Benedetto XVI:

Messaggio Giornata

della pace 2008
 

Pubblichiamo il testo integrale del Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della pace 2008, che si è celebrata il 1° gennaio scorso, sul tema: "Famiglia umana, comunità di pace". In fondo troverete anche alcuni commenti tratti dai quotidiani italiani.

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

 

FAMIGLIA UMANA, COMUNITÀ DI PACE

Fonte web

1. ALL'INIZIO DI UN NUOVO ANNO desidero far pervenire il mio fervido augurio di pace, insieme con un caloroso messaggio di speranza agli uomini e alle donne di tutto il mondo. Lo faccio proponendo alla riflessione comune il tema con cui ho aperto questo messaggio, e che mi sta particolarmente a cuore: Famiglia umana, comunità di pace. Di fatto, la prima forma di comunione tra persone è quella che l'amore suscita tra un uomo e una donna decisi ad unirsi stabilmente per costruire insieme una nuova famiglia. Ma anche i popoli della terra sono chiamati ad instaurare tra loro rapporti di solidarietà e di collaborazione, quali s'addicono a membri dell'unica famiglia umana: « Tutti i popoli — ha sentenziato il Concilio Vaticano II — formano una sola comunità, hanno un'unica origine, perché Dio ha fatto abitare l'intero genere umano su tutta la faccia della terra (cfr At 17,26), ed hanno anche un solo fine ultimo, Dio ».1

Famiglia, società e pace

2. La famiglia naturale, quale intima comunione di vita e d'amore, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna,2 costituisce « il luogo primario dell'“umanizzazione” della persona e della società »,3 la « culla della vita e dell'amore ».4 A ragione, pertanto, la famiglia è qualificata come la prima società naturale, « un'istituzione divina che sta a fondamento della vita delle persone, come prototipo di ogni ordinamento sociale ».5

3. In effetti, in una sana vita familiare si fa esperienza di alcune componenti fondamentali della pace: la giustizia e l'amore tra fratelli e sorelle, la funzione dell'autorità espressa dai genitori, il servizio amorevole ai membri più deboli perché piccoli o malati o anziani, l'aiuto vicendevole nelle necessità della vita, la disponibilità ad accogliere l'altro e, se necessario, a perdonarlo. Per questo la famiglia è la prima e insostituibile educatrice alla pace. Non meraviglia quindi che la violenza, se perpetrata in famiglia, sia percepita come particolarmente intollerabile. Pertanto, quando si afferma che la famiglia è « la prima e vitale cellula della società »,6 si dice qualcosa di essenziale. La famiglia è fondamento della società anche per questo: perché permette di fare determinanti esperienze di pace. Ne consegue che la comunità umana non può fare a meno del servizio che la famiglia svolge. Dove mai l'essere umano in formazione potrebbe imparare a gustare il « sapore » genuino della pace meglio che nel « nido » originario che la natura gli prepara? Il lessico familiare è un lessico di pace; lì è necessario attingere sempre per non perdere l'uso del vocabolario della pace. Nell'inflazione dei linguaggi, la società non può perdere il riferimento a quella « grammatica » che ogni bimbo apprende dai gesti e dagli sguardi della mamma e del papà, prima ancora che dalle loro parole.

4. La famiglia, poiché ha il dovere di educare i suoi membri, è titolare di specifici diritti. La stessa Dichiarazione universale dei diritti umani, che costituisce un'acquisizione di civiltà giuridica di valore veramente universale, afferma che « la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato ».7 Da parte sua, la Santa Sede ha voluto riconoscere una speciale dignità giuridica alla famiglia pubblicando la Carta dei diritti della famiglia. Nel Preambolo si legge: « I diritti della persona, anche se espressi come diritti dell'individuo, hanno una fondamentale dimensione sociale, che trova nella famiglia la sua nativa e vitale espressione ».8 I diritti enunciati nella Carta sono espressione ed esplicitazione della legge naturale, iscritta nel cuore dell'essere umano e a lui manifestata dalla ragione. La negazione o anche la restrizione dei diritti della famiglia, oscurando la verità sull'uomo, minaccia gli stessi fondamenti della pace.

5. Pertanto, chi anche inconsapevolmente osteggia l'istituto familiare rende fragile la pace nell'intera comunità, nazionale e internazionale, perché indebolisce quella che, di fatto, è la principale « agenzia » di pace. È questo un punto meritevole di speciale riflessione: tutto ciò che contribuisce a indebolire la famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e una donna, ciò che direttamente o indirettamente ne frena la disponibilità all'accoglienza responsabile di una nuova vita, ciò che ne ostacola il diritto ad essere la prima responsabile dell'educazione dei figli, costituisce un oggettivo impedimento sulla via della pace. La famiglia ha bisogno della casa, del lavoro o del giusto riconoscimento dell'attività domestica dei genitori, della scuola per i figli, dell'assistenza sanitaria di base per tutti. Quando la società e la politica non si impegnano ad aiutare la famiglia in questi campi, si privano di un'essenziale risorsa a servizio della pace. In particolare, i mezzi della comunicazione sociale, per le potenzialità educative di cui dispongono, hanno una speciale responsabilità nel promuovere il rispetto per la famiglia, nell'illustrarne le attese e i diritti, nel metterne in evidenza la bellezza.

