ITALIA, STATO CANAGLIA?

armi di distruzione di massa NEL NOSTRO

PAESE, che potrebbero essere usate in

 un eventuale attacco all'iran!

(A cura di Claudio Prandini)

 

 

 

INTRODUZIONE

 

«L’Italia di Prodi è uno “stato canaglia”? Sembra l’ennesima provocazione ma non lo è. Perché al pari delle Nazioni che violano il diritto internazionale, anche il nostro Paese ospita sul proprio territorio armi di distruzione di massa in spregio ai trattati. Lo provano per la prima volta alcune foto scattate dalla stessa Us Air Force nella base americana di Aviano (Pordenone), fortunosamente scampate alla censura. Le immagini immortalano una recente esercitazione all’Ispezione sulla Sicurezza Nucleare, che si svolge nelle basi Usa dove sono dispiegate bombe atomiche allo scopo di certificarne operatività e stoccaggio...».

 

Verrebbe quasi voglia di dire: "Bush, ma cosa aspetti a colpire anche noi!? Ma sappiamo che non lo farai mai perché quelle 90 bombe atomiche (900 volte più potenti di quella di Hiroshima), che secondo i trattati internazionali non dovrebbero stare in Italia, sono le tue e che le userai alla bisogna, forse più presto di quanto si possa credere, magari in Iran, sempre in nome della democrazia si capisce!".

 

 

 

 

Il classico fumgo atomico dopo l'esplosione

di una bomba nucleare all'idrogeno

 

 

 

Italia: 'Libero' pubblica

le prove delle atomiche

Usa ad Aviano

 

martedì, 30 gennaio, 2007

 

Nell'edizione di domenica 28 gennaio 2007, il quotidiano "Libero" ha dedicato un'intera pagina ad un'inchiesta di Francesco Ruggeri, nella quale vengono fornite importanti prove a sostegno della tesi, più volte avanzata dai movimenti pacifisti, della presenza di armi atomiche nella Base Usaf di Vicenza (così come in quella italiana di Ghedi). L'autore è riuscito ad entrare in possesso di foto scattate da alcuni soldati statunitensi nel corso di un'esercitazione sulla sicurezza nucleare, svoltasi ad Aviano nel 2002, nonché di documenti contenenti i regolamenti interni sulle operazioni con materiale nucleare.

Il testo completo dell'articolo è pubblicato sul sito www.vialebombe.org, da dove è possibile scaricare anche una copia .pdf ad alta definizione della pagina in questione. "Finora, i vari Governi che si sono succeduti hanno sempre rifiutato di confermare la presenza di ordigni nucleari sul nostro territorio" - nota il Comitato 'Via le Bombe'. "È tempo invece che i cittadini siano adeguatamente informati e che l'Italia si adoperi affinché tutte le armi nucleari presenti nel nostro paese siano smantellate al più presto, come primo passo verso la completa abolizione delle armi atomiche".

"Gli americani hanno il controllo delle bombe ad Aviano, e pure a Ghedi nonostante sia un aeroporto italiano e i nostri Tornado si addestrino a usarle. È così in virtù di un trattato segreto del ’54" - segnala Francesco Ruggeri su 'Libero'. "E dello Shell agreement del ’95, che assegna al comando americano «pieno controllo ull’equipaggiamento Usa». Tutto ciò senza alcuna ratifica parlamentare, come prescriverebbe l’art. 80 della costituzione per i trattati internazionali. E il motivo è lampante. Con la legge 131 del 1975 l’Italia ratificò il TNP, che all’art. II recita: «Ciascuno degli stati non nucleari si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi né il controllo su di essi, direttamente o indirettamente». La legge 185 del '90 e la Corte dell’Aja ci vietano inoltre «importazione e transito di armi nucleari»" - nota sempre Ruggeri su 'Libero'.

Va comunque ricordato al giornalista di "Libero" che quello che chiama "il popolo dei pacifondai" di fatto non "sbaglia bersaglio" perchè da anni i movimenti pacifisti denunciano la presenza illegale di bombe nucleari nelle base americana di Aviano e in quella di Ghedi (Brescia). Tanto che il 22 dicembre 2005, il governo degli Stati Uniti è stato citato in giudizio da alcuni pacifisti pordenonesi con la richiesta che vengano rimosse le armi atomiche presenti ad Aviano, in quanto pericolose ed in contrasto con il Trattato di Non Proliferazione Nucleare, sottoscritto e ratificato dall’Italia, che sancisce l’obbligo per il nostro paese di non ospitare ordigni nucleari e per gli Stati Nucleari, come gli USA, di non dispiegare tali armamenti al di fuori del proprio territorio.

