CONCILIO VATICANO II:

50 ANNI DI SPERANZE E DELUSIONI.

APPUNTI E PENSIERI A 50 ANNI DAL CONCILIO

"Aspettavamo la primavera ed è venuta la tempesta", lamentava Paolo VI nel 1967, di fronte all'esodo di un terzo dei sacerdoti e delle religiose, mentre antiche e nuove tentazioni ereticali coinvolgevano l'intellighenzia clericale e i praticanti abbandonavano in massa le chiese.

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

11 ottobre 1962,  inizia il Concilio Vaticano II

 

 

INTRODUZIONE

Fonte web

Il Concilio ecumenico Vaticano II è stato il ventunesimo e ultimo concilio ecumenico, ovvero una riunione di tutti i vescovi del mondo per discutere di argomenti riguardanti la vita della Chiesa cattolica. Si svolse in quattro sessioni, dal 1962 al 1965, sotto i pontificati di Giovanni XXIII e Paolo VI. Promulgò quattro Costituzioni, tre Dichiarazioni e nove Decreti.

L'indizione

L'annuncio dell'indizione di un concilio venne dato da papa Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959, a soli tre mesi dalla sua elezione al soglio pontificio, nella basilica di San Paolo, insieme all'annuncio di un sinodo della diocesi di Roma e dell'aggiornamento del Codice di Diritto Canonico: «Venerabili Fratelli e Diletti Figli Nostri! Pronunciamo innanzi a voi, certo tremando un poco di commozione, ma insieme con umile risolutezza di proposito, il nome e la proposta della duplice celebrazione: di un Sinodo Diocesano per l'Urbe, e di un Concilio ecumenico per la Chiesa universale».

Il 16 maggio venne nominata la commissione antipreparatoria, presieduta dal cardinale Domenico Tardini, la quale consultò tutti i cardinali, i vescovi cattolici, le congregazioni romane, i superiori generali delle famiglie religiose cattoliche, le università cattoliche e le facoltà teologiche, per chiedere suggerimenti sugli argomenti da trattare. In dicembre il papa dichiarò inoltre che il concilio non sarebbe stato considerato una prosecuzione del Concilio Vaticano I (sospeso, ma non concluso, nel 1870) ma avrebbe avuto una propria fisionomia; fu tuttavia chiaro subito che uno dei principali compiti del Concilio sarebbe stato il completamento della riflessione sulla Chiesa, sia nel rapporto con il mondo sia nella definizione della sua identità e natura, già avviata dal Vaticano I con la costituzione Pastor Aeternus e poi interrotta. Nel 1960 venne poi nominata la commissione preparatoria, presieduta dallo stesso papa, la quale definì gli argomenti da trattare durante le sessioni plenarie del Concilio.

Il 25 dicembre 1961 Giovanni XXIII firmò la costituzione apostolica Humanae salutis con il quale indiceva ufficialmente il concilio; il 2 febbraio 1962 promulgò infine il motu proprio Consilium con il quale stabiliva il giorno di apertura dello stesso: la data scelta fu l'11 ottobre, che secondo le parole dello stesso papa «si ricollega al ricordo del grande Concilio di Efeso, che ha la massima importanza nella storia della Chiesa». Il 1º luglio 1962 pubblicò inoltre l'enciclica Paenitentiam Agere, nella quale si invitavano clero e laicato a «prepararsi alla grande celebrazione conciliare con la preghiera, le buone opere e la penitenza», ricordando che nella Bibbia «ogni gesto di più solenne incontro tra Dio e l'umanità [...] è stato sempre preceduto da un più suadente richiamo alla preghiera e alla penitenza».

Apertura del Concilio Vaticano II

Il Concilio fu dunque aperto ufficialmente l'11 ottobre 1962 da papa Giovanni XXIII all'interno della basilica di San Pietro in Vaticano con cerimonia solenne. In tale occasione pronunciò il celebre discorso Gaudet Mater Ecclesia (Gioisce la Madre Chiesa) nel quale indicò quale fosse lo scopo principale del concilio: « [...] occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione. » Il sinodo si caratterizzò pertanto subito per una marcata natura "pastorale": non si proclamarono nuovi dogmi (benché siano stati affrontati dogmaticamente i misteri della Chiesa e della Rivelazione), ma si vollero interpretare i "segni dei tempi" (Matteo 16, 3); la Chiesa avrebbe dovuto riprendere a parlare con il mondo, anziché arroccarsi su posizioni difensive. Nello stesso discorso Roncalli si rivolse anche ai «profeti di sventura», gli esponenti della Curia e del clero più avversi all'idea di celebrare un Concilio: « Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa ». Quella stessa sera il pontefice pronunciò inoltre il celebre "Discorso alla luna".

Un concilio "ecumenico"

Fu un vero e proprio Concilio "ecumenico": raccolse quasi 2500 cardinali, patriarchi e vescovi cattolici da tutto il mondo. Al momento dell'apertura, il vescovo più anziano era l'italiano mons. Alfonso Carinci, di 100 anni, arcivescovo titolare di Seleucia di Isauria, Segretario emerito della Sacra Congregazione dei Riti, nato a Roma il 9 novembre 1862, ed ivi morto il 6 novembre 1963, mentre il più giovane era il peruviano mons. Alcides Mendoza Castro, di 34 anni, vescovo titolare di Metre, ausiliare di Abancay, nato a Mariscal Cáceres il 14 marzo 1928, consacrato vescovo il 28 aprile 1958, morto il 20 giugno 2012 a Lima. Fu la prima vera occasione per conoscere realtà ecclesiali fino a quel momento rimaste ai margini della Chiesa. Infatti nel corso dell'ultimo secolo la Chiesa cattolica da eurocentrica si era andata caratterizzando sempre più come una Chiesa universale, soprattutto grazie alle attività missionarie avviate durante il pontificato di Pio XI. La diversità non era più rappresentata dalle sole Chiese cattoliche di rito orientale, ma anche dalle Chiese latino-americane ed africane, che chiedevano maggiore considerazione per la loro "diversità". Non solo: al Concilio parteciparono per la prima volta, in qualità di osservatori, anche esponenti delle comunità cristiane scismatiche con la Chiesa di Roma, come ad esempio quelle ortodosse e protestanti.

