DA UNA STORIA VERA DI

UN GIORNALISTA

A CASI VERI DI MALA-SANITà

 

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

 

Il giornalista Paolo Bernard

 

Censura ‘legale’

Paolo Barnard – 11 febbraio 2008

Cari amici e amiche impegnati a dare una pennellata di decenza al nostro Paese, eccovi una forma di censura nell'informazione di cui non si parla mai. E' la peggiore, poiché non proviene frontalmente dal Sistema, ma prende il giornalista alle spalle. Il risultato è che, avvolti dal silenzio e privi dell'appoggio dell'indignazione pubblica, non ci si può difendere. Questa censura sta di fatto paralizzando l'opera di denuncia dei misfatti sia italiani che internazionali da parte di tanti giornalisti 'fuori dal coro'.
Si tratta, in sintesi, dell'abbandono in cui i nostri editori spesso ci gettano al primo insorgere di contenziosi legali derivanti delle nostre inchieste 'scomode'. Come funziona e quanto sia pericoloso questo fenomeno per la libertà d'informazione ve lo illustro citando il mio caso.
Si tratta di un fenomeno dalle ampie e gravissime implicazioni per la società civile italiana, per cui vi prego di leggere fino in fondo il breve racconto.

Per la trasmissione Report di Milena Gabanelli, cui ho lavorato dando tutto me stesso fin dal primo minuto della sua messa in onda nel 1994, feci fra le altre un'inchiesta contro la criminosa pratica del comparaggio farmaceutico, trasmessa l'11/10/2001 ("Little Pharma & Big Pharma"). Col comparaggio (reato da art.170 leggi pubblica sicurezza) alcune case farmaceutiche tentano di corrompere i medici con regali e congressi di lusso in posti esotici per ottenere maggiori prescrizioni dei loro farmaci, e questo avviene ovviamente con gravissime ripercussioni sulla comunità (il prof. Silvio Garattini ha dichiarato: "Dal 30 al 50% di medicine prescritte non necessarie") e spesso anche sulla nostra salute (uno dei tanti esempi è il farmaco Vioxx, prescritto a man bassa e a cui sono stati attribuiti da 35 a 55.000 morti nei soli USA).

L'inchiesta fu giudicata talmente essenziale per il pubblico interesse che la RAI la replicò il 15/2/2003.
Per quella inchiesta io, la RAI e Milena Gabanelli fummo citati in giudizio il 16/11/2004(1) da un informatore farmaceutico che si ritenne danneggiato dalle rivelazioni da noi fatte.
Il lavoro era stato accuratamente visionato da uno dei più alti avvocati della RAI prima della messa in onda, il quale aveva dato il suo pieno benestare.
Ok, siamo nei guai e trascinati in tribunale. Per 10 anni Milena Gabanelli mi aveva assicurato che in questi casi io (come gli altri redattori) sarei stato difeso dalla RAI, e dunque di non preoccuparmi(2). La natura dirompente delle nostre inchieste giustificava la mia preoccupazione. Mi fidai, e per anni non mi risparmiai nei rischi.

All'atto di citazione in giudizio, la RAI e Milena Gabanelli mi abbandonano al mio destino. Non sarò affatto difeso, mi dovrò arrangiare. La Gabanelli sarà invece ampiamente difesa da uno degli studi legali più prestigiosi di Roma, lo stesso che difende la RAI in questa controversia legale.(3) Ma non solo.
La linea difensiva dell'azienda di viale Mazzini e di Milena Gabanelli sarà di chiedere ai giudici di imputare a me, e solo a me (sic), ogni eventuale misfatto, e perciò ogni eventuale risarcimento in caso di sentenza avversa.(4)
E questo per un'inchiesta di pubblico interesse da loro (RAI-Gabanelli) voluta, approvata, trasmessa e replicata.*

*( la RAI può tecnicamente fare questo in virtù di una clausola contenuta nei contratti che noi collaboratori siamo costretti a firmare per poter lavorare, la clausola cosiddetta di manleva(5), dove è sancita la sollevazione dell'editore da qualsiasi responsabilità legale che gli possa venir contestata a causa di un nostro lavoro. Noi giornalisti non abbiamo scelta, dobbiamo firmarla pena la perdita del lavoro commissionatoci, ma come ho già detto l'accordo con Milena Gabanelli era moralmente ben altro, né è moralmente giustificabile l'operato della RAI in questi casi).

