AIUTO!!!

CI HANNO VENDUTO

 ANCHE L'ACQUA!

 

MULTINAZIONALI, NO ALL'ACQUA COME DIRITTO

 

 

COME ACCADE PER IL PETROLIO SONO LE MULTINAZIONALI, NEL NOSTRO CASO QUELLE DELL'ACQUA, CHE DETTANO LE LEGGI DI MERCATO PER UNA UMANITÀ SEMPRE PIÙ ASSETATA. IN QUESTI GIORNI ESSE HANNO FATTO VALERE TUTT0 IL LORO PESO AL QUINTO FORUM MONDIALE SULL'ACQUA CHE SI È TENUTO AD ISTANBUL. RISULTATO: L'ACQUA NON È UN DIRITTO UMANO! A QUESTO PUNTO PUÒ SEMBRARE CINICO MA LA NOSTRA SPERANZA È CHE LA TORRE DI BABELE DI QUESTO CAPITALISMO TERMINALE CADA AL PIÙ PRESTO! ESSO STA GIÀ TRABALLANDO MA LA GENTE NON SA CHE QUESTO SI CHIAMA "CASTIGO" PER LA CUPIDIGIA DEI POTENTI E DEI FURBI...

PURTROPPO L'OCCIDENTE HA TOLTO DAL SUO VOCABOLARIO LA NOZIONE DI CASTIGO ED ANCHE LA CHIESA NON NE PARLA PIÙ... MA TUTTAVIA ESSO STA ARRIVANDO E BEATO COLUI CHE IN CUOR SUO SI STA PREPARANDO CON UMILTÀ E PREGHIERA.

 

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

L'acqua è sacra in ogni paese, cultura e fede del mondo. L'uomo è fatto per il 65% di acqua, ed è per questo che le multinazionali dell'acqua stanno mettendo le mani anche su questo elemento. Ma l'acqua che sgorga dalla terra non è una merce, è un diritto fondamentale dell'essere umano e nessuno può appropriarsene per trarne illecito profitto. L'acqua è l'oro bianco per cui si combatteranno le prossime guerre. Guerre che saranno dirette dalle multinazionali alle quali, in Italia, anche il governo Berlusconi nel 2008 ha dato la possibilità (come alla multinazionale francese Veolia) di accedere al nostro bene più prezioso. Un po' come se avesse privatizzato il 65% del nostro corpo con il benestare del maggior partito d'opposizione, cioè il PD.

 

 

 

INTRODUZIONE

Il Water Forum: Buco

nell'acqua internazionale

 

Per la conferenza di Istanbul l'oro blu è un

bisogno fondamentale, MA Non un diritto

da La Stampa del 23/03/09

Trentamila congressisti, una ventina di capi di Stato, 180 tra ministri e vice-ministri dell’Ambiente: ma il quinto Forum mondiale sull’acqua, meeting a cadenza triennale che si è chiuso ieri a Istanbul, non è nemmeno riuscito a raggiungere una definizione comune su cosa sia il prezioso liquido. Dopo una settimana di discussioni non c’è stato accordo, l’acqua non è un diritto ma soltanto «un bisogno fondamentale», con buona pace per quel miliardo di persone e anche più che secondo le Nazioni Unite soffrono la sete, cioè che hanno difficoltà di accesso all’acqua potabile. E soprattutto per gli otto milioni di morti l’anno provocati dalla carenza di acqua e di servizi igienico-sanitari.

Un allarme del genere - il rapporto delle Nazioni Unite, lanciato in parallelo al Forum, dice che il rischio per la Terra è che nel 2030 metà della popolazione mondiale sia assetata, ovvero che resterà al di sotto della soglia minima, primo fra tutti i continenti l’Africa – secondo molti ambientalisti andava affrontato più drasticamente. Non c’è tempo da perdere: 2,5 miliardi di uomini hanno problemi igienico-sanitari, quasi 4 mila bambini muoiono ogni giorno per la mancanza di acqua, l’inquinamento dei fiumi e delle falde aumenta a ritmi impressionanti.

Va da sé che molti esponenti della comunità scientifica internazionale riconoscono l’interdipendenza di fondo tra la carenza d’acqua e il cambiamento climatico, così come sottolinea anche il Gruppo Intergovernativo sul cambiamento climatico, l’Ipcc.