L'umanità è una grande famiglia

6. Anche la comunità sociale, per vivere in pace, è chiamata a ispirarsi ai valori su cui si regge la comunità familiare. Questo vale per le comunità locali come per quelle nazionali; vale anzi per la stessa comunità dei popoli, per la famiglia umana che vive in quella casa comune che è la terra. In questa prospettiva, però, non si può dimenticare che la famiglia nasce dal « sì » responsabile e definitivo di un uomo e di una donna e vive del « sì » consapevole dei figli che vengono via via a farne parte. La comunità familiare per prosperare ha bisogno del consenso generoso di tutti i suoi membri. È necessario che questa consapevolezza diventi convinzione condivisa anche di quanti sono chiamati a formare la comune famiglia umana. Occorre saper dire il proprio « sì » a questa vocazione che Dio ha inscritto nella stessa nostra natura. Non viviamo gli uni accanto agli altri per caso; stiamo tutti percorrendo uno stesso cammino come uomini e quindi come fratelli e sorelle. È perciò essenziale che ciascuno si impegni a vivere la propria vita in atteggiamento di responsabilità davanti a Dio, riconoscendo in Lui la sorgente originaria della propria, come dell'altrui, esistenza. È risalendo a questo supremo Principio che può essere percepito il valore incondizionato di ogni essere umano, e possono essere poste così le premesse per l'edificazione di un'umanità pacificata. Senza questo Fondamento trascendente, la società è solo un'aggregazione di vicini, non una comunità di fratelli e sorelle, chiamati a formare una grande famiglia.

Famiglia, comunità umana e ambiente

7. La famiglia ha bisogno di una casa, di un ambiente a sua misura in cui intessere le proprie relazioni. Per la famiglia umana questa casa è la terra, l'ambiente che Dio Creatore ci ha dato perché lo abitassimo con creatività e responsabilità. Dobbiamo avere cura dell'ambiente: esso è stato affidato all'uomo, perché lo custodisca e lo coltivi con libertà responsabile, avendo sempre come criterio orientatore il bene di tutti. L'essere umano, ovviamente, ha un primato di valore su tutto il creato. Rispettare l'ambiente non vuol dire considerare la natura materiale o animale più importante dell'uomo. Vuol dire piuttosto non considerarla egoisticamente a completa disposizione dei propri interessi, perché anche le future generazioni hanno il diritto di trarre beneficio dalla creazione, esprimendo in essa la stessa libertà responsabile che rivendichiamo per noi. Né vanno dimenticati i poveri, esclusi in molti casi dalla destinazione universale dei beni del creato. Oggi l'umanità teme per il futuro equilibrio ecologico. È bene che le valutazioni a questo riguardo si facciano con prudenza, nel dialogo tra esperti e saggi, senza accelerazioni ideologiche verso conclusioni affrettate e soprattutto concertando insieme un modello di sviluppo sostenibile, che garantisca il benessere di tutti nel rispetto degli equilibri ecologici. Se la tutela dell'ambiente comporta dei costi, questi devono essere distribuiti con giustizia, tenendo conto delle diversità di sviluppo dei vari Paesi e della solidarietà con le future generazioni. Prudenza non significa non assumersi le proprie responsabilità e rimandare le decisioni; significa piuttosto assumere l'impegno di decidere assieme e dopo aver ponderato responsabilmente la strada da percorrere, con l'obiettivo di rafforzare quell'alleanza tra essere umano e ambiente, che deve essere specchio dell'amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino.

8. Fondamentale, a questo riguardo, è « sentire » la terra come « nostra casa comune » e scegliere, per una sua gestione a servizio di tutti, la strada del dialogo piuttosto che delle decisioni unilaterali. Si possono aumentare, se necessario, i luoghi istituzionali a livello internazionale, per affrontare insieme il governo di questa nostra « casa »; ciò che più conta, tuttavia, è far maturare nelle coscienze la convinzione della necessità di collaborare responsabilmente. I problemi che si presentano all'orizzonte sono complessi e i tempi stringono. Per far fronte in modo efficace alla situazione, bisogna agire concordi. Un ambito nel quale sarebbe, in particolare, necessario intensificare il dialogo tra le Nazioni è quello della gestione delle risorse energetiche del pianeta. Una duplice urgenza, a questo riguardo, si pone ai Paesi tecnologicamente avanzati: occorre rivedere, da una parte, gli elevati standard di consumo dovuti all'attuale modello di sviluppo, e provvedere, dall'altra, ad adeguati investimenti per la differenziazione delle fonti di energia e per il miglioramento del suo utilizzo. I Paesi emergenti hanno fame di energia, ma talvolta questa fame viene saziata ai danni dei Paesi poveri i quali, per l'insufficienza delle loro infrastrutture, anche tecnologiche, sono costretti a svendere le risorse energetiche in loro possesso. A volte, la loro stessa libertà politica viene messa in discussione con forme di protettorato o comunque di condizionamento, che appaiono chiaramente umilianti.

