STATI UNITI D'AMERICA

 

UN PAESE MORALMENTE ALLO SFASCIO DOVE

LA COESIONE CIVILE È SEMPRE PIÙ FRAGILE

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

 

E se per uscire dalla crisi servisse una guerra?
 

Ma la crisi interna, che è insieme sociale, politica ed economica, non potrà non avere ripercussioni anche internazionali dato il ruolo dell'America nel mondo. Le prime ripercussioni di una vittoria sempre più probabile del Tea Party nelle elezioni di novembre sarebbero sicuramente a vantaggio di chi vuole un conflitto armato tra Israele e Stati Uniti da una parte e Iran-mondo arabo dall'altra. Una miscela esplosiva a cui Obama dovrà far fronte... sempre se ne avrà la forza e la volontà!

"C’è infatti un forte rischio all’orizzonte: una nuova guerra, reale o minacciata poco cambia. L’ipotesi di un’opzione bellica contro l’Iran, infatti, sta smettendo di essere il chiodo fisso solo degli apparati militari e civili intermedi statunitensi e sta per trasformarsi nel main issue per riuscire a far ripartire il paese, devastato dal debito pubblico, dalle banche ancora piene di assets tossici ed esposte alla leva e dalla politica suicida della Fed". ....

 

 

 

 

 

INTRODUZIONE

 

Le difficoltà di Obama e la crisi americana.

Fonte web

La ripresa economica americana è più lenta e debole del previsto. La popolarità di Obama scende mentre tra poco più di due settimane le elezioni di midterm potrebbero rovesciare l'attuale maggioranza al Congresso.

Gli Stati Uniti sono oggi come due anni fa un paese diviso e disorientato. Lo stesso disorientamento che ha portato Obama alla presidenza oggi, in altre direzioni e con differenti modalità, determina il successo del Tea Party.

Ma le ragioni profonde della crisi restano troppo spesso in ombra. La globalizzazione rapida e senza regole ha messo a nudo problemi di produttività e di competitività soltanto in parte mascherati dal successo di alcune grandi compagnie. Appare insostenibile una crescita stimolata dal debito privato ed ora anche da quello pubblico.

La disgregazione delle famiglie, l'indebolirsi dell'etica del lavoro e della responsabilità, l'insufficiente propensione al risparmio individuale e familiare, l'inefficienza della scuola pubblica, la diffusione di stili di vita autodistruttivi minano i pilastri di una ripresa economica diffusa e solidamente proiettata nel futuro.

Le riforme di Obama, dirette a tamponare la crisi con l' imponente ricorso alla spesa pubblica e con discussi interventi in ambito assistenziale, non incidono realmente su quelle fondamenta sociali e morali che sono chiamate a reggere il paese ed a consentirne un solido sviluppo. Si tratta del resto di ambiti dove le tradizioni svolgono un ruolo decisivo. Esiste una significativa asimmetria tra la capacità dello stato di contribuire alla distruzione di un assetto tradizionale tramite riforme dalle conseguenze spesso impreviste e l'idoneità dello stato stesso a promuovere ed a consolidare altre auspicate tradizioni. Qui distruggere è assai più facile che costruire.

Occorre insomma ottenere una consapevolezza più precisa delle ragioni profonde della debolezza del paese ed assumere comportamenti conseguenti, abbandonando visioni e programmi che di questa debolezza sembrano insieme causa ed espressione. Con l' obiettivo di ricostruire una solida e vitale democrazia liberale, capace di confrontarsi con successo con il rinnovato autoritarismo cinese.

Se Obama non rinnegherà se stesso, le sue promesse ed i suoi programmi del suo grande paese potrà essere solo il liquidatore, il curatore fallimentare. E non per molto.

 

 

 

Il manifesto anti-Obama: polemiche negli Usa

 

 

 

Colpo alla democrazia Usa: via il

tetto ai finanziamenti per i giudici

Negli States cade il limite alle donazioni nelle campagne per l’elezione dei togati. Le lobby esultano. Chi vuole una giustizia trasparente no.

Fonte web

giudici corte costituzionale Colpo alla democrazia Usa: via il tetto ai finanziamenti per i giudiciIl sistema giudiziale americano è stato sempre molto affascinante, come del resto ogni sistema di Common Law: i giudici non sono vincolati al disposto di testo o, meglio, dispongono di una possibilità di interpretazione molto ampia. Il punto forte del sistema è che è la giurisprudenza a fare la legge, sicché le decisioni di un giudice diventano vincolanti per tutti gli altri giudici di pari grado. A tutela di tutto c’è l’organo di chiusura, la Corte Suprema, garante del sistema e il cui parere è vincolante per tutti (essa possiede, grosso modo, i poteri che in Italia sono della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione).

