibile» di Gesù risorto non prendeva alla lettera quei resoconti? Lo stesso Giovanni Paolo II, in un memorabile discorso nel mercoledì, il 25 gennaio 1989, affermava: «Il Risorto "in persona" apparve in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!" Essi infatti "credevano di vedere un fantasma". In quella occasione Gesù stesso dovette vincere i loro dubbi e il loro timore e convincerli che "era lui": "Toccatemi e convincetevi: un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho". E poiché loro "ancora non credevano ed erano stupefatti", Gesù chiese loro di dargli qualcosa da mangiare e "lo mangiò davanti a loro"». Insomma «egli stabilisce con loro rapporti diretti, proprio mediante il tatto. Così nel caso di Tommaso... Li invita a constatare che il corpo risorto, col quale si presenta a loro, è lo stesso che è stato martoriato e crocifisso».

C'è dunque un insegnamento pubblico, ufficiale della Chiesa per il popolo ed un altro, una sapienza nascosta per i dotti, che disprezza la «rozza grossolanità» dei resoconti apostolici? E c'è ancora qualcuno che prende alla lettera la testimonianza oculare degli apostoli?

«Sì, la manualistica cattolica, ufficiale e scolastica, è la vecchia apologetica. Ma questa posizione che direi "massimalista" oggi non ha più nessun seguito fra i teologi» risponde Gibellini. «Vi è poi l'estremo opposto, rappresentato da Schillebeeckx, per cui la resurrezione sarebbe il prodotto dell'esperienza di commozione profonda che hanno avuto gli apostoli. E infine vi è una via media che si può identificare con Walter Kasper».

La vita media, cioé i moderati

Su questa via media conviene gran parte della teologia cattolica? «Sì, la cristologia di Kasper (Gesù il Cristo, Queriniana) ha avuto enorme circolazione, è un testo tradotto in tutte le lingue, che raggiunge una sintesi eccezionale. Direi è un'opera che fa testo, che rappresenta il modo in cui la teologia cattolica oggi riflette sulla resurrezione».

Gibellini si riconosce anche lui nella «via media». Cosa dice Kasper? Sui racconti del sepolcro vuoto, per esempio: che non sono «racconti storici», ma «testimonianze della fede». Inoltre: «Gli enunciati della tradizione neotestamentaria della resurrezione di Gesù non sono affatto neutrali: sono confessioni e testimonianze prodotte da gente che crede». «Le testimonianze sulla resurrezione parlano di un avvenimento che trascende la sfera di tutto ciò che si può storicamente constatare... ciò che è storicamente accertabile non è la resurrezione, ma soltanto la fede che i primi testimoni ebbero in essa». E Gesù che appare fisicamente ai suoi? «Questi racconti vanno dunque interpretati alla luce di quanto essi vogliono esprimere, nel loro carattere cioè di legittimazione della fede pasquale... Le apparizioni non sono eventi riducibili ad un piano puramente oggettivo. Chi ne fa esperienza non è l'osservatore distaccato e neutrale... questo loro "vedere" è stato reso possibile dalla fede».

C'è anche in Kasper un'istintiva ripugnanza al materialismo dei racconti evangelici «dove si parla di un Risorto che viene toccato con le mani e che consuma pasti coi discepoli... A prima vista potrebbero sembrare affermazioni piuttosto grossolane, che rasentano il limite delle possibilità teologiche e che corrono il pericolo di giustificare una fede pasquale troppo "rozza"». Sono accettabili solo se si va oltre la lettera, per ciò che i loro autori volevano esprimere... Anche nel Catechismo per adulti dei vescovi tedeschi, redatto appunto da Kasper, si legge: «Ogni racconto testimonia la comune fede pasquale delle comunità... Sia le narrazioni, talvolta un pò drastiche, dei pasti consumati con il Risorto, sia i racconti a riguardo della tomba vuota, intendono esprimere simbolicamente la corporeità della resurrezione di Gesù».