Famiglia, comunità umana ed economia

9. Condizione essenziale per la pace nelle singole famiglie è che esse poggino sul solido fondamento di valori spirituali ed etici condivisi. Occorre però aggiungere che la famiglia fa un'autentica esperienza di pace quando a nessuno manca il necessario, e il patrimonio familiare — frutto del lavoro di alcuni, del risparmio di altri e della attiva collaborazione di tutti — è bene gestito nella solidarietà, senza eccessi e senza sprechi. Per la pace familiare è dunque necessaria, da una parte, l'apertura ad un patrimonio trascendente di valori, ma al tempo stesso non è priva di importanza, dall'altra, la saggia gestione sia dei beni materiali che delle relazioni tra le persone. Il venir meno di questa componente ha come conseguenza l'incrinarsi della fiducia reciproca a motivo delle incerte prospettive che minacciano il futuro del nucleo familiare.

10. Un discorso simile va fatto per quell'altra grande famiglia che è l'umanità nel suo insieme. Anche la famiglia umana, oggi ulteriormente unificata dal fenomeno della globalizzazione, ha bisogno, oltre che di un fondamento di valori condivisi, di un'economia che risponda veramente alle esigenze di un bene comune a dimensioni planetarie. Il riferimento alla famiglia naturale si rivela, anche da questo punto di vista, singolarmente suggestivo. Occorre promuovere corrette e sincere relazioni tra i singoli esseri umani e tra i popoli, che permettano a tutti di collaborare su un piano di parità e di giustizia. Al tempo stesso, ci si deve adoperare per una saggia utilizzazione delle risorse e per un'equa distribuzione della ricchezza. In particolare, gli aiuti dati ai Paesi poveri devono rispondere a criteri di sana logica economica, evitando sprechi che risultino in definitiva funzionali soprattutto al mantenimento di costosi apparati burocratici. Occorre anche tenere in debito conto l'esigenza morale di far sì che l'organizzazione economica non risponda solo alle crude leggi del guadagno immediato, che possono risultare disumane.

Famiglia, comunità umana e legge morale

11. Una famiglia vive in pace se tutti i suoi componenti si assoggettano ad una norma comune: è questa ad impedire l'individualismo egoistico e a legare insieme i singoli, favorendone la coesistenza armoniosa e l'operosità finalizzata. Il criterio, in sé ovvio, vale anche per le comunità più ampie: da quelle locali, a quelle nazionali, fino alla stessa comunità internazionale. Per avere la pace c'è bisogno di una legge comune, che aiuti la libertà ad essere veramente se stessa, anziché cieco arbitrio, e che protegga il debole dal sopruso del più forte. Nella famiglia dei popoli si verificano molti comportamenti arbitrari, sia all'interno dei singoli Stati sia nelle relazioni degli Stati tra loro. Non mancano poi tante situazioni in cui il debole deve piegare la testa davanti non alle esigenze della giustizia, ma alla nuda forza di chi ha più mezzi di lui. Occorre ribadirlo: la forza va sempre disciplinata dalla legge e ciò deve avvenire anche nei rapporti tra Stati sovrani.

12. Sulla natura e la funzione della legge la Chiesa si è pronunciata molte volte: la norma giuridica che regola i rapporti delle persone tra loro, disciplinando i comportamenti esterni e prevedendo anche sanzioni per i trasgressori, ha come criterio la norma morale basata sulla natura delle cose. La ragione umana, peraltro, è capace di discernerla, almeno nelle sue esigenze fondamentali, risalendo così alla Ragione creatrice di Dio che sta all'origine di tutte le cose. Questa norma morale deve regolare le scelte delle coscienze e guidare tutti i comportamenti degli esseri umani. Esistono norme giuridiche per i rapporti tra le Nazioni che formano la famiglia umana? E se esistono, sono esse operanti? La risposta è: sì, le norme esistono, ma per far sì che siano davvero operanti bisogna risalire alla norma morale naturale come base della norma giuridica, altrimenti questa resta in balia di fragili e provvisori consensi.