GIUDICI ELETTI – Ma la giurisprudenza americana è diversa da quella italiana, i giudici sono eletti dal popolo. E, come è tradizione per ormai qualunque competizione elettorale (anche quelle dei rappresentanti di classe o degli amministratori di condominio), prima di recarsi alle urne c’è una campagna elettorale. Ora, qualcuno potrà convenire che non ci sia niente di male nelle campagne elettorali al fine di ottenere consenso popolare. Nessun dubbio che dovrebbe essere così, se non fosse che negli Stati Uniti si vivono da sempre (basti pensare alle elezioni Presidenziali, nonché a quelle Statali o alle semplici primarie) elefantiache campagne elettorali. Per i giudici era diverso: una norma metteva dei tetti alle donazioni a sostegno delle loro campagne elettorali che perciò dovevano svolgersi forzatamente all’interno di prefissati parametri, fare le cose in grande non era possibile.

dollari1 Colpo alla democrazia Usa: via il tetto ai finanziamenti per i giudiciNESSUN TETTO - La Corte Suprema ha però tolto di mezzo l’ingombrante disposto e, alcune settimane fa, ecco spuntare una pronuncia alquanto discutibile: non è costituzionale porre limiti ai finanziamenti alle campagne elettorali dei giudici. Si va così a delineare il profilo delle prossime campagne elettorali: i giudici saranno finanziati sempre più dalle grandi imprese, con conseguente “legame” tra le parti. Per cui il giudice che agisce in giudizio contro una di queste imprese perde un finanziatore: le lobby economiche hanno vinto! E già ci riuscivano da anni con il potere politico, proprio con questo sistema: finanziare le campagne elettorali di repubblicani e democratici in modo da ottenere “favori” una volta che la forza politica di turno sia salita al potere. Ora si passa dal campo politico a quello giudiziario, la giustizia avrà un prezzo negli Stati Uniti. In nome della libertà si arriva al condizionamento, quale giustizia potrà mai essere esercitata da giudici che si presentano in tribunale sponsorizzati dall’impresa di turno?

NOTIZIA SCOMPARSA - In Italia si discute da anni di conflitto d’interessi e di toghe politicizzate, ma c’è chi, dall’altra parte dell’oceano, sta mandando alla deriva la grande democrazia che aveva in mano. E forse non è un caso se su New York Times e Washington Post non è stata spesa in merito nemmeno una parola.

 

 

Jeffrey Sachs, l'autore dell'articolo che segue....

 

 

L’aggravarsi della crisi

morale in America

Fonte web

NEW YORK – La crisi politica ed economica in America è destinata a peggiorare anche dopo le imminenti elezioni di novembre. Il Presidente Barack Obama dovrà perdere le speranze di far passare una legge progressista con l’obiettivo di sostenere i poveri e l’ambiente. Tutte le leggi e le principali riforme rimarranno ad un punto morto fino al 2013, ovvero fino alle nuove elezioni presidenziali. La situazione, già negativa e stagnante, sembra non poter far altro che peggiorare tanto che il mondo non può più aspettarsi una leadership da un’America amaramente divisa.

Non solo si respira un pessimo umore in gran parte dell’America, ma anche il tono compassionevole sembra esser stato accantonato. Entrambi i partiti politici continuano a servire i ricchi finanziatori delle campagne elettorali, pur asserendo il sostegno alla classe media. Nessuno dei due fa alcuna menzione dei poveri, che ad oggi costituiscono il 15% della popolazione, ma che sono in realtà molti di più se si considerano tutte le famiglie cha hanno difficoltà ad accedere ai servizi sanitari, agli alloggi, ai posti di lavoro e ad altri bisogni.

Il Partito Repubblicano ha pubblicato recentemente un documento intitolato Impegno nei confronti dell’America per illustrare le sue idee e le promesse elettorali. Il documento è pieno di assurdità tra cui la futile affermazione per cui la disoccupazione in America dipenderebbe dalle tasse elevate e da una sovra regolamentazione. Ma è anche pieno di dichiarazioni propagandistiche. Attraverso una citazione del Presidente John F. Kennedy si ripropone l’idea per cui le imposte elevate possono arrivare a strangolare l’economia, teoria che faceva però riferimento ad un contesto di cinquant’anni fa’, quando il più elevato tasso marginale d’imposta era pari al doppio del tasso attuale. Il podio repubblicano sembra quindi, per lo più, privo di compassione.

L’America rappresenta oggi il paradosso di un paese ricco che si sta sgretolando a causa del crollo dei suoi valori fondamentali. La produttività dell’America è tra le più elevate al mondo, mentre il reddito medio pro capite è pari a 46.000 dollari, abbastanza non solo per vivere ma anche per arricchirsi. Ciò nonostante, il paese si trova nel bel mezzo di una tragica crisi morale.  

L’ineguaglianza dei redditi è al suo massimo storico, sebbene i ricchi sostengano di non avere alcuna responsabilità nei confronti del resto della società. Si rifiutano di dare sostegno agli indigenti, mentre colgono qualsiasi occasione per difendere eventuali tagli alle tasse. Quasi tutti si lamentano, quasi tutti difendono con veemenza i propri interessi esigui e a breve termine, e quasi tutti hanno accantonato ogni falsa apparenza di guardare avanti o di occuparsi dei bisogni degli altri.

