EMANUELA ORLANDI,

RAPITA PER RICATTARE IL PAPA

CHE VENIVA DALL'EST?

 

I FATTI CHE HANNO SEGNATO UN PAPATO

E UN'EPOCA DELLA NOSTRA STORIA

 

“Satana è entrato in Vaticano!”

(Giovanni Paolo II)

 

L'appello audio del Papa del 3/7/1983
 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

IL VATICANO ERA PIENO DI SPIE AL SERVIZIO DEL KGB E ANCHE IL SUO APPARTAMENTO PRIVATO ERA IMBOTTITO DI MICRO-SPIE. IL PAPA ERA  MOLTO SOSPETTOSO E SI FIDAVA SOLO DEI POLACCHI.

FRA LE  SPIE CHE PREPARARONO IL RAPIMENTO DELL'ORLANDI C'ERANO IL MONACO BENEDETTINO EUGEN BRAMMERTZ, ALOIS ESTERMANN, CAPITANO DELLE GUARDIE SVIZZERE, CHE POI MORÌ IN MODO MISTERIOSO NEL 1998 E UN NIPOTE DEL CARD. CASAROLI.

AD ACCRESCERE ANCORA DI PIÙ IL MISTERO DI QUESTA VICENDA FARÀ LA SUA COMPARSA "L'AMERIKANO", CON 16 TELEFONATE ALLA FAMIGLIA ORLANDI RIMASTE ANONIME E CHE FARANNO BALENARE NEGLI INVESTIGATORI ITALIANI L'IPOTESI DELL'ENTRATA IN CAMPO ANCHE DELLA C.I.A. AMERICANA.

OLTRE A TUTTO QUESTO CI SARÀ ANCHE LA RETICENZA DA PARTE DEL VATICANO NEL FORNIRE INFORMAZIONI UTILI ALLA POLIZIA ITALIANA. 

 

 

 

 

 

 

 

 

CASO ORLANDI

NON SOLO EMANUELA

di Ferdinando Imposimato

A un quarto di secolo è sempre attuale il caso delle giovani rapite poco dopo l'attentato al Papa, su cui indagò proprio Ferdinando Imposimato che in queste pagine (è anche avvocato della famiglia Orlandi) mette insieme i tasselli di un mosaico ancora misterioso. Fra lupi grigi e servizi d'oltrecortina, ecco la storia dei primi due obiettivi “mancati”.

Fonte web

Il rapimento di Emanuela Orlandi non avvenne all'improvviso: fu l'epilogo di un vasto complotto, definito dagli agenti segreti della Stasi “Operation Papst”, elaborato prima del 13 maggio 1981, ma attuato dopo l'attentato a Giovanni Paolo II. Fallito l'attentato, i congiurati ripiegarono sugli attacchi trasversali al Papa: l'arma scelta era costituita dai sequestri di cittadini vaticani in eta' adolescenziale. Il Papa sarebbe stato colpito molto piu' di un attacco diretto contro di lui o contro un principe della chiesa. I terroristi, con il rapimento dei cittadini vaticani, tendevano ad un duplice obiettivo: colpire il Papa e conquistare la fiducia di Ali' Agca per indurlo a distruggere il processo contro i bulgari ed i lupi grigi, che sarebbe iniziato nel 1985 davanti alle tivvu' di tutto il mondo. E rischiava di diventare un atto di accusa contro l'Unione Sovietica e la Bulgaria con enorme impatto mediatico.

Nello stesso tempo i congiurati avrebbero fatto capire ad Agca che volevano aiutarlo richiedendo la sua liberta' in cambio di quella di cittadini rapiti in Vaticano, che, con il papa polacco, aveva “dichiarato guerra” all'Unione Sovietica ed ai paesi socialisti. In questa operazione i servizi dell'Est infiltrati nella Citta' del Vaticano erano all'opera da tempo, pedinando possibili ostaggi con minuziose “inchieste”. La rete di spie creata da Yuri Andropov, capo del Kgb, fin dal 1970 nelle mura leonine si era messa in moto con efficacia e riserbo.

Che un piano del genere esistesse era evidente: Agca aveva rivelato, subito dopo la cattura e prima del sequestro di Emanuela, la strategia del ricatto dei suoi associati: «I miei complici mi hanno promesso che, se fossi stato arrestato, avrebbero tentato di farmi evadere, e se cio' fosse stato impossibile, avrebbero sequestrato qualche persona per chiedere lo scambio». Era una tecnica che i terroristi di tutto il mondo avevano sperimentato con successo. Ma e' possibile che il Kgb e i servizi segreti bulgari si fossero ridotti a rapire degli innocenti per condurre la loro guerra disperata e ormai persa per salvare l'impero? Si', se si guarda al loro passato. I sequestri di persona erano strumenti abituali di lotta politica per il Kgb ed i bulgari. La loro esecuzione veniva affidata a gruppi terroristici spesso di destra impegnati contro i nemici “imperialisti”: essi utilizzavano i lupi grigi. A queste operazioni spesso prendeva parte, nella fase esecutiva, il servizio segreto bulgaro, che si distingueva per efficienza e ferocia.

