(a cura di Claudio Prandini)
Barack Obama,
già leggendario presidente degli Stati Uniti, ha vinto il premio Nobel per la
pace. La vittoria va, a mio giudizio, decrittata. Quale idea di pace - e quale
di guerra - vince, col vincitore Obama? Ragioniamo.
Naturalmente, il nuovo presidente Usa è assai diverso da George W. Bush in
politica estera. Tra i suoi primi atti ha, in vario ordine, teso una mano
all'Iran che cerca di sfuggire al gioco della violenza del regime;
riequilibrato il peso della Israel lobby nei riguardi delle politica
mediorientale; annunciato un graduale disimpegno dai teatri di guerra;
temporeggiato sulla richiesta del generale Stanley McChrystal, comandante
delle truppe in Afghanistan, che chiedeva più soldati entro la fine dell'anno.
In definitiva, Obama ha rimesso al centro della politica estera americana una
visione più multilaterale (anche nei rapporti con l'Europa) delle grandi crisi
geopolitiche; ha elogiato l'Onu; e ha infine esplicitamente detto "siamo
stanchi della guerra".
Ma se questo fosse un vecchio lp, e non un post, dovremmo sentire anche il
lato B (b-sides che spesso in musica nascondono dei capolavori). Obama,
silenziosamente, prosegue le operazioni militari (chiamiamole eufemisticamente
così) al confine afghano-pakistano; anzi, da quando è in carica, nel sud
dell'Afghanistan i marines hanno sferrato la più grande offensiva anti-taleban
dall'inizio della guerra. E, in uno
storico discorso del 1 agosto 2007 al Woodrow Wilson
International Center for Scholars, ha ragionato chiaramente di una sinistra
che, di fronte ai tiranni, cerca la pace, ma sapendo di dover esser costretta
talora a fare la guerra.
Nobel per la pace a Barack Obama
Dietro al Nobel per la Pace 2009
Fonte web - di Thierry Meyssan (Thierry Meyssan Analista politico francese, fondatore e presidente del Réseau Voltaire e della conferenza Axis for Peace. Pubblica recensioni settimanali sulla politica estera nella stampa araba e russa. Ultimo libro pubblicato: L'Effroyable imposture 2, ed. JP Bertand (2007).
Se l'assegnazione del Nobel per la pace ha portato un coro di lodi da parte dei leader dell'Alleanza atlantica, ha anche sollevato lo scetticismo nel mondo. Invece di discutere le ragioni che potrebbero giustificare, a posteriori, questa scelta a sorpresa, Thierry Meyssan espone la corruzione del Comitato per il Nobel e i legami tra il suo presidente, Thorbjørn Jagland, e i collaboratori di Obama.
"Questa mattina, ascoltando le
notizie, mia figlia è venuta e mi ha detto: "Papà, sei Nobel per la pace"[1].
Questa è la commovente storiella che il Presidente degli Stati Uniti ha
raccontato ai giornalisti compiacenti, per dimostrare che non aveva mai
desiderato questa premiazione e che è stato il primo a sorprendersi. Senza
cercare più lontano, questi ultimi hanno immediatamente intitolato i loro
giornali sull’"umiltà" dell'uomo più potente del mondo.
In effetti, nessuno sa cosa sorprenderà di più: l'attribuzione di un tale premio
prestigioso a Barack Obama, la messa in scena grottesca che lo accompagna, o il
metodo utilizzato per corrompere la giuria e dirottarne i soldi dallo scopo
originale.
In primo luogo, ricordare che, secondo le regole del Comitato per il Nobel, le candidature sono presentate da parte delle istituzioni (parlamenti nazionali e accademie politiche) e da persone qualificate, soprattutto giudici e precedenti premiati. In teoria, una candidatura può essere fatta senza che al candidato sia stata notificata. Tuttavia, quando la giuria emette la sua decisione, si stabilisce un legame diretto con il premiato, per assicurare che sia informato un'ora prima dell'inizio della conferenza stampa. Per la prima volta nella sua storia, il Comitato del Nobel non ha fatto questa cortesia. Essa, ci assicura il suo portavoce, non osava svegliare il Presidente degli Stati Uniti in piena notte. Forse ignorava che i consiglieri si alternano alla Casa Bianca, per ricevere chiamate d'emergenza e svegliare il presidente, se necessario. Inoltre, il comitato del Nobel ha almeno informato il giornalista Gerhard Helsok, che alla vigilia aveva annunciato la notizia sul canale norvegese TV2.