Sono sconcertato. Ma come? Lavoro per RAI e Report per 10 anni, sono anima e corpo con l'impresa della Gabanelli, faccio in questo caso un'inchiesta che la RAI stessa esibisce come esemplare, e ora nel momento del bisogno mi voltano le spalle con assoluta indifferenza. E non solo: lavorano compatti contro di me.
La prospettiva di dover sostenere spese legali per anni, e se condannato di dover pagare cifre a quattro o cinque zeri in risarcimenti, mi è angosciante, poiché non sono facoltoso e rischio perdite che non mi posso permettere.

Ma al peggio non c'è limite. Il 18 ottobre 2005 ricevo una raccomandata. La apro. E' un atto di costituzione in mora della RAI contro di me. Significa che la RAI si rifarà su di me nel caso perdessimo la causa. Recita il testo: "La presente pertanto vale come formale costituzione in mora del dott. Paolo Barnard per tutto quanto la RAI s.p.a. dovesse pagare in conseguenza dell'eventuale accoglimento della domanda posta dal dott. Xxxx (colui che ci citò in giudizio, nda) nei confronti della RAI medesima".(6)
Nel leggere quella raccomandata provai un dolore denso, nell'incredulità.
Interpello Milena Gabanelli, che si dichiara estranea alla cosa. La sollecito a intervenire presso la RAI , e magari anche pubblicamente, contro questa vicenda. Dopo poche settimane e messa di fronte all'evidenza, la Gabanelli tenta di rassicurarmi dicendo che "la rivalsa che ti era stata fatta (dalla RAI contro di me, nda) è stata lasciata morire in giudizio... è una lettera extragiudiziale dovuta, ma che sarà lasciata morire nel giudizio in corso... Finirà tutto in nulla."(7)

Non sarà così, e non è così oggi: giuridicamente parlando, quell'atto di costituzione in mora è ancora valido, eccome. Non solo, Milena Gabanelli non ha mai preso posizione pubblicamente contro quell'atto, né si è mai dissociata dalla linea di difesa della RAI che è interamente contro di me, come sopra descritto, e come dimostrano gli ultimi atti del processo in corso.(8)
Non mi dilungo. All'epoca di questi fatti avevo appena lasciato Report, da allora ho lasciato anche la RAI. Non ci sarà mai più un'inchiesta da me firmata sull'emittente di Stato, e non mi fido più di alcun editore. Non mi posso permette di perdere l'unica casa che posseggo o di vedere il mio incerto reddito di freelance decimato dalle spese legali, poiché abbandonato a me stesso da coloro che si fregiavano delle mie inchieste 'coraggiose'. Questa non è una mia mancanza di coraggio, è realismo e senso di responsabilità nei confronti soprattutto dei miei cari.

Così la mia voce d'inchiesta è stata messa a tacere. E qui vengo al punto cruciale: siamo già in tanti colleghi abbandonati e zittiti in questo modo.
Ecco come funziona la vera "scomparsa dei fatti", quella che voi non conoscete, oggi diffusissima, quella dove per mettere a tacere si usano, invece degli 'editti bulgari', i tribunali in una collusione di fatto con i comportamenti di coloro di cui ti fidavi; comportamenti tecnicamente ineccepibili, ma moralmente assai meno.