Anche il 2 giugno scorso durante la parata militare in occasione della Festa della Repubblica uno striscione di Greenpeace con la scritta 'Via le armi nucleari dall'Italia' aperto ricordava che, nonostante l'Italia abbia ratificato il Trattato di non proliferazione nucleare sono 90 gli ordigni nucleari Usa-Nato presenti nel nostro Paese e ben 480 in tutta Europa, con una potenza pari a 900 volte la bomba di Hiroshima. La presenza ad Aviano e Ghedi di ordigni nucleari sul suolo italiano è sconosciuta ad oltre il 60 per cento della popolazione italiana, che in percentuale simile è favorevole al loro smantellamento - riportava una ricerca condotta da Greenpeace.

E lo scorso 8 agosto ad un gruppo del Comitato 'Via le Bombe' è stato opposto un cortese quanto netto rifiuto ad entrare nella base di Aviano, motivato dai regolamenti che concedono solo ai parlamentari il diritto di ispezionare le installazioni militari. Ne è nato un dialogo a più voci tra i componenti della delegazione ed il comandante della base, in cui sono stati illustrati le motivazioni che hanno portato alla richiesta di ispezione. In particolare, gli ispettori hanno rivendicato il diritto per tutti i cittadini di conoscere la verità in merito alla presenza di atomiche nella base, esprimendo al comandante la loro convinzione che un simile tema non possa essere sottratto alla sovranità popolare. [GB]

 

 

 

 

Missile nucleare simile a quelli presenti nella base di Aviano

 

 

 

 

LE ATOMICHE AMERICANE

NASCOSTE IN ITALIA

Le basi di Aviano e Ghedi ospitano 90 bombe

 termonucleari,  900 volte più potenti di

quella di Hiroshima

 

Fonte web

 

L’Italia di Prodi è uno “stato canaglia”? Sembra l’ennesima provocazione ma non lo è. Perché al pari delle Nazioni che violano il diritto internazionale, anche il nostro Paese ospita sul proprio territorio armi di distruzione di massa in spregio ai trattati. Lo provano per la prima volta alcune foto scattate dalla stessa Us Air Force nella base americana di Aviano (Pordenone - vedere base dal satellite), fortunosamente scampate alla censura. Le immagini immortalano una recente esercitazione all’Ispezione sulla Sicurezza Nucleare. Che si svolge nelle basi Usa dove sono dispiegate bombe atomiche allo scopo di certificarne operatività e stoccaggio.

Il sospetto che sul suolo italiano fossero rimasti ordigni nucleari anche dopo la Guerra fredda, c’è da tempo. Ma sia i comandi statunitensi che i nostri governi si son sempre rifiutati di ammetterlo. Onde evitare di render conto della violazione del Trattato di non proliferazione (TNP) ratificato dall’Italia in sede Onu. Un imbarazzo tanto più evidente per una classe dirigente di sinistra, che giusto con D’Alema avallò il debutto della nuova generazione di atomiche targate Clinton.

Fuori bersaglio

Il popolo dei pacifondai sbaglia bersaglio. Se si volevano contestare le contraddizioni dell’Unione in tema di servitù militari, il vero obiettivo dovevano essere Aviano e Ghedi (Brescia). Che a differenza della Ederle di Vicenza ospitano illegalmente 90 bombe termonucleari, dalla potenza corrispondente a 900 volte quella di Hiroshima. Si tratta delle B61 bunkerbusting, del modello che armerebbe gli F16 in caso di attacco all’Iran. Peraltro Aviano è attualmente sottoposta a lavori di ampliamento, l’ultima tranche approvata in comune nel 2004 dalla giunta Ds Margherita. E nelle future palazzine troveranno posto proprio i paracadutisti della Ederle sulla via del Medioriente.