E' questa la «seconda innocenza» sopravvenuta dopo venti secoli cristiani. Ma c'è chi parla di truffa intellettuale. Padre Daniel Ols, dell'Angelicum, segretario della Società San Tommaso, ci dice: «Non ha senso dire che la resurrezione non è un fatto storico. Un fatto che non sia storico non è un fatto (anche se, chiaramente, la resurrezione è un mistero che oltrepassa la storia)».

Con un pò d'ironia e un pò di amarezza conclude: «E poi non c'è niente di nuovo: i protestanti-liberali già un secolo fa sostenevano queste idee. E merce trita e ritrita. Deriva dall'errore idealista per cui il cristianesimo è una dottrina: tutto il resto è solo un rivestimento mitico che ha per scopo di far capire verità intemporali o norme di azione. L'importante sarebbe comprendere i significati. Dei fatti che ne sono veicoli possiamo anche fare a meno». Infatti per Drewermann la resurrezione è un'immagine che c'insegna a confidare «nell'amore di Dio più forte della morte». «Ma sono i fatti che sono opera di Dio!» ribatte Ols.

Lo smarrimento dei cristiani semplici è grande, perché purtroppo anche ai preti nei seminari e nei corsi di aggiornamento vengono insegnate tali teorie e quindi la predicazione domenicale ne risente. Peggio però se si tratta di cattolici impegnati, più a contatto con i dottori. Qualche tempo fa su una rivista dei padri passionisti del santuario di San Gabriele fu pubblicata una lettera firmata B.Z., da Napoli: «Sto frequentando un corso di teologia per laici» diceva il lettore. «Arrivati a studiare la resurrezione di Cristo, mi si sono confuse le idee. Il professore, un teologo abbastanza noto tra noi, ha cominciato a distinguere tra fatti storici e fatti di fede, tra dati oggettivi ed esperienza personale degli apostoli. Non ci capisco più niente e sento distrutta la mia fede... Insomma, è vero o non è vero che Gesù è risorto?».

 

 

 

 

 

 

Un teologo rifà da capo la fede

cattolica. Ma la Chiesa dice no

È Vito Mancuso, in un libro di grande successo raccomandato dal cardinale Martini. Nel quale non c'è più peccato né redenzione, ma l'uomo si salva da sé. Dopo mesi di silenzio, il doppio altolà delle autorità vaticane. Ecco i testi integrali

di Sandro Magister

Vito MancusoIn un medesimo giorno di questo inizio di febbraio "L'Osservatore Romano" e "La Civiltà Cattolica" – cioè il giornale ufficiale della Santa Sede e la rivista controllata riga per riga dalla segreteria di stato vaticana – hanno doppiamente stroncato un libro che è divenuto un caso editoriale, teologico, ecclesiale. In Italia ma non solo.

Il libro è "L'anima e il suo destino", di Vito Mancuso. L'una e l'altra stroncatura sono uscite contemporaneamente sulle due autorevoli testate il 2 febbraio, festa della presentazione di Gesù.

In pochi mesi "L'anima e il suo destino" ha avuto sette edizioni e ha venduto in Italia 80 mila copie, che per un libro di teologia sono moltissime.

Vito Mancuso, 46 anni, sposato con figli, insegna teologia moderna e contemporanea nella facoltà di filosofia dell'Università San Raffaele di Milano, un ateneo privato senza legami con la Chiesa. Ha conseguito il dottorato in teologia presso la Pontificia Università Lateranense. La sua tesi, patrocinata dal presidente dell'Associazione teologica italiana, Piero Coda, diventò il suo primo libro: "Hegel teologo e l'imperdonabile assenza del Principe di questo mondo", uscito nel 1996 e giudicato con favore – al pari del successivo, del 2002: "Il dolore innocente. L'handicap, la natura e Dio" – da teologi affermati e di sicura ortodossia come don Gianni Baget Bozzo e Bruno Forte. Quest'ultimo è membro della commissione teologica internazionale che affianca la congregazione vaticana per la dottrina della fede, è stato ordinato vescovo nel 2004 dall'allora cardinale Joseph Ratzinger, regge l'arcidiocesi di Chieti e Vasto e presiede la commissione per la teologia e la cultura della conferenza episcopale italiana.