MISTERI BULGARI

Nel 1974 il “disertore” bulgaro Boris Arsov aveva osato attaccare Teodor Zhivkov, presidente della Bulgaria. La vendetta fu immediata: dopo alcuni giorni spari' dal suo appartamento in Danimarca. Due mesi dopo ricomparve arrestato a Sofia dove fu condannato a 15 anni di carcere. Non avevano problemi sia nella cattura che nel passaggio alle frontiere. Il governo di Sofia durante il processo contro Arsov ammise che l'uomo era stato rapito dai servizi bulgari. Nel 1975 Arsov fu trovato morto nella sua cella: assassinato. I bulgari fecero palesemente il sequestro, il processo e l'assassinio in carcere per dare un avvertimento ai molti transfughi del regime.
Ma ci fu un altro episodio analogo. Il ministro dell'Interno bulgaro Dimitar Stojanov, nel 1978, con l'aiuto del Kgb riusci' a liquidare il disertore Sergey Markov che viveva a Londra, facendolo uccidere da un agente segreto con un ombrello dalla punta avvelenata (archivio Mitrokhin di C. Andrew e V. Mitrokhin). Kgb e bulgari erano soliti lavorare insieme nelle operazioni speciali, colpendo gli obiettivi anche all'estero, sequestrandoli e trasportando gli ostaggi in qualunque paese con Tir diplomatici.
Identico apparato criminale fu impegnato nella cattura di alcuni cittadini vaticani, dopo un'inchiesta accurata su molti obiettivi possibili dentro e fuori del Vaticano. La ricerca delle vittime fu compiuta da “agenti” infiltrati all'interno delle mura leonine: il monaco benedettino Eugen Brammertz, agente della Stasi, il capitano delle guardie svizzere Alois Estermann, altro agente della Stasi (uno dei tre morti misteriosi del 4 maggio ‘98 in Vaticano), due agenti del Kgb infiltrati nell'entourage del cardinale Agostino Casaroli (il nipote Marco Torretta e la moglie Irene Trollerova, ceca) e denunziati dai servizi cechi dopo la caduta del muro di Berlino, e due giornalisti dell'Osservatore Romano appartenenti anch'essi alla Stasi. Che Brammertz e Estermann fossero al servizio di Berlino Est lo disse anche Markus Wolf, capo della Stasi, anche se poi cerco' di ritrattare. «Se quegli agenti lavoravano con noi e' impossibile che non abbiano partecipato al sequestro Orlandi», mi rivelo' a Berlino Gunter Bohnsack, ex colonnello della Stasi e braccio destro di Wolf.
Il compito degli infiltrati era preciso: individuare giovani rampolli di famiglie vaticane piu' legate al Santo Padre. La cui sorte avrebbe sicuramente prodotto un risultato: scuotere la volonta' di lotta del Papa contro Mosca e dissuaderlo dall'ostinata decisione di ritornare nel giugno del 1983 in Polonia a sostenere Solidarnosc contro l'Unione Sovietica. La risposta da Roma fu tempestiva. Vennero esclusi i sacerdoti anche di rango elevato. Il loro sequestro non avrebbe scosso Giovanni Paolo II. Al contrario, sarebbe servito ad esaltare il martirio della Chiesa senza piegare il Papa. Che anzi si sarebbe scatenato per condannare i colpevoli e indicarli alla pubblica esecrazione.

Non c'era alternativa. Bisognava puntare su famiglie legate al Papa. Nel cui ambito bisognava mirare a prendere giovani vittime, ragazze vaticane la cui scomparsa poteva scuotere l'orgoglio e la resistenza ferrea del Papa ad ogni attacco. Nell'annuario pontificio della Santa sede vi erano tre collaboratori laici del Pontefice indicati come “familiari del Papa”; due di essi abitavano in una palazzina che dava su piazzetta Sant'Egidio ed era esposta alla vista di una finestra dell'Osservatore romano: in quella stanza lavorava il monaco benedettino, Brammertz, venuto in Vaticano nel 1977 dopo una lunga permanenza in Unione Sovietica. Le fonti vaticane furono concordi su tre nomi molto cari al Santo Padre. Nel seguente ordine: Angelo Gugel, aiutante di camera, Camillo Cibin, capo della vigilanza vaticana, e Ercole Orlandi, commesso capo del Vaticano. Tre nomi quasi sconosciuti agli italiani, ma non a coloro che vivevano nelle mura leonine.

L'ex-giudice Ferdinando Imposimato

I VERI OBIETTIVI

Ma i capi delle famiglie prescelte non dovevano essere gli obiettivi diretti delle operazioni. La loro vita era gia' consacrata al Santo Padre, pronta anche al sacrificio estremo. Per la loro morte o la loro scomparsa il Papa avrebbe sofferto ma non avrebbe ceduto di un millimetro ad alcun ricatto. Occorreva puntare sulle loro figlie piu' giovani, adolescenti, creature innocenti ed ignare, la cui scomparsa avrebbe sconvolto i genitori, la pubblica opinione dentro e fuori la citta' di San Pietro e soprattutto Giovanni Paolo II. Che avrebbe provato un forte senso di colpa per la scomparsa di una o piu' cittadine vaticane avvenuta in odio a lui. Per quelle giovani vite, senz'altra colpa che di avere la cittadinanza vaticana e di essere membri di famiglie legate al Papa, il forte, irriducibile polacco si sarebbe dovuto piegare al ricatto. Avrebbe compreso che quegli ostaggi erano vittime innocenti della sua “politica” temeraria verso i paesi socialisti. E non poteva essere insensibile alla loro sorte, che sarebbe stata tragica. La sola scelta sarebbe stata non la linea della “fermezza” ma quella del dialogo con i sequestratori. E del cedimento al ricatto. Come poi avvenne.
Sulla scelta dei bersagli Mosca diede il suo benestare. Il Kgb lesse le relazioni degli agenti segreti dal Vaticano ed approvo'. Le figlie di Gugel e la figlia di Cibin apparvero prede preziose per il ricatto al Pontefice. Gli agenti interni al Vaticano lavorarono con precisione. E raccolsero informazioni dettagliate sulle giovani figlie di Angelo a nome Raffaella e Flaviana. Abitavano con il padre in palazzo Sant'Egidio, al terzo piano. Nello stesso edificio, a pochi metri dall'Osservatore, abitava Emanuela Orlandi.

