DIBATTITO TEOLOGICO

(a cura di cprando)

 

b

 

QUANTE SONO LE PARUSIE DEL SIGNORE?

 

Nel dibattito teologico si è imposta recentemente una questione escatologica che sembrava risolta, ma che ora riemerge per i molti interrogativi che essa pone. Illustreremo brevemente la questione che, della venuta del Signore Gesù Cristo alla fine dei tempi, data dalle molti apparizioni e messaggi celesti appare imminente, ma non come l'ultima e definitiva. Viviamo nella consapevolezza che i tempi dell'iniquità, della ribellione alla legge di Dio, del disordine morale e sociale stanno per aver un termine. E' una fine stabilita da Dio e non dalla presunzione umana, che può giungere perfino alla totale distruzione del pianeta. E' l'ora che scade con la venuta o Parusia del Signore, che viene per ristabilire l'ordine divino nella società e nel creato. Introduciamo, pertanto, il tema focalizzando le tesi contrapposte di due teologi italiani per giungere a delle conclusioni critiche.

Nel dibattito sulla questione della Parusia intermedia, apparso sulla rivista "Il Segno del Soprannaturale" (n. 106), il prof. Ivo Cisar Spadon riafferma in sintesi la posizione ufficiale della Chiesa sull'unicità della Parusia di Cristo risorto alla fine del tempo.

In risposta al prof. Spadon, nell'articolo seguente, il padre Martino Penasa, sulla base di una rinnovata lettura esegetica, patristica e profetica-rivelativa, riscontra invece tre parusie: l'Incarnazione, la parusia intermedia di Apocalisse 19-20 e la parusia finale.

Ad essere più precisi, il prof. Spadon si sbilancia oltremodo per sostituire, sic et simpliciter, al termine Parusia il termine analogo in lingua italiana 'venuta', per cui abbiamo molte più venute del Signore di quelle indicate da p. Penasa, come la trasfigurazione e la risurrezione... Chi dei due ha ragione? Entrambi citano le Scritture e la Tradizione, suscettibili entrambe di varie interpretazioni, ma il Magistero, che definisce il contenuto della Rivelazione pubblica, sul dogma della Parusia (il Credo, Documenti conciliari, il Catechismo della Chiesa Cattolica) sembra dare più forza alle argomentazioni del professore.

Il biblista Martino Penasa, nel sostenere la Parusia intermedia, non entra in contraddizione con la dottrina della Parusia finale, come qualcuno ha pensato, ma mette in luce l'esistenza di un 'vuoto dogmatico' nella Sacra Dottrina. In breve, manca una parusia, la così detta Parusia intermedia di Apocalisse 19-20. Quindi è bene sottolineare che non è in discussione il dogma della Parusia finale; fin qui siamo tutti d'accordo, ma la mancata definizione di una parusia, riconosciuta unanimemente dai primi cristiani, studiata dai padri della Chiesa e cancellata successivamente dall'interpretazione allegorica di Origene, Agostino e Girolamo!

La posizione teologica di p. Penasa ha posto in questione la Parusia dimenticata dai più e coraggiosamente riaffermata dalle recenti rivelazioni private.

L'interpretazione del biblista è da prendere in seria considerazione, senza schierarsi aprioristicamente dietro l'autorità del Magistero, che in questo caso non può venire in aiuto alla soluzione del problema, se prima i teologi e i fedeli tutti non si impegnano a discernere le cause che hanno portato nella teologia la sparizione di una Parusia del Signore.

Ricordiamo che non si tratta di una vana discussione, ma della retta interpretazione della Parola di Dio. Innanzitutto, prima di entrare direttamente nella questione, occorre aver chiaro il concetto di "parusia", giacché la terminologia è fondamentale per la soluzione del problema.

Il termine Parousia viene dal greco che significa in genere 'presenza' e 'venuta'. Ma il termine ha propriamente un senso tecnico impiegato per l'arrivo di un signore, di un sovrano, persino di un dio, che soccorre i suoi credenti dall'ingiustizia (cfr. Braumann 1976: 1214).

Ora, nel testo dell'Apocalisse, non appare espressamente il termine parusia, ma "benché il nostro vocabolo non v'appaia affatto, è piena di una vibrante speranza parusiaca" (oepke 1974: 871).

Pertanto, le Sacre Scritture non esprimono chiaramente l'unicità o la ternarietà della Parusia del Signore. Ed è proprio l'esatta definizione del termine 'parousia', impiegato dalla comunità credente per dare un contributo fondamentale nello stabilire il senso letterale della Parusia intermedia di Apocalisse 19-20, distinguendola così dall'Incarnazione e dalla Parusia finale. E' questa la chiave del problema.

Le soluzioni proposte sono tre: la prima, la più antica, afferma l'indipendenza tematica di Apocalisse 19-20, accettando, al di là del linguaggio apocalittico del testo, un contenuto letterale alla Parousia intermedia; la seconda, apparsa intorno al secolo IV d.c., presenta una dipendenza tematica di Apocalisse 19-20, tramite una lettura allegorizzante, dall'Incarnazione (così Origene, Agostino, Gerolamo); la terza soluzione, la più moderna, illustra il testo Apocalisse 19-20, tramite una lettura redazionale, come il doppione dalla Parusia finale (così Ugo Vanni).