 

 

Il Vaticano II, un Concilio pastorale. Prof. Roberto de Mattei

 

 

La Chiesa e i nuovi totem del neomodernismo

Fonte web

Anselmo BorgesSarebbe difficile per chiunque giocare con avversari, che usino carte truccate. E’ la stessa sensazione che si ricava, leggendo certi interventi in teoria dedicati al Concilio Vaticano II, ma che di fatto parlano d’altro, di preciso non si sa neppure di che cosa. Documenti, in cui si spaccia per realtà storica e documentaria ciò ch’è semplice vagheggiamento, pura utopia, personalistica illusione. Lo dimostra, ultimo di una lunga ed ormai datata serie, l’articolo “A caminho do Vaticano III?” di Anselmo Borges (nella foto), pubblicato dal quotidiano portoghese “Diário de Notìcias” lo scorso 5 luglio e subito ripreso -ovviamente- dall’agenzia italiana “Adista” sul n. 29 del 28 luglio col titolo “Il lungo inverno”. Dove col termine “lungo inverno” non ci si riferisce -come sarebbe stato legittimo e come ci si sarebbe potuto aspettare- alle cause che negli ultimi cinquant’anni hanno svuotato le chiese, desertificato i seminari, secolarizzato clero e fedeli. No, ci si riferisce all’esatto opposto. Ovvero si invoca più parlamentarismo e meno gerarchia nella Chiesa, più terzomondismo pauperistico, più ecologismo, giungendo alle solite rivendicazioni da pasdaran, ormai trite e ritrite, che vanno dal matrimonio per i preti al sacerdozio per le donne, dal “controllo della natalità” -leggasi aborto- sino all’immancabile proposta di un “Vaticano III”. Basta leggere sul “Corriere” uno qualsiasi degli articoli scritti in merito da Hans Küng, autodefinitosi “teologo cattolico dissidente”, per ritrovarvi più o meno le medesime argomentazioni. Un sociologismo lontano anni luce, insomma, dal Vangelo.

Ciò che dovrebbe far riflettere è piuttosto altro: in tutto lo scritto, Anselmo Borges parla del Vaticano II, senza citarlo una sola volta. Né potrebbe. Poiché i testi di questo Concilio -come dei precedenti- dicono altro rispetto a quanto asserito da lui e da tutti gli altri iperconciliaristi. Chi li contesta, viceversa, può farlo, documenti alla mano. Qualche esempio, ma l’elenco sarebbe lungo: il primato petrino, esplicitato nel Concilio Vaticano I, di fatto non è stato per niente “archiviato” dal Vaticano II, bensì ribadito e confermato, individuando nel “romano Pontefice, quale successore di Pietro, il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli” (Lumen Gentium, n. 23): la Chiesa è sì communio, ma ciò va armonizzato e subordinato alla funzione primaziale del Vescovo di Roma. Concetto, tanto per esser chiari, ribadito ancora nello stesso Catechismo della Chiesa Cattolica. Ed ancora il Vaticano II ha ribadito il latino quale lingua ufficiale della Chiesa, il primato del canto gregoriano in chiesa, del tomismo in filosofia, oltre a molte altre asserzioni certo sgradite a modernisti e relativisti, però documentate e documentabili.

Ma Borges preferisce ciò che nel calcio si chiama simulazione: cita il teologo Juan José Tamayo quando parla del Concilio come di “una breve primavera, cui è seguito un lungo inverno”, però tralascia totalmente le ben più autorevoli parole di Papa Paolo VI, che pure, a proposito del Vaticano II, affermò: “Ci aspettavamo una primavera ed è giunta una bufera”. Concetto molto diverso…

V’è tuttavia un altro motivo, per cui Borges non fa riferimento alcuno ai testi: questi -come più volte ribadito dal regnante Pontefice, Benedetto XVI- non possono esser letti infatti a sé stanti, isolati dalle Scritture, dal Magistero e dalla Tradizione. Si collocano in un’ottica di “continuità”, dunque -tanto per citare gli esempi contenuti nell’articolo citato- non aboliscono -e non lo potrebbero- né l’accezione negativa, né quella positiva del termine “mondo”, rintracciabili entrambe e con diverso significato già nella Sacra Bibbia; non annullano la condanna del modernismo, esplicitata da San Pio X nell’enciclica “Pascendi dominici gregis”; non cancellano la necessità di ordinare i diritti umani all’ordine voluto da Dio affinché questi abbiano effettivo valore, come ribadito da Pio VI, Pio IX, Pio XII e nella stessa enciclica “Pacem in terris” del Beato Giovanni XXIII; non azzerano l’“extra Ecclesiam nulla salus”, ribadito a chiare lettere ancora da Pio IX, Pio XII nel 1949 e confermato dallo stesso Papa Roncalli nell’omelia per la sua incoronazione, il 4 novembre 1958. Son questi forse, secondo Borges, gli alfieri dell’”integrismo”, gli strateghi della “calcolata restaurazione”, che nel Beato Giovanni Paolo II ed, oggi, in Benedetto XVI avrebbe trovato nuova forza? Accuse ridicole, veri e propri depistaggi ideologici, che confondono la cura col male. Come i frutti già stanno dimostrando, se oggi di rimedi si può parlare, questi posson essere individuati solo nella “messa in latino”, nella “condanna dei teologi” postisi al di fuori della cristiana Dottrina, nella necessità di riportare ordine anche con nomine azzeccate rappresentano, provvedimenti -assieme a molti altri- non più differibili e di cui si sente estremo bisogno. Articoli come quello di Borges lo dimostrano con l’ennesimo rilancio -più comico che sfrontato- di un Vaticano III, questa volta addirittura individuando il nome del Pontefice chiamato ad indirlo, tale Giovanni XXIV. Il fumo ad arte sollevato in questi decenni sul Vaticano II dimostra come ancora non si siano somatizzate, né cicatrizzate le ferite aperte, dunque appare inutile, anzi deleterio pensare d’aggiungere altra polvere nella Casa di Dio. E machiavellica la soluzione avanzata da Borges col pretesto di voler ottimizzare anche i “costi” di tale iniziativa: convocare i presidenti delle Conferenze Episcopali, sperando così di poter contare su inedite maggioranze “progressiste” nell’affrontare le cosiddette “emergenze” -che, in realtà, emergenze non sono- come la “globalizzazione”, le “nuove tecnologie”, la “comunicazione” e le solite manfrine ormai consunte, dagli “scandali in Vaticano” al “celibato”, dal “posto della donna nella Chiesa” alla “riforma delle strutture ecclesiastiche”, segno evidente di come, in questi cinquant’anni, gli iperconciliaristi non siano in realtà stati in grado di elaborare nulla di veramente nuovo. Neppure sui temi loro cari. Anche qui, un esempio per tutti: il loro concetto -ormai vecchio- di ecologismo rappresenta la versione pasionaria di quanto invece correttamente espresso già nella Costituzione Dogmatica “Dei Filus” del Vaticano I, che stabilisce il fondamento dell’uomo e del mondo sul piano della natura creata. Insomma, piaccia o non piaccia loro, la Chiesa non comincia, né lo potrebbe, col Concilio Vaticano II. Chi lo pensi o, magari, lo vagheggi si colloca in un’altra, personalissima credenza, che tuttavia nulla ha a che vedere con quella cattolica, quindi universale.