Ebbene, su "L'Osservatore Romano" del 2 febbraio, è proprio l'arcivescovo-teologo Forte che critica a fondo l'ultimo libro di Mancuso.

La sua conclusione è lapidaria: "Non è teologia cristiana ma 'gnosi', pretesa di salvarsi da sé".

I numerosi lettori che hanno acquistato "L'anima e il suo destino", però, trovano in apertura del volume la prefazione di un altro arcivescovo di grandissima fama, il cardinale e gesuita Carlo Maria Martini, il quale raccomanda vivamente la lettura del medesimo libro, nonostante ravvisi in esso idee "che non sempre collimano con l'insegnamento tradizionale e talvolta con quello ufficiale della Chiesa".

E così il cardinale prosegue, rivolgendosi familiarmente all'autore:

"Sarà difficile parlare di questi argomenti senza tenere conto di quanto tu hai detto con penetrazione coraggiosa. […] Anche quelli che ritengono di avere punti di riferimento saldissimi possono leggere le tue pagine con frutto, perché almeno saranno indotti o a mettere in discussione le loro certezze o saranno portati ad approfondirle, a chiarirle, a confermarle”.

Martini non dice quali siano i punti che si staccano dalla dottrina cattolica.

Li mettono invece nero su bianco "L'Osservatore Romano" e "La Civiltà Cattolica". Secondo quest'ultima rivista i dogmi "negati" o "svuotati" nel libro sono "circa una dozzina". E tutti di prima grandezza.

Su "L'Osservatore" Bruno Forte non è da meno. Vede smantellati il peccato originale, la risurrezione di Cristo, l'eternità dell'inferno, la salvezza che viene da Dio. La tesi del libro è che l'uomo basta a se stesso e si salva da sé, alla luce della sua sola ragione.

Mancuso, che si professa cattolico, è consapevole del terremoto che ha provocato. Ma il suo programma dichiarato è proprio quello di "rifondare" la fede cristiana. In un articolo pubblicato il 22 gennaio sul quotidiano "il Foglio" ha respinto anche il dogma della creazione e la dottrina della "Humanae Vitae" sulla contraccezione. A quest'ultima dottrina ha opposto il seguente argomento:

"Occorre guardare in faccia la realtà per quello che è, non per quello che si vorrebbe che fosse, e la realtà è che i rapporti sessuali sono praticati largamente al di fuori del matrimonio e a partire da giovanissima età".

Al che gli ha replicato sullo stesso giornale don Baget Bozzo, suo ammiratore d'un tempo:

"Caro Vito, che senso ha chiamarsi ancora teologo, se non per pura commercializzazione del prodotto, quando si ha una così bassa concezione della teologia?".

Più sotto, in questa pagina, sono riportate l'una dopo l'altra le due recensioni apparse su "L'Osservatore Romano" e su "La Civiltà Cattolica". La seconda ha per autore il gesuita Corrado Marucci, professore di esegesi biblica al Pontificio Istituto Orientale.

Del caso non si è occupata direttamente la congregazione per la dottrina della fede in quanto Mancuso non ha vincoli istituzionali con la Chiesa né insegna in una università ecclesiastica.

Il timore era però che un silenzio delle autorità della Chiesa avrebbe alimentato l'idea che le tesi del libro fossero innocue o persino apprezzabili, offerte a una disputa fruttuosa, come raccomandato dal cardinale Martini nella sua prefazione.

"L'Osservatore Romano" e "La Civiltà Cattolica" hanno rotto il silenzio e fornito una autorevole indicazione su ciò che è conforme o no alla dottrina cattolica e a un metodo corretto di far teologia.

Una teologia che in Italia, nell'ultimo anno, non ha prodotto solo un discutibile successo editoriale come "L'anima e il suo destino", ma anche un capolavoro di intelligenza della fede come il saggio intitolato "Ingresso alla bellezza", di Enrico Maria Radaelli.