Foto sul campo

Della presenza di atomiche nel Belpaese si favoleggia da sempre. Analisti quali Arkin e Norris ne hanno stimato il numero per il Natural resources council. Nessuno è però stato in grado di esibire la pistola fumante. Senonché gli americani hanno una mania per le foto. E ne scambiano di continuo nella community dei veterani. Logico che tra tanti scatti ne sfugga qualcuno compromettente.

Come quello dell’aviere di prima classe Isaac G.L.Freeman, nell’archivio dell’Aeronautica Usa col codice VIRIN 020502-F1443F-001. La didascalia parla chiaro: “Base aerea di Aviano, Italia (AFIE). Avieri del 31mo squadrone del genio civile di stanza qui si preparano all’esercitazione per l’Ispezione sulla sicurezza nucleare (NSI) il 2 maggio (2002). I manager della sicurezza delle armi passeranno in rivista e approveranno tutto l’equipaggiamento, e svolgeranno test operativi per assicurare che gli addetti alla bonifica dell’esplosivo di artiglieria siano mantenuti al riparo dalla contaminazione radioattiva”.

Ecco come l’AFI 91-101 (Air Force Nuclear weapons surety Program) definisce la sicurezza nucleare: «Materiale, personale e procedure che contribuiscono a sicurezza e affidabilità delle armi nucleari e alla garanzia che non ci saranno incidenti, detonazioni non autorizzate o inconvenienti nel raggiungere il bersaglio». La lista delle procedure viene poi riaggiornata. L’ultima volta il 24 ottobre 2006 con la Aviano air base instruction 21-204. La quale, al punto 1.12.7, tradisce la vera natura delle testate quando raccomanda alle unità che si occupano delle volte di deposito (WS3) di «riferirsi al Programma di sicurezza delle armi nucleari AFI 91-101 nel riposizionare o evacuare aerei e armamenti».

Gettando una luce sinistra sul livello di sicurezza al punto 1.11.1: «Il comandante del 31mo gruppo vieta il sorvolo dei rifugi aerei non protetti da WS3 come previsto dal Nuclear surety Program». Le procedure di trasporto seguono la Dir. 60-12 Nuclear surety management for WS3, e l’AFI 11-299 Nuclear airlift operations. Esiste una Nuclear inspection checklist per le Usa Air forces in Europe. Prevenire incidenti nucleari spetta invece al rilevatore ADM 300. In un’altra illuminante foto, scattata sempre ad Aviano dall’aviere Nichole Adamowicz il 22/4/2003 (sigla 030422F9105A004), si vede il serg. Timothy Vaughn mentre “calibra il kit dell’ADM 300 per la scoperta di radiazioni, prima di testare gli assetti speciali della Air Force”.

L’inaugurazione del ’96

L’ispezione nucleare inaugurale del 31mo fu effettuata con successo sotto il primo governo Prodi a maggio ’96. A seguito di una crisi in cui gli Usa minacciarono la Libia con le B61. Anche la prima ispezione a Ghedi ebbe luogo sotto Prodi (giugno ’97). La decisione di tenere 480 testate in 8 basi europee fu di Clinton con direttiva NSC74. Nell’aprile 1999 il governo D’Alema sottoscrisse, senza sottoporlo al parlamento, un accordo sulla pianificazione nucleare collettiva Nato, stabilendo che «l’alleanza conserverà forze nucleari adeguate in Europa». Nel solco della dir. 60 clintoniana sull’uso di atomiche contro «governi e soggetti non statali che minaccino Usa e alleati con armi di distruzione di massa».

Trattato segreto

Quanto alla giurisdizione, gli americani hanno il controllo delle bombe ad Aviano, e pure a Ghedi nonostante sia un aeroporto italiano e i nostri Tornado si addestrino a usarle. È così in virtù di un trattato segreto del ’54. E dello Shell agreement del ’95, che assegna al comando americano «pieno controllo sull’equipaggiamento Usa». Tutto ciò senza alcuna ratifica parlamentare, come prescriverebbe l’art 80 della costituzione per i trattati internazionali. E il motivo è lampante. Con la legge 131 del 1975 l’Italia ratificò il TNP, che all’art. II recita: «Ciascuno degli stati non nucleari si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi né il controllo su di essi, direttamente o indirettamente». La legge 185 del '90 e la Corte dell’Aja ci vietano inoltre «importazione e transito di armi nucleari».

