SISTEMA BANCARIO:

TEMPESTA PERFETTA IN ARRIVO

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

INTRODUZIONE

Grande confusione sotto e sopra le banche

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27 ottobre 2013 (MoviSol) - Con l'avvicinarsi della prossima grande crisi bancaria, il caos regna sovrano tra coloro che prendono le decisioni. Le dimensioni della bancarotta sono tali che si offrono solo due soluzioni: riconoscere che il sistema non è salvabile, e procedere ad una riorganizzazione di tipo Glass-Steagall, o scegliere la miscela mortale di espansione monetaria, tagli al bilancio e prelievi forzosi – cioè sopprimere la popolazione per salvare le banche. Indovinate quale via si è imboccata.

  1. Un'uscita dalla politica di espansione monetaria iperinflazionistica della Federal Reserve è stata rinviata. Infatti, la Fed ha persino aumentato, in corrispondenza con la cosiddetta "crisi del debito USA", la dose mensile di metadone per le banche, acquistando 100 miliardi di titoli – ben al di sopra della quota stabilita di 85.

  2. Il 19 ottobre La Repubblica ha dato notizia di una lettera segreta inviata da Mario Draghi alla Commissione UE, in cui si consigliava di astenersi dall'applicare procedure di bail-in prima che si insedi il Meccanismo Unico di Risoluzione (SRM), l'ente europeo che dovrebbe gestire le liquidazioni bancarie. "Il presidente della Bce non è contrario a far pagare i creditori quando l'unione bancaria europea sarà a velocità di crociera. Draghi però teme che imporre ora perdite sui bond, potenzialmente per decine di banche europee allo stesso tempo, può destabilizzare i mercati", scrive il quotidiano di De Benedetti. Forse Draghi è informato di una fuga degli investitori già in corso? Colpisce la corrispondenza di date: la lettera sarebbe stata scritta nei giorni in cui la Commissione UE costringeva Monte dei Paschi a un mini-default su tre titoli subordinati, come condizione per approvare il salvataggio tramite i Monti-bonds. La BCE non rinuncia al prelievo forzoso, ma lo rimanda al momento in cui avrà tutte le banche in gabbia, e potrà farlo di soppiatto.

  3. Il 16 ottobre i ministri delle Finanze dell'UE hanno approvato definitivamente il Meccanismo di Supervisione Unico (SSM), una delle due "colonne" dell'Unione Bancaria, che permetterà alla BCE di sorvegliare 150 banche europee. Ora la BCE può cominciare la messinscena dell'ispezione generale e dei cosiddetti "stress test", che si concluderà con un conto salato di centinaia di miliardi. Ma prima che il conto venga presentato, i governi sono chiamati a preparare i "backstops", e cioè il libretto degli assegni. Solo i crediti inesigibili delle banche spagnole e italiane assommano ad almeno 230 miliardi nei prossimi due anni. Le banche di altri paesi, come Francia, Germania e Gran Bretagna, hanno perdite anche superiori, ma riescono a nasconderle perché derivanti maggiormente da attività finanziarie.
    Il conto sarà pagato principalmente stampando moneta. L'UE ha già predisposto l'esonero dalla regola del pareggio di bilancio per gli aiuti bancari (cfr. SAS 42/13). Si spera di tenere a galla le banche fino a quando il SRM non sarà a regime, scadenza che si sta pensando di anticipare al 2015 invece del 2018.

  4. Non c'è ancora accordo sul SRM. Mentre la BCE e la Commissione UE vogliono che le liquidazioni bancarie (col bail-in) siano gestite da un ente centrale europeo, la Germania si oppone, ma questo potrebbe cambiare qualora si trovasse un sotterfugio per evitare la bocciatura della Corte Costituzionale. Il Commissario al mercato interno Michel Barnier ha proposto che tale ente centrale sia sottoposto al Meccanismo di Stabilità Europeo (ESM). Così si affiderebbe ad un ente extra-legale, i cui dirigenti hanno discrezione totale e godono di immunità dalla legge, il potere di chiudere le banche e usare i soldi di azionisti, obbligazionisti e risparmiatori per pagarne i debiti, dopodiché, se non basta, attingere al "back stop" di 700 miliardi di soldi dei contribuenti.