Ma c’è un problema: pare non manchi -anche ad “alti livelli”- chi diffonda articoli come quello di Borges nelle Diocesi, nelle parrocchie, tra i fedeli, invelenendo così ambiti in larga parte già compromessi. Il rischio che tali distorsioni attecchiscano e trovino humus favorevole è alto, tenendo oltre tutto conto di quanto del Vaticano II parlino tutti, ma pochi lo conoscano, esponendosi quindi alle interpretazioni le più stravaganti, magari fidandosi -comprensibilmente- del giudizio di certi prelati… Nella speranza che ciò non si verifichi, è compito di ciascuno di noi ribadire come la salvezza venga solo da Cristo, certamente non dai nuovi totem del neo-modernismo. Dandoci nel contempo da fare, per smascherare la propaganda dei venditori di fumo…

 

 

Vaticano II, un Concilio pastorale. Mons. Brunero Gherardini

 

 

Padre Roger Thomas Calmel O.P.

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Camel O.P.Il linguaggio onesto della Tradizione

I primi venti Concili con le loro definizioni, protette dai relativi anatemi, hanno esplicitato, senza modificarlo, il dato della Rivelazione. Queste esplicitazioni concernenti il mistero dell’unico Dio in tre Persone, l’Incarnazione, la Vergine Maria, il peccato originale, insomma questi sviluppi della nostra Fede sono rigorosamente omogenei alla Parola di Dio. Nicea o Efeso, Calcedonia o Orange1 dicono la stessa cosa che dicono i quattro Evangeli, gli Atti degli Apostoli, le Epistole e l’Apocalisse. Questi Concili la dicono di fronte a nuovi errori, servendosi di termini nuovi, che, senza fare il minimo torto al linguaggio delle Sacre Scritture, hanno il pregio di circoscriverne il contenuto con la massima precisione ed onestà. I venti primi Concili non rischiano d’ingannare, perché usano il mezzo per non ingannare, ch è quello di definire la verità.Inoltre questi Concili, non concenti di definire, spinti come da un eccesso di franchezza, mentre formulano la proposizione di Fede si prendono la pena di esprimere con esattezza anche la proposizione opposta, per poterla meglio condannare con un solenne anatema.

Si vedano, ad esempio, i celebri testi di Trento sull’Eucaristia, la Santa Messa, il Sacerdozio. Sarebbe veramente difficile sbarrare con più cura la via ad ogni equivoco, ad ogni ambiguità. È questo un linguaggio onesto: sì sì, no no…

Esemplificazioni

«Se qualcuno dice che il Corpo e il Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo non sono nel mirabile sacramento dell’Eucaristia dopo la consacrazione, ma che vi sono solo quando ne usa, mentre sono ricevuti, ma non prima, né dopo, ovvero che nelle ostie o particole consacrate che si conservano o restano dopo la comunione non permane il vero Corpo del Signore, sia scomunicato». «Se qualcuno dice che nel santo sacramento dell’Eucaristia non si deve adorare il Cristo, Figlio unigenito di Dio, con un culto anche esterno di latria, e che, di conseguenza, non lo si deve venerare con una particolarità solennità, né portarlo in processione secondo il lodevole ed universale costume della santa Chiesa, oppure non deve essere esposto pubblicamente all’adorazione del popolo e che coloro che lo adorano sono degli idolatri, sia scomunicato»2. «Se qualcuno dice che nella Messa non si offre a Dio un Sacrificio vero e proprio o che questa offerta consiste solo nel fatto che Cristo ci è dato in cibo, sia scomunicato». «Se qualcuno dice che con le parole: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19; 1 Cor 11,24) Cristo non ha costituito gli Apostoli sacerdoti, ovvero che non ha ordinato che essi ed altri sacerdoti offrano il suo Corpo e il suo Sangue, sia scomunicato». «Se qualcuno dice che il Sacrificio della Messa è solo un sacrificio di lode e di ringraziamento o la semplice commemorazione del Sacrificio della Croce, ma non un sacrificio propiziatorio, oppure che giovi solo a chi lo riceve e non deve essere offerto per i vivi e per i defunti, per i peccati, le pene, le soddisfazioni o le altre necessità, sia scomunicato»3. «Se qualcuno dice che l’Ordine e ordinazione sacra non è un vero e proprio sacramento liturgico istituito da Cristo Signore, ovvero che è un’invenzione umana, escogitata da uomini inesperti di cose ecclesiastiche, oppure che è soltanto un rito per designare i ministri della parola di Dio e dei Sacramenti, sia scomunicato»4.