Le B61, aldilà del «mancato disarmo completo a una data vicina», cui impegnava noi e gli Usa l'art. VI del TNP, costituiscono una proliferazione: essendo l’ultima covata di atomiche tattiche dispiegate dopo il crollo dell'Urss. Vigilare toccava agli ispettori dell’Aiea. Forse troppo distratti da Saddam.

 

 

 

Equipaggiamenti speciali contro le radiazioni durante le esercitazioni ad Aviano

 

 

Equipaggiamenti speciali contro le radiazioni I soldati del 31mo squadrone del genio civile Usa si preparano all’esercitazione per l’ispezione sulla sicurezza nucleare (foto sopra), utilizzando anche rilevatori di radiazioni. Nella base di Aviano sono custodite armi nucleari simili al missile nella foto sopra.

L’accordo del dopoguerra La base di Aviano si trova a circa 13 chilometri a nord di Pordenone. Nel 1954 i governi italiano e americano siglano un accordo per l’utilizzo congiunto e, nel ’55, il Quartier Generale delle operazioni Usa in Europa si sposta da Udine ad Aviano.

Sette aree La base si sviluppa in sette aree, che includono il 16esimo Comando aereo, la linea di volo, e vari depositi di armamenti.

Desert Storm Aviano, divenuta nel corso degli anni un importante deposito di materiali militari e da guerra, ha giocato un ruolo importante nella prima Guerra del Golfo, nell’operazione Desert Storm. Nel ’92, il 401esimo squardone si trasferisce qui da Torrejon, Spagna. Nel ’94 il 401esimo viene “chiuso”, e lascia il posto al 31esimo, che è tuttora di stanza.

Direttiva interna A destra, la direttiva interna al comando americano della base, risalente al 24 ottobre 2006, dove si specificano gli ultimi aggiornamenti delle procedure necessarie alla sicurezza per la custodia degli armamenti nucleari custoditi nei depositi sotterranei.

 

 

 

 

APPENDICE

 

1

 

 

Le lancette del Doomsday Clock ancora

più vicine alla mezzanotte.  Rete Disarmo

si unisce alla preoccupazione internazionale

Fonte web

COMUNICATO AI MEDIA – Roma, 17 Gennaio 2007 *** Le lancette del Doomsday Clock ancora più vicine alla mezzanotte. Rete Disarmo si unisce alla preoccupazione internazionale. The Bulletin of Atomic Scientist: cresce il rischio di guerra nucleare Lancette portate avanti di due minuti, ne mancano 5 alla la mezzanotte Oggi, 17 gennaio 07, alle ore 15.30 (ora italiana), l'annuncio ufficiale con due conferenze stampa in contemporanea a Washington e Londra. "Doomsday", in inglese, sta per “giorno del giudizio”, “fine del mondo”.

Il Doomsday Clock, con le sue lancette che vengono periodicamente avvicinate o allontanate dalla mezzanotte, è ormai da sessant'anni il più famoso indicatore del pericolo di una guerra nucleare. Aggiornato periodicamente dall'autorevole Consiglio Direttivo del "Bulletin of the Atomic Scientists", ha raggiunto i suoi picchi nel 1953, all'epoca dei primi test Usa/Urss della bomba H (due minuti alla mezzanotte) e nel 1984, con la corsa agli armamenti scatenata da Ronald Reagan (tre minuti alla mezzanotte). Il 1991 è invece l'anno in cui le lancette sono state spostate più indietro, a ben 17 minuti dalla mezzanotte. Era l'epoca della caduta del Muro, di Gorbaciov e della fine della guerra fredda.

Da allora, però, il rischio nucleare, lungi dallo scomparire, è tornato pian piano a crescere. Successivi spostamenti, nel '95, '98 e 2002, hanno riportato le lancette a 7 minuti. “Il pericolo di una seconda era nucleare e le conseguenze dei cambi climatici portano al Doomsday Clock più vicino alla mezzanotte” è la lapidaria dichiarazione iniziale del comunicato rilasciato. Oggi, 17 gennaio, è stato annunciato ufficialmente un nuovo spostamento, di due minuti, di avvicinamento alla mezzanotte. Mancano ora “cinque minuti virtuali” al momento della mezzanotte. In pratica le lancette sono state riportate ai livelli dei periodi più bui della guerra fredda.