  5. Il FMI ha proposto, e poi "ripudiato", un prelievo del 10% sui conti privati per ridurre il debito pubblico. Nel suo Fiscal Monitor del 13 ottobre, a pag. 49, si legge: "Il forte deterioramento delle finanze pubbliche in molti paesi ha rinnovato l'interesse in un 'prelievo di capitale' - una tassa una tantum sulla ricchezza privata – come misura straordinaria per ripristinare la sostenibilità del debito. Il vantaggio è che una tassa simile, se applicata prima che sia possibile evitarla e si percepisce che non verrà ripetuta, non distorce il comportamento (e qualcuno potrebbe addirittura considerarla equa)". A seguito di energiche proteste, un portavoce del FMI ha specificato che l'organismo "non raccomanda" alcun prelievo di capitale.

 

 

la storia della crisi economica - doppiato in italiano

 

L'Islanda ha sconfitto le banche senza dargli un soldo. Mentre l'Italia....

 

 

La calma dell'eurozona prima della tempesta

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I fattori strutturali che hanno generato la crisi non sono stati risolti

Nell'estate del 2012, l'uscita possibile della Grecia ed il livello non sostenibile dell'indebitamento di Spagna ed Italia rendevano il collasso dell'eurozona un'opzione possibile. Oggi, scrive Nouriel Roubini in The eurozone's clalm before the storm, questo rischio è diminuito in modo significativo ma i fattori che hanno generato la crisi non sono stati risolti.

Alcuni sviluppi hanno aiutato a restaurare la calma. In primo luogo, la decisione del presidente della Bce Mario Draghi di prendere tutte le misure necessarie per salvare l'euro e l'impegno di stabilizzare attraverso il programma “outright monetary transactions” le obbligazioni dei paesi più in difficoltà. In secondo luogo, il Meccanismo di stabilità europea (Mes), con 500 miliardi a disposizione come deterrente per il salvataggio delle banche e dei governi. Infine, la recessione dell'eurozona è finita – nonostante cinque dei paesi periferici continuano a mostrare perdite – ed alcune riforme strutturali sono state attuate per quel che riguarda l'aggiustamento fiscale. La svalutazione interna – la diminuzione dei costi lavorativi per restaurare la competitività – ha ottenuto risultati in Spagna, Portogallo, Grecia ed Irlanda, ma non in Italia ed in Francia ed ha migliorato le bilance esterne.

Ma, prosegue Roubini nella sua analisi, oltre la superficie di calma apparente di bassi spread e tassi d'interesse sull'indebitamento sostenibili, i problemi fondamentali strutturali rimangono irrisolti: la crescita potenziale è ancora troppo bassa nella periferia, dato l'invecchiamento della popolazione e la bassa produttività, e anche quando sarà uscita dalla recessione nel 2014, la periferia rimarrà sotto l'1% per i prossimi anni, con i i tassi di disoccupazione che rimarranno a cifre enormi.

I livelli di debito pubblico e privato – sia interno che estero – sono inoltre troppo alti e continuano a crescere rispetto al Pil, dato la produzione negativa. Non rimane quindi risolta la questione della sostenibilità di medio breve periodo.

La perdita di competitività è stata solo in parte risolta, con molti dei miglioramenti nelle bilance esterne che sono solo cicliche e non strutturali. La recessione nella periferia ha compresso le importazioni fino al collasso, ma le minori spese per il lavoro non hanno generato quel boom delle esportazioni atteso. Di fronte alla domanda interna debole, l'euro è poi troppo forte ed elimina i miglioramenti nella produttività.

La Germania resiste rispetto all'idea di un'unione bancaria: l'assicurazione di depositi comuni, un fondo comune per restaurare le banche insolventi e la ricapitalizzazione diretta della banca tramite il Mes sono cambiamenti che Berlino non accetta, temendo che la “condivisione del rischio” diventi “spostamento del rischio” e che la forma dell'unione fiscale si trasformi in un'unione di trasferimento, con il centro che sussidia permanentemente la periferia.  

La Bce, a differenza della Fed e della Banca centrale del Giappone, non è attiva nel quantitative easing e la sua “forward guidance” volta a mantenere i tassi bassi non è molto credibile. Al contrario, i tassi d'interesse rimangono troppo alti e l'euro è troppo forte per rilanciare le economie più deboli della zona euro.