Questa è censura contro la tenacia e il coraggio dei pochi giornalisti ancora disposti a dire il vero, operata da parte di chiunque venga colto nel malaffare, attuata da costoro per mezzo delle minacce legali e di fatto permessa dal comportamento degli editori.
Gli editori devono difendere i loro giornalisti che rischiano per il pubblico interesse, e devono impegnarsi a togliere le clausole di manleva dai contratti che, lo ribadisco, siamo obbligati a firmare per poter lavorare.

Infatti oggi in Italia sono gli avvocati dei gaglioffi, e gli uffici affari legali dei media, che di fatto decidono quello che voi verrete a sapere, giocando sulla giusta paura di tanti giornalisti che rischiano di rovinare le proprie famiglie se raccontano la verità.
Questo bavaglio ha e avrà sempre più un potere paralizzante sulla denuncia dei misfatti italiani a mezzo stampa o tv, di molto superiore a quello di qualsiasi politico o servo del Sistema.

Posso solo chiedervi di diffondere con tutta l'energia possibile questa realtà, via mailing lists, siti, blogs, parlandone. Ma ancor più accorato è il mio appello affinché voi non la sottovalutiate.
In ultimo. E' assai probabile che verrò querelato dalla RAI e dalla signora Gabanelli per questo mio grido d'allarme, e ciò non sarà piacevole per me.
Hanno imbavagliato la mia libertà professionale, ma non imbavaglieranno mai la mia coscienza, perché quello che sto facendo in queste righe è dire la verità per il bene di tutti. Spero solo che serva.

Grazie di avermi letto. dpbarnard@libero.it

 

 

La Mala-Ricetta

OVVERO

Il Comparaggio

Dieci geniali mosse del marketing farmaceutico

Fonte web

Quando un’azienda farmaceutica offre al medico, in cambio della prescrizione di un certo farmaco, benefici di varia natura si dice che fa del comparaggio. Le offerte possono essere di vario genere: regali, oggetti d’uso professionale, libri, viaggi, contante.
In Italia esistono alcune aziende specializzate nel cercare di convincere i medici ad accettare una certa cifra per ogni scatoletta di farmaco prescritta: vengono definite con disprezzo dalle altre aziende “ditte di comparaggio”. In realtà sono le uniche che fanno onestamente il loro disonesto lavoro. Le altre, che trasformano questa transazione in regali, viaggi, cene e cose del genere, sono doppiamente disoneste, perché corrompono ma non hanno neanche il coraggio di assumersi i rischi insiti in tale attività, e mentre si presentano con l’aura di aziende serie e corrette, in realtà si comportano esattamente nello stesso modo.
A questo punto devo inserire un articolo di legge perché è importante che, durante la lettura, teniate sempre ben presente cosa dice il così calpestato D.L. 30 Dicembre 1992 n.541: “Nel quadro dell’attività di informazione dei medicinali svolta presso i medici o farmacisti è vietato concedere, offrire o promettere premi, vantaggi pecuniari o in natura, salvo che siano di valore trascurabile e siano comunque collegabili all’attività espletata dal medico o dal farmacista”.