13. La conoscenza della norma morale naturale non è preclusa all'uomo che rientra in se stesso e, ponendosi di fronte al proprio destino, si interroga circa la logica interna delle più profonde inclinazioni presenti nel suo essere. Pur con perplessità e incertezze, egli può giungere a scoprire, almeno nelle sue linee essenziali, questa legge morale comune che, al di là delle differenze culturali, permette agli esseri umani di capirsi tra loro circa gli aspetti più importanti del bene e del male, del giusto e dell'ingiusto. È indispensabile risalire a questa legge fondamentale impegnando in questa ricerca le nostre migliori energie intellettuali, senza lasciarci scoraggiare da equivoci e fraintendimenti. Di fatto, valori radicati nella legge naturale sono presenti, anche se in forma frammentata e non sempre coerente, negli accordi internazionali, nelle forme di autorità universalmente riconosciute, nei principi del diritto umanitario recepito nelle legislazioni dei singoli Stati o negli statuti degli Organismi internazionali. L'umanità non è « senza legge ». È tuttavia urgente proseguire nel dialogo su questi temi, favorendo il convergere anche delle legislazioni dei singoli Stati verso il riconoscimento dei diritti umani fondamentali. La crescita della cultura giuridica nel mondo dipende, tra l'altro, dall'impegno di sostanziare sempre le norme internazionali di contenuto profondamente umano, così da evitare il loro ridursi a procedure facilmente aggirabili per motivi egoistici o ideologici.

Superamento dei conflitti e disarmo

14. L'umanità vive oggi, purtroppo, grandi divisioni e forti conflitti che gettano ombre cupe sul suo futuro. Vaste aree del pianeta sono coinvolte in tensioni crescenti, mentre il pericolo che si moltiplichino i Paesi detentori dell'arma nucleare suscita motivate apprensioni in ogni persona responsabile. Sono ancora in atto molte guerre civili nel Continente africano, sebbene in esso non pochi Paesi abbiano fatto progressi nella libertà e nella democrazia. Il Medio Oriente è tuttora teatro di conflitti e di attentati, che influenzano anche Nazioni e regioni limitrofe, rischiando di coinvolgerle nella spirale della violenza. Su un piano più generale, si deve registrare con rammarico l'aumento del numero di Stati coinvolti nella corsa agli armamenti: persino Nazioni in via di sviluppo destinano una quota importante del loro magro prodotto interno all'acquisto di armi. In questo funesto commercio le responsabilità sono molte: vi sono i Paesi del mondo industrialmente sviluppato che traggono lauti guadagni dalla vendita di armi e vi sono le oligarchie dominanti in tanti Paesi poveri che vogliono rafforzare la loro situazione mediante l'acquisto di armi sempre più sofisticate. È veramente necessaria in tempi tanto difficili la mobilitazione di tutte le persone di buona volontà per trovare concreti accordi in vista di un'efficace smilitarizzazione, soprattutto nel campo delle armi nucleari. In questa fase in cui il processo di non proliferazione nucleare sta segnando il passo, sento il dovere di esortare le Autorità a riprendere con più ferma determinazione le trattative in vista dello smantellamento progressivo e concordato delle armi nucleari esistenti. Nel rinnovare questo appello, so di farmi eco dell'auspicio condiviso da quanti hanno a cuore il futuro dell'umanità.

15. Sessant'anni or sono l'Organizzazione delle Nazioni Unite rendeva pubblica in modo solenne la Dichiarazione universale dei diritti umani (1948–2008). Con quel documento la famiglia umana reagiva agli orrori della Seconda Guerra Mondiale, riconoscendo la propria unità basata sulla pari dignità di tutti gli uomini e ponendo al centro della convivenza umana il rispetto dei diritti fondamentali dei singoli e dei popoli: fu quello un passo decisivo nel difficile e impegnativo cammino verso la concordia e la pace. Uno speciale pensiero merita anche la ricorrenza del 25o anniversario dell'adozione da parte della Santa Sede della Carta dei diritti della famiglia (1983–2008), come pure il 40o anniversario della celebrazione della prima Giornata Mondiale della Pace (1968–2008). Frutto di una provvidenziale intuizione di Papa Paolo VI, ripresa con grande convinzione dal mio amato e venerato predecessore, Papa Giovanni Paolo II, la celebrazione di questa Giornata ha offerto nel corso degli anni la possibilità di sviluppare, attraverso i Messaggi pubblicati per la circostanza, un'illuminante dottrina da parte della Chiesa a favore di questo fondamentale bene umano. È proprio alla luce di queste significative ricorrenze che invito ogni uomo e ogni donna a prendere più lucida consapevolezza della comune appartenenza all'unica famiglia umana e ad impegnarsi perché la convivenza sulla terra rispecchi sempre di più questa convinzione da cui dipende l'instaurazione di una pace vera e duratura. Invito poi i credenti ad implorare da Dio senza stancarsi il grande dono della pace. I cristiani, per parte loro, sanno di potersi affidare all'intercessione di Colei che, essendo Madre del Figlio di Dio fattosi carne per la salvezza dell'intera umanità, è Madre comune.

