ANGLICANI

LA VIA CHE PORTA A ROMA

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

 

Il primate della Chiesa anglicana Rowan Williams

 

 

 

 

 

INTRODUZIONE

 

CONVERSIONE AL CATTOLICESIMO DELLA

MOGLIE DI UN VESCOVO ANGLICANO

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Suo marito è un vescovo irlandese protestante, lei da domenica scorsa è diventata ufficialemnte cattolica. La conversione di Anita Henderson è stata sancita nella cappella del vescovo di Ballina (nella Contea di Mayo, Irlanda occidentale), alla presenza del marito Richard e dei loro tre figli. E, soprattutto, con la benedizione di entrambe le Chiese.

"Credo fortemente nella libertà di religione e nella libertà di esprimere la propria identità religiosa", ha commentato il leader della Chiesa d'Irlanda affiliata al culto anglicano: "Ha preso quella che per lei e suo marito è una decisione particolarmente difficile", ha aggiunto l'arcivescovo Alan Harper.

Sulla stesa lunghezza d'onda la dichiarazione congiunta rilasciata dal vescovo-marito e da quello che l'ha consacrata al cattolicesimo: "La sua decisione, giunta dopo un lungo percorso interiore, merita il nostro rispetto. Siamo certi che tutte le persone di buona volontà lo condivideranno. Questo è un momento di ospitalità, amicizia e collaborazione tra le nostre Chiese che non ha precedenti: crediamo che una ricerca interiore tanto sincera e onesta sia un indicatore positivo, di questi tempi, e che sarà premiata dal Dio amato e servito da tutti noi".

Anita Henderson, figlia di un pastore protestante, ha incontrato Richard quando era studente di teologia al'Università di Nottingham e lo ha sposato nel 1985; la coppia ha tre figli, educati in scuole cattoliche. "Questo è il punto d'arrivo di un lungo cammino di ricerca spirituale, sento di aver fatto quello che sono stata chiamata fare da Dio", ha commentato dopo la conversione".

 

 

 

 

Che cosa c’è dietro la seconda ondata di

anglicani convertiti al cattolicesimo

 

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La seconda ondata è cominciata. Dopo il gruppo di fedeli tradizionalisti australiani appartenenti alla Forward in Faith, anche un centinaio di parrocchie anglicane statunitensi ha deciso di emigrare in massa nel cattolicesimo usufruendo della costituzione apostolica “Anglicanorum coetibus” firmata da Benedetto XVI, il 4 novembre scorso. Si tratta di fedeli (diversi preti sposati inclusi) appartenenti all’Anglican Church in America (Aca). Anche per loro valgono le regole già accettate dagli australiani: entreranno in strutture denominate “Ordinariati personali” e manterranno i propri riti liturgici. La decisone è stata presa nei giorni scorsi durante un meeting tenutosi nella città di Orlando (Florida). Erano presenti il reverendo Louis W. Falk, presidente dell’Aca, e il vicepresidente, il reverendo George Langberg.

L’Aca fa parte della Tradional Anglican Communion (Tac) che vent’anni fa ruppe con la comunione anglicana per le molteplici decisioni prese in contrasto con la dottrina tradizionale. Come i fedeli australiani, anche i fedeli dell’Aca non hanno digerito la decisione di diverse comunità anglicane di ordinare preti e vescovi sia donne sia omosessuali. Lo strappo, insomma, ha radici lontane e la decisione dei giorni scorsi è la coda di un lungo processo.

La notizia è stata riportata in Gran Bretagna dal Telegraph. E’ nel Regno Unito, infatti, che la decisione del Papa di firmare l’“Anglicanorum coetibus” fa molto parlare di sé. Il mondo anglicano non sta passando uno dei suoi momenti migliori. Al di là delle conversioni al cattolicesimo, è in atto un’importante e apparentemente inarrestabile emorragia di fedeli ben superiore a quella che sta investendo, in tutta Europa, sia cattolici che ortodossi. La via “liberal” che ha mandato in crisi gli anglicani più tradizionalisti, in fondo, altro non è che un tentativo di reagire a questa dissoluzione numerica. Ma i risultati, fino a oggi, sembrano controproducenti: anche il “movimento di Oxford” (di cui uno dei più illustri membri fu John H. Newman) era da comprendere in questa dinamica.