Se si dimostra che Ap 19-20 gode di una indipendenza tematica, e quindi che si può ricavare da essa un senso letterale proprio, si giustifica a livello teologico la presenza di un'ulteriore parusia, che è intermedia perché posta tra la venuta del Signore nella carne (Incarnazione) e la venuta del Signore nella gloria universale (Parusia finale). Questa parusia, la chiamiamo d'ora in poi Parusia intermedia per distinguerla da quella finale, era focalizzata dai primi Padri della Chiesa all'interno del modulo della 'settimana universale', cioè i sette millenni dell'umanità come sette sono i giorni in cui Dio creò l'universo. La Parusia intermedia veniva posta al principio del settimo millennio (alla fine del sesto l'Anticristo e al settimo il Cristo parusiaco, così Ireneo 1984b: 226-227), secondo l'impostazione della 'settimana universale' a cui, peraltro, si rifà implicitamente l'autore dell'Apocalisse nella scansione del settenario dei sigilli. L'esegeta A. Ferrer, ha notato nell'Apocalisse una settimana di settimane in un complesso collegamento con il racconto della creazione di Gn 1-2, e con le quattro parti dell'anno, a loro volta in relazione con le feste giudaiche e i loro lezionari, con gli elementi cosmici, con i segni zodiacali e con le dodici tribù.

In tal modo ai settenari, sei come i giorni dell'opera creativa di Dio, seguirebbe il sabato del riposo divino, esso senza opere e senza suddivisione settenaria (cfr. Ferrer, Rebirth, cit. in Biguzzi 1996: 31). Se, secondo il modulo della settimana universale l'umanità vivrà tanti millenni quanti i giorni impiegati da Dio per creare il mondo, allora il regno messianico della durata di mille anni coincide col settimo della creazione, quindi, secondo un rapporto di analogia, col 'riposo' (in ebraico 'sabbath', da cui la parola sabato) di Dio, dopo la vittoria definitiva del Signore sull'Anticristo e sullo pseudoprofeta e la reclusione del loro capo, Satana, per mille anni nell'abisso.

Pertanto, la Parusia intermedia è posta all'inizio del settimo millennio dalla nascita di Adamo (stimata intorno al 4004 a.C.). Una esegesi seria su Ap 19-20 prende in considerazione il carattere profetico del regno messianico dei mille anni (cfr. Prigent 1985: 604-605), senza associarlo al periodo della Chiesa a partire dall'Incarnazione, quindi "al tempo presente, quello cioè della prima venuta" (Agostino 1992: 968); né all'eternità dopo la Parusia finale, come afferma perentoriamente Ugo Vanni: "si tratta senz'altro della seconda venuta" (cioè la Parusia finale, n.d.A.)(Vanni 1991: 319); né tanto meno alle interpretazioni ereticali delle varie sètte millenaristiche.

Riassumendo, si constata che la Parusia intermedia non gode presso la maggior parte dei teologi di una propria autonomia tematica perché, o viene associata alla prima venuta, ossia all'Incarnazione, o alla Parusia finale.

Generalmente i teologi associano la Parusia intermedia all'Incarnazione, perché seguono pedissequamente l'esegesi allegorica di s. Agostino (ad esempio Wikenhausen, Bordoni, Gozzellino). La nuova interpretazione redazionale non trova il sostegno di grandi esegeti come Prigent o Brütsh.

Dobbiamo chiederci come mai sono sorte dal testo di Ap 19-20 due interpretazioni della stessa Tradizione. Precedentemente abbiamo abbozzato in modo schematico una linea storica dell'esegesi del testo dell'Apocalisse in questione. Senza dubbio la prima Tradizione era unanime nell'accettare il senso letterale di Ap 19-20, così ad esempio la Didaché, Barnaba, Papia, Giustino, Ireneo, Lattanzio (cfr. Penasa 1994; 103-134). Pertanto l'esegesi patristica più antica accettava l'indipendenza tematica di Ap 19-20, senza confonderla con altri momenti dell'economia salvifica come l'Incarnazione e la Parusia finale. In effetti, già nel libro dell'Apocalisse si trovano in perfetta sintesi i tre momenti salienti dell'economia salvifica: l'Incarnazione in Ap 12, 1-6; la Parusia intermedia in Ap 19, 11-21. 20, 1-6, che è ben distanziata, con la cifra dei 'mille anni', dalla Parusia finale di Ap 20, 11-15.

Teniamo presente che la maggior parte dei Padri di questa venerabile Tradizione erano di lingua greca, ed alcuni beneficiarono direttamente dell'insegnamento apostolico. Quindi si suppone una maggiore autenticità di questa tesi rispetto a quella sorta dalla Tradizione latina che forse, proprio per aver dimostrato una scarsa conoscenza della lingua dei testi sacri, non seppe decodificarla in modo opportuno.

Sappiamo per certo che proprio s. Agostino, colui che più di tutti incise per l'interpretazione allegorica di Ap 19-20, rapportandola al tema dell'Incarnazione, non aveva una buona acquisizione di questa lingua (Agostino 1987: 52). Ed inoltre, registriamo, al momento del passaggio dal senso letterale al senso allegorico di Ap 19-20, un uso esagerato del metodo allegorico adottato dalla scuola di Alessandria a danno, come tutti sanno, della retta comprensione delle Sacre Scritture.

Il primo ad allegorizzare in modo sistematico Ap 19-20 è stato Origene (cfr. Commento a Giovanni), che fu un teologo scomunicato dal suo stesso vescovo e ritenuto un eretico già in vita, ma non dai suoi estimatori, tra i quali troviamo proprio coloro che hanno allegorizzato in maniera definitiva Ap 19-20, cioè Agostino e Girolamo. Questi padri, nel dare un senso allegorico ad Ap 19-20, credettero di risolvere la questione millenarista. E qui dobbiamo precisare che la questione della Parusia intermedia è da collocare in una problematica teologica più ampia che abbraccia le concezioni del millenarismo e del messianismo regale.