Quello che viene fatto passare per dibattito politico americano è in realtà una gara tra partiti a chi riesce a fare promesse più grandi alla classe media, soprattutto sotto forma di tagli alle imposte con una riduzione del budget in un momento in cui il deficit fiscale è pari a più del 10% del PIL. Gli americani sembrano credere di avere un diritto naturale ai servizi pubblici senza alcun pagamento delle tasse che sono, d’altra parte, considerate nel gergo politico americano una negazione della libertà.

Non molto tempo fa’ gli americani dicevano di voler eliminare la povertà all’interno del paese e all’estero. La lotta contro la povertà portata avanti da Lyndon Johnson durante la metà degli anni ’60 rispecchiava un’era di ottimismo nazionale e la convinzione che la società dovesse fare degli sforzi collettivi per risolvere i problemi comuni come povertà, inquinamento e salute. L’America degli anni ’60 implementò dei programmi per recuperare le comunità povere, per lottare contro l’inquinamento dell’aria e dell’acqua e per assicurare l’assistenza sanitaria agli anziani. In seguito, a causa delle profonde divisioni sul Vietnam e sui diritti civili insieme ad un’impennata del consumismo e della pubblicità, l’era di sacrifici condivisi per il bene comune giunse al termine.

La compassione iniziò a svanire dalla politica durante i successivi quarant’anni. Ronald Reagan ottenne popolarità con il taglio dei benefici sociali ai poveri che, a suo dire, imbrogliavano per ottenere pagamenti extra. Bill Clinton proseguì i tagli negli anni ’90, mentre oggi nessun politico osa persino menzionare l’aiuto a favore dei poveri.

I principali contribuenti alle campagne elettorali di entrambi i partiti pagano per assicurarsi che gli interessi acquisiti dominino i dibattiti politici. Ciò significa che entrambi i partiti difendono sempre più gli interessi dei ricchi, sebbene i repubblicani lo facciano un po’ di più dei democratici. E’ poco probabile che persino il più lieve aumento delle tasse nei confronti dei ricchi trovi sostegno all’interno della politica americana.

Questa situazione risulterà quasi sicuramente in un declino del potere e della prosperità degli Stati Uniti a lungo termine, poiché gli americani non investono più collettivamente in un futuro migliore. L’America continuerà a rimanere una società ricca per lungo tempo, ma sarà sempre più divisa ed instabile. Come nel decennio appena trascorso, la paura e la propaganda potrebbero portare a nuove guerre internazionali guidate dagli USA.

E ciò che sta succedendo in America si ripeterà probabilmente in molte altre zone. L’America è vulnerabile al crollo sociale essendo una società molto diversificata. I sentimenti di razzismo e di anti-immigrazione rappresentano gran parte degli attacchi ai poveri, o, per lo meno, i motivi per cui molti sono disposti a seguire l’idea propagandistica di non aiutarli. Se da un lato le altre società sono alle prese con la loro crescente diversità, dall’altro potrebbero finire per seguire gli USA nella crisi.

Gli svedesi hanno dato voti sufficienti ad un partito di estrema destra e apertamente anti-immigrati per farlo entrare in parlamento, evidenziando una crescente tendenza negativa nei confronti dell’aumento degli immigrati nella società svedese. In Francia, il governo di Nicolas Sarkozy ha tentato di recuperare popolarità con la classe operaia deportando gli immigrati rumeni che sono oggetto di un odio diffuso e di attacchi di carattere etnico.

Entrambi gli esempi dimostrano che l’Europa, come gli Stati Uniti, è vulnerabile alla divisione delle politiche in un tempo in cui le nostre società sono sempre più costituite da etnie diverse.

L’America ci insegna che la crescita economica non garantisce il benessere o la stabilità politica. La società americana è diventata sempre più dura arrivando ad un contesto in cui i cittadini più ricchi si fanno largo all’interno del potere politico, mentre i poveri vengono abbandonati al loro destino. La vita privata degli americani è ormai dipendente dal consumismo che li svuota del loro tempo, dei risparmi, dell’attenzione e della propensione a impegnarsi in azioni di compassione collettiva.

Il mondo deve stare in guardia. Se non riusciremo a rompere la tendenza negativa che vede girare grandi quantità di denaro nella politica e nel capitalismo rampante, riusciremo sì ad ottenere la produttività economica, ma a discapito dell’umanità.

 

 

I poveri sono ufficialmente il 15%, ma i realtà sono molti di più.