 

 

Intervista a Vito Mancuso

 

 

Gnosi di ritorno e linguaggio consolatorio

Da "L'Osservatore Romano" del 2 febbraio 2008

 

di Bruno Forte

"Salvarsi l'anima". Questa espressione antica ha nel linguaggio della fede un senso che appare messo radicalmente in questione dal libro di Vito Mancuso, "L'anima e il suo destino" (Milano 2007). Il volume ha suscitato un dibattito vivace, aperto dalla stessa lettera del cardinale Carlo Maria Martini, pubblicata in apertura, che – pur con grande tatto – parla con chiarezza di "parecchie discordanze [...] su diversi punti".

L'autore si era fatto conoscere e apprezzare sin dalla sua opera prima, dal titolo suggestivo ed emblematico: "Hegel teologo e l'imperdonabile assenza del Principe di questo mondo" (Casale Monferrato, Piemme, 1996). Libro significativo, questo, attraversato da una lucida critica al monismo hegeliano dello Spirito e da una drammaticità, che contro Hegel ribadisce l'inesorabile sfida del male che devasta la terra, precisamente nel suo volto diabolico e insondabile.

Anche altri saggi di Mancuso mantengono viva questa tensione, che si condensa in pagine profonde lì dove egli tocca il mistero del dolore innocente o scandaglia le profondità sananti dell'amore. Anche a motivo di queste premesse, il libro sull'anima ha suscitato in me un senso di profondo disagio e alcune forti obiezioni, che avanzo nello spirito di quel servizio alla Verità, cui tutti siamo chiamati.

La prima obiezione riguarda la potenza del male e del peccato. Mancuso non esita ad affermare che il peccato originale sarebbe "un'offesa alla creazione, un insulto alla vita, uno sfregio all'innocenza e alla bontà della natura, alla sua origine divina" (167). È vero che l'intento dichiarato dall'autore non è di "distruggere la tradizione", ma di "rifondarla" (168), cercando di tenere insieme "la bontà della creazione e la necessità della redenzione": in quest'ottica, il peccato originale non sarebbe altro che "la condizione umana, che vive di una libertà necessitata, imperfetta, corrotta, e che per questo ha bisogno di essere disciplinata, educata, salvata, perché se non viene disciplinata questa nostra libertà può avere un'oscura forza distruttiva e farci precipitare nei vortici del nulla" (170).

La spiegazione non convince: dove va a finire in essa il dramma del male, la potenza del peccato? Kant ha affermato con ben altro rigore la serietà del male radicale: "La lotta che in questa vita ogni uomo moralmente predisposto al bene deve sostenere, sotto la guida del principio buono, contro gli assalti del principio cattivo, non può procurargli, per quanto si sforzi, un vantaggio maggiore della liberazione dal dominio del principio cattivo. Il guadagno più alto che egli può raggiungere è quello di diventare libero, 'di essere liberato dalla schiavitù del peccato per vivere nella giustizia' (Romani, 6, 17-18). Nondimeno, l'uomo resta pur sempre esposto agli attacchi del principio cattivo, e per conservare la propria libertà, costantemente minacciata, è necessario che egli resti sempre armato e pronto alla lotta" (Immanuel Kant, "La religione entro i limiti della semplice ragione", Milano 2001, 111).

Come ha osservato Karl Barth, "quello che meraviglia non è che il filosofo Kant prenda in generale in seria considerazione il male [...] bensì il fatto che egli parli di un principio malvagio, e dunque di una origine del male nella ragione e in questo senso di un male radicale" ("La teologia protestante nel XIX secolo", Milano 1979, 338). Vanificare il peccato originale e la sua forza attiva nella creatura vuol dire banalizzare la stessa condizione umana e la lotta col Principe di questo mondo, che proprio Mancuso aveva rivendicato contro l'ottimismo idealistico di Hegel.