Il progetto prevedeva la cattura contemporanea di piu' cittadini vaticani, che sarebbero diventati “prigionieri politici” da scambiare con Agca. Ma la Lubjanka di Mosca (il “Centro”, cuore del Kgb) si rese conto che il sequestro contemporaneo di piu' cittadine vaticane sarebbe stato difficile. La scomparsa di una avrebbe messo in allarme il microcosmo vaticano. Gli altri bersagli avrebbero reagito subito; e si sarebbero attrezzati contro la loro aggressione. Occorreva, dunque, puntare tutto su un bersaglio privilegiato: Raffaella Gugel, una ragazza di 15 anni, alta, bruna, sorridente, simpatica, molto amata dal padre. Che era un familiare di Giovanni Paolo II. Per anni la famiglia Gugel aveva abitato al quartiere San Paolo, ma da quando Angelo Gugel divenne aiutante del Papa, la famiglia si era trasferita in Vaticano, al terzo piano del palazzotto sulla piazzetta Sant'Egidio.

Raffaella Gugel frequentava l'istituto commerciale Vincenzo Gioberti in corso Vittorio Emanuele. Vi si recava tutte le mattine con il bus 64 e con un altro mezzo. Brammertz, dalla finestra sulla piazzetta Sant'Egidio, aveva notato da tempo Raffaella. Che sembrava attenta e diffidente: usciva a passo svelto dal palazzo, saltava i tre gradini all'ingresso, percorreva pochi metri, attraversava l'archetto del “rammendo degli arazzi”, imboccava via del Pellegrino e proseguiva a sinistra per via del Belvedere, che conduceva a porta di Sant'Anna. Varcata la quale si dirigeva in piazza della citta' leonina al capolinea del 64. Raffaella era un bersaglio ideale per gli amici di Agca. Colpire lei significava colpire Gugel, colpire Gugel significava colpire il Papa, che considerava il suo aiutante di camera l'uomo piu' devoto e fedele tra quelli che lo circondavano. Gugel era l'uomo ombra di Giovanni Paolo II, il servitore umile e silenzioso, l'assistente personale di Sua Santita', il simbolo della dedizione assoluta al monarca della Chiesa.
Gugel e' il vero padrone dell'appartamento privato di Giovanni Paolo II, quello da cui e' solito affacciarsi il Papa ogni domenica per impartire l'apostolica benedizione urbi et orbi. Brammertz sapeva che Gugel conosceva le debolezze umane del Pontefice, le sue simpatie ed antipatie per coloro che lo circondavano, le sue piu' recondite ambizioni, i suoi gusti, la sua tendenza a diffidare di tutti, tranne dei polacchi. Gugel accompagnava il Papa dappertutto, in Italia ed all'estero e lo difendeva dagli assalti dei fedeli piu' invadenti senza mai travalicare il limite della correttezza e del rispetto.

Angelo Gugel era colui che aveva sfidato i proiettili dei sicari il pomeriggio del 13 maggio ‘81, il primo a soccorrerlo in Piazza San Pietro, ad organizzare il suo trasporto al Gemelli, mentre il Papa perdeva sangue, ad assisterlo e a rincuorarlo: in breve a salvargli la vita. I medici del pronto soccorso dissero al cardinale Casaroli: «Pochi minuti di ritardo ed era morto». Gugel andava colpito nel suo affetto piu' grande, Raffaella. Poi, sarebbe stato lui stesso fattore di pressione sul Pontefice di Roma. Egli provava un affetto enorme per Raffaella: la balbuzie appena accennata della bambina la rendeva infelice. La scomparsa di Raffaella avrebbe sconvolto il padre e il Papa. Brammertz conosceva bene i rapporti tra Raffaella e Angelo Gugel, e tra questi ed il Papa: le sue indicazioni erano precise e preziose per Markus Wolf ed il Kgb. La cattura di Raffaella Gugel interessava anche per un'altra ragione: la ragazza probabilmente sapeva cose riservate sulla vita del Pontefice polacco. Il giudice Rosario Priore era convinto che di una parte di quei segreti era probabilmente a conoscenza anche Raffaella Gugel, intelligente e curiosa.