Questa legge è del 1992 e la situazione attuale è quella che troverete descritta; provate ad immaginare come potevano andare le cose prima di quell’anno!
Tornando agli albori dell’informazione farmaceutica, le aziende del settore, anche quelle italiane, avevano laboratori, fabbriche, magazzini e pochi informatori che giravano, con tranquillità, in zone di lavoro più grandi di una provincia.
Erano i tempi d’oro della “propaganda”. All’epoca non esisteva il Servizio Sanitario Nazionale e le mutue di allora rimborsavano le medicine, ma facevano anche i conti in tasca ai medici convenzionati e la spesa farmaceutica era tutto sommato accettabile. La vita media di un farmaco veniva misurata in lustri e i medici di famiglia, soprattutto quelli più anziani, non di rado ricorrevano anche a mezzi che oggi verrebbero definiti “stregoneschi”.
E poi? Qualcuno sicuramente dirà: “Sono arrivate le multinazionali, l’orco cattivo che sfrutta e mangia tutto, e hanno gonfiato il mercato”. E invece no, nessun orco. È iniziato un fenomeno all’apparenza spontaneo, inarrestabile, quasi dotato di vita propria, che ha ridotto il mercato farmaceutico ad una giungla senza regole, senza morale e con soli perdenti: noi!
Una premessa, i farmaci (termine dotto per definire le montagne di pillole, fiale, supposte e sciroppi che intasano gli armadietti dei bagni della gente comune e le cantine e i garage degli informatori), per essere venduti, devono essere “registrati”. Ciò significa, che un ente apposito, che in USA è la rigorosissima Food & Drug Administration ed in Italia il più casereccio Ministero della Sanità, deve stabilire che le medicine possiedano i requisiti necessari per poter essere vendute. In altre parole, il Ministero deve verificare che il nuovo farmaco non sia dannoso, che serva a curare qualcosa e, quando possibile, sia più efficace di quelli già presenti sul mercato.
In Italia il Ministero, con l’aiuto del CIPE, stabilisce il prezzo di vendita del farmaco. Perché in Italia, ed in molti altri paesi, il Ministero fissa il prezzo e non lascia che sia la libera concorrenza dei mercati a crearlo? Perché è lo stesso Stato che, successivamente, paga queste medicine tramite il Servizio Sanitario Nazionale.
Ci troviamo, quindi, in un mercato dove è l’acquirente che stabilisce il prezzo di quello che acquisterà. Gli esperti di marketing diranno che ciò accade in tutti i mercati, dove in realtà è il cliente a stabilire quanto è disposto a pagare per un bene. Ma, mentre per i beni o i servizi normali, chi acquista e impiega, ovviamente, decide anche cosa comprare, qui a scegliere è una terza persona: il medico. Riassumendo, abbiamo una situazione dove chi sceglie la medicina non la usa e non la paga, chi la paga non la sceglie e non la usa e chi la usa non la sceglie e non la paga.
Questo è il sistema migliore per ingarbugliare le carte e rendere impossibile quel rapporto diretto tra bene, denaro e beneficio che regola il normale mondo del commercio. Semplifico ulteriormente: se vado dal salumiere e compro un etto di mortadella e il salume in questione è cattivo o costa troppo, cambierò la marca di mortadella o comprerò del prosciutto o cambierò salumiere. Nel guazzabuglio dei farmaci questo non è possibile e i risultati sono evidenti. Il mercato è pieno di medicine di dubbia utilità, doppioni o cattive imitazioni, che nonostante tutto, si vendono e pesano sulle tasche di tutti i contribuenti. Vogliamo un esempio? Esistono molecole che sono commercializzate con più di venti nomi diversi. É logico aspettarsi che di tutti questi marchi, solo uno o due raggiungano dei grossi volumi di vendita. Infatti è proprio così, ma gli altri, diciamo quindici, cosa fanno? Sopravvivono, annaspano, cercano di raggiungere il quantitativo minimo, previsto dagli accordi di licenza, che permetta loro di continuare a commercializzare il farmaco.
Se tra le aziende di contorno, ne esistono alcune di pochi scrupoli, è facilissimo immaginare che queste per riuscire a strappare delle prescrizioni, metteranno in atto tutti i metodi, corretti o meno, che riescono ad immaginare.
Questa situazione, tutta italiana, è una delle cause che hanno contribuito a creare, alimentare e diffondere il disastro della farmaceutica nel nostro Paese. Paradossalmente, dunque, non sono state le grandi multinazionali a innescare il fenomeno della corruzione dilagante e strisciante della classe medica. Le mega aziende nella stragrande maggioranza dei casi, forti della loro ricerca, della loro produzione e del loro nome internazionale, non avrebbero avuto nessun bisogno di corrompere, anzi, avevano interessi del tutto opposti. Non hanno preso l’iniziativa ma sono state costrette ad adattarvisi. Chi non lo ha fatto ne ha pagato le conseguenze in termini di risultati di vendita.
Un altro fattore fondamentale è la tendenza, (nella quale gli italiani risulterebbero ancora una volta maestri), ad interpretare le leggi non per quello che dicono, ma nel modo più conveniente per chi le interpreta. Ci si “arrangia”.
Per tutti questi fattori, in fondo, non esiste un colpevole ma si è formato un substrato, una sorta di humus sul quale la pianta del “comparaggio” ha attecchito, si è sviluppata rigogliosamente ed ha fruttificato. Il fenomeno però non è spontaneo.
Ha dei colpevoli.
Identificabili con nome e cognome.
I creatori del comparaggio sono tuttora tra noi, ovviamente impuniti, e continuano a fare danni nonostante tutto e tutti e hanno trascinato sulla loro strada, volenti o nolenti, coloro che vogliono in qualche modo operare nel mercato farmaceutico.
Non chiedetemi i nomi, rischio la galera e questa gente è disposta a tutto, ma chi opera nel settore saprà riconoscerli, se non altro per ragioni storiche.
Un’ultima annotazione: quando durante l’esame delle varie spese “promozionali” delle aziende riporterò delle cifre, userò come unità di misura il costo di una borsa di studio di un neolaureato. Un trucco per dimostrare come sarebbe possibile finanziare la ricerca scientifica, quella vera, senza investire una lira in più rispetto a quanto si spende oggi.