La conseguenza di queste premesse è la dissoluzione della soteriologia cristiana. Se non si dà il male radicale, e dunque il peccato originale e la sua forza devastante, su cui appoggia la sua azione il grande Avversario, la salvezza si risolve in un tranquillo esercizio di vita morale, che non vive più di alcuna tensione agonica e non ha bisogno di alcun soccorso dall'alto: "salvarsi l'anima" non sarebbe né più né meno che una sorta di autoredenzione. "La salvezza dell'anima dipende dalla riproduzione a livello interiore della logica ordinatrice che è il principio divino del mondo" – "La salvezza dell'anima non dipende dall'adesione della mente a un evento storico esteriore, sia esso pure la morte di croce di Cristo, né tanto meno dipende da una misteriosa grazia che discende dal cielo" (311).

La risurrezione di Cristo risulterebbe così del tutto superflua: essa, per Mancuso, "non ha alcuna conseguenza soteriologica, né soggettivamente, nel senso che salverebbe chi vi aderisce nella fede visto che la salvezza dipende unicamente dalla vita buona e giusta; né oggettivamente, nel senso che a partire da essa qualcosa nel rapporto tra Dio e il genere umano verrebbe a mutare" (312).

Mi chiedo come siano conciliabili queste affermazioni con quanto dice Paolo: "Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede" (1 Corinzi, 15, 14). La confessione della morte e risurrezione del Figlio di Dio fatto uomo è l"'articulum stantis aut cadentis fidei Christianae"!

Vanificata la soteriologia, ne consegue anche lo svuotamento del dramma della libertà e la negazione della possibilità stessa della condanna eterna: l'Inferno sarebbe un "concetto [...] teologicamente indegno, logicamente inconsistente, moralmente deprecabile" (312). Convinzione della fede cattolica è al contrario che senza l'Inferno l'amore stesso di Dio risulterebbe inconsistente, perché non si darebbe alcuna possibilità di una libera risposta della creatura. "Chi ti ha creato senza di te, non ti salverà senza di te": il giudizio di Agostino richiama la responsabilità di ciascuno di fronte al suo destino eterno.

L'insieme di queste tesi si rifà a un'opzione profonda, che emerge da molte delle pagine del libro: quella che non esiterei a definire una "gnosi" di ritorno, presentata nella forma di un linguaggio rassicurante e consolatorio, da cui molti oggi si sentono attratti.

"Io penso – afferma l'autore – che l'esercizio della ragione sia l'unica condizione perché il discorso su Dio oggi possa sussistere legittimamente come discorso sulla verità" (315). Il problema è di quale ragione si parla: quella totalizzante della modernità, che ha prodotto tanta violenza nelle sue espressioni ideologiche? O quella che il Logos creatore ha impresso come immagine divina nella creatura "capax Dei"? E se di questa si tratta, come si può assolutizzarla fino al punto da ritenere superfluo ogni intervento dall'alto, quasi che il "lumen rationis" escluda il bisogno del "lumen fidei"? Cristo sarebbe venuto invano? E la fragilità del pensare e dell'agire umano sarebbe inganno, perché nessuna debolezza originaria degli eredi del primo Adamo si opporrebbe alla potenza di una ragione ordinatamente applicata?

Ben altro dice la testimonianza di Paolo, alla quale non può non attenersi una teologia che voglia dirsi cristiana, preferendola a ogni illusoria apoteosi della ragione prigioniera di sé: "Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. Non annullo dunque la grazia di Dio; infatti se la giustificazione viene dalla legge, Cristo è morto invano" (Galati, 2, 20-22).