IL PEDINAMENTO

Il pedinamento di Raffaella avvenne probabilmente da parte di un lupo grigio: inizio' a bordo del 64, la ragazza si accorse che una persona la seguiva. Ogni giorno un giovane dall'aspetto levantino saliva alla fermata successiva a quella in cui lei prendeva il bus. E a bordo la osservava. L'uomo aveva un certo fascino esotico. La sua attenzione venne subito percepita da Raffaella con sospetto. La ragazza intui': non si trattava di un corteggiatore o un maniaco. L'uomo era troppo grande per la sua eta' e non le si avvicinava, sembrava interessato a seguirla senza essere notato. Quando Raffaella scendeva in corso Vittorio - a pochi metri dal luogo della scomparsa di Emanuela - anche lui scendeva. E quando lei si fermava, anche lui si fermava, restando a distanza. L'uomo era affascinante, alto 1,80, snello, elegante, capelli neri, ricci, occhi neri. «Sembrava un turco», raccontera' la ragazza al padre. Il sospetto di Raffaella sulle intenzioni dello sconosciuto era alimentato da un fatto preciso: il padre l'aveva messa in guardia contro il pericolo di un sequestro.

«Dopo alcuni giorni dall'attentato del terrorista turco - raccontera' Raffaella ai carabinieri - mio padre mi disse di stare attenta per la strada, perche' nella Citta' del Vaticano erano circolate voci di un possibile rapimento di una cittadina vaticana da barattare con Ali' Agca». Cosa era successo? Come per l'attentato, anche questa volta un uomo dei servizi francesi, inviato dal capo dello Sdece, il marchese Alexander De Marenches, aveva informato la segreteria di Stato del Vaticano del progetto del Kgb di rapire un cittadino vaticano. Lo scopo era quello di liberare il terrorista turco mediante lo scambio con un ostaggio “politico”. L'informazione giunse a Angelo Gugel e a Camillo Cibin. Essi presero le precauzioni necessarie a difesa delle loro figlie. Gugel avverti' Raffaella e le disse: « Raffaella, sta attenta quando vai a Roma; qualcuno potrebbe rapirti per chiedere la liberazione di Agca». Ma Raffaella fu incredula: «Nessuno mi conosce a Roma, tranne i compagni di scuola», osservo'. Ma Gugel sapeva che il pericolo era reale. «Diffida di tutti, fammi sapere se noti qualcosa di strano, ma non parlare con nessuno di quello che ti ho detto». Gugel allerto' la Guardia Svizzera. Alois Estermann capi' che il piano contro Raffaella stava per svanire.

 

Il 10 aprile 1994 Ercole Orlandi dichiarò: "Siamo vittime di un'oscura ragion di stato. Un tarlo ci rosicchia: non capiamo il perché di questa tragedia. Ci devono dire qual era la trattativa. Chi erano le parti in causa? [...] Quel personaggio con l'accento americano, sapendo che il nostro apparecchio era sotto controllo, non faceva durare la telefonata più di sei minuti. Doveva avere un timer. Spaccava il secondo e agganciava. Nostra figlia è stata rapita da un'organizzazione così potente, così efficiente, che non aveva nessun timore degli inquirenti italiani. È un intrigo internazionale. Dietro la scomparsa di Emanuela si sono mossi grossi apparati. Servizi segreti ma non italiani. Centrali di spionaggio straniere, ben organizzate, ben protette, con infinità libertà di movimento. Che dire... CIA, KGB...".

Quanto alle telefonate, Ercole Orlandi ricordò che l'Amerikano gli aveva detto che era inutile tentare di registrarle perché, se avesse voluto, avrebbe potuto far apparire le chiamate in quindici posti diversi. Secondo indiscrezioni riportate dall'Indipendente, una volta gli investigatori erano riusciti a isolare le prime quattro cifre delle telefonate, che risultarono essere partite dall'Ambasciata Americana di via Veneto. Il quotidiano dedusse, di conseguenza, che il telefonista si serviva di un apparecchio interno all'ambasciata oppure riusciva a far "rimbalzare" le chiamate sul suo centralino. Comunque, quale che sia la teoria "giusta", è indubitabile che la sera del 22 giugno 1983, in casa Orlandi, tutto finì.

 

SILENZI VATICANI

Le precauzioni adottate da Raffaella costrinsero coloro che speravano di prendere la ragazza prima della partenza del Papa per la Polonia a rinunciare al progetto e a puntare su un altro obiettivo: Emanuela Orlandi. Gugel non rivelo' a nessuno dei cittadini vaticani il progetto di rapimento; ne' parlo' del pedinamento della figlia, neppure a Ercole Orlandi che incontrava tutti i giorni, vivendo egli nello stesso edificio al piano superiore. Non disse che aveva preso misure drastiche per proteggere Raffaella. Per qualche giorno la fece seguire da un agente della vigilanza vaticana, che pero' non si accorse di nulla. Poi le fece cambiare scuola, le vieto' di andare in palestra e di frequentare gli amici a Roma. Gugel mise in guardia anche l'altra figlia, Flaviana, che si fece tingere i capelli e cambio' scuola e abitudini di vita. Ma tutto avvenne sempre in silenzio e senza dire nulla a nessuno. La regola del riserbo ha qualcosa di patologico per il Vaticano.

I Gugel, pur abitando nello stesso palazzo, si guardarono bene dal parlare agli Orlandi del progetto di sequestro di cittadini vaticani ad opera di terroristi. Il silenzio di Angelo fu criticato da Giampaolo Gusso, impiegato del Vaticano, anche lui abitante nella palazzina Sant'Egidio. Dira' Gusso a Gugel: «Sei stato fortunato. I rapitori, se avessero preso Raffaella, avrebbero centrato l'obiettivo, trattandosi della figlia dell'aiutante di camera del Papa». E lo rimprovero': «Era tuo dovere darne avviso alla famiglie che vivono in Vaticano».