A poco più di qualche mese dal viaggio del Papa nel Regno Unito, il mondo anglicano è chiamato in qualche modo a riflettere al suo interno. Benedetto XVI non ha approvato l’“Anglicanorum coetibus” in opposizione al mondo anglicano ma semplicemente per rispondere a una richiesta avanzata a Roma dai fedeli. Come il recente simposio sull’ecumenismo promosso dal Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha dimostrato, l’intenzione di Roma è quella di creare una sinergia, almeno in Europa, tra diverse chiese e comunità cristiane. Come ha detto alla Radio Vaticana il vescovo anglicano Tom Wright, il “sogno modernista” che viveva la cristianità quaranta anni fa non si è realizzato. “Oggi ci troviamo in un mondo diverso e credo che tutti siamo consapevoli che una maggiore intesa tra di noi sarebbe veramente una buona cosa”.

 

 

 

 

«La strada per Roma degli Anglicani»

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Un secolo fa lo scrittore inglese Hilaire Belloc pubblicava un volume dal titolo “The path to Rome”, la strada per Roma (Il volume sarà preso rieditato in Italia). Si trattava del resoconto del pellegrinaggio a piedi effettuato dallo stesso autore da Toul, in Francia, fino alla Città Santa. Tale viaggio era tuttavia anche una trasparente metafora del cammino verso il Centro della Chiesa, verso Roma, che tutta l’Europa è chiamata a fare se non vuole smarrire definitivamente la propria anima e la propria identità. Belloc era un cattolico inglese, figlio di una illustre convertita che apparteneva al movimento di rinascita cattolica in Inghilterra che aveva avuto i suoi protagonisti nel cardinale Manning e soprattutto nel cardinale John Henry Newman, prossimo Beato.

La via per Roma indicata cento anni fa da Belloc, che fu protagonista della cultura britannica e fautore della conversione al cattolicesimo di un personaggio come Gilbert Keith Chesterton, è quella che hanno deciso di percorrere ora anche altri anglicani, i fedeli della "Traditional Anglican Communion", che già da tempo avevano fatto richiesta al Vaticano di entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica.

Si trattava di una richiesta epocale: per lungo tempo, da Newman a Tony Blair, la conversione dall’Anglicanesimo al Cattolicesimo aveva rappresentato una scelta individuale, personale, spesso sofferta perché facente seguito al tentativo - sempre frustrato - di lavorare “all’interno” della Confessione Anglicana per portarla all’unità con Roma. Ora invece siamo di fronte al passaggio di intere comunità anglicane alla piena comunione con Roma.

Una richiesta maturata negli ultimi anni e che aveva quasi messo in difficoltà la stessa Chiesa cattolica in Inghilterra, tanto che ora la materia è stata oggetto di una trattativa congiunta tra il Primate cattolico e quello anglicano, sotto la supervisione della Congregazione per la Dottrina della Fede, retta – come noto – da un prelato di cultura anglo-sassone qual è l’americano cardinale William Levada e che produrrà una Costituzione Apostolica, un documento ad hoc per consentire il passaggio di queste comunità al cattolicesimo.

Siamo dunque di fronte ad una svolta storica, per cui da parte cattolica non si ha più il timore di essere accusati di “indebito proselitismo”, e da parte anglicana si accetta che una parte organizzata dei propri fedeli possa effettuare una scelta di questo tipo.

È un ecumenismo “dal basso”, che rappresenta certo una grossa novità rispetto a quello che per lungo tempo è stato interpretato solo da organismi preposti, spesso orientati solo a cercare un “minimo comun denominatore” tra le due confessioni cristiane, con l’effetto di dimenticare che l’obiettivo di un vero dialogo ecumenico è il riconoscimento della Verità.

Occorre anche evidenziare che questi fedeli anglicani, dipinti come tradizionalisti dalla grande stampa, ovvero una sorta di lefevriani anglicani, sono in realtà cristiani che guardano al Cattolicesimo come la Chiesa in cui intendono non solo entrare individualmente, ma far rientrare la propria storia e la propria tradizione, riconciliandola con quella di Roma. Infatti il documento congiunto dei due primati afferma: "La Costituzione apostolica è un ulteriore riconoscimento della sostanziale coincidenza nella fede, nella dottrina e nella spiritualità della Chiesa cattolica e della tradizione anglicana".

Il problema è che negli ultimi anni la Chiesa anglicana è andata incontro ad una tale deriva relativista da portarla lontano non solo dalla Chiesa Cattolica, ma dalla sua stessa tradizione, quella che ora questi fedeli vogliono ricondurre nella piena comunione coi cattolici. Non si tratta di “conservatorismo”, o di divisioni tra anglicani: il problema è che nella confessione instaurata cinque secoli fa dal sovrano Enrico VIII e confermata dalla figlia Elisabetta I è diventato dominante un pensiero non-cristiano. Potrebbe sembrare un giudizio molto severo, ma è un dato di fatto che alla base di scelte superficialmente definite solo “liberal”, come l’ordinazione sacerdotale delle donne, le nozze di persone omosessuali, le battaglie ecologiste e pacifiste, c’è una vera e propria rivoluzione antropologica. Una rivoluzione che prevede l’abbandono della concezione dell’uomo quale essere dotato di una natura specifica e indirizzato verso un fine. Questo distacco ha portato con sé tutta una serie di tentativi di giustificazione dei cambiamenti in campo morale.