La graziosa oleografia della bambina che annuncia il Premio Nobel al suo papà, non basta a placare il disagio causato da questa premiazione. Secondo la volontà di Alfred Nobel, il premio riconosce "la persona che [durante l'anno precedente] abbia più o meglio lavorato per la fraternità tra le nazioni, l'abolizione o la riduzione degli eserciti permanenti, e per l'incontro e la diffusione del progresso per la pace". Nello spirito del fondatore, si tratta di sostegno all'azione militante e di non rilasciare un certificato di buone intenzioni a un capo di stato. I vincitori hanno, a volte, violato il diritto internazionale, dopo il ricevimento del loro premio, il Comitato del Nobel ha deciso, quattro anni fa, di premiare non un atto particolare, ma le persone che hanno con onore dedicato la loro vita alla pace. Così, Barack Obama sarebbe stato più meritevole degli attivisti per la pace nel 2008, e non avrebbe commesso alcuna grave violazione del diritto internazionale nel 2009. Per non parlare di quelle persone ancora detenute a Guantanamo e a Bagram, né degli afgani e degli iracheni che affrontano un’occupazione straniera, e che pensare degli honduregni schiacciati da una dittatura militare o dei pakistani, il cui paese è diventato il nuovo obiettivo dell'Impero?
Torniamo al fatto, a ciò che il "comunicato"
della Casa Bianca e i media anglo-sassoni vogliono nascondere al pubblico: il
rapporto sordido tra Barack Obama e il Comitato del Nobel.
Nel 2006, il Comando europeo (vale a dire, il comando regionale delle truppe
statunitensi, la cui autorità riguardato sia l'Europa che gran parte
dell'Africa) ha sollecitato il senatore d’origine keniota, Barack Obama, a
partecipare ad una operazione segreta inter-agenzie (USAID-CIA-NED-NOS). Si
trattava di usare il suo status di parlamentare per condurre un tour in Africa,
per consentire sia la difesa degli interessi delle aziende farmaceutiche (per
affrontare le produzioni senza licenza) e sia per respingere l'influenza cinese
in Kenya e Sudan [2].
Solo gli eventi nel Kenya, qui ci interessano.
Madeleine Albright e Thorbjørn Jagland, nel corso
di una riunione al quartier generale della NATO
La destabilizzazione del Kenya
Barack Obama e la sua famiglia,
accompagnati da un addetto stampa (Robert Gibbs) e da un consigliere
politico-militare (Mark Lippert), arrivarono a Nairobi su un aereo speciale
noleggiato dal Congresso. Il loro aereo era seguito da un secondo velivolo,
questa volta noleggiato dall’esercito degli USA, che trasportava un team di
specialisti in guerra psicologica, presumibilmente guidato dal generale in
pensione J. Scott Gration.
Il Kenya, allora, era in pieno boom economico. Fin dall'inizio della presidenza
di Mwai Kibaki, la crescita era passata dal 3,9 al 7,1% del PIL e la povertà era
scesa dal 56 al 46%. Questi eccezionali risultati erano stati ottenuti riducendo
i legami economici con le potenze post-coloniali anglo-sassoni, sostituiti da
accordi più equi con la Cina. Per rompere il miracolo Kenyano, Washington e
Londra decisero di rovesciare il presidente Kibaki e d’imporre l’opportunista
fidato Raila Odinga [3].
In questa prospettiva, la National Endowment for Democracy creò un
nuovo partito politico, il Movimento Arancione, e architettò una rivoluzione "colorata"
per le successive elezioni parlamentari del dicembre 2007.
Il senatore Obama è stato accolto come un
figlio di questa terra e il suo viaggio fu iper-pubblicizzato. Interferiva nella
politica locale e partecipava alle riunioni di Raila Odinga. Obama chiamava alla
"rivoluzione democratica", mentre il suo "compagno", il
Generale Gration, dava a Odinga un milione di dollari in contanti. Queste azioni
destabilizzarono il Paese e sollevò proteste ufficiali di Nairobi presso
Washington.
A seguito di questo tour, Obama e il Gen. Gration presentarono una relazione al
Generale James Jones (allora capo del Comando europeo e comandante supremo della
NATO) a Stoccarda, prima di tornare negli Stati Uniti.
L'operazione continuò. Madeleine Albright, in qualità di Presidente del NDI (il
ramo del National Endowmement for Democracy [4],
specializzato nel trattamento dei partiti di sinistra), fece un viaggio a
Nairobi, dove si occupò dell'organizzazione del Movimento Arancione. Poi John
McCain, in qualità di presidente della IRI (la filiale della National
Endowmement for Democracy specializzata nel trattamento dei partiti di
destra) completò la coalizione dell’opposizione, trattando con piccoli partiti
di destra [5].
Nelle elezioni parlamentari del dicembre 2007, uno studio finanziato dall’USAID annunciò la vittoria di Odinga. Il giorno delle elezioni, John McCain disse che il presidente Kibaki aveva truccato le elezioni a favore del suo partito e che, in realtà, l'opposizione guidata da Odinga aveva vinto. La NSA, in collaborazione con gli operatori della telefonia locale, indirizzò degli SMS anonimi alla popolazione. Nelle aree popolate dai Luo (gruppo etnico di Odinga), dissere "Cari keniani, i kikuyu hanno rubato il futuro dei nostri figli ... Dobbiamo trattarli nell'unico modo che comprendono… la violenza". Mentre nelle aree popolate dai kikuyu, scrissero: "Il sangue di nessun Kikuyu innocente verrà versato. Li massacreremo fin nel cuore della capitale. Per la giustizia, creato un elenco di Luo che conoscete. Vi invieremo i numeri di telefono durante la trasmissione di tali informazioni." In pochi giorni, questo tranquillo paese sprofondò nella violenza settaria. I disordini provocarono oltre 1000 morti e 300000 sfollati. 500000 posti di lavoro furono persi.