Il vigile vaticano Antoniazzi rivelo' un episodio sospetto accaduto ancor prima del pedinamento di Raffaella. Era la primavera del 1982. Antoniazzi racconto' ai Carabinieri del Reparto Operativo di Roma: «Ricordo che prima che accadessero gli episodi relativi al pedinamento di Raffaella Gugel, anche il signor Camillo Cibin, mio capoufficio come responsabile della Vigilanza Vaticana, espresse in privato analoga preoccupazione nei riguardi sia della moglie e sia della figlia. Tale preoccupazione era motivata dal fatto che moglie e figlia erano state probabilmente pedinate. Cio' scaturiva da una serie di circostanze in cui Cibin aveva ritenuto che i familiari “fossero oggetto di particolare attenzione” da parte di sconosciuti».
E dunque le famiglie Gugel e Cibin, le piu' vicine al Papa riuscirono ad evitare i sequestri: esse erano state avvertite da agenti francesi del pericolo di un sequestro. La stessa cosa non accadde per Emanuela Orlandi e per la sua amica Mirella Gregori, rapite (Mirella il 7 maggio ‘83, Emanuela il 22 giugno ‘83) e mai ritrovate. Racconteremo la loro storia nel prossimo numero della Voce. Intanto la magistratura romana (pm Simona Maisto e Italo Ormanni), indaga.
 

 

Giovanni Paolo II con Alì Agca, il suo attentatore

 

 

 

 

Era pieno di microspie
l’appartamento privato del Papa

«Persino quando era in ospedale, le sue conversazioni erano ascoltate», scrive Imposimato - Alì Agca sparò al Pontefice per conto del Kgb» - «Emanuela Orlandi, rapita oltre vent’anni fa, è viva e sta in Turchia» - «I comunicati dei Lupi Grigi venivano dai servizi della Germania Est»

Fonte web

Microspie in una vecchia radio nella camera da pranzo di Papa Giovanni Paolo II; microspie in una statuina nell’appartamento privato del cardinale Agostino Casaroli, in quegli anni Segretario di Stato della Santa Sede; una pletora di spie dell’ex Patto di Varsavia nei palazzi apostolici (primo tra tutti Alois Estermann, l’ex capo delle Guardie Svizzere morto ammazzato insieme alla moglie e a Cédric Tornay nel maggio del 1998); Emanuela Orlandi, la quindicenne fìglia di Ercole, messo pontificio, rapita nel 1983 dall’organizzazione dei Lupi Grigi, viva e vegeta in Turchia e che, probabilmente, ha messo su famiglia con uno dei suoi sequestra tori, alcune dei quali addirittura presenti nel Parlamento turco sotto la bandiera del partito nazionalista e sotto la guida di Devlet Baceli; Ali Agca, l’uomo che sparò al Papa il 13 maggio del 1981 in piazza San Pietro a Roma, al soldo del Kgb sovietico; Marco Torretta, nipote del cardinale Casaroli, e sua moglie Irene Trollenova, agenti dell’Unione Sovietica, liberi di piazzare un camper con antenna ricetrasmittente in un cortile del Vaticano: tutto questo (e molto altro) nel sorprendente e documentatissimo libro dell’ex senatore Ferdinando Imposimato, Vaticano, un affare di Stato, appena uscito in libreria. «Il mio lavoro», spiega a Oggi l’autore, 67 anni, «è la sintesi di vent’anni dì inchieste condotte anche dopo aver smesso di fare il magistrato, per cercare di dare nome e cognome non solo agli esecutori materiali dell’attentato al Papa, ma anche ai mandanti, gli stessi del rapimento di Emanuela Orlandi.

Attraverso le carte processuali e i miei colloqui con molte ex spie, tra cui il generale Markus Wolf, ex capo della Stasi (il servizio segreto della Germania Est), e il colonnello Gunther Bohnsack, ho ricostruito lo scenario terrificante che attraversò il nostro Paese, dopo l’elezione di Karol Wojtyla al soglio pontificio.

«Si chiamò Operazione Pabst (in tedesco: Papa), venne ideata dai servizi segreti sovietici e attuata da quelli bulgari e tedesco-orientali: prevedeva l’assassinio del Santo Padre ma, dopo il fallimento dell’attentato, tutti gli sforzi si concentrarono sulla liberazione di Ali Agca che, immediatamente, confessò a noi inquirenti di aver agito in combutta con i servizi segreti bulgari. Ritrattò quando, nel carcere di Rebibbia, gli fece visita uno pseudomagistrato di Sofia (in realtà un agente segreto) che lo minacciò: “Se continui sulla strada delle accuse alla Bulgaria, uccideremo tua madre e tua sorella in Turchia!”. Nel gennaio del 1981, spie dell’Est, in sintonia con il Kgb sovietico, avevano progettato di far saltare in aria con un’autobomba Papa Wojtyla e Lech Walesa, il leader del sindacato polaccco Solidarnosc, ma il piano non funzionò, perché l’agente italiano al soldo del Kgb, Luigi Scricciolo, sindacalista della Uil, rifutò di dare le informazioni necessarie sugli spostamenti romani di Walesa.

«L’ex operaio dei cantieri navali di Danzica in visita a Roma», continua Improsimato, «disse che Scricciolo e il membro della direzione di Solidarnosc, Ryzard Kalinowski, gli avevano proposto una passeggiata notturna, un Rome by night tour senza la scorta. Walesa rifiutò e si salvò la vita. Kalinowski fu escluso dai vertici del sindacato polacco».