Dalla legge, da qualunque legge di autoredenzione, la salvezza non viene. Senza il dono dall'alto, nessuna salvezza è veramente possibile. Sta qui la verità della fede, il suo scandalo: proprio così, la sua potenza di liberazione, la sua offerta della via unica e vera per "salvarsi l'anima". Pensare diversamente, non è teologia cristiana: è "gnosi", pretesa di salvarsi da sé.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli aspiranti Padri conciliari

 

di Armand du Plessis

 

CITTA’ DEL VATICANO febbraio 2009 - Le uscite, quasi simultanee (speriamo che questo fattore non abbia scatenato le consuete gelosie tra cattedratici), del dotto Hans Küng su "le Monde", e del giovane, assai ambizioso, Vito Mancuso, ospitato dalle generose pagine di “Repubblica”, hanno riaperto, sui giornali più amati dagli intellettuali della sinistra illuminata europea, il dibattito sulla presunta necessità d'un Concilio, nel quale la Chiesa sciolga nodi legati al suo rapporto con la natura, la propria struttura e il mondo contemporaneo. Dal suo studio di Tubinga, il teologo svizzero ammonisce addirittura circa il rischio che Santa Romana Chiesa divenga una "setta".

 

Ci chiediamo se, in fondo, coerentemente con le lezioni che impartisce da decenni, lo scapigliato professore non si auguri questo evento. Di una setta, infatti, lo vedremmo degnamente a capo. Sul parallelo del medesimo aulico dicitore tra "Cremlino d'un tempo" e Vaticano, anche in giorni di Quaresima, possiamo ben sorridere, come farebbe persino un Leonid Breznev se fosse ancora vivo. Benedetto XVI, appena eletto, nel 2005, ricevette Küng a Castelgandolfo, lo trattò da amico, oltrechè collega, eppure, oggi, il teologo di Tubinga lo accusa di essere un "Grande Inquisitore romano": “Non far del bene se non sei pronto all'ingratitudine”, recita giustamente un vecchio memento.

 

Giusto per chiudere con una nota comica, dopo aver aspramente criticato il reintegro dei lefebvriani, l'ardito Küng auspica un "gesto forte". Una riabilitazione. Per se stesso. Che il Signore doni a Küng un salutare bagno d'umilità. Veiniamo ora a Mancuso. L'egolatria conduce verso territori distanti dalla piena comprensione delle cose. Il problema di colui che il “Foglio” chiama “Doctor diabolicus” è, invece, soprattutto, il rapporto della libertà cristiana con la natura: all'uomo dev'essere consentito di liberarsi da essa, dai suoi costringimenti, dallo stesso concetto di ineluttabile. Notiamo, dall'argomentare del Mancuso, una totale sintonia con l'anima piu' laicista della sinistra italiana, quella impersonificata dal professor Umberto Veronesi, Stefano Rodotà, Paolo Flores D'Arcais, Marco Pannella…

 

Posizioni legittime, ci mancherebbe. Tendenti, dopo la dolorosa vicenda della fine di Eluana Englaro, ad imporre all'opinione pubblica il tema del "laissez faire" sulle scelte ultime dell'esistenza: via lacci, costrizioni, imposizioni dall'alto, fossero pure votate democraticamente dai rappresentanti della maggioranza eletta dal popolo. Autodeterminazione per tutti. A prezzi accessibili. Un generoso discount che commercia vita e morte; che vende la pillola miracolosa capace di abolire la sofferenza, fisica e morale. Liberi tutti di sostenere queste tesi, Küng, Mancuso e intendenza assortita. Ma osiamo porci una domanda: perchè questi nemici acerrimi delle gerarchie, dei fortilizi blindati, dell'oscurantismo, s'atteggiano a chierici predicatori di Concili, nuovi comandamenti, avanguardistiche teologie?

 

Non potrebbero, almeno una volta all'anno, mostrarsi più autenticamente laici? E, infine. I due personaggi, per certi versi simili al “Gatto e la Volpe”, sostengono, da tempo, che l'insofferenza, tra i fedeli e gli stessi componenti del clero, aumenta giorno dopo giorno, tesi avanzata anche dal solito  Marco Politi (quello che dava Giovanni Paolo II per finito dieci anni prima della  scomparsa...) nel suo ultimo libro. Litanie del genere, caratterizzano praticamente ogni pontificato. Nella Chiesa spirerebbero venti di ribellione, moti di malcontento, ansie libertarie (Dio non voglia libertine…). Ci chiediamo se questi ammennicoli polemici altro non siano che i desideri nascosti di chi perora, per la Chiesa stessa, una svolta che somiglierebbe a una dissoluzione. Nel nulla.
 