Descrivendo tali cambiamenti, il filosofo cattolico scozzese Alastair MacIntyre ha denunciato nelle sue opere - in particolare After the virtue - innanzitutto il cambiamento della concezione dell’uomo, perché non c’è morale senza uomo né uomo senza morale. L’allontanamento dalla visione aristotelica ci ha condotti a rappresentazioni parziali dell’etica, a tentativi fallimentari di giudizio morale, a interpretazioni svariate dell’uomo e dell’umanità.

Tale allontanamento è avvenuto impetuosamente nell’anglicanesimo, dove vige un disordinato pluralismo, un miscuglio senza armonia di frammenti ideologici male assortiti che fa capo ad un soggettivismo assoluto. Tale soggettivismo, che si riscontra dominante nel linguaggio morale contemporaneo, trova una corrispondenza pratica nell’“emotivismo”, una dottrina secondo cui tutti i giudizi di valore, e più specificamente, tutti i giudizi morali, non sono altro che espressioni di una preferenza, espressioni di un atteggiamento o di un sentimento, e appunto in questo consiste il loro carattere di giudizi morali o di valore.

Il fascino che la Chiesa Cattolica ha esercitato su quegli anglicani decisi a rifiutare questa deriva antropologica sta dunque nel fatto che essa rappresenta l’unica realtà in grado di riproporre ancora oggi al mondo quegli elementi capaci di ristabilire una concezione sana della morale che stavano alla base della concezione aristotelica: le virtù, i valori per l’uomo. A ciò si aggiunge, inoltre, la proposta che la Chiesa cattolica fa di ristabilire una concezione della ragione che non si identifichi semplicemente con quell’elemento capace di conoscere solo ciò che si può esaminare in maniera sperimentabile, ma con ciò che permette di giudicare il senso della vita dell’uomo, i suo fine e il modo per raggiungerlo.

A sua volta la Chiesa Cattolica in Inghilterra e in tutti i paesi di cultura anglo-sassone, dal Canada all’Australia agli Stati Uniti dove l’anglicanesimo si definisce “episcopalismo”, trarrà certamente arricchimento dalla nuova linfa portata da queste comunità dove l’appartenenza a Cristo è stata oggetto di una intensa e appassionata riflessione. Questi fedeli anglicani desiderosi dell'unione con la Chiesa cattolica troveranno l'opportunità di portare l’esperienza di quelle tradizioni anglicane che sono preziose per loro e conformi con la fede cattolica. In quanto esprimono in un modo distinto la fede professata comunemente, tali tradizioni sono un dono da condividere nella Chiesa universale. L'unione con la Chiesa non richiede l'uniformità che ignora le diversità culturali, come dimostra la storia del cristianesimo, e la Chiesa Cattolica ne trarrà sicuro giovamento.

 

 

 

 

 

DAVISON: «Cosa cambierà la

 Costituzione sugli anglicani»

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Un pastore anglicano presenta le sfide che si aprono con il nuovo documento apostolico. E i passi di un'unità che nasce dalla condivisione della tradizione. Con un compito in comune: «Difendere la fede in un ambiente ostile»
 Andrew Davison.

Andrew Davison.

Sacerdote anglicano, Andrew Davison è docente di Introduzione alla dottrina cristiana alla facoltà teologica di Oxford.

Intellettualmente vicino a John Milbank, Davison - che ha partecipato allo scorso Meeting di Rimini - analizza per Tracce.it le sfide che pone e le possibilità che apre la Costituzione apostolica sull’ingresso di fedeli anglicani nella Chiesa cattolica di Roma, presentata qualche giorno fa e appena resa pubblica (Vedere il testo in appendice).