Ferdinando Imposimato, cui la mafia e la camorra «a sezioni unite» uccisero il fratello Francesco, è un superesperto in materia di terrorismo e stragi, essendo stato giudice istnittorc nelle principali inchieste degli anni Settanta e Ottanta: dal caso Moro all’attentato al Pontefice, dall’omicidio del vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet a quello dei giudici Riccardo Palma e Girolamo Tartaglione. Si è occupato di processi contro mafia e camorra e di sequestri dì persona. Eletto nelle liste del Pci-Pds al Senato della Repubblica, nel 1987 e nel ‘94, e alla Camera dei Deputati, nel ‘92, per tre legislature è stato membro della Commissione Antimafia.

«Giovanni Paolo II», spiega a Oggi, «era nel mirino dei Paesi del cosiddetto socialismo reale, sin dalla sua elezione: nella camera da pranzo dell’appartamento papale venne collocata una microspia che registrò per mesi tutte le conversazioni del Santo Padre.

Giovanni Paolo II nel letto d'ospedale

dopo l'attentato

Quando la “cimice” venne scoperta, il Papa commentò: “Satana è entrato in Vaticano!”. Anche quando Woityla fu ricoverato al decimo piano del Policlinico Gemelli dopo l’attentato di piazza San Pietro, le sue conversazioni vennero intercettate dalle spie dell’Est.

«Testimone prezioso», dice Ferdinando Imposimato, «fu il fotografo del Papa, Arturo Mari, che rivelò: “Qualche giorno dopo l’attentato, andai a visitare il Santo Padre al Policlinico Gemelli. Vedendolo sofferente, preso dalla commozione, scoppiai in lacrime. Il Papa mi guardò e, riconoscendomi, disse: “Figlio mio, sono vivo, l’abbiamo scampata”. In quel momento, nella stanza ero solo con sua Santità. Senonché, con mia enorme sorpresa, il giorno dopo lessi su alcuni giornali la stessa identica frase pronunziata dal Santo Padre: ebbi netta la sensazione che anche in ospedale Giovanni Paolo II venisse spiato”. «L’obiettivo delle spie sovietiche, bulgare e tedesche dell’Est era quello di distruggere il Pontefice, impedirgli di portare a termine la sua missione: restaurare la democrazia in Polonia, dopo trent’anni di regime comunista. Oggi siamo in grado di dare molte risposte ai quesiti che si posero negli anni dal 1978 all’89 e la lettera che mi ha scritto il Pontefice nel 2000, incoraggiandomi ad andare avanti nella mia ricerca, è il riconoscimento migliore e più qualificato che potessi aspettarmi». L’elenco delle spie infiltrate in Vaticano è impressionante: oltre a Estermann («Sì fece passare per salvatore del Pontefice in piazza San Pietro e non era vero», spiega Imposimato, «si trattò di un’abile opera di disinformacya. Ho visto e rivisto il film dell’attentato e lui non era sull’auto al momento degli spari di Ali Agca») c’erano il frate benedettino Eugen Brammertz, un agente della Stasi che lavorava all’Osservatore Romano, monsignor Cravczyk, cerimoniere di Sua Santità che, subito dopo l’attentato al Papa, venne mandato via da Roma».

AIUTATO DALLA PIÙ NOTA SPIA DELL’EST

Ferdinando Imposimato con il generale Markus Wolf, ex capo della Stasi, il servizio segreto della Germania dell’Est. Wolf ha fornito al giudice preziose indicazioni sui retroscena dell’attentato al Papa. L’ex magistrato ha pagato caro l’impegno antimafia: gli hanno ucciso il fratello.

Il libro si snoda come una vera spy story, nella quale appare evidente che il sequestro e la prigionia di Emanuela Orlandi, preceduti da quelli di Mirella Gregori, furono l’«arma» usata contro Papa Giovanni Paolo II per convincerlo a desistere nella sua linea politico-pastorale.

Il coinvolgimento dei Paesi ex comunisti nell’attentato al Pontefice e nel sequestro della Orlandi, rapita alle 19.20 del 22 giugno 1983, è dimostrato documentalmente. Per chi non ha vissuto quei drammatici momenti (con Roma tappezzata di manifestini riproducenti il volto dolcissimo della quindicenne, dai lunghi capelli trattenuti da una fascia sulla fronte), basta leggere il volume di Imposimato, nel quale l’autore rivela di aver avuto, dal colonnello Bohnsack, la conferma che alcuni tra i più sconvolgenti documenti di rivendicazione del rapimento della giovane studentessa romana, firmati apparentemente dall’organizzazione dei Lupi Grigi («Una accozzaglia di pregiudicati e militanti turchi, di destra e di sinistra, ma idee né ideali»), furono in realtà stilati proprio dalla Stasi, la temibile organizzazione della Germania Est, guidata dall’imprendibile Markus Wolf (dopo l’unificazione tedesca venne arrestato, processato e condannato). «Che oggi è un uomo libero, convinto di aver servito fedelmente il suo Paese, la Germania Est», commenta l’ex giudice istrutore.

Nel delineare lo scenario di quegli anni, Imposimato fa sua una rivelazione del giudice Rosario Priore: il ruolo delle spie dell’ex Unione Sovietica nel rapimento di Aldo Moro. Secondo Franco Tritto, ex assistente universitario dello statista democristiano rapito e ucciso dalle Brigate Rosse, verso il mese di gennaio del 1978 sarebbe avvenuto l’incontro apparentemente casuale. tra un giovane russo e Moro, precisamente nei corridoi della facoltà di scienze politiche, dove quest’ultimo si intratteneva con gli studenti, anche dopo le lezioni.