 


 

 

APPROFONDIMENTO

 

 

“Cattolici, pensiamo a un Concilio Vaticano III”,

Di Vito Mancuso, il nuovo vate della teologia progressista.

 

 

Gli Hanskunghi all’assalto della tradizione

 

Su cosa potrebbero fondare la propria autorità professorale coloro che intendono rivedere la Tradizione? Sulla continuità nella fede delle prime comunità cristiane che, secondo loro, ancora confondevano il tuono con la volontà divina? Ma chi dubita della coscienza nella fede dei primi apostoli cristiani come può pensare di succedere loro? Un documento che ammette, anche implicitamente, dubbi sull’origine e integrità della Tradizione e Sacre Scritture, che rappresentano lo strumento diretto dell’Autorità divina, ammette il revisionismo dell’Autorità divina.

 

 

L'attacco del "teologo ribelle" Küng
'Nella Chiesa c'è una restaurazione'

 

"Voglio aspettare a prendere una posizione su questa polemica, perché in gioco ci sono problemi di fondo. Voglio prepararmi a dire la mia sugli aspetti cruciali del processo in corso. Perché la questione di questi quattro vescovi è solo da vedere nel contesto generale di una restaurazione".

 

 

Pregare per il Papa

di Maurizio Blondet

 

Le opinioni del vescovo Williamson saranno deplorevoli quanto si vuole. Ma non ha negato il dogma della Resurrezione come ha fatto il cardinal Kasper, l’Immacolata Concezione come fa il «teologo» Hans Kung, nè ha esposto un’Ultima Cena come orgia omosessuale come ha fatto il cardinale di Vienna, personaggi a cui il Papa non ha mai detto che nella Chiesa «non c’è posto per loro». Williamson ha solo espresso opinioni che, giuste o no, non sono materia di fede.
 

 

Terribili problemi

di Maurizio Blondet

 

«… Mentre viaggiavo verso Milano, mi è capitato di ascoltare la trasmissione radiofonica ‘Culto evangelico’. (...) Un pastore del quale non ricordo il nome, ha ringraziato pubblicamente due personaggi recentemente balzati all’onore delle cronache: a) quel giudice che si era rifiutato di entrare nell’aula di un tribunale perché vi era esposto un Crocifisso; b) Beppino Englaro! Secondo il pastore, dobbiamo tutti essere riconoscenti a questi due personaggi, perché con le loro battaglie hanno posto tasselli fondamentali per la costituzione di un moderno stato laicista. Perdoni l’ingenuità e l’ignoranza, ma come può definirsi cristiano chi coltiva tali sentimenti e convinzioni?».

 

Quel che celebrava il pastore protestante, caro lettore, è appunto la compiuta «libertà e autonomia» del mondo rispetto alla fede voluta da Mancuso. Ma almeno, a forza di riconoscere l’autonomia, le chiese evangeliche sono affollate di fedeli? La gente le preferisce, queste «chiese» che Mancuso e Kung  indicano come traguardo «ecumenico» al Papa?

 

 

«Guai a voi, scribi, farisei (modernisti) ipocriti!»

Don Curzio Nitoglia

 

Questa pagina del Vangelo ci fa capire come lo spirito che animava i farisei che uccisero Gesù sia lo stesso che anima i neo-modernisti che cercano di distruggere la Chiesa. Ma come Gesù, vero Dio e vero uomo, risorse glorioso e trionfante, così la Chiesa Corpo Mistico di Cristo, che ha un elemento umano e uno divino, può essere insozzata quanto alla componente umana; resta però «senza ruga né macchia» quanto a quello divino e «le porte dell’inferno non prevarranno contro Essa».
 