Madeleine Albright, di ritorno, si offrì di mediare tra il Presidente Kibaki e l'opposizione che cercava di rovesciarlo. Con finezza, lei si allontanò e mise avanti il Centro di Oslo per la pace e i diritti umani (Oslo Center for Peace and Human Rights). Il consiglio di amministrazione di questa rispettata ONG era ora presieduta dall'ex primo ministro della Norvegia, Thorbjørn Jagland. Rompendo con la tradizione di imparzialità del Centro, inviò due mediatori sul posto, tutte le spese furono a carico del NDI di Madeleine Albright (vale a dire in ultima analisi, del bilancio del Dipartimento di Stato USA): un altro ex primo ministro norvegese, Kjell Magne Bondevik, e l'ex segretario generale, Kofi Annan (il ghanese è assai presente negli Stati scandinavi, da quando ha sposato la nipote di Raoul Wallenberg).
Obbligato, per ripristinare la pace civile, ad accettare i compromessi che gli imposero, il presidente Kibaki s’impegnò a creare la carica di primo ministro e di affidarla a Raila Odinga. Questi cominciò subito a ridurre gli scambi commerciali con la Cina.
Piccoli doni tra amici
Se l'operazione del Kenya si ferma lì, la
vita dei protagonisti continua. Thorbjørn Jagland negoziò un accordo tra la
National Endowment for Democracy e il Centro di Oslo, che fu formalizzato
nel settembre 2008. Una fondazione collegata fu creata ad Minneapolis,
permettendo alla CIA di sovvenzionare indirettamente l’ONG norvegese. Essa
agisce per conto di Washington in Marocco e, in particolare, in Somalia [6].
Obama fu eletto presidente degli Stati Uniti. Odinga dichiarò alcuni giorni di
festa nazionale in Kenya, per festeggiare il risultato delle elezioni negli
Stati Uniti. Il generale Jones divenne consigliere per la sicurezza nazionale.
Assunse Mark Lippert come Capo di gabinetto e, come suo Vice, il Generale
Gration.
Durante la transizione presidenziale negli Stati Uniti, il presidente del Centro di Oslo, Thorbjørn Jagland, fu eletto presidente del comitato Nobel, nonostante il rischio che un tale politico astuto rappresenta per l'istituzione [7]. La candidatura di Barack Obama al Nobel per la pace fu presentata entro, e non oltre, il 31 gennaio 2009 (termine regolamentare [8]), dodici giorni dopo il suo insediamento alla Casa Bianca. Vivaci dibattiti animarono la commissione, che, ai primi di settembre, non giunse ad accordarsi su un nome, come previsto dal calendario regolare [9]. Il 29 settembre, Thorbjørn Jagland fu eletto Segretario Generale del Consiglio d'Europa, a seguito di un accordo dietro le quinte tra Washington e Mosca [10]. Questo buon metodo ne chiedeva un altro in cambio. Sebbene l’adesione al Comitato per il Nobel sia incompatibile con un esecutivo politico importante, Jagland non si dimise. Egli sostiene che lo spirito del regolamento vieta l’accumulo con un incarico ministeriale, e non dice nulla del Consiglio d'Europa. Rientrò quindi a Oslo, il 2 ottobre. Lo stesso giorno, il comitato nominò il Presidente Obama, Premio per la Pace 2009.
Nella sua dichiarazione ufficiale, il
comitato ha detto, senza ridere: "E' assai raro che una persona come Obama
sia riuscita a catturare l'attenzione di tutti e a dar loro la speranza per un
mondo migliore. La sua diplomazia si basa sul concetto che chi guida il mondo
deve farlo su una piattaforma di valori e atteggiamenti condivisi dalla maggior
parte degli abitanti del pianeta. Per 108 anni, il Comitato del Nobel ha cercato
di stimolare questo tipo di politica internazionale e quei passi di cui Obama è
il principale portavoce" [11].
Da parte sua, il fortunato vincitore ha detto: "Apprendo la decisione del
comitato Nobel con sorpresa e profonda umiltà (...) voglio accettare questo
premio come un invito all'azione, un invito a tutti i paesi perché prendano
posizione di fronte alle sfide comuni del XXI secolo". Quindi questo uomo "umile"
ritiene di incarnare "tutti i paesi". Cosa che non fa presagire nulla
di pacifico.
--------------------------------
[1] «Déclaration de Barack
Obama à l'annonce du prix Nobel de la paix 2009», Réseau Voltaire, 9
octobre 2009.
[2] Per i dettagli di questa operazione, vedere ‘Le Rapport Obama’, di Thierry
Meyssan, di prossima pubblicazione.
[3] Raila Odinga è figlio di Jaramogi Oginga Odinga, che ebbe come principale
consigliere per la politica, il padre di Barack Obama.
[4] «La NED, nébuleuse de l'ingérence "démocratique"», Thierry Meyssan,
Réseau Voltaire, 22 janvier 2004.