 

 

America, mai così tanti poveri

 

Oltre 43 milioni di persone vivono sotto la

soglia di povertà: 3 in più del 2008

Fonte web

L’America non ha mai avuto tanti poveri dal 1994 ed a pagare il prezzo dell’attuale fase di stagnazione economica sono soprattutto i bambini. I dati resi noti dall’Ufficio del Censo fotografano le conseguenze più estreme della crisi economica innescata dal crollo finanziario di due anni fa: gli americani che vivono sotto la soglia della povertà - stabilita ad un reddito procapite di 10830 dollari e di 22050 dollari per famiglia - sono 43,6 milioni rispetto ai 39,8 milioni del 2008. L’aumento in percentuale è dal 13,2 al 14,3 ovvero quattro milioni di anime portando ad una realtà nazionale nella quale un cittadino su sette non ha soldi a sufficienza per vivere degnamente.

Le statistiche documentano come si tratti dell’impatto del dilagare della disoccupazione, arrivata al 9,6 per cento: chi perde il lavoro viene travolto dalle difficoltà economiche e finisce per non aver soldi neanche per dar da mangiare alla famiglia. Sempre la carenza di occupazione è all’origine dell’aumento di coloro che non hanno una copertura sanitaria, visto che in America viene garantita dal datore di lavoro: si tratta di 50,7 milioni di cittadini ovvero il 16,7 per cento della popolazione rispetto ai 46 milioni (15,4 per cento) del 2008. Per trovare un numero di poveri altrettanto alto bisogna tornare indietro di 16 anni, la percentuale del 14,3 è infatti la peggiore dal 1994 quando alla Casa Bianca c’era Bill Clinton. L’aumento delle povertà è distribuito ugualmente in tutte le fasce di popolazione: fra gli ispanici è passata dal 23,2 al 25,3 per cento, fra gli afroamericani dal 24,7 al 25,8 e fra i bianchi dall’8,6 al 9,4. Fra i bambini l’aumento è dal 19 al 20,7 per cento - ovvero oltre 1 su 5 - mentre nella popolazione in età lavorativa - dai 18 ai 65 anni - si è passati dall’11,7 al 12,9 e qui si tratta del dato più alto dagli anni Sessanta, quando il governo lanciò la campagna contro la povertà creando i nuovi programmi previdenziali e sanitari pubblici.

Per Douglas Besharov, docente di studi governativi all’Università del Maryland, la situazione tende al peggioramento: «Se teniamo presenti i dati reali dell’occupazione, con un cittadino su 5 senza lavoro o sottopagato, i poveri sono destinati ad essere molti di più e sono solamente i fondi stanziati dal governo con lo stimolo fiscale che al momento consentono di arginare la situazione». A conferma di tale interpretazione c’è il fatto che 3 milioni di famiglie restano al di sopra della soglie di povertà solo grazie ai sussidi di disoccupazione che vengono pagati dal governo.

Un ulteriore indicatore dell’impoverimento nazionale è l’assenza di crescita annuale di reddito, tradizionale motore dell’economia americana. «La media delle entrate delle famiglie è rimasta la stessa fra il 2008 ed il 2009» spiega David Johnson, che ha guidato la ricerca in quanto titolare dell’Ufficio del Censo di Washington, avvalorando l’impressione che gli Stati Uniti si trovino in una fase di stagnazione nella quale la ricchezza resta stabile mentre la povertà è in aumento.

 

 

APPENDICE

 

 

 

 

L'esodo dei consiglieri ebrei dalla Casa

Bianca di Obama non è un buon presagio

Fonte web - di Mark Glenn - 06/10/2010

Se molte persone, comprensibilmente disgustate a morte nel vedere gli interessi ebraici appropriarsi voracemente dei più alti centri di potere in America e nel mondo, hanno senza dubbio salutato con gioia l’annunciata dipartita di Rahm Israel Emmanuel dalla posizione di Capo dello Staff della Casa Bianca, vi è tuttavia motivo di guardare a questo recente sviluppo con una certa dose di apprensione, piuttosto che con sollievo.

Nominato Capo dello Staff di Obama immediatamente dopo le elezioni, Emmanuel (che è figlio di un terrorista dell’Irgun e ha prestato il suo unico servizio militare a favore di Israele, cioè per una nazione straniera) è diventato in effetti gli occhi e le orecchie di una potenza straniera ostile, votata a distruggere l’America utilizzando una serie di guerre devastanti e foriere di bancarotta per raggiungere tale obiettivo. Per questo motivo, il suo insediamento in una posizione così delicata rappresenta la più efficiente operazione di spionaggio/sorveglianza nei confronti di un presidente in carica mai attuata nella storia, dove Emmanuel svolge la funzione di una vera e propria “spugna” per la raccolta di informazioni, mentre siede a pochi centimetri di distanza dal presidente in ogni momento della giornata. Si può star certi che, grazie a tali prerogative, non vi sia stato sbadiglio, colpo di tosse o schiarita di gola del capo dell’esecutivo che non sia pervenuta al quartier generale del Mossad al termine di ogni giornata. L’unico possibile paragone con una situazione in cui Israele è stato così intimamente a conoscenza degli affari personali interni alla Casa Bianca è quello con la presidenza di Lyndon B. Johnson, posto sotto la sorveglianza della spia sionista Matilda Krim, e qualche decennio più tardi il periodo in cui una simpatica fanciulla ebrea di nome Monica Lewinsky divenne “assistente personale” di William Jefferson Clinton.