Nel frattempo, l'austerità inizia a mostrare i suoi peggiori effetti nella periferia dell'eurozona: il governo italiano è sull'orlo del collasso; quello greco è sotto crescente pressione per i tagli al budget; quelli spagnoli e portoghesi sono in difficoltà nel raggiungere i loro obiettivi di bilancio fissati dai loro creditori. In questo contesto, la fatica del salvataggio sta emergendo anche nel centro: in Germania, la prossima grande coalizione con i socialisti renderà più complesso il bail-in delle banche private europee ed i partiti populisti in tutto il Nord guadagnano consensi nella loro battaglia contro i salvataggi per governi e banche.

I vincoli politici dell'eurozona possono presto raggiungere un punto di rottura. I partiti antieuro, nella periferia, e contrari ad i salvataggi, nel centro, potrebbero guadagnare la maggioranza nelle elezioni parlamentari europee. 

Se ciò dovesse accadere, una nuova turbolenza finanziaria indebolirebbe la fragile ripresa dell'eurozona e la calma che ha prevalso nei mercati finanziari per l'ultimo anno potrebbe essere solo una quiete temporanea prima della tempesta.

 

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La verità sul debito e la crisi

 

 

L'euro sale, le aziende chiudono

e Draghi fa finta di niente

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Il numero uno della Bce continua a permettere che la valuta corra. Forte minaccia per esportazioni. I livelli da monitorare per chi fa trading. Non c’è niente da fare, l’euro continua a strappare a rialzo e non c’è verso di vederlo scendere. Siamo arrivati a livelli che non si vedevano esattamente da due anni fa, soltanto che…

Due anni fa eravamo in un trend discendente

Se osserviamo un grafico giornaliero dell’eurodollaro il trend risulta chiaramente crescente ed i prezzi continuano a formare nuovi massimi accompagnati da minimi crescenti il che ci fa, purtroppo per l’economia europea, pensare che ci sia la possibilità di raggiungere livelli ancora più alti.

Questo non significa senza correzioni, ma fino a quando ci mantereemo sopra il livello di 1.3450 questo risulta tecnicamente possibile e a dire la verità ci spaventa questa possibilità. E’ vero che molte esportazioni dei Paesi europei avvengono verso altri Paesi europei, per cui il fatto di avere una moneta così forte non produce impatti, ma una parte considerevole di esse riguarda Paesi che mostrano una valuta più debole rispetto alla nostra (volutamente ed intelligentemente), il che rende difficile riuscire ad imporsi sui mercati internazionali, con il rischio di dover giocoforza diminuire i margini aziendali per non dover proporre prezzi troppo alti sui mercati esteri che eroderebbero quote di mercato.

Per non parlare di chi già non esporta più e che grazie all’intelligente, lungimirante e brillante progetto euro si ritrova a dover cambiare sbocchi commerciali (ma senza domanda aggregata interna dove si va?) o a chiudere bottega, come si suol dire. In tutto questo le istituzioni tacciono e Draghi non commenta una situazione potenzialmente disastrosa per l’intera area euro del sud.

Se ricordate vi è stata soltanto una domanda posta da un giornalista durante una conferenza stampa che ha seguito le "non-mosse" della BCE (che almeno non sta alzando i tassi fino ad oltre il 4% come l’incompetente Trichet – l’inflazione era importata, lo dicevo io, semplice economista a Class CNBC) il quale ha chiesto delucidazioni sulle idee di Francoforte circa il potenziale interventismo della BCE sui rapporti di cambio. "………………..": nel virgolettato le argomentazioni del presidente della Banca Centrale Europea.

Tecnicamente a che punto siamo?

Ci troviamo all’interno di un perfetto canale rialzista, sulla parte alta di esso, con l’oscillatore stocastico che è entrato in zona di ipercomprato, il che segnala acquisti anomali rispetto al periodo che si è scelto di osservare nel passato, nel nostro caso 10 giorni.

Questo può significare due cose, completamente opposte: una potenziale rottura a rialzo o una correzione ribassista che, guardando i prezzi, potrebbe anche avvenire su base giornaliera e che, soprattutto, operativamente offre ottime possibilità dal punto di vista del risk/reward. Se dovessimo chiudere la settimana sotto l’area di 1.38 ¾ si creerebbero ottime possibilità di vendita per prendere potenziali correzioni verso la media mobile a 21 periodi ed i livelli statici precedenti passanti per 1.3650 e coincidenti precisamente proprio con la media in questione, con uno scenario difensivo di attacco che potrebbe prevedere degli stop e reverse sopra l’area di resistenza ipotizzata, in quanto una sua rottura potrebbe portare verso l’area iniziale di 1.3960/1.4000. Ma ora passiamo a vedere velocemente i livelli per l’intraday.