L’organismo internazionale degli scienziati, nel prendere la decisione di questo spostamento, si è focalizzato su due punti principali: il pericolo di 27.000 testante nucleari (di cui almeno 2.000 possono partire nel giro di pochi minuti) e la distruzione degli habitat umani a causa del cambio di clima. A commento di questa decisione Martin Rees, presidente della Royal Society ed astrofisica di fama mondiale ha dichiarato: “Le armi nucleari pongono ancora la più catastrofica ed immediata minaccia per l’umanità, ma anche il cambio di clima può potenzialmente portare alla fine della civiltà da noi conosciuta”. In questa situazione, sono più urgenti che mai netti segnali di discontinuità da parte di tutti i paesi amanti della pace.

L'Italia potrebbe avere un ruolo di primo piano in questo, se solo avesse il coraggio di scelte precise:

1) Chiedere l'immediato smantellamento di tutte le atomiche ancora presenti nel nostro paese (50 ad Aviano, 40 a Ghedi), in violazione del Trattato Internazionale di Non Proliferazione Nucleare;

2) Rifiutare qualsiasi transito di ordigni nucleari sul territorio nazionale, comprese le acque territoriali, e quindi vietare l'accesso ai nostri porti a navi e sommergibili a propulsione nucleare o dotati di armamenti nucleari;

3) Congiuntamente con gli altri paesi dell'Alleanza Atlantica, rimettere in discussione la politica NATO del "Nuclear Sharing", che – lungi dall'aumentare la sicurezza delle popolazioni - è un enorme fattore di instabilità a livello planetario;

4) Come minimo, congelare qualsiasi richiesta di ampliamento e ristrutturazione delle basi statunitensi nel nostro paese. In questo contesto, consideriamo inaccettabile la decisione del governo di ratificare l'ampliamento della Base USA di Vicenza.

Le indicazioni particolari per l’Italia che noi avanziamo si armonizzano pienamente con i consigli e le proposte avanzati proprio oggi dal Bullettin of Atomic Scientist:

1) Ridurre la prontezza di lancio delle forze di USA e Russia, rimuovendo completamente le armi nucleari dalle operazioni militari ordinarie;

2) Ridurre il numero complessivo delle testate nucleari smantellando e distruggendo almeno 20.000 testate entro i prossimi 10 anni;

3) Fermare la produzione di materiale per armamento nucleare, tra cui uranio arricchito e plutonio, sia in ambito militare che civile;

4) Iniziare una seria e onesta discussione sull’espansione della potenza nucleare nel mondo. La Rete Disarmo ha in programma azioni e mobilitazioni sul tema del disarmo nucleare per i prossimi mesi ed intende costruire, con molte forza impegnate su questi temi, una campagna nazionale di pressione per un vero disarmo nucleare che parta anche dal nostro paese.

 

 

APPENDICE

 

2

 

 

"Iran, attacco sarebbe disastro"

Rapporto britannico lancia l'allarme

Un attacco militare Usa all'Iran costituirebbe un disastro inimmaginabile, non solo regionale: lo sostiene un rapporto congiunto di 15 organizzazioni britanniche, anticipato in parte da organi di stampa. Dopo le affermazioni in questo senso contenute in una lettera firmata da tre ex generali americani e pubblicata dal Sunday Times, il rapporto mette in guardia su eventuali attacchi terroristici nei paesi occidentali.

Gli Stati Uniti accusano l'Iran di operare per realizzare l'arma nucleare e di favorire instabilità in Iraq e Medio Oriente. Ma, secondo il rapporto, un attacco sarebbe deletario e ben altre le strade che dovrebbero essere imboccate. Le raccomandazioni del rapporto includono la ricerca di un compromesso sulle precondizioni per il dialogo, come l'insistenza perchè l' Iran sospenda l'arricchimento dell'uranio, o la loro rimozione; la possibilità di un dialogo diretto tra Iran e Stati Uniti; l'ampliamento del pacchetto di incentivi offerti dalle maggiori potenze del mondo all' Iran nel giugno scorso per la sospensione delle sue attività nucleari.