A tutti l'augurio di un lieto Anno nuovo!

Dal Vaticano, 8 Dicembre 2007

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1Dich. Nostra aetate, 1.

2Cfr. Conc. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 48.

3Giovanni Paolo II, Esort. ap.Christifideles laici, 40: AAS 81 (1989) 469.

4Ibidem.

5Pont. Cons. della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n.211.

6Conc. Vat. II, Decr. Apostolicam actuositatem, 11.

7Art. 16/3.

8Pontificio Consiglio per la Famiglia, Carta dei diritti della famiglia, 24 novembre 1983, Preambolo, A.

 

 

commenti al Messaggio del Papa per la

Giornata Mondiale della Pace 2008

 

 

Alle radici della pace

 

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 12 dicembre 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'editoriale apparso su “L'Osservatore Romano” del 12 dicembre a commento del messaggio di Benedetto XVI per la 41a Giornata Mondiale della Pace, che si celebra il 1° gennaio 2008 sul tema "Famiglia umana, comunità di pace".

Sotto il segno della speranza. In questa chiave aperta a una fiducia ottimista - ma non per questo ignara dei problemi - Benedetto XVI invita a leggere il messaggio che ha preparato per la giornata mondiale della pace e che si rivolge esplicitamente "agli uomini e alle donne di tutto il mondo". Il suo titolo - "Famiglia umana, comunità di pace" - risuona con efficace semplicità e il suo contenuto va alle radici di quanto sognano appunto tante donne e tanti uomini del nostro tempo. Sì, perché alle radici della pace c'è la famiglia, che nasce dall'amore tra un uomo e una donna, "prima forma di comunione tra persone". E il modello della famiglia è quello che, secondo il vescovo di Roma, deve ispirare i rapporti "di solidarietà e di collaborazione" anche nell'unica "famiglia umana" a cui sono chiamati i popoli della terra.

Il parallelismo tra famiglia naturale e famiglia umana percorre tutto il testo papale. È infatti nella famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna che "si fa esperienza di alcune componenti fondamentali della pace": giustizia e amore, ma anche l'autorità esercitata dai genitori, il servizio e l'aiuto a chi ne ha bisogno, fino all'accoglienza e al perdono. In una espressione, "il lessico familiare è un lessico di pace". Per questo non si deve mai perdere di vista "quella "grammatica" che ogni bimbo apprende dai gesti e dagli sguardi della mamma e del papà, prima ancora che dalle loro parole". Come a sottolineare l'importanza dei gesti concreti, dopo quella delle affermazioni di principio, anche nei rapporti internazionali.

L'argomentare di Benedetto XVI è pure in questo messaggio per la giornata mondiale della pace pacato e ragionevole, quindi comprensibile e condivisibile anche al di là dei confini del cattolicesimo, delle confessioni cristiane e addirittura dei diversi mondi religiosi. Lo dimostrano il richiamo insistito da parte del Papa alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) - a cui si arrivò nel 1948 e di cui si sta dunque per celebrare il sessantesimo anniversario - e soprattutto il riferimento alla legge naturale, "iscritta nel cuore dell'essere umano e a lui manifestata dalla ragione".

Il riconoscimento dei diritti della famiglia in quanto "nucleo naturale e fondamentale della società" presente nella dichiarazione dell'Onu (come anche nella Carta dei diritti della famiglia pubblicata dalla Santa Sede nel 1983) ha una conseguenza logica evidente: "La negazione o anche la restrizione dei diritti della famiglia, oscurando la verità sull'uomo, minaccia gli stessi fondamenti della pace". La famiglia, secondo Benedetto XVI, va dunque protetta con misure concrete perché è una risorsa di pace.

Così come con misure concrete bisogna proteggere la famiglia umana: a cominciare dalla sua casa, che è l'ambiente naturale. Senza divinizzare la natura, s'intende: considerando per esempio più importante dello stesso essere umano "la natura materiale o animale". Al contrario, senza dimenticare i poveri e procedendo con prudenza davvero scientifica, bisogna rafforzare una vera e propria "alleanza tra essere umano e ambiente". Non solo a parole, ma puntando a un utilizzo delle risorse energetiche che ridimensioni i folli livelli del consumo caratteristici delle società opulente. E altrettanto bisogna incidere sull'economia che deve mirare a un "bene comune" mondiale.