[5] In precedenza gli Stati Uniti avevano creato un loro partito in Kenya,
guidato da Tom Mboya. Si trattava, in quel momento, di lottare contro
l'influenza russa e, di già, cinese.
[6] Il Centro di Oslo ha anche partecipato alla destabilizzazione dell'Iran,
durante le elezioni presidenziali, canalizzando i fondi per l'ex presidente
Khatami.
[7] Vicepresidente dell'Internazionale socialista, Thorbjørn Jagland è un forte
sostenitore della NATO e dell'ingresso della Norvegia nella Unione europea.
Frequenta l’elite global e ha partecipato ai lavori del Council on Foreign
Relations, della Commissione Trilaterale e del Bilderberg Group. Il suo bilancio
politico è stato segnato da diversi scandali di corruzione che coinvolgono la
sua famiglia, compreso il suo amico e ministro per la Pianificazione, Terje Roed
Larsen (il coordinatore attuale dei negoziati delle Nazioni Unite in Medio
Oriente).
[8] 205 domande sono state depositate. Ma solo in conformità con il regolamento,
199 sono state ritenute ammissibili. Raggiunta questa cifra, il Comitato del
Nobel non ha avuto la possibilità di aggiungere dei nomi supplementari nelle sue
deliberazioni.
[9] Il premio doveva essere aggiudicato il 9 ottobre. Per motivi organizzativi,
il vincitore dovrebbe essere trovato entro il 15 settembre.
[10] Anche se gli Stati Uniti non sono membri del Consiglio d'Europa, hanno una
grande influenza. Mosca non tifava per Jagland, ma l’ha voluto per contrastare
il polacco Cimoszewicz.
[11] «Communiqué du Comité Nobel norvégien sur le prix de la Paix 2009»,
Réseau Voltaire, 9 octobre 2009.
Cocoa Tea's Barack Obama Reggae Song
Due o tre cose sul Nobel
La Svezia è una nazione con un po' più di
nove milioni di abitanti, di alta dignità civile, di moralismo luterano e di
cultura diffusa. Ma non pesa molto nel mondo. Uno dei pochi mezzi, forse il
solo, che s’è data per influire sulla politica internazionale è il premio Nobel
per la Pace. Un’invenzione a suo modo geniale.
I personaggi che ne vengono investiti ricevono una specie di aureola di santità
laica (magari massonica), almeno agli occhi dei media; non è sempre un male,
quando questi personaggi necessitano di una forza aggiuntiva (come El Baradei e
l’ex presidente Carter), di una sorta di intoccabilità, venerabile nel nome del
politicamente corretto.
Uno strumento così sottile non deve essere usato in modo esagerato, altrimenti
si spezza, nel senso che si scredita: è il caso del Nobel regalato ad Al Gore,
produttore soltanto di un video allarmistico e falso sul «global warming», o del
nostro Dario Fo... E’ il caso del Nobel preventivo a Barak Obama?
E’ evidente. Ma per altro verso, bisogna riconoscere che i Nobel per la Pace più
politici presentano una notevole coerenza in un settore particolare: Carter,
Arafat-Rabin, El Baradei, indicano una preoccupazione speciale per la questione
palestinese, e del Medio Oriente in generale.
I signori del comitato svedese, premiando Obama per le sue pie intenzioni, hanno
dato un altro segnale in questo senso. Un segnale che voleva essere forte. Non
dimentichiamo che durante l’aggressione israeliana a Gaza, hanno operato lì due
rispettati medici norvegesi, il dottor Mads Gilbert e il dottor Erik Fosse: che
per dieci giorni si sono trovati ad amputare decine di arti supporanti senza
ferite da shrapnel, perchè colpiti da bombe a particelle inerziali, visto morire
sotto i loro ferri donne incinte e bambini ustionati dal fosforo bianco, operato
giorno e notte con metodi eroici due feriti gravi per volta nella stessa sala
operatoria, mentre altri 80 agonizzavano nei corridoi inondati di sangue.
Questi due medici, al ritorno ad Oslo, sono ovviamente comparsi in decine di
interviste nei giornali e nelle TV locali e scandinave; delle atrocità
israeliane, norvegesi e svedesi sono molto meglio informati delle opinioni
pubbliche europee, e quindi molto più indignati. Gente colta che parla inglese,
gli scandinavi sanno anche meglio di noi delle difficoltà in cui si dibatte
Obama, il presidente che in qualche modo ha promesso un cambiamento della linea
americana sul Medio Oriente. La Norvegia ha voluto aiutarlo con il solo mezzo
che ha.
Ma, a giudicare i commenti in USA e in Europa, la buona intenzione è fallita. La
gravità della crisi americana - morale e intellettuale, oltre chè economica - è
abissale. Obama non ha fatto niente, e appare indeciso a tutto; ma non può fare
altro. E’ letteralmente paralizzato dalla situazione interna. Il suo torto
storico è di non aver sconfessato e denunciato la precedente gestione folle di
Bush. Ma bisogna riconoscere che non può farlo, e non solo per la sua personale
insufficienza, o quella del suo staff infarcito di personaggi della Trilaterale,
che oggi appare la cosca perdente (1).