''Le conseguenze di un'azione militare contro l'Iran non sono soltanto sgradevoli, sono assolutamente non prevedibili", ha detto il direttore del Foreign Policy Center - primo ente dei 15 firmatari del rapporto - Stephen Twigg. ''Anche secondo le peggiori stime, l'Iran è ancora lontano anni dal possedere un'arma nucleare. C'è ancora tempo per il dialogo''. Sir Richard Dalton, ambasciatore britannico a Teheran dal 2002 al 2006, ritiene che sarebbe ''vitale per gli Stati Uniti coinvolgersi profondamente nella diplomazia creativa. Il ricorso all'azione militare - diverso dalla legittima autodifesa - non solo probabilmente non funzionerà, ma sarà un disastro per l'Iran, la regione e molto probabilmente per il mondo intero''.

Il rapporto - firmato, tra gli altri, da Oxfam e dal Consiglio Musulmano di Gran Bretagna - sostiene che tra le conseguenze non volute di un attacco all'Iran sono da considerare il rafforzamento delle posizioni dei duri all'interno del sistema politico iraniano e l'arretramento sulla strada delle riforme. Potrebbe inoltre essere aperta la strada ad attacchi terroristici nei paesi occidentali. ''Io penso che i nostri responsabili devono ancora valutare tutte le conseguenze di un attacco militare contro l' Iran'', ha affermato Ali Ansari, direttore dell' Istituto di Studi Iraniani dell' Universita' di St. Andrews. ''L'opinione di alcuni a Washington, secondo i quali tutte le opzioni diplomatiche e politiche siano esaurite, è un chiaro nonsenso che bisogna contrastare''.

 

 

 

APPENDICE

 

3

 

 

Un'americana CHE VIVE a Tehran

l'aria che tira tra la gente COMUNE

 

Fonte web

View from Iran è il blog anonimo di una donna americana che vive a Tehran dal 2003 insieme al marito iraniano. Dal suo arrivo gestisce un diario online scrivendo di politica, di censura, di tradizione, e della vita quotidiana in un paese che si sente costantemente sotto assedio. Ne esce il ritratto di un popolo orgoglioso, spesso non allineato alla politica del suo Presidente Ahmadinejad e fortemente spaventato dalla possibilità di un attacco americano (che prevede anche l'uso di ordigni nucleari come quelli stoccati ad Aviano per distruggere i laboratori atomici sotterranei dell'Iran, n.d.r.) come racconta il post pubblicato qualche giorno fa.

“Pensi davvero che scoppierà la guerra?”, Keivan, da qualche giorno, inizia così tutte le sue conversazioni. Come biasimarlo, è la terza volta da quando siamo in Iran che la gente ha seriamente paura di essere attaccata.

“Per favore quando torni in America” mi dice un uomo che vende spezie “dì al tuo popolo di non colpirci”. Il poveretto è doppiamente preoccupato perché il suo negozio è appena a un chilometro da un’industria bellica. “Lo zafferano costava 335 mila toman al chilo la settimana scorsa, ieri è salito a oltre un milione”. Pensavo che in caso di guerra si facesse scorta di scatolette di tonno non di zafferano.

“Ci sono 18 milioni di soldati pronti a fare la guerra se saremo attaccati”, ci dice un taxista. “Ah si? E dove?” risponde Keivan. Fidatevi, l’occidente sottostima il patriottismo iraniano e sovrastima il legame della popolazione con Ahmadinejad, mentre Israele sovrastima le possibilità di un attacco nucleare iraniano sul suo territorio e sottostima la paura che si ha della sua risposta. Nonostante le difficili relazioni fra Sciiti e Sunniti, tutti i musulmani vivrebbero l’aggressione all’Iran come l’ennesima dimostrazione dell’accanimento di Israele nei confronti del mondo islamico. Sono certa che un attacco non renderà Israele, l’America, e nessuno stato arabo più sicuro. Piuttosto avverrà il contrario.  “Ma va’, l’Iran non userà nessuno dei suoi missili Shahab”, mi dice un amico, “se lo facesse sarebbe l’inizio della terza guerra mondiale perché colpirebbe non solo Israele ma anche alcuni dei paesi confinanti”. Tutti scoppiano in una risata nervosa, poi si recano come ogni giorno al lavoro, accumulando zafferano e scatolette di tonno.