 

 

 

 

 


Ricette “facili” in cambio di

soldi e favori Centosettanta

gli indagati, in tutta Italia

 

UN CASO DI CRONACA DI QUALCHE ANNO FA

 

Fonte web

 

BARI - Costosi omaggi, super-viaggi di piacere o per congressi, percentuali in denaro sui farmaci assegnati: è quello che ottenevano i medici in cambio di iper-prescrizioni di farmaci, sollecitati dagli informatori scientifici e con la connivenza di farmacisti.
Dagli accertamenti compiuti dai carabinieri e dalla polizia municipale di Bari nell'ambito dell'inchiesta che ieri ha portato a 22 ordinanze di custodia cautelare, sono emersi elementi sul ruolo svolto dai medici. In carcere sono finiti il medico Francesco D'Atri, di 52 anni, di Bari e gli informatori Giuseppe La Penna, di 41 anni, e Mario Toscano, di 37, entrambi di Bari. Altre 170 persone sono indagate in un’inchiesta che si è ormai estesa in tutta Italia.
Alcuni professionisti preferivano ottenere una percentuale (10-12% su ogni confezione prescritta) o un forfait di 5.000 euro al mese. Sono stati documentati numerosi omaggi di ”medical tours” che, col pretesto dell'interesse professionale alla partecipazione a congressi scientifici, consentiva ai professionisti di avere vacanze gratuite in luoghi esotici o in storiche capitali europee.
In alcuni casi i medici hanno imposto tariffe con un pagamento immediato pari al 50% del prezzo pattuito con gli informatori scientifici al momento dell'accordo; il restante 50% veniva saldato dopo aver accertato che le farmacie aumentavano gli ordini di medicinali. I soldi destinati alla corruzione dei professionisti venivano dati agli informatori scientifici dalle case farmaceutiche.
Proprio dalle intercettazioni si capisce che i protagonisti avevano un quadro molto chiaro della situazione. Parlando con un informatore scientifico a proposito di un elenco di medicinali un medico dice: «Ma allora ci controllate?» e l'informatore risponde: «Beh, certo. È chiaro che vi controlliamo. E che pensate, che facciamo beneficenza?». Le intercettazioni hanno avuto un ruolo importante nelle indagini. Ecco allora lo «scambio di idee» tra due capi-area di case farmaceutiche: uno racconta preoccupato all'altro dell'approccio avuto con un medico e l'altro, tranquillo, gli risponde: «Stai tranquillo, non ti preoccupare, poi leccano il dente e ti vengono a cercare loro».
Nelle prescrizioni i medici scavalcavano completamente i pazienti a cui, ignari, venivano prescritti numerosi farmaci. Ad un paziente, in un solo giorno, sono state destinate 76 confezioni di farmaci: anche lui, come tutti gli altri, era completamente ignaro del fatto che il proprio nome venisse utilizzato per arricchire medici, informatori scientifici e farmacie.
I pazienti - spesso esenti dal pagamento del ticket, in altri casi addirittura morti - sono state le vittime inconsapevoli dell'ingegnoso meccanismo inventato per arricchire quelli che il procuratore della Repubblica, Emilio Marzano, ha voluto definire «colletti bianchi ricchi».
In alcuni casi le medicine sono state prescritte anche a pazienti non esenti dal ticket: il prezzo è stato poi pagato a rotazione o diviso in tre da tutti i soggetti coinvolti e cioè medici, informatori scientifici e farmacie. I grossi quantitativi di farmaci - numerosi dei quali sono stati recuperati e ora verranno destinati ad associazioni benefiche, con un danno al servizio sanitario nazionale di 5 milioni di euro in quattro anni - venivano poi buttati in cassonetti: per questa operazione venivano scelte le ore della notte fonda o i giorni festivi; ideale, per esempio, secondo gli investigatori, le feste di Natale. Ne è stata recuperata, durante le indagini, solo una parte, per un valore di “appena” centomila euro.