Perciò, il fatto che Israele rinunci così volentieri ad una fonte di informazioni interne inestimabile come Emmanuel non può che indicare che grandi progetti bollono in pentola e che, come l’America ha imparato fin troppo bene in oltre mezzo secolo di velenose relazioni con questa Industria dell’Omicidio, nessuno di questi progetti sia da ritenersi positivo.

Ciò che rende ancor più inquietante questo recente sviluppo è il fatto che Emmanuel non è l’unico VIP degli interessi sionisti organizzati a saltare giù dal carro. Poco dopo l’annuncio di Emmanuel, il mondo politico è stato colpito dalla notizia – arrivata a pochi giorni dalla precedente – che anche i colleghi di Emmanuel, cioè David Axelrod (consigliere di Obama per la politica) e Larry Summers (capo consigliere per l’economia), avevano annunciato le proprie dimissioni. Il fatto che questi annunci abbiano avuto luogo a così breve distanza l’uno dall’altro, suggerisce che tra gli attori della commedia vi sia stato non solo del coordinamento, ma anche la sua sinistra gemella, la collusione. Va anche considerato che sia Axelrod che Summers, sebbene collocati in posizioni non così vantaggiose per Israele quanto quella di Emmanuel, erano/sono comunque importanti postazioni d’ascolto per conoscere i programmi della Casa Bianca di Obama e che pertanto la loro dipartita rappresenta anch’essa una grave perdita per Israele in termini di personale dell’intelligence.

Si aggiunga a ciò la vistosa assenza di Israele durante il discorso di Obama all’Assemblea Generale dell’ONU nella terza settimana di settembre – un evento letteralmente senza precedenti – e il messaggio fatto pervenire ad Obama, abbastanza forte da poter essere udito anche da un sordo a un concerto dei Led Zeppelin, potrà essere riassunto in questi termini:

“Noi, il Popolo Ebraico, le giriamo le spalle, signor Presidente, e ce ne andiamo via”.

Ora, viste le tormentose trattative che Obama ha dovuto sopportare negli ultimi 2 anni a causa di Israele e delle sue pretese sugli insediamenti e considerato l’incessante piagnisteo con cui Israele chiama alla guerra contro l’Iran, non vi è dubbio che il presidente dovrebbe accogliere con letizia questi eventi, per la pace e la quiete mentale che questa “girata di spalle” finalmente gli garantisce; se solo si trattasse di eventi incidentali e privi di ripercussioni.

Purtroppo, come ben sanno tutti coloro che hanno approfondito tale argomento, quando si parla di Israele, degli interessi e delle politiche di potere ebraiche, non esiste nulla che possa dirsi “privo di ripercussioni”. Si può presumere che, per un popolo il cui motto è “mai dimenticare” e che insiste nell’avere l’ultima parola in qualunque discussione, questa “girata di spalle” e questa “congiura del silenzio” dirette verso la presidenza Obama rappresentino in realtà una dichiarazione, formulata nel dialetto specifico del gangsterese e accuratamente studiata per evitare ogni chiarezza, laddove la chiarezza rappresenta un handicap. Ciò a cui puntano gli interessi di parte responsabili per questo esodo è una sottigliezza espressiva che tuttavia sa rendersi istantaneamente comprensibile, come una testa di cavallo mozzata sotto le lenzuola o un pesce morto avvolto in un giubbotto antiproiettile.

Nella migliore delle ipotesi, questo esodo dalla Casa Bianca di Obama indica che gli stessi interessi ebraici che vedevano in Obama il “proprio uomo” stanno ora progettando di aprire le ante dell’armadio (rimaste strategicamente chiuse fino ad oggi) per mostrare all’opinione pubblica mondiale il già predisposto diluvio di imbarazzanti (e forse incriminanti) scheletri che esso contiene, a poche settimane di distanza dalle elezioni congressuali di medio termine. Così come Bill Clinton fu costretto al compromesso a seguito dello tsunami di imbarazzanti pettegolezzi mediatici relativi alla sua tresca con la summenzionata dipendente israeliana Monica Lewinsky (diffusi allo scopo di spingerlo a piegarsi alle richieste d’Israele), anche Obama potrebbe vedersi costretto a rinunciare ai suoi progetti quando Israele lo metterà sotto pressione per tentare di ottenere la sua resa riguardo la questione degli insediamenti e della guerra contro l’Iran.