Per riformare il sistema, Obama dovrebbe scontrarsi contemporaneamente con la
lobby israeliana, con il sistema militare-industriale, con la speculazione di
Wall Street e i suoi banchieri d’affari colpevoli della immane truffa
finanziaria e del collasso economico, e tuttavia riempiti di bonus scremati dal
denaro pubblico.
Bisogna rendersi conto che queste non sono solo tre lobby strapotenti: queste
tre forze «sono» l’America. Al di fuori di esse, non c’è - nella società
organizzata - null’altro.
Su quale lobby potrebbe appoggiarsi Obama? Le due più numerose e influenti sono
la la lobby dei pensionati e quella del «diritto di portare armi da fuoco», che
in realtà non hanno nulla da dire in politica estera e in economia, e gli sono
ostili. La galassia dei cristiani rinati, quei 70 milioni di americani che hanno
votato Bush e approvato le sue guerre perchè vi hanno visto l’avvicinarsi dei
«tempi ultimi», e detestano Obama perchè è liberal sull’aborto? Lasciamo
perdere.
La sola forza che ha sostenuto Obama è quella «democratica»: effettivamente è
stato votato da una maggioranza ragguardevole, stufa della guerra e ostile a
Wall Street. Nelle due camere, ha una maggioranza schiacciante. Ma ce l’ha
ancora?
I senatori e i deputati democratici eletti con lui, che dovrebbero sostenerlo,
sono terrorizzati. Fra un anno, novembre 2010, dovranno affrontare le elezioni
di mezzo termine, e vedono davanti a sè lo spettro della bocciatura elettorale:
la lobby è quella che gestisce i voti che contano, e soprattutto convoglia o
nega i fondi elettorali. E – in mezzo ad una campagna forsennata di odio e
disprezzanti-Obama – sta facendo mancare quei fondi.
Il vicepresidente Joe Biden sta compiendo giri disperati in lungo e in largo per
gli Stati Uniti per invocare denaro, e non pare che abbia alcun successo. I
senatori e i deputati democratici, sottoposti a pressioni e minacce della lobby,
oltrechè da sempre in mano a Wall Street e ai grandi complessi industriali e
militari, premono a loro volta su Obama perchè attenui la sua politica – quella
politica che non ha attuato, ma la cui sola enunciazione gli ha coalizzato
contro quelle forze.
L’opinione pubblica liberal o pacifista, inasprita dalla disoccupazione,
dall’iniquità sociale crescente, e dall’indecisione del presidente, è stata in
qualche modo la prima a deridere Obama e ad abbandonarlo: basta vedere i blog
progressisti. Ciò che rimproverano ad Obama è giusto: non ha sconfessato Bush,
ne prosegue le politiche; ha dato altri fondi agli speculatori che invece doveva
far arrestare non ha denunciato la menzogna dell’11 settembre. Ma in un’America
dove già scoppiano rivolte che evocano la guerra civile (i «Tea Parties», a
ricordo della grande rivolta fiscale anti-britannica che portò all’indipendenza
americana) ogni gesto in questo senso – ammesso che Obama avesse l’audacia di
compierlo, cosa che escluderei visto che è una creatura del Council on Foreign
Relations – non farebbe che precipitare la spaccatura del Paese.
Il fatto è che il blocco elettorale pro-Obama non è affatto un blocco; la
«sinistra liberal » è disorganizzata e divisa (è un elemento tipico della crisi
delle «sinistre» nel mondo intero), mentre le forze contrarie sono
organizzatissime, hanno denaro, usano metodi sperimentati da un secolo, hanno
accesso diretto e dietro le quinte presso gli attori politici. Inoltre, la
mentalità americana è contro di lui.
Per descrivere l’umore dominante, basta ricordare che già Obama è accusato di
essere «socialista», anzi di voler fare degli Stati Uniti «uno Stato marxista».
John Perry, un opinionista che scrive su Newsmax
(2), ha avuto il coraggio di auspicare
in un suo articolo un colpo di Stato militare per «risolvere il problema Obama».
Ovviamente «senza spargimento di sangue». Questo Perry sostiene che ogni giorno
di più «aumenta» la possibilità che un «generale patriottico» si affianchi al
presidente e formi un governo in cui «militari addestrati, costruttori di
nazioni faranno il lavoro vero di governare, mentre ad Obama sarà consentito di
fare i suoi discorsi»; Obama chiama su di sè questo «intervento» perchè starebbe
attuando a «marce forzate» un progetto «marxista» di statalismo sanitario.
Credete che stia parlando un demente e isolato neocon israeliano? No, questo
Perry manifestava, fino a ieri, opinioni tiepidamente «moderate». E non è il
solo a prevedere un esito golpista. Sull’ Huffingtonpost, un altro analista
politico, Bob Cesca, ritiene che se (o quando) rivinceranno le elezioni di
novembre 2010, i repubblicani avvieranno «immediatamente» una procedura di
impeachment contro Obama (3).