Si nota nell'interpretazione di s. Agostino un difetto di comprensione del termine parousia. E' bene, dunque, ritornare sul vocabolo specificando la sua eccezione nel Nuovo Testamento.

La Parusia del Signore presenta quattro caratteristiche:

1° è universale: riguarda sia i vivi che i morti;

2° è conflittuale: vi è una battaglia definitiva tra bene e male, con vittoria definitiva di Dio sul Maligno;

3° è giudiziale: segue alla battaglia definitiva una separazione netta dei due schieramenti;

4° è trasformante: l'universo viene purificato da ogni traccia del male; vi è una resurrezione dei corpi o trasfigurazione dei fedeli vivi, a seconda dei due momenti di ricreazione.

Si dà una Parusia quando si realizzano le quattro caratteristiche succitate.

E le caratteristiche si riscontrano solo nella Parusia intermedia e nella Parusia finale. Se i primi cristiani hanno potuto trovare nel vocabolo greco un concetto quasi analogo per designare un evento sacro, quale la Parusia del Signore, i latini dovevano accontentarsi di un comunissimo 'adventus', che non ha nessuna accezione tecnica né sacrale come il suo corrispettivo in italiano, 'venuta'.

Questa ipotesi filologica può essere la base per spiegare l'interpretazione grossolana di Agostino, che in nulla coincide con la Sacra Tradizione e forza inevitabilmente il contesto di Ap 19-20 e il suo senso letterale (cfr. Penasa 1994: 139-168).

Ci chiediamo: "Può l'Incarnazione essere una Parusia?". La risposta è adesso a portata di mano.

Brevemente: l'Incarnazione può definirsi una venuta ma non come una parusia, perché non è stata universale, ma limitata al popolo ebraico; è parzialmente conflittuale, perché il male non è stato completamente debellato, sicché Satana è ancora il principe di questo mondo; non è giudiziale, perché i giusti convivono ancora con i malvagi; non è trasformante in quanto il mondo e l'umanità sono rimasti tali come Cristo li ha lasciati, sebbene agisca in modo misterioso la grazia santificante.

Si impone, dunque, un distinguo nelle venute del Signore Gesù, che non sono tutte uguali, come qualcuno lascia intendere, ma vanno opportunamente differenziate.

In conclusione, siamo dell'avviso che tecnicamente sono due le Parusie del Signore: la parusia intermedia per sconfiggere la Triade infernale e ricreare il mondo per gli eletti trasfigurati dalla seconda Pentecoste; e la Parusia finale per sconfiggere Satana e ricreare il mondo per i risorti. E se con la teologia giungiamo a queste conclusioni, a livello profetico-rivelativo non manca una maggiore chiarezza sulla binarietà della Parusia del Signore.

 

(Tratto da: Teofilo il Siculo, IL TEMPO DELL'ANTICRISTO E LA PARUSIA INTERMEDIA, Edizioni Segno, Udine 1998, prima appendice, pp. 175-183)

 

 

SEGNI PARTICOLARI CHE PRECEDONO LA PARUSIA INTERMEDIA

 

L'APOSTASIA (abbandono) DI MASSA (secolarizzazione) DALLA FEDE: 2 Ts 2,3

 

LA COMPARSA DEL FALSO PROFETA (o anticristo): 2 Ts 2,3 e 2 Ts 2, 1-12. Anche Giovanni Paolo II, in un discorso tenuto a Fatima il 13/05/82, sembra presentire tale pericolo: "Di fronte a noi sta il pericolo dell'apostasia da Dio, della lotta contro Dio e contro tutto ciò che è sacro e divino. Siamo forse vicini al tempo predetto da S. Paolo, il tempo dell'anticristo che si alza contro Dio e contro ogni specie di religione. E' il tempo però in cui anche lo Spirito Santo mobilita, attraverso la Madonna, tutta la Chiesa." (Citato da don A. Mutti su 'Eco' 72 - Il riferimento è a 2 Tess, 2, 1-8).

  

SCHEMA DEI TESTI BIBLICI, PATRISTICI E CARISMATICI CHE

 FANNO PENSARE AD UNA PARUSIA INTERMEDIA.

 

Antico Testamento

Nuovo Testamento

Padri della Chiesa

Voci Carismatiche

Letture principali

 

Letture principali

Alcuni autori e opere

Alcuni esempi

Isaia

 

2, 1-5;  9, 5-6; 11, 4-9; 14,9ss

65,17-25; 66,14ss

 Luca

 

21, 23-24; 21, 27-33 (parusia intermedia)

La Didaché

A Fatima (1917)

Qui la Madonna profetizza la vittoria e il trionfo del Suo Cuore Immacolato

Daniele

 

7, 9-14; 7, 23-27

Matteo

Padre nostro (cap. 6)

Tutto il capitolo 24 (parusia intermedia); tutto il capitolo 25 (parusia finale)

La Lettera di Barnaba

A Suor Faustina (anni '30)

 (polacca), negli anni della seconda guerra mondiale, Gesù le dona il suo messaggio di amore e di speranza in un mondo pacificato dal suo amore misericordioso. Suor Faustina è ora riconosciuta ufficialmente dalla Chiesa.

Ezechiele

 

Tutto il capitolo 37 (37,1-14)

 

Atti degli apostoli

 

At 3, 19-21;

La Parusia

intermedia in Papia

Maria Valtorta (anni '40)

Con i  "quaderni" e i 10 volumi sul Vangelo

Michea

 

4,1-4.

 

_____________

Sofonia

 

3,9-13.

 

______________

 

Salmi

 

Come esempio riporto il salmo 85 vv. 10-14, ma ve ne sono altri.