Il linguaggio del Vaticano II

«Dopo di che c’è solo da aprire il Vaticano II per constatare che i Padri hanno decisamente rotto con la Tradizione dal linguaggio netto e senza equivoci. Non ignoro i pochi testi vigorosamente formali, come la nota praevia, che rimette in ordine certi sviluppi deboli e perniciosi della Lumen Gentium sui poteri episcopali. Resta nondimeno anzitutto il fatto che la stessa lodevole nota praevia non si dà come definizione di Fede e non comporta nessun anatema, e poi ed anzitutto, che abitualmente il modo di esprimersi proprio del Vaticano II è impreciso, verboso e anche sfuggente. Qual è, ad esempio, dopo il XXI Concilio, la dottrina politica e sociale della Chiesa cattolica? Tanto il Sillabo e le Encicliche da Leone XIII a Pio XII ce la espongono chiaramente, tanto la Gaudium et Spes e la Dignitatis Humanae ci lasciano nel vago e nell’incertezza.

Testi di compromesso

Perché meravigliarcene d’altronde? Si sa da un pezzo che sono testi di compromesso. Si sa anche che una frazione modernista avrebbe voluto imporre una dottrina eretica. Impedita di raggiungere questo scopo, è riuscita tuttavia a fare approvare dei testi informali. Questi testi presentono per il modernismo il doppio vantaggio di non potere essere accusati di affermazioni apertamente eretiche e nondimeno di poter essere interpretati in un senso opposto alla Fede.

Ci attarderemo noi a combattere direttamente questi testi? Vi abbiamo pensato. Ma la difficoltà è che tali testi non offrono appigli all’argomentazione: sono troppo vaghi. Mentre vi sforzate di mettere alle strette una formula che vi sembra inquietante, ecco che nella stessa pagina ne trovate un’altra irreprensibile. Mentre cercate di puntellare la vostra predicazione o il vostro insegnamento con un testo conciliare solido, impossibile da distorcere, adatto a trasmettere al vostro uditorio il contenuto tradizionale della Fede e della morale, vi accorgete ben presto che il testo da voi scelto, ad esempio sulla liturgia o sul dovere della società verso la vera Religione, è insidiosamente indebolito da un secondo testo, che, in realtà, svigorisce il primo mentre aveva l’aria di completarlo. I decreti si succedono alle costituzioni senza offrire alla mente, salvo eccezioni rarissime, una presa sufficiente.

Un’obiezione

Ci si obietta che, per la pastorale e per ricondurre all’ovile gli sviati, il metodo delle definizioni e delle condanne non è buono. Benissimo. Ma ne esiste un altro che sia leale? Senza definizioni, si condurranno gli erranti solo al vago e al pressappoco. Ed io non vedo come si possa pretendere così di “fare della pastorale”, di cercare il bene delle anime, la verità per la mente, la conversione per il cuore.

Certo, ogniqualvolta avrò a che fare con un “fratello separato” spiegherò quanto meglio possibile il contenuto della Fede; cercherò di scoprire il sistema migliore di approccio in modo di andargli incontro esattamente là dove nascono le sue difficoltà. La spiegazione, però, sarà guidata e contenuta dalla definizione. Per spiegare il dato rivelato non mi servirò necessariamente dello stile impersonale ed astratto, che è proprio delle definizioni; mi sforzerò di adattarmi al mio interlocutore, ma starò anche attento a che l’adattamento non si ripercuota sulla definizione per togliere il benché minimo della sua incisività. Piegare, poco che sia, sotto il pretesto dell’adattamento spirituale, la formula dogmatica che si cerca di spiegare, significa allontanare proprio da ciò verso cui ci si sforza di condurre.

Immaginiamo che abbiate un incontro con un protestante, il quale cerca luce sul mistero del Sacerdozio. Comincerete col sottolineare la posizione cattolica ricordando gli enunciati del Concilio di Trento; poi passerete certamente all’esame dei testi della Scrittura relativi al Sacerdozio; potrete continuare dicendo al vostro interlocutore che siete d’accordo con lui sull’esistenza di un sacerdozio comune a tutti i battezzati: uomini, donne, fino ai poveri esseri privi dell’uso della ragione, ma rinati in Cristo; converrete anche, probabilmente, sulle deplorevoli prassi di alcune celebrazioni liturgiche, che trascurano tranquillamente l’assemblea e sembrano misconoscere il sacerdozio comune dei cristiani: richiamerete anche le circostanze attenuanti, facendo osservare che non ci sono riti, anche ordinati con molta saggezza e tenendo conto di tutto e di tutti, che si siano perpetuati per duemila anni preservandosi da qualsiasi sbavatura o negligenza. Finalmente, però, al termine di ogni ricerca, confronto, spiegazione ed esegesi, voi sarete ben costretti, se non volete ingannare il vostro protestante, a tornare al punto di partenza, cioè alla famosa definizione dalla quale eravate partiti e che non c’è mezzo di eliminare o di flettere: «Se qualcuno dice che nel Nuovo Testamento non c’è un sacerdozio visibile ed esteriore ovvero che non c’è il potere di consacrare, di offrire il vero Corpo e il vero Sangue del Signore e di rimettere o ritenere i peccati, ma soltanto l’ufficio e il semplice ministero di predicare il Vangelo, oppure che coloro che non predicano non sono più sacerdoti, sia scomunicato». «Se qualcuno dice che l’Ordine o ordinazione sacra non è un vero e proprio sacramento istituito da Cristo Signore, ovvero che è un’invenzione umana, escogitata da uomini inesperti di cose ecclesiastiche oppure che è soltanto un rito per designare i ministri della parola di Dio e dei Sacramenti, sia scomunicato»5. «Se qualcuno dice che lo Spirito Santo è dato con l’Ordine sacro e che perciò invano i Vescovi dicono: “Ricevi lo Spirito Santo” oppure che con l’ordinazione non s’imprime il carattere e che colui che una volta fu sacerdote può ritornare laico, sia scomunicato»6.