Credete che non possano farlo? Tutto si può in America quando si hanno dalla
propria parte le tre lobby suddette. I media a loro disposizione faranno passare
questi eventi come una «vittoria del liberismo»; del resto, con il 20% di
disoccupazione reale e uno statalismo per ricchi già ben instaurato (le
concentrazioni di ricchezze della finanza, fallita, sono pagate dallo Stato) gli
americani invocano «meno Stato», meno spese publiche per previdenza sociale...
E’ un buco nero mentale collettivo da cui – grazie alla crisi – può, in ogni
momento, esplodere qualche evento brutale e catastrofico.
Obama sarà sicuramente uno dei pochi presidenti non riconfermati per un altro
quadriennio; anzi sarà fortunato se nel 2012, quando toccherà a lui esporsi al
voto, sarà ancora vivo.
Il Nobel che gli è stato dato è giudicato prematuro? Forse, invece, è arrivato
troppo tardi.
-------------------------------------
1)
According to official Trilateral Commission membership lists, there are only 87
members from the United States (the other 337 members are from other regions).
Thus, in less than two weeks since his inauguration, Obama’s appointments
encompass more than 10% of Commission’s entire U.S. membership. 1- Secretary of
Treasury, Tim Geithner. 2- Ambassador to the United Nations, Susan Rice. 3-
National Security Advisor, Thomas Donilon. 4- Chairman, Economic Recovery
Committee, Paul Volker. 5- Director of National Intelligence, Admiral Dennis C.
Blair. 6- Assistant Secretary of State, Asia & Pacific, Kurt M. Campbell. 7-
Deputy Secretary of State, James Steinberg. 8- State Department, Special Envoy,
Richard Haass. 9- State Department, Special Envoy, Dennis Ross. 10- State
Department, Special Envoy, Richard Holbrooke.
2) John L. Perry, «Obama Risks a
Domestic Military Intervention», NewsMax, 29 settembre 2009. Poche ore dopo,
l’articolo di Perry è stato tolto dal sito di NewsMax. Lo si può leggere qui:
http://www.talkingpointsmemo.com/news/2009/09/full_text_of_newsmax_column_suggesting_military_co.php
3) Bob Cesca, «The impeachment of
president Obama», Huffington Post, 23 settembre 2009.
La destra americana accusa Obama di socialismo.
Per questo ha fatto circolare in varie città
americane questo volantino
Che America circonda Obama
OBAMA ESULTA PER IL SÌ DELLA CAMERA ALLA RIFORMA SANITARIA, MA TUTTO FA PENSARE CHE LE UNICHE A GUADAGNARCI SARANNO ANCORA UNA VOLTA LE ASSICURAZIONI PRIVATE. LA MONTAGNA PARTORIRÀ IL TOPOLINO? PURTROPPO SARÀ IL DOGMA, TUTTO AMERICANO, DEL GUADAGNO A TUTTI I COSTI DI POCHI A VINCERE SUL BENE PUBBLICO DI TUTTO UN POPOLO!
La STESSA AMBIGUA POLITICA VALE PER L'AFGHANISTAN: OBAMA, PREMIO NOBEL PER LA PACE, aumenterà per il 2010 DI 30.000 SOLDATI IL CONTINGENTE DI TRUPPE GIÀ PRESENTI NEL PAESE ASIATICO, aumentando così le probabilità che l'Afghanistan si trasformi presto in UN nuovo Vietnam.
Secondo le stime più pubblicizzate oltre il 9,8% degli americani si trova in
questo momento senza lavoro. Quella che può sembrare una cifra alta è molto più
conservativa rispetto alla drammatica realtà in quanto «il numero di Americani
che non riescono a trovare lavoro supera i 15 milioni; il numero di persone che
lavorano part-time perchè non possono trovare lavoro a tempo pieno è di oltre 9
milioni. Sommando ad essi il numero di disoccupati senza lavoro perchè hanno
rinunciato alla ricerca di un’occupazione, il Bureau of Labor Statistics mette
la percentuale di disoccupati/sotto-occupati a circa il 17%» (1).
A questi numeri pressochè spaventosi si aggiungono quelli del Congressional
Budget Office (CBO), l’agenzia federale che fornisce i dati e gli studi
economici al Congresso americano, riguardanti il Social Security, ovvero il
sistema pensionistico federale, in un documento in cui vengono previste cifre
nere per il futuro: a causa dell’invecchiamento dei baby-boomers, i nati tra il
1946 e il 1964, ci si sta dirigendo verso la bancarotta. Secondo il CBO,
malgrado nel presente vi siano maggiori entrate rispetto alle uscite, nella
prossima decina d’anni vi sarà assoluta parità tra entrate ed uscite. Prima del
2043 vi sarà quindi un netto sorpasso delle uscite rispetto alle entrate e
quindi solo l’83% delle pensioni programmate potranno essere effettivamente
pagate ai cittadini in età pensionabile. Il CBO, inoltre, sottolinea come la
recessione stia influenzando drammaticamente l’andamento economico causando
quindi un ovvio decremento delle entrate del Social Security (2).