 

 

Ettore Gotti Tedeschi(ior) Spiega la crisi economica finanziaria ospite

 

 

Banche italiane tremano, lo

spettro del fallimento

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Al via stress test Bce con Draghi che non esclude la necessità di far fallire qualche istituto. Rassicurazioni dal ministro dell’economia Saccomanni. Ma un rapporto di Goldman Sachs lancia alert…YORK (WSI) – La Bce fa tremare soprattutto le banche italiane, i cui titoli hanno reagito con pesanti ribassi a Piazza Affari alla vigilia. Gli istituti, così come in generale tutti quelli europei, temono gli effetti dell’asset quality review, ovvero gli stress test: si tratta di una revisione della qualità degli asset, che partirà ufficialmente a novembre e durerà 12 mesi, lanciata dalla Banca centrale europea.

In Italia saranno sotto esame i 15 principali istituti di credito. Si tratta di Banca Carige, Mps, Creval, Bper, Bpm, Popolare Sondrio, Popolare Vicenza, Banco Popolare, Credem, Iccrea, Intesa SanPaolo, Mediobanca, Unicredit, Ubi Banca, Veneto Banca.

Leggendo i dettagli dell’operazione della Bce, si apprende che il parametro di riferimento per determinare l’esistenza o meno di un deficit patrimoniale sarà il Common Equity Tier 1, che non dovrà scendere sotto l’8% dell’attivo ponderato per il rischio.

Si tratta di una definizione leggermente più restrittiva di quella adottata dall’Eba (Core Tier 1) che, però al pari delle definizione Eba, non esclude, per le banche che stanno in piedi ma prive di accesso al mercato dei capitali, di colmare il deficit patrimoniale con all’aiuto statale. Questo punto è stato sottolineato più volte dallo stesso presidente della Bce, Mario Draghi.

Senza la presenza di un paracadute pubblico pronto ad aprirsi, il cosiddetto “backstop”, banche sane ma sottocapitalizzate potrebbero subire gravi danni reputazionali capaci anche di alimentare ingiustificate fughe dei depositanti.

Il ministro per l’economia Fabrizio Saccomanni sottolinea che l’Italia non ha nulla da temere, ma un rapporto di Goldman Sachs presenta una realtà diversa.

Soprattutto se si considera che lo stesso Draghi è stato chiaro, affermando che alcune banche avranno bisogno di fallire. “Se devono fallire, dovranno fallire. Non c’è alcun dubbio su questo”, ha detto.

PREVISIONI GOLDMAN SACHS SU ESITO ASSET QUALITY REVIEW/STRESS TESTS

- 11 banche falliranno i test.

- da un punto di vista geografico, i deficit sono attesi in Italia (86%), Germania (57%) e Spagna (56%).

- Riguardo alle banche italiane, i deficit patrimoniali interesseranno soprattutto Monte dei Paschi di Siena (74%)e Banca popolare di Milano.

 

 

Crisi e sofferenze bancarie: i nostri

depositi sono davvero garantiti?

Depositanti tutelati fino a 100mila euro. Ma c'è un'altra verità per la quale ci sarebbero accantonamenti per soli 1,9 miliardi su 476 miliardi di fondi rimborsabili. In epoca di crisi economica e sofferenze bancarie più o meno gravi, i nostri depositi su conto corrente sono realmente garantiti? In teoria sì - almeno fino a 100mila euro - ma la realtà è un po' più complessa e pericolosa. Perchè secondo un'altra verità, non ufficiale ma ufficiosa, risulta accantonato meno dell'1% di ciò che realmente servirebbe per coprire i depositi bancari.

100 MILA EURO PER LEGGE - La legge fissa l’obbligo per le banche italiane di assicurare - tramite il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD) - i depositi fino a 100 mila euro, stesso obbligo che vige per le filiali delle banche italiane all’estero e per le succursali di banche straniere in Italia (le banche di credito cooperativo aderiscono invece al Fondo di Garanzia del Credito Cooperativo). Il tutto per assicurare che, anche in caso di crack dell'istituto bancario, il risparmiatore possa recuperare il 100% di ogni cifra depositata sotto i 100mila euro.