Criterio generale - ripete ancora una volta il Papa, con fiduciosa speranza, tanto ai credenti quanto ai non credenti - è "la norma morale basata sulla natura delle cose, che la ragione umana è capace di discernere". Benedetto XVI va al cuore del problema: il fondamento morale naturale di questa "legge morale comune" è ciò che permette, "al di là delle differenze culturali", la comprensione tra esseri umani a proposito degli "aspetti più importanti del bene e del male". Anche se tutto questo è presente negli accordi internazionali in modo frammentario "e non sempre coerente". Lo sguardo del Papa non deriva da un ottimismo cieco di fronte a divisioni, conflitti e atti efferati, come l'ultimo spaventoso attentato che ha insanguinato Algeri. Prova di questo sguardo realistico agli ostacoli che impediscono la pace è la sua richiesta di accordi concreti per un'efficace smilitarizzazione e per lo smantellamento delle armi nucleari che distolgono enormi risorse indispensabili ai bisogni sempre più urgenti di tanti esseri umani. Che tutti fanno parte di un'unica famiglia.

 

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Vescovo irakeno: Occidente, riscopri

la famiglia come scuola di pace


“In Germania le donne musulmane vanno in giro con un bambino nella carrozzina; le tedesche passeggiano in compagnia di cani o gatti”. La provocazione di mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk a commento del Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale della pace 2008.

Kirkuk (AsiaNews) – “L’Occidente sta perdendo il senso della comunione familiare con la sua insistenza sull’individualismo” e questo rappresenta un rischio per la pace “L’avvenire dell’umanità dipende dalla famiglia. È la famiglia l’ambiente in cui i membri imparano a dialogare, a rispettarsi reciprocamente nella diversità”. Sono le parole di monsignor Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk, a commento del Messaggio del Papa dal titolo “Famiglia umana, comunità di pace”.

“Il Santo Padre – scrive il vescovo - ha scelto questo tema per la Giornata mondiale della pace perché il contesto familiare è il più importante nelle relazioni di ognuno di noi, in bene e in male. Un proverbio latino recita: Si vis pacem, para bellum (se vuoi la pace prepara la guerra). Bisogna cambiarlo così: se vuoi la pace, una pace giusta e duratura, prepara la famiglia. Perchè la pace, la giustizia e la libertà partono dal riconoscere l’uomo come mio fratello! L’avvenire dell’umanità dipende dalla famiglia. È la famiglia l’ambiente in cui i membri imparano a dialogare, a rispettarsi reciprocamente nella diversità”.

Il prelato iracheno non risparmia una frecciata all’indirizzo dell’Europa secolarizzata: “In Occidente la famiglia affronta difficoltà relazionali. L’estate scorsa mi trovavo in Germania: sulle strade si vedevano le donne musulmane con un bambino nella carrozzina, mentre le tedesche passeggiavano spesso in compagnia di un cane o un gatto! L’Occidente sta perdendo il senso della comunione familiare con la sua insistenza sull’individualismo. Da noi in Iraq, invece, non è concepibile vivere isolati. Non possiamo vivere fuori della famiglia. Mentre un occidentale accetta facilmente una condizione di single e ne vede i miei vantaggi, un orientale pensa alla sua famiglia e cercare i vantaggi comuni”.

 E aggiunge: “Nella teologia cristiana, sopratutto orientale, la famiglia rappresenta l’immagine della Trinità; lo Spirito Santo è considerato da alcuni padri siriaci una madre. Perciò i rapporti nella famiglia devono riflettere i rapporti fra le tre persone della Trinità. Così, nella famiglia cristiana la Chiesa cresce e la società si rinnova. La famiglia è una Chiesa domestica, ma anche è la base di una società. Per i cristiani orientali avere una famiglia è una vocazione, una benedizione e una missione. Non voglio dire che tutto da noi sia perfetto e in Occidente cattivo”.

L‘arcivescovo di Kirkuk chiude il commento  con un auspicio che è anche la speranza di tutti i cristiani di quella terra tormentata: “Sogno il mio Iraq come una famiglia riconciliata e una comunità di pace”.

 

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Il coraggioso discorso del Papa

 

La pace non è problema da ridurre a slogan

 

Davide Rondoni - Il Tempo, 12 dicembre 2007

Ha avuto coraggio. Anche quest'anno, nel discorso sulla pace. Che potrebbe essere facilmente un discorso retorico Per dei festival di luoghi comuni.
E invece no.
Come l'anno scorso nel discorso aveva stupito e colpito i più attenti equiparando guerra, terrorismo e nichilismo come nemici della pace, anche quest'anno Papa Benedetto XVI non si è fermato ad affermazioni generali. Di quelle su cui è facile essere d'accordo.

No, ha sfidato ancora una volta il luogo comune. La consuetudine di idee che non danno fastidio e dunque non fanno pensare. Messaggio politicamente scorretto, dicono le agenzie di stampa.