Se la relazione del CBO è esatta allora significa che vi è la quasi certezza che
per il 2083 vi sarà il totale prosciugamento dei fondi del sistema pensionistico
a meno di un cambio del sistema.
Senza ombra di dubbio Obama e il Congresso si ritrovano con più di una gatta da
pelare e di certo l’opposizione da parte del popolo non è d’aiuto. Si pensi solo
che il numero altissimo di minacce di morte che il presidente americano riceve
quotidianamente, circa il 400% in più rispetto al suo predecessore, sta causando
grossi mal di testa persino ai Servizi Segreti (3) che stanno pensando di
abbandonare le indagini riguardanti i reati finanziari per dedicarsi
esclusivamente alla protezione personale del Presidente e delle alte cariche
governative. In aggiunta, il Department of Homeland Security ha pubblicato un
documento secondo il quale «le conseguenze di un prolungato periodo economico
negativo (...) possono creare un ambiene fertile per l’arruolamento di
estremisti di destra e possono persino risultare in un confronto tra questi
gruppi e le autorità governative». Le due guerre cominciate da Bush inoltre non
aiutano e lo stesso rapporto indica che «la possibile introduzione di nuove
restrizioni sulle armi da fuoco e il ritorno dei veterani, i quali devono
affrontare diverse difficoltà nella reintegrazione nelle proprie comunità,
potrebbe portare alla potenziale emergenza di gruppi terroristi o di estremsiti
solitari (lone wolf extremists) in grado di compiere attacchi violenti».
Homeland Security non prova nemmeno a nascondere la ragione razziale di tanto
odio ma anzi afferma che «gli estremisti hanno tratto vantaggio dall’elezione
del primo presidente Afro-Americano (...) ma non hanno ancora cominciato la
pianificazione degli attacchi» (4).
Uno dei picchi di tensione si è raggiunto il 6 Ottobre con l’arresto da parte
dei Servizi Segreti del cinquantanovenne californiano John Gimbel a causa di una
serie di email minatorie inviate al presidente poco prima che egli si recasse a
San Francisco. Per la cronaca Gimbel si ritiene innocente in quanto avrebbe
espresso il suo diritto di parola che è protetto dal primo emendamento. Evento
simile, ma più simbolico in quanto riguarda un adetto alla sicurezza
dell’aeroporto di Newark (New Jersey), è invece l’arresto, sempre da parte dei
Servizi Segreti, di tale John Brek. Uomo di mezza età, Brek è stato trovato in
casa con oltre quaranta armi da fuoco, tutte apparentemente legali e la
decisione di metterlo in custodia è stata presa dopo che egli ha minacciato di
commettere azioni, con ogni probabilità violente, contro Obama che il giorno
dopo si sarebbe recato proprio all’aeroporto di Newark. E’ effettivamente
difficile immaginare che questa sia l’atmosfera che circonda un presidente
americano in carica che ha appena ottenuto il Nobel per la pace (5).
Ricapitolando, Obama si ritrova un Paese in una situazione difficilissima in cui
la tensione aumenta esponenzialmente ogni qualvolta vi siano nuovi argomenti su
cui discutere. Si comincia ormai a sentire osservatori politici ventilare la
possibilità che Obama stia diventando un novello Jimmy Carter profetizzando,
quindi, il suo fallimento nelle elezioni del 2012. Questo cambio potrebbe già
vedersi l’anno prossimo poichè vi saranno le elezioni per almeno un terzo dei
seggi al Senato americano e dell’intera Camera dei Rappresentanti. Al momento -
ricordiamo - i democratici si ritrovano con una maggioranza schiacciante di 60
senatori contro 40; tuttavia le divisioni politiche interne stanno causando
diversi grattacapi al partito dell’asinello. Se, come previsto, le elezioni
dovessero andare male sarà difficile far sì che la sconfitta non venga vista
come un giudizio negativo sull’Amministrazione Obama. Il 3 novembre di
quest’anno si è già assaporarta la situazione con la vittoria del candidato
repubblicano Bob McDonnel per il posto di governatore del Virginia. Questa
sconfitta - insieme a quella nel New Jersey - è molto pesante per i democratici,
non solo perchè è vista in modo particolare come una risposta negativa alla
performance dell’Amministrazione Obama, ma perché potrebbe anche rinforzare o
addirittura unire i Repubblicani. E’ ancora presto per capire a fondo le
conseguenze di questo risultato elettorale ma non è da escludersi un
allontanamento dei futuri candidati democratici per il Congresso rispetto alla
figura di Obama con evidenti implicazioni politiche.
A complicare le cose vi saranno inoltre, sempre nel 2010, le elezioni per i
governatori di ben trentanove Stati, tra cui il Texas in cui si sentono le
solite voci secessioniste, la California attualmente in bancarotta e lo Stato di
New York in cui si potrebbe affacciare l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani.
Al momento venti Stati tra quelli in cui i cittadini andranno alle urne sono in
mano democratica e, anche qui, un eventuale ribaltamento della situazione
causerebbe incredibili pressioni alla Casa Bianca.