Lettere apostoliche

 

Paolo

Soprattutto Prima e seconda lettera ai Tessalonicesi e in particolare 2, 1-12

______________________________

Giuda

 

Gd 17-19; 12-13

_________________

Giacomo

Gc 5, 8-9

_________________

Pietro

2 Pt 3, 13

Testimonianza di s. Giustino martire

 

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Testimonianza di s. Ireneo

 

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Testimonianza di Tertulliano

 

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Testimonianza di Lattanzio

 

MEDJUGORJE 

Dal Giugno '81 la Madonna appare e guida non solo una parrocchia, ma è diventato un santuario internazionale di preghiera  e conversione per il mondo intero in attesa dei "tempi nuovi".

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Don Stefano Gobbi

 Amico del Papa, dal 1973 guida il Movimento Sacerdotale Mariano, promosso dalla Madonna stessa, che conta tra i suoi aderenti circa 400 vescovi, 100.000 sacerdoti, qualche cardinale e milioni di aderenti laici.

Il movimento è in via di riconoscimento da parte del Vaticano. Don Gobbi riceve messaggi da Maria circa i "tempi nuovi".

Apocalisse

 

21,24.

Apocalisse

 

Cap. 12 e1 13; 19, 11ss e 20, 1-8

 

 

.E TANTI ALTRI

Tutta la carismatica più seria sembra gridare con una sola voce: "Gesù sta per venire", per adempiere le scritture.

S. AGOSTINO (una sola parusia finale)

 

b

AGONIA DELLA MISTICA NELL'ATTUALE CONGIUNTURA ECCLESIALE?

di INNOCENZO COLOSIO

Queste pagine non vogliono essere una vera e propria dissertazione, ma piuttosto un appassionato grido d'allarme: la Mistica cristiana nell'ambito della Chiesa cattolica sta correndo un gravissimo pericolo di morte.

Ovviamente non intendiamo parlare delle vere e proprie grazie mistiche segretamente infuse dallo Spirito Santo nelle anime, perché esse sfuggono ad ogni controllo di carattere culturale.

Il nostro esame verte invece esclusivamente sulla Mistica dal rigoroso punto di vista socio-culturale; cioè si tratta di indagare sul posto che la Mistica occupa oggi nell'insegnamento della Chiesa, nel la predicazione, nella direzione delle anime, nella pubblicistica in tutto il suo arco. In concreto, si tratta di sapere: oggi l'ideale mistico come è studiato, considerato, valutato, perseguito? Ma, prima di tutto, per ideale mistico, che cosa intendiamo di preciso?

In queste pagine per Mistica si vuole significare sia lo studio teoretico sia l'aspirazione pratica alla vera e propria contemplazione infusa e all'amor puro di Dio uno e trino; giacché usiamo il termine esperienza mistica nel suo significato forte, volendo appunto con esso esprimere una intuizione affettiva soprannaturale della presenza di Dio nel fondo dell'anima, al di là delle facoltà discorsive, percepito come bontà somma e assoluta. In altre parole per Mistica intendiamo lo stato teopatetico descritto dai grandi e classici mistici a cominciare dallo Pseudo-Dionigi Areopagita, il quale appunto qualifica il suo Ieroteo come patiens divina.

Questo stato teopatetico, così amorosamente studiato e perseguito nel primo dopoguerra, ora è molto trascurato sia sul piano della ricerca scientifica sia sul piano pratico della parenetica. Si deve invece constatare che esso viene tuttora, e forse più di prima, studiato nel campo storico e viene sempre meglio illustrato dalle molteplici edizioni critiche di testi dei grandi spirituali.

Ora domandiamoci: quali sono le cause di questa crisi teorico-pratica dell'ideale mistico?

Si potrebbe dare al quesito una risposta sintetica e un po' generica: essendo la Mistica la fase suprema e culminante della vita cristiana, essa subisce fatalmente i contraccolpi di tutte le attuali crisi che oggi travagliano il Corpo mistico: crisi della fede, crisi della morale, crisi del celibato, del sacerdozio, della mortificazione... Ma è necessario cercare una risposta più profonda, più scientifica, ossia bisogna tentare una soluzione più specifica del problema, più dedotta ex propriis.

A nostro modo di vedere si potrebbero ridurre le cause della decadenza teorico-pratica dell'ideale mistico a questi tre capi, procedendo dall'esterno all'interno, dal generico allo specifico:

1) negazione della metafisica da parte di quasi tutte le filosofie oggi dominanti, e infiltratesi anche nel tessuto intimo dell'insegnamento ecclesiastico;

2) il grave travaglio critico che investe tutte le norme e i metodi dell'Ascetica tradizionale;

3) l'attuale impostazione antropologico-storica di tutta la teologia.

Questa indagine eziologica la proponiamo qui come ipotesi di lavoro, senza poterla documentare ampiamente — ciò che però ci ripromettiamo di fare in articoli successivi —. Queste succinte pagine vogliono solo essere introduttori e ad una futura analisi; perciò qui elencheremo brevemente, seguendo la triplice divisione sopra data, i virus che in ciascun settore più o meno direttamente intaccano la vitalità dell'organismo mistico.

1. Crisi filosofica

Metafisica e Mistica sono... sorelle siamesi, o per lo meno amiche molto strette: ambedue, infatti, aspirano alla conquista dell'Assoluto, anche se con mezzi assai diversi, anzi apparentemente contrari. La Metafisica è la sorella storicamente più anziana che aiuta la Mistica a mettere le ossa, offrendole, aiutata e sorretta dalla Rivelazione, l'alimento grezzo, la base con la sua speculazione su Dio e i suoi attributi e perfezioni, e su Cristo, immagine perfetta del Padre. Ora tutti sappiamo come oggi la Metafisica sia negata, derisa, dichiarata assurda, impossibile, morta e seppellita. E i necrofori sono tutte le varie filosofie imperanti: il marxismo materialista, il neopositivismo, le varie filosofie analitiche del linguaggio, lo strutturalismo, lo stesso esistenzialismo nella sua linea nichilista.