BANCHE SCOPERTE? - Sulla base dei dati della Relazione Annuale dell’FITD sull’anno 2012 ed effettuata monitorando 254 istituti, però, la situazione appare decisamente meno rassicurante. Ammonterebbero infatti a 476 miliardi di euro i depositi tutelati: di questi, 197 miliardi rientrerebbero nella posizione di “Rischio medio-alto” e oltre 50 miliardi sarebbero della fascia “Rischio alto”. Più della metà dei depositi rimborsabili si troverebbero, quindi, in istituti potenzialmente a rischio crac. Ma a fronte di cifre di tale entità, risultano accantonati dal Fondo appena 1,9 miliardi di euro, cioè lo 0,4% della cifra teoricamente da coprire.

4 EURO OGNI MILLE - Una situazione di questo tipo tutela i risparmiatori solo in caso di crack di un piccolo istituto, mentre in caso di fallimento di una banca medio-grande le conseguenze sarebbero ben peggiori. Che esistano coperture per soli 4 euro ogni 1.000 fa venire letteralmente i brividi. E alla luce di questi dati non è detto che il compito fondamentale del FITD, agire da deterrente contro il "run" bancario (la corsa agli sportelli da parte dei risparmiatori in panico per ritirare i depositi in caso di fallimento o di semplici voci di sofferenze), abbia ancora vita lunga. E peraltro non sarebbe affatto semplice accrescere questa ridicola quota dello 0,4%, perché ciò passerebbe per un aumento degli accantonamenti obbligatori delle banche in favore del Fondo, che in una fase di questo tipo implicherebbe un costo poco sostenibile, vista la scarsa liquidità nel comparto inter-bancario. Fonte web

 

 

ANCHE LA SITUAZIONE DELLE BANCHE

AMERICANE NON È DELLE PIÙ  FELICI:

J.P. Morgan, la banca del buco

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I problemi legali del colosso bancario americano JP Morgan Chase non sembrano avere fine. Come diretta conseguenza delle modalità con cui opera l’intera industria finanziaria d’oltreoceano, la principale banca d’investimenti degli Stati Uniti ha infatti collezionato l’ennesima indagine aperta dalle autorità federali, con le quali avrebbe però raggiunto un accordo di massima nel fine settimana per pagare ancora una volta una sorta di tassa sulle proprie attività illegali ed evitare in gran parte i guai giudiziari che ne dovrebbero conseguire.

Il Dipartimento di Giustizia aveva in questa occasione messo sotto accusa JP Morgan per la truffa dei titoli legati ai mutui “sub prime”, venduti agli investitori senza informarli dei rischi connessi. Come è noto, questo genere di prodotti finanziari ad alto rischio fu al centro della crisi esplosa nell’autunno del 2008. Molti dei titoli in questione erano stati ereditati da altri due istituti bancari - Bear Stearns e Washington Mutual - acquistati da JP Morgan nel 2008 a condizioni estremamente favorevoli.

Il procedimento ai danni di JP Morgan era scaturito, tra l’altro, dalla denuncia presentata dai giganti dei mutui controllati dal governo federale - Fannie Mae e Freddie Mac - e da un’indagine proprio su Bear Stearns del procuratore generale dello Stato di New York, Eric Schneiderman.

Per risolvere la questione che, assieme agli altri guai giudiziari, rappresenta un ostacolo alla conduzione degli affari di JP Morgan, la banca di Wall Street è in trattativa da tempo con le autorità del Dipartimento di Giustizia. Secondo i giornali americani, a sbloccare la situazione sarebbe stata una telefonata avvenuta nella serata di venerdì tra il Ministro della Giustizia, Eric Holder, e il presidente e amministratore delegato di JP Morgan, Jamie Dimon.

L’accordo con il governo dovrebbe così risolversi in una sanzione-record da 13 miliardi di dollari che, pur essendo la cifra più alta mai pagata da un’azienda privata, ammonta solo a poco più della metà dei profitti raccolti da JP Morgan nel solo 2012.

Secondo il New York Times, l’accordo potrebbe ancora saltare completamente e la sua finalizzazione dipende soprattutto da quanto i vertici di JP Morgan saranno disposti ad ammettere circa le proprie responsabilità sulla truffa dei mutui “sub prime”. Se dovesse infatti riconoscere il comportamento illegale di dirigenti e dipendenti, la banca potrebbe assistere ad una valanga di cause legali ai propri danni da parte degli investitori truffati.