Una pastorale degna di questo nome

Solo il Sacerdozio del prete ha un potere, che, per essere sbalorditivo, non è per questo meno reale ed estremamente definito: offrire il Santo Sacrificio mediante la transustanziazione separata del pane e del vino. Il sacerdozio dei semplici battezzati non ha nulla a che vedere neppure da lontano con questo potere. È tutt’altra cosa e riguarda un’altra sfera. In definitiva ciò deriva dal fatto che, essendo la Chiesa per istituzione divina gerarchica, alcuni dei suoi membri, e non tutti indistintamente, godono di determinati poteri. Inoltre, e sempre per divina istituzione, questi poteri sono conferiti a titolo personale e non delegati ad un collegio a maggioranza di suffragi, dietro consultazione democratica del popolo di Dio.

Benevolenza, pazienza, comprensione, agilità di spirito per ascoltare e spiegarsi, ma al tempo stesso ed anzitutto rigore inflessibile nel proporre le definizioni della Fede: tale fu in ogni tempo e fin dalle origini la duplice legge della pastorale cattolica. E noi non abbiamo nessun desiderio di alterarla, anche se l’ultimo Concilio ha preteso di fare di meglio. La nostra pastorale, perciò, continuerà ad appoggiarsi sui Concili precedenti che, avendo deliberatamente scelto di definire, cioè di separare il vero dal falso, hanno impugnato l’unico mezzo per condurre le pecore ai pascoli salutari, compiendo con ciò un’opera pastorale degna di questo nome.

No desideriamo, certamente, il ritorno dei protestanti all’integrità e all’unità cattolica. Che questo ritorno, però, si compia onorevolmente, che non si fondi su degli equivoci. Che i protestanti, perciò, siano subito avvertiti, tra molte altre cose che la Chiesa giudica la loro Cena una corruzione dell’istituzione evangelica e che perciò chiede loro di rinunciarvi. Così, sempre per desiderio di onestà, diremo ai musulmani che la Chiesa di Gesù Cristo ha come solo vero Dio, non il loro Dio, ma il Suo e nostro Dio: non il Dio, che esclude dal suo mistero la Trinità delle persone e l’Incarnazione del Figlio, non il Dio di Caifa e dell’enigmatico fondatore dell’Islam7, ma il Dio di Abramo e di Gesù Cristo. Abramo, infatti, senza conoscere la Trinità delle persone, aveva adorato la loro unità con tanta sottomissione ed amore che era disposto a ricevere la piena Rivelazione su Jahveh, ovvero a credere implicitamente nella Santissima Trinità, ovvero a credere implicitamente nella Santissima Trinità. Ricordiamoci, infatti, delle grandi parole di Gesù, il Verbo Incarnato: «Abramo, vostro padre, ha trasalito di gioia al pensiero di vedere il mio girono; l’ha visto e se n’è rallegrato» (Gv 8,56).

Testo tratto da: Padre Roger-Thomas Calmel O.P. Breve Apologia della Chiesa di sempre, ed. Ichthys pp. 33-39 (capitolo III: “Le definizioni dogmatiche e l’ordinanza rituale”).

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1. Sinodo provinciale tenuto nel 529 sotto la presidenza di San Cesario, ma le cui decisioni furono riprese dal Concilio ecumenico di Trento.

2. Concilio di Trento: Canoni sul Santissimo Sacramento dell’Eucaristia (Dz. 886-887).

3. Concilio di Trento: Canoni sul Santissimo Sacrificio della Messa (Dz. 948, 949, 950).

4. Concilio di Trento: Canoni sul Sacramento dell’Ordine (Dz. 963).

5. Ibidem.

6. Ivi (Dz. 961, 963, 964).

7. Sinodo provinciale tenuto nel 529 sotto la presidenza di san Cesario, ma le cui decisioni furono riprese dal Concilio ecumenico di Trento.

 

 

Vaticano II, un Concilio pastorale. P. Serafino M. Lanzetta, FI

 

 

La Tradizione è la risposta, da sempre,

ai problemi della Chiesa

Fonte web

Sulla copertina dell’ultimo libro di Roberto de Mattei c’è san Gerolamo (347-419/420); si tratta del celebre affresco «San Gerolamo nello studio» (ca. 1480) di Domenico Ghirlandaio (1449-1494) e conservato nella chiesa di Ognissanti a Firenze. I libri aperti e i cartigli, con scritte in greco e in ebraico, rimandano alla sua attività: fu il primo traduttore della Bibbia dal greco e dall’ebraico al latino, la cosiddetta Vulgata. Ghirlandaio ha voluto raffigurarlo pensieroso, mentre pone il suo sguardo a chi lo osserva. Questo Dottore della Chiesa, garante della Tradizione cattolica, guarda noi, ci scruta e con il viso appoggiato alla mano sinistra, mentre l’altra mano è in atteggiamento di scrittura, sembra dire: «ma che ne avete fatto della Tradizione che vi abbiamo consegnato»? Il libro porta un titolo decisamente interessante: Apologia della Tradizione. Proscritto a Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta (Lindau, pp. 161, € 16.00). Sulla base della teologia più sicura, quale quella della Scolastica (e di san Tommaso d’Aquino in particolare), della Contro-Riforma e della Scuola romana del XIX e XX secolo, che si prolunga nel XXI grazie alla figura straordinaria di Monsignor Brunero Gherardini, e sulla base del Magistero dei Sommi Pontefici, de Mattei si fa ripetitore della posizione della Tradizione della Chiesa, quella che la rende Santa e Immacolata. Questo studio è la risposta più bella a coloro che hanno cercato, con argomenti poveri e a volte meschini, di confutare l’opera Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, che è valsa al suo autore il Premio Acqui Storia 2011.