Ma il documento finale siglato nella capitale turca, nonostante sottolinei il carattere di «urgenza» nel combattere il dramma dell’«oro blu», e nonostante riconosca il diritto a «un miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie» per compiere un importante «passo verso la diminuzione in tutto il mondo dei decessi legati alla scarsità d’acqua», ignora la nozione di diritto dell’accesso all’acqua, reclamata con forza da numerose Ong (Organizzazioni non governative) e da parecchi Paesi.

Al World Water Forum è andato in scena il solito compromesso, insomma. Le associazioni ambientaliste e i gruppi d’interesse che si battono contro la mercificazione dell’acqua erano fuori dalle stanze dei potenti: nella città turca hanno però tenuto un forum alternativo e varie iniziative di protesta. Nei giorni scorsi ci sono stati anche alcuni arresti tra i manifestanti. Il Forum Mondiale dell’Acqua, d’altra parte, è organizzato dal Consiglio Mondiale dell’Acqua, «un think-tank privato – così afferma ad esempio il Forum italiano dei movimenti per l’acqua (www.acquabenecomune.org) - strettamente legato alla Banca Mondiale, alle multinazionali dell’acqua (come Suez o Veolia) e alle politiche dei governi più potenti del mondo».

Non stupisce che il testo della risoluzione non contenga una critica nei confronti delle catastrofiche privatizzazioni che – così promettevano le multinazionali - avrebbero dovuto garantire l’accesso all’acqua a tutti, né che tenga conto delle raccomandazioni espresse da molte risoluzioni del Parlamento Europeo. Di più: nel documento si parla dell’uso dell’acqua per produrre energia idroelettrica attraverso faraoniche e dannosissime dighe, dell’aumento della produzione di biocarburante: entrambi modelli economici che riproducono iniquità e ingiustizie, specialmente nelle nazioni più povere.

Ma anche nei Paesi industrializzati c’è da stare poco allegri: un ulteriore allarme è stato lanciato dalla Coldiretti, nel corso del «G8 Farmers Meeting» organizzato proprio in occasione della Giornata dell’acqua: nonostante un aumento della domanda di cibo dell’1,5% l’anno un quarto della produzione alimentare mondiale potrebbe andar perso entro il 2050, proprio per l’impatto combinato del cambiamento climatico, il degrado dei suoli, la scarsità di acqua e le specie infestanti.

«Di fronte alla crisi e ai cambiamenti climatici, se si vuole continuare a sfamare una popolazione che aumenta vertiginosamente, alle agricolture di tutto il mondo - dice la Coldiretti - devono essere garantiti credito ed investimenti adeguati, anche per la raccolta e distribuzione dell’acqua, si devono applicare regole chiare per evitare che sul cibo si inneschino speculazioni vergognose e occorre garantire trasparenza e informazione ai consumatori sui prezzi e sulle caratteristiche degli alimenti».

L’acqua insomma, dovrebbe essere considerata come un diritto umano fondamentale e inalienabile, per tutti gli uomini e le donne, i bambini del pianeta, garantito per tutti. Il controllo sull’acqua, anziché privato, dovrebbe essere pubblico, sociale, cooperativo, equo e non destinato a creare profitto; dovrebbe inoltre rispettare l’ecosistema, essere in grado cioè di preservare l’integrità del ciclo dell’acqua, comprese naturalmente le sorgenti e le falde. Principi difficili da realizzarsi, quando si considera – così è avvenuto finora - l’ambiente come un business, un deposito infinito di materie prime.

 

 

La sete sarà sempre più il problema di domani

se il  senso di giustizia non prevarrà.

 

 

Carta di Belem - Acqua come diritto

universale e bene pubblico

Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile

Belém 26 gennaio 2009

“Lo Spirito del Signore sta sopra le acque” (Gn 1,2)

Fonte web

Interpellati dal Forum Social Mundial che ci sfida alla costruzione di “un altro mondo possibile”, le Chiese Cristiane sono coscienti della propria responsabilità per la formazione di nuovi soggetti ecclesiali e sociali che contribuiscano alla sua costruzione.
Per questa ragione ci siamo riuniti a Belém-PA, nel Forum Ecumenico delle Acque, il 26 gennaio 2009.
Le realtà ecclesiali e i movimenti sociali impegnati nella difesa dell’Acqua come diritto fondamentale della vita, vogliono condividere con tutti, gruppi e comunità, le nostre proposte di azione unitaria.
 