Tutte queste correnti, in maniera più o meno subdola, hanno invaso parzialmente anche l'area cristiana, in cui è facile trovare scrittori e insegnanti che inconsciamente rinnovano il principio della doppia verità: per un verso credono più o meno fideisticamente all'esistenza di Dio uno e trino, ma per un altro verso negano ogni possibile speculazione razionale sulla natura divina, che invece nella grande tradizione medievale è stata considerata quale remota pronuba del mistico matrimonio, come risulta anche dalla stessa storia della spiritualità ebraica, induista e musulmana. Notisi anche che la stessa speculazione metafisica sull'Essere supremo tende naturalmente a sfociare in una specie di mistica contemplazione naturale, certo ben diversa dalla contemplazione infusa, ma che comunque presenta con la medesima non poche analogie, come bene ha dimostrato Th. Philippe O.P. nel suo ampio articolo: Spéculation métaphysique et contemplation chrétienne, pubblicato su Angelicum 1937, pagine 223-263.

2. Crisi ascetica

Se la Metafisica autentica è una sorella della Mistica, l'Ascetica ne è addirittura una parte vitale, intrinsecamente incorporata alla Mistica, tantoché anche il mistico più sublime non può e non deve distaccarsi completamente dagli indispensabili esercizi ascetici. Infatti la ortodossia della Mistica viene misurata dalla sua buona simbiosi teorica e pratica con l'Ascetica. Senza previa preparazione ascetica niente mistica esperienza, almeno in via ordinaria.

Ora è noto a tutti come la classica Ascetica cristiana sia osteggiata con violenza non più o non tanto dai nemici esterni quanto dal di dentro della Chiesa stessa. Recente prova ne sia l'articolo, a dire poco scandaloso, del sacerdote spagnolo Fernando Urbina pubblicato sul n. 9 del 1975 della rivista Concilium. Il titolo è già un chiaro programma: La vita spirituale come tentazione (pp. 124-146). L'Autore mette sotto accusa la spiritualità, specialmente dei primi decenni del nostro secolo — e per esemplificare cita, la Vita interiore del Tissot, L'anima di ogni apostolato dello Chautard e Le tre età della vita interiore del P. Garrigou-Lagrange — come responsabile di aver scisso l'unità operativa del cristiano, e specialmente del sacerdote, privilegiando la vita di preghiera su quella dell'azione apostolica e sociale, e facendo correre così il pericolo per molte coscienze, di una falsificazione psicologica e di una complicità politica. Secondo la strana ermeneutica storica di questo autore, la Chiesa oggi ha perduto terreno su tutti i campi per colpa di quella tipica spiritualità, la quale narcotizza l'asceta cristiano timoroso e gli fa perdere il senso della concreta conflittualità sociale, chiudendolo in sé stesso!

Qui non intendiamo affatto confutare la sua complessa e sottile diagnosi della dissociazione della vita spirituale dalla vita sociale reale, di cui si è resa colpevole quella tale spiritualità, giacché abbiamo intenzione di sottoporre quell'articolo ad una puntuale e precisa critica in un futuro numero della Rivista.

Recentemente lo stesso Papa durante l'udienza dello scorso mercoledì delle ceneri ha lanciato un accorato appello affinché non si trascuri lo sforzo ascetico, di cui con chiarissime parole ne delinea la struttura:

Esso consiste in uno sforzo abituale della buona volontà, una tensione morale vigilante e perseverante della coscienza sopra il dominio delle proprie azioni, una attitudine normale di autogoverno, di padronanza di sé, nell'intento di unificare il complesso meccanismo psicologico dei propri istinti, delle proprie passioni, dei propri interessi, dei propri sentimenti, delle proprie reazioni interiori ed esteriori, dei propri pensieri, sotto un unico comando direttivo, l'amor di Dio e del prossimo, norma suprema e vitale della personalità cristiana.

(Osservatore Romano, 4 marzo 1976)

Lo stesso Pontefice ricorda come oggi questo sforzo ascetico non sia gradito:

Sappiamo tutti benissimo che questo capitolo del programma rinnovatore della vita cristiana non gode il favore dell'opinione pubblica, e nemmeno talvolta il dovuto rispetto di certi maestri che pur si qualificano moralisti e per di più cristiani.

Assistiamo infatti a continui assalti indiretti, ma alle volte anche molto diretti, contro ogni forma di mortificazione, la quale costituisce appunto il fulcro centrale di ogni ascetica.

Si parte dalla esaltazione della spontaneità come valore irrinunciabile, dalla gelosa difesa di tutto ciò che è naturale, in base ad una diffusa concezione ottimistica dell'uomo, oramai dichiarato guarito dalle vecchie ferite del peccato originale, sia perché esso non è affatto quello che si credeva, sia perché la permanente efficacia della potenza redentrice di Cristo risorto, tramite la fede (di marca protestante) continuamente lo rintuzza, anche se rispunta sempre come i peli della barba, secondo una tipica espressione dello stesso Lutero.

In modo particolare gli attacchi sono rivolti contro il valore della verginità, considerata come intrusione in campo cristiano di un mito pagano, o per lo meno di idee neoplatoniche e manichee, ignote al vero senso delle Sacre Scritture. Lo stesso dicasi della lotta tra carne e spirito.