Ma nella peggiore delle ipotesi – che non possiamo escludere neanche per un minuto, conoscendo l’inclinazione di Israele alla violenza in tutte le sue forme, concrete e teoriche – ciò che le suddette defezioni potrebbero suggerire è che gli stessi interessi ebraici che in oltre mezzo secolo si sono resi responsabili di una miriade di attacchi “false flag”, assassinii ed atti di terrorismo contro gli Stati Uniti, potrebbero stare progettando qualcosa di decisamente più drammatico di un semplice “character assassination”.

Il primo e più grave pericolo sulla lista sarebbe la possibile demolizione controllata dell’economia americana, in un momento in cui il paese della libertà e patria dei coraggiosi si trova con l’acqua alla gola e costretto in un polmone d’acciaio finanziario dopo il crollo della metà di settembre 2008, di cui gli esperti di Washington e New York tutto conoscono ma nulla discutono.

Peggio ancora, potrebbe essere in dirittura d’arrivo un altro attacco terroristico contro l’America o perfino un assassinio presidenziale.

Gli spettatori attenti di questo moderno dramma malavitoso che ha per protagonista Israele, ricorderanno che durante i giorni del declino della presidenza di George Bush, quest’ultimo, in visita in Israele, fu prontamente avvicinato da alcuni rabbini strettamente legati a Netanyahu e ad altri elementi ultra-violenti della destra israeliana, che gli presentarono una lista di richieste. I comandamenti, definiti nel loro complesso come ‘Megillat Bush’, erano scritti su una pergamena speciale creata appositamente perché sembrasse vergata di proprio pugno da un assatanato profeta dell’Antico Testamento. Redatto con il tipico tono arrogante, aggressivo, reclamatorio, minaccioso, detestabile e condiscendente, universalmente noto per essere parte della fisionomia dello stato ebraico come pasta e pomodoro lo sono della cucina italiana, il decreto così recitava:

“A George Bush... che viene a Gerusalemme, capitale eterna del nostro paese, gioia della terra tutta...

...se desideri sinceramente la pace e aspiri ad essere annoverato tra le fila dei veri giusti, noi ti affidiamo il compito di dichiarare al mondo quanto segue:

‘Io, George Bush, dichiaro che la Terra di Israele è stata assegnata di diritto alla nazione d’Israele dal Creatore del mondo, che Egli la donò al Suo popolo d’Israele, il popolo eterno. Pertanto invito tutte le nazioni a salvare se stesse da una fine certa e a riconoscere che questa terra è di diritto eredità esclusiva del popolo d’Israele. Colui che nega questa verità, metterà a rischio tutta la vita sulla terra.

Il proclama, richiamandosi a simili minacce di morte e distruzione che Mosè aveva lanciato qualche anno prima per fare pressione sul Faraone, proseguiva affermando:

‘O, che Dio te ne guardi, se dovessi scegliere la seconda opzione... di fornire il tuo volontario contributo alla distruzione... Tu sei di certo a conoscenza di ciò che il Dio d’Israele ha fatto all’Egitto e a tutti i nemici d’Israele da tempo immemorabile. Pensi forse di poter sfuggire alla lotta contro Iran, Pakistan, Arabia Saudita, Siria, Egitto e Libano, offrendo in sacrificio gli ebrei che vengono sterminati ogni giorno dai loro nemici? Ricordati di Abramo, nostro progenitore, che affrontò i quattro re più potenti del mondo per liberare suo nipote dalla prigionia. Noi non dimentichiamo le azioni dei nostri patriarchi, il cui esempio ci guida attraverso tutte le generazioni...

...Comprendi bene questo: Dio ha ordinato che il ruolo di tutte le nazioni del mondo è quello di rendere più forte la nazione d’Israele. Pertanto è tuo compito dichiarare: “Io, George Bush, Comandante in Capo degli eserciti degli Stati Uniti d’America, darò ordine alle mie truppe di proteggere i diritti divini della nazione d’Israele e di rimuovere ogni minaccia di fronte ad essa”. Hai di fronte una scelta: puoi meritarti la vita eterna o essere destinato all’eterno disonore. Il tuo destino e quello di tutti coloro che ti accompagnano è in bilico insieme al destino della nostra terra...’   

Immediatamente dopo a Bush venne presentata una lista di richieste e pochi mesi dopo, a metà di settembre del 2008, nell’arco di sole due ore, 550 milioni di dollari evaporarono dai mercati finanziari degli Stati Uniti. Secondo la testimonianza resa al Congresso dal direttore della Federal Reserve, Ben Bernanke, e dall’allora Segretario del Tesoro, Paulson, se costoro non si fossero tempestivamente mobilitati per bloccare i mercati finanziari, gli Stati Uniti si sarebbero ritrovati in totale bancarotta entro le 14.00 di quello stesso giorno.    

Che si trattasse di un attacco finanziario coordinato contro l’economia statunitense (il cui probabile fine ultimo era quello di poter essere attribuito a terroristi islamici – sicuramente iraniani – come pretesto per lanciare un attacco militare contro quella nazione) non è solo un’avventata e congetturale teoria del complotto. La ripetizione di quell’evento è una concreta possibilità, considerato che il predominio dell’influenza sionista all’interno del settore finanziario dell’economia americana è qualcosa di più che una folle teoria.