1) Che ci sia un impegno effettivo di tutte le comunità nella conoscenza, divulgazione e appoggio alla Dichiarazione Ecumenica delle Acque;
 

2) Che siano formate delle Reti Ecumeniche delle Acque in tutte le comunità coll’obiettivo di promuovere l’educazione di base e la difesa delle acque;
 

3) Che nell’ambito internazionale le Chiese Cristiane e i movimenti sociali si impegnino nella promozione del diritto all’acqua e ai servizi igienici per tutti;
 

4) Appoggiamo la gestione partecipativa e solidale delle risorse idriche transfrontaliere;
 

5) Manifestiamo la nostra preoccupazione per la costruzione del complesso idroelettrico sul Rio Madeira, a Porto Velho-RO, pe le sue conseguenze per l’ambiente e le popolazioni rivierasche;
 

6) Che sia articolata e efficace il cambiamento nella legislazione brasiliana riguardo alle acque minerali, che si cessi di trattarle come minerale sotto la tutela del DNPM (Dipartimento Nazionale di Produzione Minerale) e venga trattata come risorsa idrica speciale;
 

7) Che tutte le comunità cristiane e i movimenti sociali popolari registrino le proprie esperienze e pratiche in difesa dell’acqua e le mandino al CONIC e alla CNBB, al Relatore Indipende dell’ONU per l’Acqua, per contribuire alla costruzione di uma convenzione internazionale del Diritto Umano all’Acqua;
 

8) Ci congratuliamo com il popolo boliviano che ha approvato, nella Parte 4, Títolo 2, Capítolo 5º della sua Costituzione, la protezione dell’acqua come diritto fondamentale della vita;
 

9) Invitiamo tutti i paesi del mondo a inserire anch’essi nella loro legislazione il diritto all’Acqua come diritto universale e bene pubblico.

Solidali com tutto il creato che geme aspettando la sua redenzione e il manifestarsi dei figli di Dio, sottoscriviamo questo documento che troverà eco in tutti i cuori di quelli che amano la vita.

 

 

 

 

 

 

 

Cochabamba - Storia vera sulla

privatizzazione dell'acqua

 

Nel 2000 la Bechtel Corporation di San Francisco, con l'appoggio della Banca Mondiale che aveva promesso un prestito alla Bolivia, ottenne dal governo boliviano la privatizzazione di tutte le risorse idriche di Cochabamba, la terza città del paese. E' una storia che può avvenire anche da noi...anzi...sta già avvenendo!

 

Le previsioni riguardanti il futuro dell'acqua nel pianeta sono drammatiche: nel 2025 il 60% della popolazione vivrà in situazione di stress idrico. Alcune cifre fanno capire bene il problema:

In questo scenario alcune grandi compagnie che si occupano di gestione dell'acqua (raccolta, trasporto, potabilizzazione, distribuzione) vedono il più grande business del futuro.

Per capire meglio cosa significhi il connubio tra "affari" e scarsità dell'acqua, citiamo un brano tratto da una recente analisi del World Business Council for Sustainable Development, un centro studi promosso da diverse multinazionali: "The core argument is that corporations need to add water issues to their strategic thinking because new business risks emerge as users have to compete for an increasingly scarce resource, and new economic opportunities present themselves when water is made available and when there are improvements in water quality and water efficiency". Cioè dalla scarsità (di acqua) nasce l'opprtunità (di affari).

Per capire cosa c'è dietro la politica della privatizzazione dell'acqua, per difendere con forza il diritto a non morire di sete che milioni di persone già oggi reclamano nel mondo, vi proponiamo questo video testimonianza...

 

 

 

 

 

 

 

 

ITALIA: L'ACQUA VERSO

LA PRIVATIZZAZIONE


Fonte web

 

il Parlamento ha votato il 5 agosto 2008 l’articolo 23 bis, con il quale scatta la privatizzazione dell’acqua. È passato così, inosservato, l’articolo che la privatizza. Blitz denunciato solo da Alex Zanotelli. Dalla rete arriva un grido d’allarme: “Il Governo ha privatizzato l’acqua” e sembra che sia di questi giorni la decisione di sancire qualche infelice norma in merito. In effetti il Parlamento ha votato il 5 agosto 2008 l’articolo 23 bis del Decreto Legge numero 112, con il quale scatta la privatizzazione dell’acqua. L’unico ad accorgersene è stato Padre Alex Zanotelli che in una lettera inviata a Beppe Grillo aveva denunciato il blitz del Governo.