Possono seri teologi e seri storici osservare gli accadimenti malsani della e nella Chiesa? Oppure devono far finta di nulla e per ossequio non alla Verità, ma all’autorità, accettare come buono ed efficace tutto ciò che da quest’ultima deriva? «Splendore Veritatis gaudet Ecclesia» («La Chiesa si compiace del rifulgere della Verità», così affermò Leone XIII (1810-1903) il 4 maggio 1902 ai rappresentanti degli Istituti storici stranieri a Roma. La Chiesa ha sempre, prima o poi, reso omaggio a chi le ha dimostrato amore, contribuendo a mantenerla come la volle il suo Fondatore, cioè pura da ogni errore ed eresia, anche con la critica, che l’amore rende sempre costruttiva.

La storia della Chiesa non è mai stata pacifica. Persecuzioni esterne e persecuzioni interne, eresie, malvagità, corruzioni di varia origine l’hanno continuamente aggredita, poiché Ella è composta da uomini, poiché la sua parte militante è composta di uomini concepiti con il peccato. Allora ben vengano persone coraggiose che non si nascondono nel comodo «seguire la corrente». Lo stesso Leone XIII incoraggiava coloro che andavano ad esaminare le piaghe della Chiesa, come risulta dalla sua enciclica Depuis le jour indirizzata ai vescovi e al clero di Francia (8 settembre 1899):

«Lo storico della Chiesa sarà tanto più efficace nel farne rilevare la sua origine divina, superiore ad ogni concetto di ordine puramente terrestre e naturale, quanto più sarà stato leale nel non dissimulare nulla delle sofferenze che gli errori dei suoi figli, e alle volte anche dei suoi ministri, hanno causato nel corso dei secoli a questa Sposa di Cristo. Studiata così la storia della Chiesa anche da sola costituisce una magnifica e convincente dimostrazione della verità e della divinità del Cristianesimo»1.

De Mattei, nello scrivere la sua Apologia, fa riferimento, in particolare, a due opere di storici che si sono permessi di indagare la storia della Chiesa con occhio lucido e disincantato, opere molto apprezzate dallo stesso Leone XIII e da san Pio X (1835-1914): la Storia universale della Chiesa (che va dalla nascita della Chiesa al pontificato di Leone XIII) del Cardinale Josef Hergenröther (1824-1890) e Storia dei Papi dalla fine del Medioevo del barone Ludwig von Pastor (1854-1929).

Gli errori possono accadere ai figli della Chiesa, ai suoi ministri, ai suoi Pastori, ai suoi capi supremi, sbagli che non riguardano soltanto la loro esistenza personale, ma anche il munus più alto a loro affidato, ossia l’esercizio del governo. «L’infallibilità del Magistero della Chiesa non significa che essa non abbia conosciuto nel corso della sua storia scismi ed eresie che hanno dolorosamente diviso i successori degli Apostoli e, in taluni casi, lambito la stessa Cattedra di Pietro»2. Gli errori che l’hanno allontanata dalla Verità, veicolata dalla Tradizione, non hanno però tolto nulla alla grandezza e indefettibilità del Corpo Mistico di Cristo, perché la santità è parte integrante della Chiesa. Disse Monsignor Pio Cenci, il quale curò l’edizione italiana della Storia dei Papi dalla fine del Medioevo di von Pastor: «Non c’è nulla da temere: ho detto tutto, però l’ho detto come un figlio costretto a svelare i falli di una dilettissima Madre»3. Lo stesso von Pastor, sul letto di morte, dichiarò: «Dite al Papa che l’ultimo palpito del mio cuore è per la Chiesa e il Papato».

Non possono gli studiosi intossicati di modernismo (proprio loro che da sempre si gloriano di essere scientifici nei pensieri come negli studi), coscienti o non coscienti di esserlo, biasimare chi, con rigorosi strumenti storiografici, compie ricerche e approfondimenti per far luce su fatti ed eventi, e sulle cause di quei fatti e di quegli eventi. «Se i fatti storici pongono problemi teologici, lo storico non può ignorarli e deve portarli alla luce, richiamandosi sempre alla dottrina della Chiesa. Allo stesso modo, sul piano teologico, tutti i battezzati hanno il diritto di sollevare problemi e porre questioni alle legittime autorità ecclesiastiche, anche se nessuno ha la facoltà di sostituirsi al supremo Magistero della Chiesa per risolvere in maniera definitiva i punti controversi»4.

Perché san Gerolamo poté tradurre? Perché sant’Atanasio (ca. 295-373), pur condannato e scomunicato, deposto dalla sua cattedra episcopale, venne poi riconosciuto campione della Fede ortodossa? Perché san Paolino (300-358), Vescovo di Treviri, fu quasi il solo a battersi per la Fede nicena e fu esiliato in Frigia, dove morì a causa degli ariani? Perché sant’Agostino (354- 430) impugnò i pelagiani? Perché fu concesso a san Cirillo di Alessandria (370-444) di fronteggiare vittoriosamente Nostorio? Perché i santi abati di Cluny, mentre il Papato viveva un periodo di grande abiezione, fu permesso di trasformare uomini e istituzioni del Medioevo? L’essenza di Madre Chiesa non è mai stata inquinata, neppure quando gli uomini di Chiesa hanno deviato nella Fede, nei principi, nell’etica. A tenere viva la fiamma sopra al moggio sono state figure auree di intelligenza, di zelo, di ardore, di alte virtù teologali e cardinali. Così accadde anche durante il Sacro Romano Impero quando agirono personalità come santa Matilde (ca. 895-968), santa Adelaide (931-999), reggente del Sacro Romano Impero e del Regno di Francia, sant’Enrico II (973 o 978-1024) e la consorte santa Cunegonda (978 circa-1039).