In ogni caso, tenendo conto degli scandali finanziari scoppiati su Bernie Madoff, Lloyd Blankfein e il resto della banda, congiuntamente con i sondaggi d’opinione secondo i quali l’antico spettro che tende ad associare gli ebrei con l’avidità e il denaro sta nuovamente ballonzolando su e giù come un cadavere occultato troppo frettolosamente nelle acque del pensiero americano, si può ipotizzare che gli interessi sionisti non intendano arrivare fino a questo. 

E’ dunque più probabile che gli stessi interessi sionisti che già sbavano di fronte alla possibilità di una nuova guerra in Medio Oriente contro l’Iran, possano ricorrere a misure ancor più disperate pur di mettere in moto il grande meccanismo, qualcosa di più vicino a ciò che avvenne nel 1963 a Dallas all’allora presidente JFK.

Che vi siano indizi che puntano in tale direzione è fuor di dubbio. Storie diffuse dai media e provenienti da Israele, Europa e Stati Uniti presentano l’odore inconfondibile di minacce alla vita del presidente a causa della sua ostinazione sulla questione degli insediamenti e della sua riluttanza ad allargare il coinvolgimento USA in un conflitto già disastroso nella regione. In Israele si sono tenute proteste clamorose e piene di rabbia, a volte proprio davanti alla residenza di Netanyahu, in cui la folla bruciava immagini di Obama, definito “il nuovo Faraone”. In altri commenti, attribuiti a personaggi di alto livello del governo israeliano, Obama viene definito un “discendente degli schiavi”, incapace di stare al suo posto e bisognoso di una dura lezione. Non passa settimana senza che Netanyahu parli in termini apocalittici di ciò che potrebbe accadere se l’America non si rimboccherà le maniche e non farà mettere in marcia i suoi soldati.

La domanda è: Israele si spingerebbe davvero fino al punto di far assassinare un presidente americano pur di ottenere certi vantaggi politici? Secondo l’ex agente del Mossad Victor Ostrovsky una domanda del genere è assai ingenua, come spiega nel suo libro The other side of deception, in cui rivela come Israele progettasse di far assassinare il presidente George H. W. Bush alla conferenza per la pace di Madrid dell’ottobre 1991, per poi incolpare dell’omicidio gli estremisti arabi.

“Poiché il Mossad aveva il controllo su tutte le misure di sicurezza, non sarebbe stato un problema far avvicinare i killer al presidente Bush e poi mettere in scena l’assassinio. Nella confusione che sarebbe seguita, gli uomini del Mossad avrebbero ucciso gli “esecutori”, segnando un’ennesima vittoria per il Mossad. Con gli assassini morti, sarebbe stato difficile capire dove si erano verificate le “falle” nella sicurezza e allo stesso tempo diversi paesi che partecipavano alla conferenza, come ad esempio la Siria, sarebbero stati considerati fiancheggiatori dei terroristi”.

Altri indizi su come potrebbe aver luogo questa operazione vengono forniti in un articolo pubblicato sul New York Times, intitolato “Il presidente apostata” e scritto dal suprematista israeliano Edward Luttwak, in cui si legge:

“In quanto figlio di padre musulmano, il senatore Obama è nato musulmano ed è soggetto alla legge musulmana così come è universalmente riconosciuto. Non fa alcuna differenza che, come il senatore Obama ha scritto, suo padre avesse rinunciato alla propria religione. Allo stesso modo, secondo la legge musulmana fondata sul Corano, la professione del cristianesimo da parte di sua madre è irrilevante. Certo, come molti americani ben sanno, il senatore Obama non è musulmano. Ha scelto di diventare un cristiano e ha spiegato in diversi scritti, in modo molto convincente, come sia pervenuto a questa scelta e quanto importante la fede cristiana sia per lui. La sua conversione resta tuttavia un crimine agli occhi dei musulmani; è “irtidad” o “ridda”, solitamente tradotta dall’arabo come “apostasia”, ma con valenze di ribellione e tradimento. Si tratta infatti del peggior crimine che un musulmano possa commettere, peggiore dell’omicidio. Con poche eccezioni, i giuristi di tutte le scuole sunnite e sciite prescrivono la pena di morte per tutti i maschi adulti che abbandonano la fede per ragioni che non siano di forza maggiore; la punizione consigliata è la decapitazione per mano di un religioso. Poiché è improbabile che un qualsiasi governo avalli un processo contro il presidente Obama, può essere importante citare un altro aspetto della legge musulmana: essa vieta la punizione per qualsiasi musulmano che uccida un apostata e vieta di fatto ogni interferenza con tale omicidio. Come minimo, questa considerazione renderebbe assai complicata la progettazione delle misure di sicurezza durante le visite di stato del presidente Obama nei paesi musulmani, poiché il fatto stesso di proteggerlo sarebbe considerato peccaminoso da parte degli agenti della sicurezza islamici”.  