Perché passò inosservata l’articolo? Perché si parla di blitz? Vediamo di ripercorrere le tappe. Il 25 giungo fu approvato il Decreto Legge 112 del Ministro Tremonti. In quel decreto all’articolo 23 si parla di contratti di apprendistato, e subito dopo c'era l'articolo 24. Non c’era traccia alcuna dell’articolo 23bis. Tale decreto viene trasformato in Legge (Legge 6 agosto 2008, n. 133 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”) il 5 agosto 2008 e fra l’articolo 23 e 24 spunta l’articolo 23 bis che titola "Servizi pubblici locali di rilevanza economica"

L’articolo veniva votato con l’appoggio dell’opposizione, in particolare del Pd, nella persona del suo corrispettivo ministro-ombra Lanzillotta. Ed ecco cosa recita il primo comma dell’articolo 23 bis:

"Le disposizioni del presente articolo disciplinano l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione. Le disposizioni contenute nel presente articolo si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili".

La mercificazione dell’acqua è così compiuta. E’ vero che la volontà di privatizzare questo “bene comune” è in atto da tempo (GORI in Campania e Veolia nel Lazio sono solo un esempio), ma adesso è sancita con una norma nazionale. Per il governo Berlusconi l’acqua non è più un bene pubblico, ma una merce e come tale sarà gestita da multinazionali internazionali, le stesse che già possiedono le acque minerali. Va da sé che far gestire i servizi idrici ai privati significa andare incontro ad aumenti improvvisi delle bollette, a contenziosi e a disagi paradossali.

Ma al di la delle ovvie considerazioni che lasciano sconcerto, perché è impensabile privatizzare l’acqua essendo il “bene dell’umanità” per eccellenza, lasciano molto perplesse anche le modalità con cui questioni importanti come questa vengano risolte in una manciata di minuti e da poche persone chiuse nelle “stanze dei bottoni” del palazzo romano. Un problema di così grande rilevanza come l’ipotesi di privatizzazione dell'acqua non può avvenire senza un dibattito parlamentare e in assenza di dibattito pubblico.

Quando si parla di acqua si parla di falde, si parla di territorio: ambiti che non possono essere affidati a privati. Le esperienze di gestione privata del sistema idrico sono state fallimentari. I cittadini oltre a non ricevere servizi efficienti, perché spesso costretti a stare senz’acqua o, peggio a utilizzare acqua inquinata, si ritrovano a pagare ai privati bollette sempre più esose. Oltre il danno anche la beffa. Sarebbe bastato valutare questo per evitare una scelta così irresponsabile da parte sia della maggioranza di governo sia dell’opposizione che sulla privatizzazione dell’acqua si sono trovate unite in un unico afflato.

 

 

emendamento a disegno di

legge, 9/7/2008 - Art. 23-bis.

 

 

 

 

Non sprecare l'acqua... è preziosa!

 

 

 

 

L’acqua va ai francesi, i

cittadini non pagano

«Oro blu» e proteste, dal basso Lazio alla Sicilia

di Andrea Palladino

 

C’è una vecchia espressione napoletana che viene in mente quando si tenta di descrivere lo stato dell’arte delle società che gestiscono l’acqua in Italia, «facite ammuina». Era l’ordine che il comandante di una nave dava per far vedere che c’era movimento: «Chi sta avanti vada dietro, chi sta a destra vada a sinistra…». Se è vero che le grandi imprese - quasi tutte multinazionali - sono facilmente elencabili, gli incroci societari, i sistemi di scatole cinesi, gli intrecci tra pubblico e privato sono il marchio caratteristico che si ritrova in molti Ato, gli ambiti territoriali ottimali disegnati dalla legge Galli. Così, dietro ai tre modelli possibili di gestione delle risorse idriche in Italia (mista pubblico-privato, pubblica o completamente privata) si nascondono architetture societarie che la stessa Autorità della concorrenza definisce spesso «complicate».