Accusa chi, avendo più mezzi, fa piegare la testa al più debole. Accusa il "pacifismo unilaterale" di cui sono state piene le piazze e i media negli ultimi decenni. E attacca i vili attentati alla famiglia come "oggettivo impedimento sulla via della pace". Chi mina la famiglia, dice, "rende fragile la pace nell'intera comunità". Ed entra nel merito anche delle disuguaglianze tecnologiche ed energetiche, che stabiliscono disuguaglianze più del normale. Invita gli organismi internazionali a farsi carico del disciplinare i rapporti di forza, e i consessi di saggi a evitare irrealistiche conclusioni affrettate - come di recente in taluni toni apocalittici senza fondamento scientifico adeguato - per cercare un "modello di sviluppo sostenibile".
E' allarmato, il papa, e chiede lo smantellamento progressivo e concordato degli armamenti nucleari. E punta il dito contro le oligarchie che in paesi poveri dominano il traffico di armi sofisticate. Senza semplificare, però. E richiama infatti che in questo campo "le responsabilità sono molte". Sulla famiglia il papa si concentra in modo particolare. Sa che la pace è un clima che non è aiutato laddove si procede per disgregare le forme naturali di coesione e di mutualità, come la famiglia. Apre l'anno questo discorso. Come ogni anno la Chiesa dedica la sua attenzione suprema al tema dei temi. La pace non è questione da ridurre a slogan. Quella degli slogan è spesso una bandiera per quanto multicolore da opporre da una fazione a un'altra. Come fosse colpa solo di qualcuno. Mentre le responsabilità di ciò che mina la pace risiedono in tanti atti eclatanti e in tanti fatterelli. Di cui siamo in molti responsabili. Sarebbe ipocrita pensare che la pace dipende solo da qualcuno che può spingere certi bottoni. Mentre causa del venir meno della pace possono essere travisamenti sui giornali. Irresponsabilità delle parole. O inutili eccitazioni degli animi, faziosità di vario genere. Il papa fissa un collegamento fortissimo. Per avere la pace occorre "una legge comune che aiuti la libertà ad essere se stessa, invece che cieco arbitrio, e che protegga il più debole dal più forte". Questo occorre. Sappiamo che proprio sul fraintendimento di cosa sia la libertà si gioca una guerra culturale e politica enorme. Da questa guerra spesso invisibile dipende la pace.

 

 

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Polledri: la sinistra abbandoni la linea che porta

ai reati d’opinione come l’antiomofobia

Il Papa: «La pace è ordine e si fonda sulla famiglia»

 

La Padania, 12 dicembre 2007

 

Città del Vaticano - Chi indebolisce l’istituto familiare fondato sul matrimonio fra uomo e donna finisce con l’indebolire la pace. È quanto ha affermato Ratzinger nel messaggio per la Giornata mondiale per la pace. «Chi anche inconsapevolmente - ha detto il Papa - osteggia l’istituto familiare rende fragile la pace nell’intera comunità, nazionale e internazionale, perché indebolisce quella che, di fatto, è la principale “agenzia” di pace. La negazione o anche la restrizione dei diritti della famiglia, oscurando la verità sull’uomo, minaccia gli stessi fondamenti della pace».
«La famiglia - afferma ancora Benedetto XVI - ha bisogno della casa, del lavoro o del giusto riconoscimento dell’attività domestica dei genitori, della scuola per i figli, dell’assistenza sanitaria di base per tutti. Quando la società e la politica non si impegnano ad aiutare la famiglia in questi campi, si privano di un’essenziale risorsa a servizio della pace. In particolare, i mezzi della comunicazione sociale, per le potenzialità educative di cui dispongono, hanno una speciale responsabilità nel promuovere il rispetto per la famiglia.
«La pace è ordine e più esattamente tranquillità dell’ordine. Ciò vuol dire che l’ordine in cui consiste la pace deve realizzarsi in modo non violento, intrinseco e non estrinseco, attraverso quella tranquillità che si riconnette alla comune aspirazione, frutto di volontà concordi e tese al possesso di un vero bene: in una parola nella libertà». Così il senatore della Lega Massimo Polledri commenta le parole del Papa nel suo messaggio per la Giornata mondiale della Pace.
«Il Papa - aggiunge Polledri - richiama di fatto l’art. 29 della Costituzione che fonda la famiglia sull’ unione tra uomo e donna. Esiste quindi un ordine, per noi naturale se si vuole stabilire un nuovo concetto di famiglia».
Polledri quindi esorta la sinistra ad aver coraggio e «ad agire sull’art. 29, senza usare scorciatoie che impongono reati d’opinione come la norma anti-omofobia. Questi sono “mezzucci” e il Papa ha ben fatto a ricordare che nell’ordine ci sono le basi della pace. Quindi - conclude - distruggere l’ordine della famiglia, significa incidere sulla pace».