L'obbedienza poi è stata praticamente nullificata sia per la instaurazione del metodo democratico a tutti i livelli, sia per la elevazione della coscienza individuale ad unico insindacabile criterio delle nostre azioni.

Conseguentemente lo stato religioso è stato intaccato alla base e declassato dal suo ruolo di scuola specifica e paradigmatica di perfezione evangelica; e per di più è stato in sede pratica gettato in un incredibile marasma a causa del programmato aggiornamento obbligatorio, che fatalmente — com'era facile prevedere — si è risolto in una colluvie di discussioni, esperienze, scissioni, turbamenti di ogni genere, legislazioni ambigue, frutto naturale del compromesso, storico anche questo, tra progressisti e tradizionalisti. Il colpo mortale all'Ascetica classica è stato inferto dalla nuova teoria, convalidata dall'alto, tendente alla super-esaltazione dei cosiddetti valori terrestri, o umani, o sociali, quasicché la sana dottrina cattolica non abbia sempre favorito nei giusti limiti la scienza, l'arte, la famiglia, i doveri sociali. Un'altra grave ferita alla prassi e alla dottrina ascetica tradizionale è stata causata dall'aver sostituito e quasi contrapposto allo stato di perfezione la perfezione degli stati, spaccando così l'unità vitale dell'unica ascetica evangelica che trovava nel radicale rinnegamento di noi stessi tramite i tre voti la legge suprema, uguale per tutti come ideale, ma in concreto applicabile, caso per caso, persona per persona, in re o solo in voto (ossia nel desiderio), secondo le rispettive vocazioni.

Nel campo poi delle spiritualità dei singoli ordini religiosi, è avvenuto questo strano fenomeno, che mentre a priori si è canonizzato il pluralismo dei carismi, a posteriori si è caduti in una monocorde e piatta uniformità, come appare evidente dalla semplice lettura delle varie regole aggiornate; cosicché le singole famiglie monastiche sono state private delle loro spicciole pratiche ascetiche, che avevano un loro valore speciale, come frutto di secolari esperienze di quel determinato istituto con quella determinata finalità. Si pensi, per portare un solo esempio, alla importanza della "sacratissima silentii lex" per l'Ordine domenicano, ora praticamente inesistente.

A tutto questo si aggiunga la decadenza pratica in cui sono cadute la direzione spirituale, la orazione discorsiva o meditazione, e l'esame di coscienza particolare e la stessa confessione sacramentale.

3. Crisi teologica

Vitale e intimissima è la dipendenza della Mistica dalla Teologia generale, tantoché come dottrina non si dovrebbe distinguere da essa, cioè tutta la Teologia è spirituale, quindi almeno tendenzialmente mistica.

Se è vero che la Teologia è il consapevole ripensamento della fede rivelata per incarnarla nella mente e nel cuore umani, svilupppandone le virtualità e traducendole in pratica nella nostra progressiva deificazione (la quale consiste nella grazia santificante e cristiforme evolventesi via via in una sempre più intima unione con Dio, di cui qui in terra la contemplazione mistica e l'amor puro infuso rappresentano il grado supremo, preludio alla visione beatifica) ne consegue che la speculazione teologica è di suo ordinata alla esperienza mistica.

Ma c'è, storicamente parlando, teologia e teologia. Ora l'attuale Teologia, non avendo più per suo oggetto formale proprio: Deus sub ratione Deitatis consideratus in se ipso et in suis partecipationibus formalibus, ma Dio come protagonista della storia della salvezza umana, essa non è certo indirizzata a fomentare la contemplazione mistica e l'amor puro, sua fonte e suo termine, che hanno appunto come oggetto primario Dio, la sua vita trinitaria, le sue perfezioni entitative più che operative.

A ciò si aggiunga la fatale mutazione del metodo conseguente allo spostamento dell'oggetto proprio. Il nuovo metodo teologico, invece di essere speculativo e partire dall'alto, ha assunto in pieno la dimensione antropologica e si è fatto storico-genetico. A ciò si aggiunga ancora la eccessiva preoccupazione ecumenica, per cui la nostra teologia in questi ultimi anni è diventata scandalosamente succube di quella protestante, che come è risaputo, è piena di riserve e di prevenzioni contro la Mistica, e si capirà facilmente perché il divorzio tra teologia dogmatica e teologia mistica sia stato consumato in misura così radicale.

Prova ne sia l'emarginazione del classico trattato dei doni dello Spirito Santo, fagocitati dai carismi (che sono pero un'altra cosa); l'accento posto quasi esclusivamente sull'amore del prossimo a detrimento del primato dell'amore a Dio; il sociologismo e l'orizzontalismo considerati come la vera e più genuina dimensione del cristianesimo che vede in Cristo soprattutto "l'uomo per noi" e non il vertice della religiosità teocentrica, il "religioso" per eccellenza; l'accentuazione sulla nascita laicale e non sacerdotale di Cristo; la difesa teologica della secolarizzazione, con lo specioso pretesto che l'autonomia del profano è voluta da Dio espressamente nella Sacra Scrittura; la spiritualità escatologica immanentizzata, ma resa in questo modo evanescente, al posto della classica dottrina sui Novissimi e sulla visione beatifica; la esagerata divisione, per non dire, contrapposizione tra religione e fede, tutta a beneficio della seconda e a detrimento della prima; la esasperata esaltazione della preghiera liturgica o comunitaria con relativo deprezzamento di quella intima e privata; la parola di Dio nella Bibbia considerata come più efficace e nutriente della stessa Eucarestia; la grazia santificante concepita non più tomisticamente come una realtà entitativa informante l'essenza dell'anima ed evolventesi in un dinamico organismo, ma come un semplice benevolo affettuoso sguardo divino che accarezza l'anima. E si potrebbero facilmente enumerare molti altri aspetti e atteggiamenti della attuale corrente teologia, i quali certo non concorrono a potenziare la nostra spinta verso la intimità divina.