Nella provincia di Latina nel 2001 la gara per la gestione delle risorse idriche venne vinta da un raggruppamento di imprese che, in cinque anni, ha visto almeno due ridefinizioni societarie. E se oggi il 49% di Acqualatina spa, il gestore responsabile della distribuzione dell’acqua, è saldamente in mano alla multinazionale francese Veolia, il grido «facite ammuina» lo si ritrova nei conti e, di conseguenza, nelle bollette che i cittadini pagano per il bene comune più prezioso. Primo dato, quello più eclatante: aumenti che vanno dal 50 al 1.000%; secondo dato, tanti soldi per coprire consulenze infragruppo (date cioè ad aziende collegate al gruppo Veolia); terzo dato, un rapporto tra il pubblico (rappresentato dalla conferenza dei sindaci della provincia di Latina) e Veolia complesso e sbilanciato. Ad onor del vero anche i cittadini hanno voluto rispondere con la loro ammuina: in 6 mila ad Aprilia, città di 56 mila abitanti della provincia, hanno deciso che non riconoscono il gestore francese come loro padrone dell’acqua. Si sono riuniti in comitato, hanno rispedito al mittente le bollette e stanno pagando l’acqua a chi da sempre l’aveva gestita, il Comune.

La sede del comitato ha trovato ospitalità in varie sedi (comitati di quartiere e associazioni). Chi lo guida sono cittadini normali che magari avevano avuto qualche esperienza collettiva nelle scuole per discutere insieme i problemi dei figli. Pochi provengono dal mondo politico. Ora si trovano davanti anziani con una pensione inferiore alla bolletta ricevut, piccoli commercianti che usano l’acqua nel negozio solo per i bisogni più urgenti che si sono visti triplicare il costo e famiglie monoreddito che passano l’intera giornata fuori città, come pendolari precari, e che non sanno dove trovare i soldi per pagare l’acqua che consumano. Ogni giorno assistono decine, a volte centinaia di utenti-cittadini, che fanno la fila portando una cartellina con la scritta «acqua». E’ difficile per loro capire che il solo costo dello stipendio dell’amministratore delegato vale 250 mila metri cubi d’acqua o che il contratto di managment che Veolia offre a se stessa all’interno di Acqualatina costa più di un milione di euro all’anno. Guardano la bolletta con un certo stupore quando leggono sui giornali che il «gestionale» che ha calcolato quegli aumenti per loro inspiegabili si chiami «Genio» e che è costato 4,2 milioni di euro («ma divisi su tre anni», spiega il gentilissimo ufficio stampa di Acqualatina). Capire come funziona il bilancio del loro gestore dell’acqua poi gli interessa in realtà poco: sono più interessati alla cifra finale che gli arriva in busta chiusa a casa.

Interessa però alla Guardia di Finanza e alla Procura della repubblica che da tre anni starebbero cercando di ricostruire le consulenze infragruppo per verificare l’eventuale sussistenza di una possibile evasione fiscale e altri reati più gravi. La visita dei finanzieri (che starebbero contestando la congruità di 14 milioni di euro) l’hanno dovuta inserire in bilancio, decidendo di accantonare 90 mila euro per far fronte agli imprevisti con l’Agenzia delle entrate. La stessa Regione Lazio ha deciso due giorni fa di schierarsi con i comuni della provincia che non hanno ratificato la convenzione con Acqualatina e hanno fatto ricorso al Tar. L’assessore regionale Filiberto Zaratti va anche oltre: «La Regione avvierà un’indagine amministrativa sull’attività di gestione del servizio di Acqualatina». Se le famiglie della provincia di Latina si trovano in difficoltà, Veolia non sta messa meglio, visto che per garantire l’equilibrio economico finanziario ha dovuto chiedere 14 milioni di euro ai sindaci e le banche dati alle anagrafi per scovare chi l’acqua si ostina a non pagarla. Hanno poi dato l’incarico a un’agenzia di recupero crediti di cercare di convincere i cittadini di Aprilia che pagare le bollette al Comune non vale, facendo chiamare a casa o inviando lettere che promettono la sospensione del servizio.