Da ricordare sempre...

La tutela del consumatore in materia di prodotti farmaceutici si basa sui Decreti legislativi del 30 dicembre 1992 numeri 540 e 541.

I due successivi interventi legislativi regolamentano la disciplina dell’etichettatura e della pubblicità dei medicinali.

Il concetto di pubblicità è stato esteso anche all’opera di persuasione dei rappresentanti dell’industria farmaceutica presso i medici (gli Informatori Medico Scientifici).

La tutela del consumatore si esplica altresì applicando la normativa del Codice penale sulla corruzione.

Il "comparaggio" è quella pratica per cui taluni medici, farmacisti ed altri operatori sanitari accettano denaro, premi e donazioni varie in cambio della prescrizione di farmaci.

Tale pratica delinquenziale comporta che le terapie non siano mirate a soddisfare le esigenze del paziente bensì a far illecitamente arricchire l’operatore sanitario.

Diffidate dal medico che vi consiglia caldamente un farmaco, conservate sempre le prescrizioni e sappiate che prima di sottoporvi ad una terapia sperimentale dovete dare al medico un consenso scritto.

Recita l'art. 28 del Codice Deontologico dell'Ordine dei Medici: "Ogni forma di comparaggio è vietata".

Diffidate altresì dal farmacista che vi dice di non avere in negozio il farmaco prescritto dal medico e ve lo sostituisce con quello equipollente distribuito da altra industria.

Invitiamo i cittadini a segnalare nella casella legale@associttadini.org ogni presunto abuso tale da comportare pericolo per la salute del paziente e contestuale illecito arricchimento dell’operatore sanitario.

Invitiamo altresì gli Informatori Medico Scientifici a non concorrere nel reato di corruzione, laddove ravvisabile, ed a denunciare invece l’istigazione a delinquere che viene perpetrata nei loro confronti.

L’Associazione garantisce riservatezza agli Informatori Medico Scientifici e s’accolla gli oneri dell’assistenza legale giudiziaria nell'eventuale controversia per il rapporto di lavoro.

Trattativa riservata con: presidente@associttadini.org

 

 

APPROFONDIMENTO

 

IL COMPARAGGIO FARMACEUTICO

Indice tematico dell'Associttadini.org

 

Codice Deontologico di Farmindustria