Molti teologi moderni non vogliono neppure sentire nominare la Mistica, perché secondo loro si tratta di una parola e di un contenuto ellenici e quindi pagani, subdolamente penetrati nel tessuto del pensiero cristiano, dal quale vanno espulsi come elementi eterogenei.

Ancora una volta Louis Bouyer in un denso e illuminante libretto, il cui titolo non fa minimamente sospettare la tematica di fondo ivi svolta, Religioni e preti contro Dio (trad. italiana di B. Marenco, Ed. Rusconi, Milano, pp. 120, L. 2.000) ha spezzato da pari suo una lancia contro la tesi dell'origine pagana del nome e del contenuto della Mistica cristiana.

Da quelle stringate e persuasive pagine vogliamo offrirvi qui alcuni stralci molto persuasivi specialmente se riposti nel contesto.

Egli considera Alberto Ritschl (1822-1889) come primo e maggiore responsabile nel protestantesimo moderno della diffidenza, anzi del ripudio più radicale della Mistica cattolica.

Secondo questo celebre teologo protestante:

il cattolicesimo manifesterebbe la propria infedeltà al vero cristianesimo e all'ispirazione della Bibbia appunto perché teso al misticismo con tutto il suo orientamento profondo. Il misticismo non sarebbe che il frutto supremo del paganesimo, la ricerca illusoria di un falso dio estraneo alla creazione e indifferente alla sua salvezza. Esso viene contestato da tutto il profetismo biblico mentre il Vangelo di Gesù, il Vangelo del regno di Dio da stabilire sulla terra, ne è la condanna definitiva... (p. 75).

Al seguito di Ritschl, l'opposizione tra Mistica e Bibbia è stata sempre più elaborata

fino a diventare come un assioma per i teologi protestanti, seppure appartenenti alle più opposte tendenze. Ai nostri giorni essa trova un'espressione particolarmente imperiosa in Ebeling, ma è diffusa dappertutto, tanto fra i protestanti " ortodossi " come fra i liberali (p. 76).

Detta concezione protestante della Mistica come elemento più o meno pagano è purtroppo rimbalzata in campo cattolico, dove con molta faciloneria è stata recepita anche da specialisti.

Non fa meraviglia, anche se la cosa è paradossale, che i cattolici ricalchino oggi le torme di tali speculazioni che hanno voluto e vogliono essere espressamente anticattoliche. Ed è curioso che esse affascinino anche certuni che una migliore informazione avrebbe presumibilmente dovuto trattenere dall'accettare giudizi tanto semplicistici, come fa padre Festugière ne L'Enfant d'Agrigente (p. 77).

Proprio recentemente le pagine qui criticate del domenicano Festugière sono state ripubblicate a parte sotto il titolo molto significativo: Le sage et le saint nella collezione Foi Vivante, Parigi, Plon, 1974, pp. 98.

Ma il Bouyer dimostra come il nome e il contenuto della Mistica cristiana sono di pretta origine vitale interna al cristianesimo stesso.

La Mistica vera, lungi dall'opporsi alla linea autentica di sviluppo della spiritualità biblica, ne segue perfettamente la trama. Bisogna alla fin fine riconoscere il tatto macroscopico contro cui urtano e si infrangono le speculazioni dualistiche che abbiamo discusso e cioè, il fatto che la nozione stessa della mistica è frutto dell'ispirazione biblica e solo di essa, è comparsa non al di fuori del cristianesimo o sotto influssi estranei ad esso bensí nel suo seno e per una derivazione spontanea e irresistibile (pag. 91-92).

Lo prova con evidenza lo studio semantico del termine, sicché è pressoché incredibile che tanti dotti (o semidotti) continuino a farne uso ignorandone totalmente l'origine e l'evoluzione. Né Plotino o gli altri neoplatonici, né qualche autore platonico prima di loro, né l'ermetismo o altro movimento analogo (per esempio orfico) adoperano mai il termine "mistico " in rapporto a una qualche esperienza di unione con Dio. E' solo nel cristianesimo, e in stretta relazione con i dati più specificamente biblici ed evangelici, che esso, dal significato banale di "segreto" che ha nella grecità profana, è assurto al senso che noi gli attribuiamo spontaneamente. (p. 93).

Dopo averci brevemente detto l'uso che del termine mystikos fanno Clemente, Origene e i Padri Cappadoci, così prosegue e conclude:

Infine san Gregorio di Nissa sarà il primo a chiamare mistica l'esperienza cristiana per eccellenza, cioè la percezione della presenza divina che si comunica a noi con la mediazione delle scritture e la partecipazione ai sacramenti. Tuttavia il primo a usare sistematicamente l'aggettivo in questo senso sarà lo Pseudo-Dionigi, però con una tipica insistenza sul contesto della fede nelle scritture e della celebrazione sacramentale in tale fede. (p. 94).

Concluderemo anche noi questo terzo paragrafo con un pensiero del medesimo autore: Non si dà Teologia valida se non nella fede e in una fede autentica come quella che tende a superarsi nella Mistica, e più precisamente nella Mistica dell'amor di Dio diffuso nei nostri cuori dallo Spirito Santo che ci è stato donato.