Il comitato dei cittadini di Aprilia ha però deciso di andare fino in fondo. Raccoglie documentazione, analizza i bilanci, presenta ricorsi. E qualche piccola vittoria l’ha già raggiunta. Il Tar ha infatti dichiarato non applicabili alcune clausole contrattuali che prevedevano, ad esempio, la rescissione del contratto (cioè la chiusura definitiva dell’acqua) per chi non pagava le bollette senza ricorrere all’autorità giudiziaria o la sospensione del servizio per chi era in ritardo di due bollette. Il consiglio comunale di Aprilia ha poi deciso di non ratificare il contratto di servizio, creando una spaccatura di fatto tra sindaco e consiglieri.
 

In realtà il rapporto tra la parte politica che dovrebbe decidere e controllare le politiche idriche e la Veolia che possiede quasi l’intero pacchetto del 49% delle azioni che spettano al privato è a dir poco complesso. Nell’accordo di concessione è infatti previsto che i sindaci dei Comuni e i presidenti della Provincia di Latina e di Roma (nell’Ato 4 sono inclusi anche i comuni di Anzio e Nettuno, che si trovano in territorio romano) debbano garantire l’equilibrio finanziario del contratto stesso. Se c’è qualcuno che ci deve rimettere, in altre parole, non può essere la multinazionale. Così il 28 settembre 2005 la conferenza dei sindaci e dei presidenti ha stabilito che «quanto dovuto ad Acqualatina da parte dell’Ato 4 per raggiungere l’equilibrio economico finanziario (…) è pari a un importo complessivo di 14,7 milioni di euro». Un impatto economico notevole per comuni spesso già in difficoltà. La soluzione? Questi soldi dovranno essere reperiti con la lotta all’utenza abusiva. Nel frattempo Acqualatina chiede un prestito «rimanendo esclusa qualsiasi forma di garanzia da parte del soggetto gestore». Questa soluzione, proposta nel bilancio 2005, ha subito una modifica nel luglio scorso. La conferenza dell’Ato 4 ha rivisto il contratto di concessione, correggendo alcuni punti cruciali quali le tariffe (altri aumenti in vista) e le norme che regolano l’eventuale uscita di Veolia.Facite ammuina, dicevano i comandanti napoletani. E i marinai correvano da una parte all’altra…

Anche Veolia sposta i suoi marinai. Ad esempio Luigi Besson, vice presidente di Acqualatina, è al contempo amministratore delegato di Sorical, il gestore pubblico-privato della Calabria. Lo stesso Besson era un importante dirigente dell’ufficio regionale che, all’epoca della giunta Badaloni, si occupò del disegno degli ambiti idrici e della legge regionale che regolamenta l’acqua nel Lazio. I consiglieri d’amministrazione di parte privata passano da un gestore all’altro, mentre le diverse imprese controllate da Veolia si scambiano consulenze (la stessa Acqualatina ha venduto consulenza alla Sorical per 514 mila euro) e sistemi gestionali. Veolia quando entra nelle gestioni miste promette di apportare le competenze e spesso vince le gare grazie a questa promessa. Peccato che i costi di queste consulenze e dei gettoni di presenza dei consiglieri che girano l’Italia portino ad aumenti e a «squilibri finanziari» che i comuni saranno costretti a ripianare. 

 

 

 

APPENDICE

Un nostro lettore ci scrive

 

 

APPROFONDIMENTO

FORUM ITALIANO DEI MOVIMENTI PER L'ACQUA

 

Acqua e rifiuti, il business Veolia

Il sistema pubblico-privato di gestione dell'«oro blu» al sud. La vicenda di Acqualatina apre il coperchio su un affare che si espande in Calabria e Sicilia. La Siba spa, controllata da una multinazionale francese, gestisce le risorse idriche delle due regioni. Un vero e proprio impero che sarebbe dovuto arrivare fino ad Acerra. Ma le mancate «garanzie politiche» hanno spinto i francesi al ritiro

 

L'acqua rubata. Dalla mafia alle multinazionali

L'acqua è già e lo sarà ancora di più nei prossimi anni uno dei problemi più gravi che l'umanità si trova a dover affrontare. Sempre più frequentemente sentiamo dire che le risorse idriche stanno diventando sempre più rare (ma spesso si enfatizza a bella posta l'allarme sulla penuria d'acqua come se fosse un dato ineluttabile) e sempre più di difficile accesso. Espressione come "l'oro blu del XXI secolo" valgono a indurre questa convinzione: l'acqua è un bene prezioso che costerà sempre di più e potrà essere causa di guerre.