La questione più problematica sarebbe legata ad un procedimento criminale parallelo aperto dalle autorità federali della California che, secondo i termini dell’accordo, non verrebbe fermato dalla chiusura della causa civile con il pagamento della sanzione.

Lo stesso Dimon avrebbe insistito in prima persona con Holder al fine di far chiudere il caso aperto a Sacramento, ma il ministro di Obama, almeno per il momento, continua a ritenere necessaria una simile azione legale di fronte all’estrema impopolarità di JP Morgan.

Le prime pagine dei giornali americani usciti nella giornata di domenica hanno sottolineato l’eccezionalità della multa, così come la presunta ritrovata fermezza del Dipartimento di Giustizia nel punire gli eccessi di Wall Street. In realtà, tutte le sanzioni pagate finora e quelle a cui dovrà far fronte JP Morgan non hanno alterato significativamente la condotta della banca e, soprattutto, hanno fatto in modo che i suoi massimi dirigenti venissero risparmiati da qualsiasi procedimento penale.

Per stessa ammissione delle autorità di governo, d’altra parte, istituti come JP Morgan sono considerati di fatto al di sopra della legge e l’eventuale processo o arresto dei loro top manager produrrebbe pericolose scosse per l’intero sistema finanziario.

Con la connivenza dello stesso Dipartimento di Giustizia, perciò, JP Morgan e altre grandi compagnie private operanti in svariati settori utilizzano le sanzioni economiche emesse nei loro confronti come un contributo necessario da assolvere per continuare a fare affari spesso al di fuori della legalità.

La sola JP Morgan si è trovata implicata in questi anni in numerose indagini non solo negli Stati Uniti ma anche oltreoceano, come in Gran Bretagna, dove è in corso un’indagine relativa ad una perdita da 6 miliardi di dollari della propria filiale di Londra. Per far fronte a questi fastidi, la banca con sede su Park Avenue, a Manhattan, ha appena stanziato qualcosa come 9,2 miliardi di dollari per coprire le proprie spese legali. Ciò ha determinato il primo trimestre in rosso da quando alla sua guida è stato nominato Jamie Dimon alla fine del 2006.

Dei 13 miliardi di dollari che JP Morgan potrebbe pagare, 9 consisterebbero in sanzioni, mentre 4 andrebbero a risarcire sottoscrittori di mutui in difficoltà. Se confermata, la multa sarebbe di gran lunga la più pesante mai concordata con una singola azienda privata negli Stati Uniti, superando quella da 4,5 miliardi ai danni della compagnia petrolifera BP per il disastro nel Golfo del Messico nell’aprile del 2010.

La condotta di JP Morgan, in ogni caso, è tutt’altro che un’eccezione per Wall Street, anche se le vicende ad essa legate hanno puntualmente maggiore risalto viste le dimensioni e l’influenza dell’istituto. Le autorità federali americane sono infatti impegnate in una lunga serie di indagini contro i giganti finanziari responsabili della crisi del 2008 e di molti altri crimini.

Meno di tre mesi fa, ad esempio, l’FBI e la procura federale di Manhattan avevano annunciato l’apertura di un procedimento penale ai danni dell’hedge fund SAC Capital, accusato di avere operato un sistematico schema di “insider-trading” tra il 1999 e il 2010. Anche in questo caso, però, i suoi vertici verranno risparmiati, come conferma la trattativa già in corso con il governo per il pagamento di una sanzione da oltre un miliardo di dollari.

 

 

APPROFONDIMENTO

 

Crisi economica del 2008-2013

da Wikipedia

La crisi economica del 2008-2013 (chiamata anche grande recessione) ha avuto avvio nel 2008 in tutto il mondo in seguito ad una crisi di natura finanziaria (originatasi negli Stati Uniti con la crisi dei subprime). Tra i principali fattori della crisi figurano gli alti prezzi delle materie prime (petrolio in primis), una crisi alimentare mondiale, un'elevata inflazione globale, la minaccia di una recessione in tutto il mondo e per finire una crisi creditizia con conseguente crollo di fiducia dei mercati borsistici. Viene considerata da molti economisti come una delle peggiori crisi economiche della storia, seconda solo alla Grande depressione iniziata nel 1929.[1]