4. Obiezioni

A parte le osservazioni critiche di dettaglio che il lettore potrebbe fare direttamente alla nostra diagnosi dell'agonia della Mistica, ciascuno, leggendola, avrà pensato che a quei sintomi evidenziati pessimisticamente da chi scrive queste pagine, si potrebbero contrapporre ottimisticamente altri fenomeni; p. es. i seguenti: oggi vi è molto interesse per la mistica induista, per lo yoga, per lo zen; si parla e si scrive molto sulla contemplazione; vi sono un po' dappertutto cenacoli di intensa preghiera; e soprattutto il movimento carismatico pentecostale non è una macroscopica risposta alla prognosi di una imminente morte della mistica nella Chiesa di oggi? Risponderemo brevemente e provvisoriamente a queste obiezioni: a) il nostro discorso è un discorso all'interno della Chiesa; riguarda cioè la Mistica cristiana. E del resto il fatto che tra questi fautori delle mistiche esoteriche ci siano anche dei cattolici starebbe a dimostrare la nostra tesi, e cioè che costoro non trovando nella Chiesa per le ragioni anzidette lo slancio mistico, lo vanno a cercare altrove. b) E' vero, sulla contemplazione anche in questi ultimi anni si è scritto non poco, pero nella maggior parte dei casi il termine è stato usato per lo più in senso lato e generico di intima preghiera, di meditazione, di vita raccolta, e così via, ma non nel senso tecnico di contemplazione infusa; c) La diffusione di centri specialmente giovanili dediti alla preghiera specialmente comunitaria fa ben sperare; ma siccome questi giovani spesso non sono allenati metodicamente allo sforzo ascetico collaterale, non sarà facile che la loro preghiera raggiunga le vette della esperienza mistica; d) La medesima risposta vale anche per i pentecostali, benché di essi chi scrive non abbia una conoscenza diretta. Da quanto abbiamo letto ci è venuto il sospetto che quell'entusiasmo, produce sì un sensibile miglioramento spirituale, ma forse non riuscendo a creare una armoniosa e solida unità interiore, abitualmente frutto solo di un lungo e metodico esercizio ascetico, sia destinato ad attenuarsi e pian piano a sparire. Comunque chi vivrà, vedrà.

Ripetiamo, anche per non essere fraintesi, noi non neghiamo affatto che oggi esistano delle anime autenticamente mistiche, cioè a dire, veramente sante, molto più che noi sosteniamo che è impossibile la vera santità senza un diretto intervento divino per purificare fino alle radice il cuore dall'innato egoismo e introdurvi quindi l'amore puro infuso, generalmente connesso in modo vitale con qualche bagliore di contemplazione infusa—quindi non si dà santità perfetta senza esperienza mistica. E la santa Chiesa cattolica ha sempre dei santi che nella unità profonda della loro vita interiore — Fernando Urbina permettendolo — bruciano tutte le antitesi tra vita interiore e vita sociale, tra orizzontalismo e verticalismo.

Per rendere più tangibile quanto diciamo porteremo una testimonianza attuale, desumendola dall'opuscolo "Fatima e Balazar celeste gemellaggio". Premettiamo che Balazar è la patria di Alexandrina Da Costa (1904-1955), autentica mistica, morta vittima per la salvezza delle anime. E' un sacerdote che parla:

"una sera ebbi l'idea di partecipare a una tavola rotonda. La discussione era tenuta da un pretino coi capelli arruffati, da tre ragazzi muniti di barba e da alcune ragazze conciate in maniera eccentrica. I termini che ricorrevano più frequentemente erano orizzontalismo, alienazione, spiritualità di evasione, comodo misticismo. La sostanza del discorso fu questa: il rapporto con Dio può costituire un alibi per non occuparsi dei fratelli. Lo sguardo rivolto al cielo distrae dal compito di costruzione del mondo. Meno misticismo e più disponibilità alle sofferenze altrui ". (p. 42). E' la tesi di Urbina. Ecco ora la risposta... esistenziale di una vera mistica, cioè Santa:

"Il suo cuore [di Alexandrina], proprio perché unito sempre al Cuore di Gesù fino alla mistica identificazione con Lui, si è dilatato a dismisura e abbracciava tutti si commoveva per tutto si immedesimava di tutto quello che era del prossimo e donava sempre e si donava completamente.

I compaesani alla sua morte vestirono a lutto per un mese e commentavano: E' morta la mamma di Balasar!" (p. 43).

Altro che alibi, altro che isolamento!

5. Conclusione

Se la nostra diagnosi — del resto molto sommaria e sbrigativa — è vera, per salvare la Mistica dalla sua agonia, bisogna ritornare alla metafisica classica, all'ascetica classica, alla teologia classica, non certo materialmente e meccanicamente, ma con tutte le finezze, le correzioni, gli apporti validi di quest'ultimi decenni, vitalmente assimilati per opera di qualche sublime genio che sia anche un grande santo.

Speriamo che la misericordia divina agli infiniti miracoli del passato aggiunga anche questo nuovo, prima che la Mistica, in senso socio-culturale, passi dall'attuale convulsa agonia ad una squallida morte, che del resto sarebbe la necessaria conseguenza della presunta e tanto proclamata morte di Dio. Il fatto pero che questa blasfema e assurda espressione non susciti l'orrore e l'indignazione nel nostro campo, ma anzi una benevola e positiva considerazione perché si presume che contribuirebbe a purificare il nostro concetto di Dio, è la prova provata che oramai la nobile razza dei mistici puri, dei paladini dell'Assoluto, è già morta e seppellita. Preghiamo perché Dio la risusciti!

 

© "La nuova rivista di ascetica e mistica", 1976, 2, pp. 105-116

 

 

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Ultimo aggiornamento: lunedì 19 giugno 2006