Gli incontri e gli inviti alle conferenze, gli abboccamenti e i dialoghi tra il sovietico e Moro si fecero sempre più frequenti. Accaddero fatti strani: Tritto ricorda che il ragazzo, un giorno, gli domandò se lui «viaggiava sempre» con Moro.

E un’altra volta lo vide chiedere informazioni sugli uomini della sicurezza dello stesso statista.

«Il presidente della Dc», racconta Imposimato, «invitò lo studente ad assistere all’insediamento del nuovo governo di solidarietà nazionale, con l’astensione del Pci. Riuscì a trovare il permesso e fece rintracciare dalla polizia il giovane russo per dirglielo: “Vai nel mio studio in via Savoia a ritirare l’invito”. Era il 15 marzo. Lo stesso giorno Moro confidò a Tritto: “Temo che quest’anno avremo molta più violenza”.

«La mattina dopo Aldo Moro venne rapito in via Fani. Franco Tritto riuscì a verificare che lo studente sovietico non andò mai a ritirare l’invito. Quel ragazzo si chiamava Sergej Sokolov e sparì dalla capitale una settimana dopo il sequestro di Aldo Moro. Tornò a Roma in qualità di agente del Kgb, con la copertura di corrispondente della Tass, dal 1981 fino al 1985».

 

 

Il Papa cade sotto i colpi di Agca

 

 

L'enigma Emanuela Orlandi

Scomparsa nel 1983, il suo caso è stato archiviato dalla Procura di Roma nel 1997. Oltre alla pista principale, quella collegata ad Alì Agca e i servizi segreti dell'est, altre piste fecero la loro comparsa.

Fonte web

Il 22 giugno 1983 la quindicenne Emanuela Orlandi, cittadina vaticana e figlia di un impiegato della Segreteria di Stato, scompare misteriosamente verso le 19 di sera dopo essere uscita in anticipo dalla scuola di musica che frequentava in Piazza Santa Apollinare a Roma. Prima aveva telefonato alla sorella Natalina per chiedere consiglio su una proposta di lavoro che le era stata appena fatta. Si trattava di distribuire volantini durante una sfilata di moda per conto della Avon, un’azienda di cosmetici, per il cui lavoro sarebbe stata pagata 375mila lire. La sorella non si fida della proposta e le suggerisce di lasciar perdere. Emanuela risponde che ne parlerà con i genitori. Da quel momento di lei non si sa più nulla. Stando alle testimonianze, la Orlandi avrebbe poi incontrato un’amica che frequentava la sua stessa scuola di musica, mettendola al corrente della proposta; verso le 19,30 l’avrebbe accompagnata alla fermata dell’autobus dove un vigile urbano l’avrebbe vista parlare con un misterioso uomo a bordo di una BMW scura e forse salirvi all’interno. Viene realizzato un identikit che coincide, secondo i Carabinieri, a una persona sospettata non più presente in Italia. Nessuno però ne comunica il nome.

Telefonate anonime

Dopo aver denunciato la scomparsa di Emanuela e aver fatto ricerche per conto proprio, a casa Orlandi iniziano ad arrivare delle telefonate anonime. In una di queste avvenuta il 25 giugno si sente la voce di un certo Pierluigi, che parla un italiano senza accento dialettale, affermare che la sua fidanzata aveva conosciuto per caso la Orlandi (che si sarebbe fatta passare per Barbara) mentre era assieme ad un’altra ragazza a Campo de’ Fiori. L’uomo parla di un flauto e di un paio di occhiali a forma di goccia per correggere l’astigmatismo, di cui però la fantomatica “Barbara” si vergognava. La famiglia comincia a sperare perché le descrizioni fornite corrispondono tutte. Il 28 giugno, anche un certo Mario con un forte accento romano sostiene di aver visto un uomo con due ragazze, che vendevano cosmetici: una delle due diceva di chiamarsi Barbara, di essere di Venezia e di essersi allontanata volontariamente da casa per sfuggire a una vita monotona. “Mario” afferma di avere un bar tra il Vaticano e la scuola di musica e che un suo amico, per aiutarle, procurava alle ragazze prodotti della Avon. L’Amerikano, l'interlocutore rimasto anonimo, parlò di Mario e Pierluigi come gli elementi di un’organizzazione criminale. Saranno 16 in tutto le telefonate, escludendo quelle dei mitomani, tutte effettuate da cabine telefoniche. Roma viene riempita da 3mila manifesti con la foto della ragazza. Verrà offerta anche una ricompensa di due miliardi di lire per il ritrovamento della Orlandi, ma non si otterranno risultati.

Pista collegata con l’attentato al Papa

Il 5 luglio sembrano spuntare dei collegamenti con l’attentato a Papa Giovanni Paolo II avvenuto il 13 maggio 1981 in Piazza San Pietro. Ipotesi che giunge da un’altra misteriosa telefonata secondo la quale per liberare la Orlandi, tenuta in ostaggio, veniva richiesta a sua volta la liberazione entro il 20 luglio di Mehemet Alì Agca, l’attentatore del Papa. Chi telefonava era un uomo con un accento straniero soprannominato poi l’Amerikano. Il 17 luglio viene fuori un nastro in cui viene confermata la richiesta di scambio con l’attentatore e inoltre una linea telefonica diretta con il Cardinale Casaroli, Segretario di Stato. Dal nastro si sente anche la voce di una ragazza sofferente che chiede aiuto. Malgrado ciò, non sarà aperta alcuna indagine.