In altre parole, il messaggio che Israele sta cercando di comunicare al presidente è che se esce dal seminato, verrà ucciso e la colpa verrà data ad “estremisti islamici” infuriati per l’apostasia di Obama.

Per convincere Obama che Israele fa sul serio e che è fin troppo capace di bypassare qualunque misura di sicurezza predisposta a tutela dell’uomo più potente del mondo, facendo arrivare qualcuno ad un pelo di distanza da lui e dalla sua famiglia, il 24 novembre 2009, in un exploit che meritò i titoli di testa dei giornali e fece discutere la nazione per settimane, Tareq Salahi (descritto come un palestinese nato in Israele) mandò a monte una cena di stato alla Casa Bianca organizzata in onore del Primo Ministro dell’India, riuscendo ad avvicinarsi al presidente e al suo ospite abbastanza da scattare loro delle foto e poi metterle su Facebook. Per fare questo, Salahi aveva dovuto passare attraverso 2 controlli di sicurezza dei Servizi Segreti, in ciascuno dei quali era richiesto che il suo nome fosse sulla lista degli invitati (non era in nessuna delle due) e che esibisse un documento d’identificazione. La falla nella sicurezza fu così grave che diede luogo ad un’indagine da parte del Congresso e ad un’altra da parte della magistratura, che vide coinvolte tutte le agenzie federali incaricate di provvedere alla sicurezza personale del presidente.

Che sia possibile o no dimostrare che si sia trattato di un’operazione israeliana, il fatto è che tutti i media d’America posseduti/diretti da ebrei diedero alla vicenda il massimo spazio, consegnando ad Obama il messaggio: “Nessuno è intoccabile, signor presidente”. E’ impossibile non notare la similitudine tra questo avvenimento e l’assassinio di Robert F. Kennedy da parte di Sirhan Sirhan, anch’egli palestinese nato in Israele, il 5 giugno 1968, per ragioni riguardanti la politica in Medio Oriente; una similitudine sottile quanto la testa di cavallo sotto le lenzuola nel film Il Padrino.

Tutta la commedia dell’esodo dei poteri ebraici dalla Casa Bianca di Obama fa pensare alle celebri storie diffuse subito dopo l’11 settembre, quando tra i morti di quella giornata si contarono pochissimi israeliani. Nel caso dell’11/9, il mondo scoprì in seguito che gli israeliani erano stati avvisati di non venire al lavoro attraverso il sistema di messaggeria Odigo, con sede in Israele; mentre in questo caso, il mondo viene messo sull’avviso prima dell’evento pianificato. Israele e i suoi sostenitori ovviamente non vogliono che i loro uomini si trovino “lì” nella Casa Bianca quando per la bomba a tempo che è stata lì predisposta, quale che essa sia, verrà il momento di esplodere.

Di una cosa possiamo stare certi: per individui come Emmanuel, Axelrod e Summers, abbandonare posizioni così prestigiose ed importanti, non solo per loro, ma per il prosieguo delle fortune della “casa dolce casa” israeliana, è come allontanarsi da una valigia piena di denaro, larga un metro e alta altrettanto, appena ritrovata sulla strada; e così facendo rinunciare a tutto il potere, il privilegio e il prestigio che un tale ritrovamento poteva garantire. Oltre alla perdita personale, c’è anche il “peso della storia” da tenere in considerazione. In questo momento, Israele ha bisogno del maggior numero di occhi e orecchie che sia possibile all’interno della Casa Bianca, poiché è in gioco la sua stessa sopravvivenza. Tenendo presenti i modelli biblici di Giuseppe e Esther, che si arrampicarono strisciando fino alle più alte posizioni di potere nei rispettivi tempi e rispettivi luoghi, il fatto che ben 3 topi piuttosto grossi abbandonino la nave di stato in questo momento cruciale della storia, può solo significare che tramite mezzi che non ci è dato conoscere essi sappiano che un siluro si sta avvicinando all’imbarcazione e che essa affonderà presto.  

 

 

APPROFONDIMENTO

 

FINANZA/ E se per uscire dalla crisi servisse una guerra?

 

C’è un forte rischio all’orizzonte: una nuova guerra, reale o minacciata poco cambia. L’ipotesi di un’opzione bellica contro l’Iran, infatti, sta smettendo di essere il chiodo fisso solo degli apparati militari e civili intermedi statunitensi e sta per trasformarsi nel main issue per riuscire a far ripartire il paese, devastato dal debito pubblico, dalle banche ancora piene di assets tossici ed esposte alla leva e dalla politica suicida della Fed. C’è infatti una costante nella storia economica degli Stati Uniti da più di un secolo a questa parte ed è la stretta correlazione tra interventi militari e ripresa dell’economia: ....