Perché storici e teologi possono studiare, indagare, cercare di capire ciò che non funziona nella Chiesa? Non si tratta di lesa maestà, ma di amore per ciò che Cristo edificò sulla pietra. Risponde de Mattei: «Prima di essere storici e teologi, gli studiosi cattolici sono membri del Corpo Mistico di Cristo e hanno non solo il diritto, ma il dovere di occuparsi, con la competenza che è a loro propria, di tutte le questioni di fede e di morale di cui la Chiesa, e solo Essa, è custode e maestra. Ogni fedele, quale che sia la sua posizione e il suo ruolo nella Chiesa e nella società civile, ha il diritto di sollevare questioni e di interpellare l’autorità ecclesiastica perché le risolva, attraverso la parola suprema del suo Magistero»5 infallibile.

Allora accade che Dio permetta al gregge di difendersi. Afferma, infatti, dom Prosper Guéranger (1805-1875): «Di regola, senza dubbio, la dottrina discende dai vescovi ai fedeli; e non devono i sudditi giudicare nel campo della fede i capi. Ma nel tesoro della rivelazione vi sono dei punti essenziali dei quali ogni cristiano, per ciò stesso ch’è cristiano, deve avere la necessaria conoscenza e la dovuta custodia»6.

Vescovi, dottori, monaci e monache si sono rivelati diga provvidenziale per arrestare errori e difetti. I primi tre secoli del Cristianesimo furono bagnati dal sangue dei martiri. Il IV secolo, invece, vide il grande pericolo dell’Arianesimo. Il beato John Henry Newman (1801-1890), nel 1859, già convertitosi al Cattolicesimo grazie ai Padri della Chiesa, grazie alla Tradizione, grazie alla liturgia che aveva ammirato a Roma, in Sicilia e a Milano, scrisse un articolo nel quale affermò che durante la crisi ariana l’Ecclesia docens non si era sempre dimostrata come attivo strumento della Chiesa infallibile. Mirabile ciò che poi asserisce nel suo peculiare ed analitico studio sugli ariani: «Voglio dire che in quel tempo di immensa confusione il divino dogma della divinità di Nostro Signore fu proclamato, inculcato, mantenuto e (umanamente parlando) preservato molto più dalla Ecclesia docta che dalla Ecclesia docens; che il corpo dell’episcopato fu infedele al suo incarico, mentre il corpo del laicato fu fedele al suo battesimo; talora il Papa, talora le sedi patriarcali e metropolitane e altre di grande importanza, talaltra i concili generali, dissero ciò che non avrebbero dovuto o fecero cose che compromisero od oscurarono la verità rivelata; mentre d’altro canto, fu il popolo cristiano che, sotto la protezione della Provvidenza, costituì la forza ecclesiastica di Atanasio, Ilario, Eusebio di Vercelli e di altri grandi e solitari confessori che avrebbero fallito senza di esso»7.

Durante i sessant’anni della crisi ariana venne meno un pronunciamento infallibile della Chiesa docente, che brancolava nella confusione, eppure il sensus fidei conservò l’integrità della Fede. Il sensus fidei, attraverso il quale lo Spirito Santo opera nella Sposa di Cristo, ha più volte salvato la barca di Pietro.

In due millenni di vita la Chiesa ha dato di sé manifestazioni e prove eccelse, ma anche penose e dannose. Pensiamo, per esempio, a cosa fu la Roma di Leone X che, catturato dal mondo, badò maggiormente agli artisti, ai musici, ai commedianti, alle vanità che alle mansioni di un Pontefice. Tuttavia proprio in questo tempo, quando Lutero non era ancora noto, nella Chiesa sorsero le Compagnie del Divino Amore: un movimento nato e cresciuto a Genova intorno a santa Caterina Adorno de’ Fieschi (1447-1510); poi vennero coloro che fecero smagliante la Chiesa, seppur in un tempo di buio e di fuliggine: san Gaetano di Thiene (1480-1547), fondatore dei Teatini, san Filippo Neri (1515-1595), fondatore degli Oratoriani, san Giovanni di Dio (1495-1550), fondatore dei Fatebenefratelli, sant’Antonio Maria Zaccaria (1502-1539), fondatore dei Barnabiti, san Girolamo Emiliani (1486-1537), fondatore dei Somaschi, sant’Angela Merici (1474-1540), fondatrice delle Orsoline, sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), fondatore dei Gesuiti, san Vincenzo de’ Paoli (1581-1660), fondatore dei Preti della Missione, san Francesco di Sales (1567-1622) e santa Giovanna Francesca di Chantal (1572-1641), fondatori della Visitazione, santa Teresa d’Avila (1515-1582), la grande riformatrice del Carmelo. «Per scrivere la storia della Chiesa bisognerebbe conoscere e narrare le eroiche imprese di questi uomini e donne, che raggiunsero la santità sotto l’influsso della grazia divina»8.

La Chiesa, dunque, pur attraversando tempeste di ogni sorta non perde, grazie al suo Capo, che è Cristo, la santità delle sue membra, membra che possono identificarsi a volte nei Pontefici, a volte nei dotti, a volte nei semplici, a volte nel clero, a volte nei religiosi, a volte nei fedeli… dipende dalla volontà di Dio.

I ventuno Concili che si sono susseguiti nel corso dei secoli non sono stati mai indolore e pacifici, ma spesso tribolati, sia prima del loro svolgersi, sia durante, sia dopo. Scisma d’Oriente, scisma d’Occidente, Papi, antipapi, conclavi e contro conclavi, intrighi. «L’arrendevolezza di fronte ai nemici della Chiesa è, nel corso della storia, il difetto più ricorrente di coloro che sono chiamati ad esercitare la suprema autorità di governo. […]. L’assistenza dello Spirito Santo non significa che l’elezione del Papa goda di “infallibilità”, così come non significa che nel conclave venga necessariamente scelto il candidato migliore. Se l’elezione è valida, spiega il cardinale Journet9, anche quando fosse il risultato di intrighi e di cattive scelte, si ha la certezza che lo Spirito Santo, che assiste la Chiesa volgendo al bene anche il male, permette che ciò avvenga per fini superiori e misteriosi»10.