 

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L'istituto fondato sul matrimonio tra un uomo e una donna al centro della riflessione di Benedetto XVI nel messaggio della Giornata mondiale.

 

Il Papa: la famiglia vera "agenzia di pace"

 

Anche all'Angelus ha insistito sullo stesso tema, benedicendo  la "fiaccola" che partirà per la Terra Santa

 

Fausto Gasparroni - Gazzetta del sud, 2 gennaio 2008

È la famiglia, nello specifico «fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna», la «principale "agenzia" di pace»: pertanto «la negazione o anche la restrizione dei diritti della famiglia, oscurando la verità dell'uomo, minaccia gli stessi fondamenti della pace».
Celebrando la 41/a Giornata mondiale della pace con la messa in San Pietro, Benedetto XVI ha ribadito i nodi cruciali del suo messaggio sul tema «Famiglia umana, comunità di pace»: è la «famiglia naturale» basata sul matrimonio, vista come «culla della vita e dell'amore, la «prima insostituibile educatrice alla pace», e quindi indebolirla, minarne i fondamenti, significa mettere ancor più a rischio la pace mondiale.
Anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel messaggio al Pontefice, gli assicura che il tema «è da sempre al centro della sensibilità del popolo italiano» e che l'Italia riconosce nella Carta costituzionale il valore della famiglia indicato dalla Santa Sede.

In una gremita basilica vaticana, concelebrando la solenne liturgia, tra gli altri, con i cardinali Tarcisio Bertone, segretario di Stato, e Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, papa Ratzinger ha sottolineato che la «pace vera» non è «semplice conquista dell'uomo o frutto di accordi politici», ma è «innanzitutto dono divino da implorare costantemente e, allo stesso tempo, impegno da portare avanti con pazienza restando sempre docili ai comandi del Signore».

Un «dono» da invocare, ha detto, nel giorno di Capodanno e «per intercessione di Maria, Madre di Dio» – di cui ieri ricorreva la solennità – «per le nostre famiglie, per le nostre città, per il mondo intero».
Nel suo messaggio, reso pubblico l'11 dicembre scorso, Benedetto XVI tocca anche temi come la corsa al riarmo nucleare, il «funesto» commercio delle armi, il saccheggio delle risorse energetiche dei Paesi poveri che getta «ombre cupe» sul mondo: ieri però si è soffermato in particolare sullo «stretto rapporto che esiste tra la famiglia e la costruzione della pace nel mondo» e quindi sulla necessità di difendere l'istituto familiare tradizionale, così come è riconosciuto dalla Chiesa. «Poiché l'umanità è una "grande famiglia" – ha rilevato –, se vuole vivere in pace non può non ispirarsi a quei valori sui quali si fonda e si regge la comunità familiare».
Ratzinger ha ricordato anche «la provvidenziale coincidenza di varie ricorrenze» che «ci sprona quest'anno ad uno sforzo ancor più sentito per realizzare la pace nel mondo»: i 60 anni dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo dell'Onu, i 40 dalla prima Giornata della Pace, istituita il primo gennaio 1968 da Paolo VI, i 25 dall'adozione da parte della Santa Sede della Carta dei diritti della famiglia. Da qui ha preso spunto per invitare «ogni uomo e ogni donna a prendere più lucida consapevolezza della comune appartenenza all'unica famiglia umana e ad impegnarsi perché la convivenza sulla terra rispecchi sempre più questa convinzione, da cui dipende l'instaurazione di una pace vera e duratura».
Sugli stessi temi è poi tornato all'Angelus, primo del 2008: «chi anche inconsapevolmente osteggia l'istituto familiare rende fragile la pace nell'intera comunità, nazionale e internazionale, perchè indebolisce quella che, di fatto, è la principale agenzia di pace». «Lo stesso amore che costruisce e tiene unita la famiglia, cellula vitale della società – ha ribadito il Papa –, favorisce l'instaurarsi tra i popoli della terra di quei rapporti di solidarietà e di collaborazione che si addicono a membri dell'unica famiglia umana».
In piazza anche i ventimila partecipanti al corteo promosso dalla Comunità di Sant'Egidio. Benedetta dal Papa la «fiaccola della pace» che un maratoneta porterà in Terra Santa per iniziativa del Centro Sportivo Italiano.
Il Papa non ha mancato, infine, di ringraziare il presidente Napolitano per le «espressioni augurali» per il nuovo anno rivoltegli nel messaggio televisivo. «Ricambio ben volentieri il suo augurio – ha detto –, formulando ogni migliore auspicio per la sua alta missione e per la concordia e la prosperità dell'amato popolo italiano».