Come giudica l’annuncio di questo documento vaticano?
La maggior parte di quello che la Costituzione offrirà non sarà particolarmente nuovo. Ogni anno un buon numero di anglicani vengono accolti nella Chiesa cattolica romana, così come alcuni cattolici diventano anglicani (sebbene noi non incoraggiamo le conversioni dal cattolicesimo). È già diventato prassi comune per i preti anglicani sposati venir ri-ordinati nella Chiesa cattolica romana. Alcune volte questa è anche una ri-ordinazione “sotto condizione”, fatto che dimostra come la negazione degli ordini sacri anglicani non è qualcosa di definito, come alcuni cattolici pensano. Credo che la Costituzione farà in modo che alcune parti della liturgia anglicana vengano usate dai preti e dai fedeli che si convertono: ma anche questo, in un certo senso, è già accaduto prima. Negli Stati Uniti è già previsto che i gruppi di anglicani che si convertono possano continuare ad usare la liturgia anglicana.

Il vaticanista Sandro Magister ha osservato: «Oggi più che mai, con Joseph Ratzinger come Papa, il cammino ecumenico non sembra una rincorsa alla modernità, ma un ritorno alla tradizione».
È un’osservazione molto corretta. La nostra unità consiste precisamente in quello che condividiamo dalla tradizione. L’unità è sempre stata rafforzata dalla comune attenzione alla tradizione. Lo vediamo nella liturgia, con le riforme della metà del XX secolo, che hanno permesso una nuova unità tra le chiese proprio sulla liturgia. Le nostre chiese hanno avuto una convergenza su liturgie eucaristiche molto simili grazie ad un’attenzione comune alle antiche forme e ai testi antichi. L’osservazione di Magister si applica ancora di più all’unità nel pensiero teologico. Con il movimento di Oxford del XIX secolo, la Chiesa di Inghilterra ha fatto un enorme passo in avanti nel riguadagnare quegli elementi che la Chiesa romana aveva mantenuto al momento della Riforma, ma che nella nostra Chiesa anglicana erano stati parzialmente dimenticati. Molti anglicani lodano il lavoro della rinascita teologica (l’opera di De Lubac o Danielou, per esempio) come un momento in cui la teologia cattolica romana ha riguadagnato una parte di quel vigore creativo che apprezziamo nella nostra tradizione e che temiamo sia mancata da noi ultimamente. Anche questo è avvenuto grazie all’attenzione verso la tradizione. I teologi cattolici romani che ho citato prima, per esempio, hanno prestato un’enorme attenzione ai Padri e a quel che san Tommaso d’Aquino ha veramente scritto, superando la sterile sintesi neoscolastica che per diversi secoli aveva preso il posto della teologia.

E nei riguardi della modernità, quali passi comuni cattolici e anglicani possono fare insieme?
Molti anglicani hanno notato nella recente enciclica del Papa una presa di distanza dal capitalismo sfrenato che è un tipico esempio della modernità. Tutto questo combacia bene con la tradizione del pensiero sociale anglo-cattolico. Ma ci si può anche riferire alla stracitata, ma quanto mai notevole, lezione di Ratisbona del 2006. Lì si dicevano cose veramente esatte sulla teologia, la tradizione e la filosofia. C’è qui un completo accordo con il meglio della teologia anglicana attuale, ad esempio in quello che John Milbank e i suoi colleghi stanno dicendo. In un ambiente intellettualmente ostile, possiamo difendere insieme la Fede e insieme opporci ad un sistema economico che si è dimostrato lacunoso e corrotto. Così come possiamo difendere la vita in tutte le sue fasi.

Quali speranze nutre rispetto al dialogo tra cattolici e anglicani nei prossimi anni?
Amo molto una frase del teologo ortodosso Sergej Bulgakov: «La Chiesa è l’opera dell’incarnazione di Cristo, è l’incarnazione stessa». Riporta la nostra attenzione alla grandezza della Chiesa come Corpo di Cristo e al suo valore nel piano della salvezza. Dal punto di vista razionale, non m’aspetto che il dialogo vada molto avanti. Ma spero che la Grazia di Dio porti a passi ben maggiori. Sarei contento di vedere l’Arcivescovo di Canterbury e il Papa incontrarsi più spesso: sono entrambi uomini di grande intelletto, con notevoli interessi accademici in comune. Nel prossimo futuro, penso che i progressi più grandi avverranno a livello della cooperazione personale e dell’amicizia. È ciò che sta già succedendo nelle parrocchie, dove c’è cooperazione nella preghiera comune e nell’azione sociale. In un ambiente ostile, cattolici e anglicani sono chiamati a difendere insieme la fede, opponendosi ad un sistema economico che s’è rivelato corrotto e difendendo la vita in tutti i suoi momenti.

 

 

APPROFONDIMENTO

 

La storia e le ragioni della

conversione di Gilbert Chesterton

 

Intervista a Marco Sermarini, Presidente

della Società Chestertoniana Italiana
 

 

Anglicanorum coetibus
 

Il testo della Costituzione apostolica (4 novembre 2009)