 

LO GNOSTICISMO, CARATTERISTICA DELLA MODERNITA'
 

La lotta fra i vari tipi di verità nell'impero romano si concluse con la vittoria del cristianesimo. Il risultato più importante di questa vittoria fu la dedivinizzazione del potere temporale; ed abbiamo già accennato al fatto che i problemi moderni della rappresentanza sono in qualche modo connessi con un processo di ridivinizzazione dell'uomo e della società.

 

 

BOFF, UNO DEI FONDATORI DELLA TEOLOGIA

DELLA LIBERAZIONE, EVOCA LO SCISMA

 

BELEM (BRASILE)- La revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani fa parte di un progetto conservatore di Papa Benedetto XVI, che potrebbe portare ad uno scisma in seno alla Chiesa cattolica: lo ha detto all'ANSA il teologo brasiliano Leonardo Boff, uno dei fondatori della Teologia della Liberazione, che partecipa a Belem al World Social Forum. "La concessione del perdono ai lefebvriani è sorprendente, e per molti settori della Chiesa addirittura scandaloso - ha detto Boff -. E' chiaro che fa parte della logica di Papa Benedetto XVI, che intende unificare la Chiesa conservatrice, tradizionalista, che prende le distanze dal Concilio Vaticano II, e per questo progetto, per lui, i lefebvriani sono alleati naturali". "Così - ha proseguito il teologo francescano - il Papa rafforza le sue posizioni e crea un'unità più monolitica della Chiesa, che non è un'unità aperta al dialogo, un'unità di comunione".

"Posso solo dire - ha aggiunto ancora Boff, che era stato condannato per le sue tesi progressiste da Ratzinger quando questi era prefetto della Congregazione della Fede - che ritengo deprecabile questo passo del Papa, anche perché ho il fondato sospetto che i lefebvriani non si accontenteranno di questa vittoria, passeranno presto ad esigere di più, fino ad arrivare ad una revisione del Concilio Vaticano II. E una cosa del genere, se si dovesse arrivare a tanto, potrebbe portare addirittura ad uno scisma nella Chiesa, perché il Concilio Vaticano II è universale, e una rottura con le sue conquiste è una rottura nel corpo della Chiesa".

E questo nonostante l'appello del Papa ai lefebvriani affinché riconoscano il Concilio. "Ritengo perciò - ha proseguito il teologo, che oggi insegna all'università brasiliana di Petropolis - che si tratti di una politica rischiosa questa che il Papa porta avanti. Innanzitutto non è una prospettiva pastorale, non è prudente, e il pastore dev'essere per forza prudente. E poi indebolisce tutti quelli che vogliono la Chiesa riunita attorno al vero consenso creato di forma ufficiale, che è stato e rimane tuttora il Concilio Vaticano II". Sul vescovo negazionista Williamson, Boff ha invece difeso Benedetto XVI.

"Quella di Williamson è una coscienza alienata, falsa - ha detto il teologo francescano nell'intervista all'ANSA - D'altronde è stato subito corretto in maniera chiara e inequivocabile dallo stesso Papa, che sull'argomento della Shoah é già tornato più volte senza ambiguità". "Il problema piuttosto è che le assurdità del vescovo inglese sono il segnale più vistoso di un certo livello di fondamentalismo ecclesiastico per il quale non esiste nulla al di fuori della galassia ecclesiale: il mondo finisce con la Chiesa". "Le sparate di Williamson non hanno nessun significato al di là dell'individuo - ha commentato Boff - E' effettivamente una voce isolata, che non dovrebbe avere nessuna ripercussione al di là del fatto mediatico, non ne vale la pena, mostra solo l'ignoranza della persona, ma non depone certo contro la Chiesa nel suo insieme". Boff ha anche espresso "speranza e fiducia" nel neopresidente americano Barack Obama. "Come teologo a me sembra una figura provvidenziale - ha detto Boff - Sembra proprio che Dio abbia avuto pietà del mondo, dopo gli anni di presidenza di George W. Bush, che invece dovrebbe essere processato per crimini contro l'umanità".