Ecco che abusi e idee corrotte vengono a contaminare i sacri abiti, seminando zizzania e infedeltà, mondanità e turpitudine di portata tale che non sono sufficienti pochi anni per ristabilire ordine e fedeltà, ortodossia e integrità di pensiero e di Fede. «Però nessuno si meravigli», recita un’istruzione di Papa Adriano VI (1459-1523), che il nunzio Francesco Chieregati (1479-1539) lesse alla Dieta di Norimberga il 3 gennaio 1523, «se non li eliminiamo d’un colpo solo tutti gli abusi, giacché la malattia ha profonde radici ed è molto ramificata. Si farà quindi un passo dopo l’altro e dapprima si ovvierà con medicine appropriate ai mali gravi e più pericolosi affinché con un’affrettata riforma di tutte le cose non si ingarbugli ancor più il tutto»11.

È interessante notare come tutti i primi 37 Pontefici della storia della Chiesa furono santi e quasi tutti martiri, mentre, nel secondo millennio, i Pontefici canonizzati sono pochi e nessuno con la palma del martirio, ma sono caratterizzati dall’intransigenza e dalla loro militanza in quanto si sono fermamente opposti ai nemici della Fede e della civiltà cristiana, si tratta di Gregorio VII (1020/1025-1085), di Pio V (1504-1572) e di Pio X.

Il venerabile Pio Brunone Lanteri (1759-1830), fondatore dell’Amicizia Cattolica di Torino, alla quale apparteneva Joseph de Maistre (1753-1821), apologeta del Papato, sosteneva che «il santo Padre può tutto, “quodcumque solveris, quodcumque ligaveris etc.12” è vero, ma non può niente contro la divina costituzione della Chiesa; è vicario di Dio, ma non è Dio, né può distruggere l’opera di Dio»13.

Irrinunciabile risulta, dopo il discorso di Benedetto XVI alla Curia romana del 20 dicembre 2005, proseguire il dibattito e la disamina del pastorale Concilio Vaticano II che tanti problemi ha creato all’interno della Chiesa e nella Fede di clero e credenti, che si dicevano cattolici e che oggi non capiscono più che cosa sono veramente perché uomini di Chiesa hanno tradito la Fede di sempre, dialogando con l’errore, con i lontani, con le altre religioni, con i governi liberali, distanti anni luce da Cristo Re, presumendo di avere qualcosa da imparare da loro e dimenticando, così, di essere depositari della Verità assoluta di Nostro Signore Gesù Cristo e, quindi, di Dio.

Il prezioso ed esplicativo libro di de Mattei chiarisce come il Magistero sia chiamato ad alimentarsi alla Tradizione ed esso non si identifica con la Chiesa «perché di Essa costituisce una funzione e da Essa è esercitato per insegnare le Verità rivelate»14. La Tradizione, essendo verità, non va interpretata, bensì spiegata, definita e, soprattutto, ricevuta e trasmessa. Monsignor Gherardini definisce perfettamente la Tradizione: «è la trasmissione ufficiale, da parte della Chiesa e dei suoi organi a ciò divinamente istituiti, e dallo Spirito Santo infallibilmente assistiti, della divina Rivelazione in dimensione spazio-temporale»15. Mentre il Cardinale Louis Billot (1846-1931) spiega che la Tradizione è la «regola di fede anteriore a tutte le altre»: sempre uguale a se stessa16, come uguale a se stessa è la Fede, di cui la Tradizione è esplicitazione, e come uguale a se stesso è Cristo, che è il contenuto e l’anima della Fede e, quindi, della Tradizione.

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1. R. de Mattei, Apologia della Tradizione. Proscritto a Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, LINDAU, Torino 2011, pp. 12-13.

2. Ibidem, p. 13.

3. Ibidem, p. 12.

4. Ibidem, p. 14.

5. Ibidem, p. 14.

6. Ibidem, p. 32.

7. Ibidem, p. 26.

8. Ibidem, p. 64.

9. Cardinale Charles Journet (1891-1975).

10. R. de Mattei, op. cit., p. 71-72.

11. Ibidem, p. 66.

12. «In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo» (Mt, 18,18).

13. R. de Mattei, op. cit., p. 75.

14. Ibidem, p. 108.

15. B. Gherardini, Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Lindau, Torino 2011, p. 170

16. R. de Mattei, op. cit., p. 100. Cfr. Cardinale L. Billot s.j., De Immutabilitate traditionis (1907), traduzione francese con note dell’abbé J-M. Gleize, Tradition et modernisme. De l’immuable tradition, contre la nouvelle hérésie de l’évolutionnisme, Courrier de Rome, Villegenon 2007, pp. 32, 37.

 

 

APPROFONDIMENTO


Amiamo la Chiesa

Alla sera della vita, avverte san Giovanni della Croce, saremo giudicati sull’amore. Sull’amore a Dio e alla sua Santa Chiesa, anzitutto, poiché“non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa per madre”, ammoniva san Cipriano. Questa Sposa di Cristo è, dunque,la nostra madre e come tale ha diritto a tutto il nostro amore e alle nostre cure filiali. Un giorno, il presidente Clemenceau si sfogava in modo feroce contro la Chiesa, e DomChautard gli rispondeva: “Signor Presidente, […] per voi la Chiesa appare come una donna uguale alle altre, nei confronti della quale vi credete di essere spietato; invece questa donna, per me è una madre. Può essere malata, debilitata, forse colpevole, ma è sempre mia madre, una madre che io amo tanto quanto essa soffre. Vi prego, Signor Presidente, davanti a me rispettate mia madre”. Il Presidente comprese e tacque.

 

perché un concilio?

Il Concilio è l'Assemblea dei Vescovi convocata per esaminare e decidere questioni di fede e di disciplina ecclesiastica. Il Concilio si dice Ecumenico o universale, quando sono presenti tutti i vescovi del mondo. Perché è indetto un Concilio? I Concili hanno segnato la storia della Chiesa. È nelle assemblee conciliari che sono stati discussi ed emanati i decreti, i documenti che hanno permesso alla Chiesa di crescere in tutto il mondo con una base dottrinale e dogmatica uguale. È qui che sono state superate controversie e decise sanzioni. ...