Pista collegata allo scandalo IOR

Nel 1995 si viene a conoscenza di un documento fino ad allora rimasto segreto redatto dall’allora capo del SISDE (servizio segreto italiano) Vincenzo Parisi, secondo cui l’autore delle telefonate nelle quali si proponeva lo scambio della Orlandi con Agca, ribattezzato l’Amerikano, sarebbe stato Paul Marcinkus, l’allora presidente dell’Istituto per le Opere di Religione, ovvero la Banca Vaticana. Furono esaminati messaggi e telefonate giunti alla famiglia Orlandi: emerse che l’Amerikano conosceva la lingua latina meglio di quella italiana, forse era di cultura anglosassone e conosceva il mondo ecclesiastico e alcune zone di Roma dove si pensa possa aver abitato. Anche a questa ipotesi non è stato dato credito.

Pista collegata al caso Calvi e al Banco Ambrosiano

A sostenere il collegamento tra la scomparsa della Orlandi e la vicenda del padre è stato proprio il figlio del banchiere assassinato a Londra in circostanze alquanto sospette. Secondo la sua testimonianza, avrebbe cercato di fare pressioni sul Vaticano affinché nessuno potesse fare rivelazioni riguardanti le oscure vicende che avrebbero coinvolto il Vaticano con il Banco Ambrosiano. La banca privata sarebbe legata all'Istituto per le Opere di Religione; si è parlato anche di amicizie e rapporti di Roberto Calvi con gli esponenti della mafia e della massoneria. Diventò in breve tempo uno dei finanzieri più ingordi e spregiudicati, creando società fittizie nei paradisi fiscali con la banca vaticana allo scopo di aumentarne le entrate del Banco Ambrosiano: tra le persone coinvolte, figurerebbe proprio l'arcivescovo Marcinkus. (Leggi anche P2 dalla A alla Z).

Collegamenti con la Banda della Magliana

Il 20 febbraio 2006 durante la diretta di “Chi l’ha visto” telefona un pentito della Banda della Magliana, Antonio Mancini, affermando di riconoscere nella voce di “Mario” un killer al servizio di Enrico De Pedis, capo della Banda della Magliana. Qualche mese prima, era arrivata in trasmissione una telefonata anonima in cui si diceva che per risolvere il caso Orlandi bisognava andare a vedere chi era sepolto nella basilica di Santa Apollinare e indagare sui presunti favori che De Pedis avrebbe fatto al cardinal Poletti in quell’epoca. Si scoprirà che nella tomba è sepolto proprio De Pedis, detto “Renatino” ucciso a Campo de’ Fiori il 2 febbraio 1990. La sua tomba rientra nel territorio vaticano, nello stesso edificio in cui si trovava la scuola di musica che Emanuela frequentava e, guarda caso, dove fu vista per l'ultima volta. Solo la moglie può accedervi. Il motivo ufficiale della sua ubicazione è stato spiegato facendo riferimento alle sue particolari attività generose nei confronti dei poveri che frequentavano la chiesa. Questa motivazione fu messa per iscritto dall'allora Vicario di Roma Poletti. Il presunto legame con De Pedis e la scomparsa della Orlandi non è mai stato provato. Tra l’88 e l’89, mettendo sotto controllo dei telefoni collegati alle attività della Banda della Magliana, la Magistratura avrebbe scoperto un giro di prostituzione nel quale sarebbero stati coinvolti la Orlandi e un’altra ragazza, Mirella Gregari, anche lei quindicenne e anche lei scomparsa nello stesso anno da Roma e mai più ritrovata. La Banda della Magliana le avrebbe rapite e fatte cadere nella trappola della “tratta delle bianche”: l’organizzazione avrebbe avuto contatti con i “Lupi grigi”, movimento estremista turco a cui apparteneva Alì Agca. Nel 2000, da alcuni contatti che l’ex giudice Imposimato, legale della famiglia Orlandi, ebbe con gli esponenti dei “Lupi grigi” in Svizzera, sarebbe emerso che Emanuela era viva e perfettamente integrata in una comunità islamica. Avrebbe anche vissuto a Parigi per un lungo periodo.
 

 

APPROFONDIMENTO

 

EXTRA OMNES. L'INFINITA SCOMPARSA

DI EMANUELA ORLANDI

 

Con documenti desecretati delle inchieste del SISDE svolte al tempo.

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Uno dei misteri più inquietenti e mai risolti della nostra storia attraverso

 il racconto di chi - all'epoca dei fatti - aveva la stessa età, gli stessi sogni,

 le stesse paure di Emanuela. La storia, l'inchiesta, fino ai più recenti

 sviluppi, i drammatici interrogativi ancora aperti...

 

 

 

IL CASO EMANUELA ORLANDI A

"CHI L'HA VISTO?" (2004-2005)

 

 

 

RASSEGNA STAMPA DI ARTICOLI SUL CASO

ORLANDI FINO A QUESTI ULTIMI ANNI

 

 

 

Ferdinando Imposimato - BIOGRAFIA

 

Emanuela Orlandi - CENNI SUL CASO