Una cosa è da chiarire: se Obama non dovesse essere in grado di migliorare
drasticamente le condizioni degli Stati Uniti e se dovesse perdere le elezioni
del 2012 - non importa se per propria incapacità, per colpa delle lobby o per
altre ragioni - la «dottrina Bush» sarebbe sicuramente presa nuovamente in
considerazione e ci si potrebbe trovare addirittura nella situazione paradossale
in cui un ritorno della suddetta dottrina (con magari annessa l’elezione di Jeb
Bush, fratello di George, alla Casa Bianca) potrebbe essere visto come il vero
cambiamento, con chiare conseguenze sullo scacchiere internazionale.
Come già precedentemente scritto dagli autori nell’articolo «Sulla sanità Obama
scricchiola» (6) è proprio una delle ragioni per cui è stato eletto quella in
cui Obama si ritrova in difficoltà. Il partito democratico è spaccato in mille
pezzi. I più liberali sono esterrefatti nel vedere che i più moderati, meglio
conosciuti come Blue-Dog democrats, siano disposti a cedere quello che può esser
visto come un diritto umano in nome della politica bi-partisan o, ancor peggio,
in nome del risparmio economico. I più moderati sono frustrati nel vedere che i
più liberali non sono disposti a trattare rischiando quindi di non far passare
alcuna riforma nel caso i repubblicani dovessero fare un’opposizione superiore
alla norma. Sembra un uroboro politico in cui nulla è dato per scontato.
Qualcuno correla addirittura lo stato del dibattito sulla sanità con lo stato
dell’Unione e l’intero sistema politico. Finchè ad avere qualche dubbio è
qualche opinionista è un conto, ma quando ad esprimere totale sfiducia nel
sistema sono persone elette al Congresso allora è un altro conto.
Riteniamo che sia opportuno leggere integralmente il breve discorso che Dennis
Kucinich, deputato del Partito Democratico dal 1996, ex-sindaco di Cleveland e
due volte candidato per la nomination presidenziale, ha fatto il 28 ottobre alla
Camera dei Rappresentanti in quanto simbolico della situazione corrente. Il
discorso è preso dai registri della Libreria del Congresso del governo federale
americano e questa ne è la nostra traduzione:
(Mr. Kucinich ha richiesto ed ha ottenuto il permesso di rivolgersi alla Camera
per 1 minuto.)
Mr Kucinich: «Signora Presidente, la sanità è un diritto basilare in
qualsiasi democrazia e una responsabilità morale del nostro governo consistente
con il preambolo e la Costituzione stessa; invece ci viene detto che non è
possibile avere il sistema single-payer (sistema sanitario nazionale ndr) che ha
ogni democrazia industrializzata. Abbiamo rinunciato al single-payer in favore
di un opzione pubblica. Ora ci è richiesto di rinunciare all’opzione pubblica in
favore di una negoziazione sulle rate (mediche ndr). Durante la discussione, ci
sarà richiesto di rinunciare alla negoziazione sulle rate in favore di un
sistema a trigger. In tutto questo, ed in ogni passo, le aziende assicurative
vincono. Esse otterranno $900 miliardi in nuovi sussidi. Ottengono di alzare i
premi, alzare le franchigie ed i deducibili; intanto il cittadino è costretto a
pagare per assicurazioni private, e le assicurazioni private vincono molto. Se
questo è il meglio che possiamo fare, allora è tempo di chiederci se il sistema
a due partiti è veramente in grado di rappresentare il popolo americano o se sta
diventando così compromesso dagli interessi speciali (lobby ndr) che non può più
nemmeno proteggere la salute del nostro popolo. Questo è un momento di verità in
particolare per il Partito Democratico. Staremo dalla parte del popolo o delle
aziende assicurative? Avremo una vera opzione pubblica o saremo cooptati?»
(7).
Ci sono poche parole da aggiungere a quello che ha detto Kucinich, ma il suo
singolo minuto è stato sufficiente per dare una precisa analisi di come il
sistema americano sia «tirato» da più parti e rischi lo sfascio totale. In
questo momento è chiaro che al popolo non bastano le rassicurazioni sul
miglioramento economico - non seguito da un miglioramento della situazione dei
disoccupati - e il fatto che il Congresso si ritrovi a dover estendere di nuovo
i sussidi ai disoccupati nei vari Stati americani è segno che effettivamente
manca la fiducia in una ripresa relativamente veloce. L’Amministrazione Obama,
che tanto ha promesso un anno fa in nome della «speranza» e del «cambio», si
ritrova dilaniata e a dover combattere anche contro nemici nella propria casa.
Tra gli elettori cominciano ad esserci dubbi sulle capacità di Obama nel
prendere la situazione in mano e vi sono dubbi che sia effettivamente lui quello
che deve tenere le redini. Ma, se non le tiene lui, chi è ai posti di comando?
--------------------------------------------
1) «Help
Wanted», The Nation, Volume 289 Numero 13.
2) «CBO’s Long-Term Projections for
Social Security: 2009 Update», Congressional Budget Office.
3) «Barack Obama faces 30 death
threats a day, stretching US Secret Service», The Telegraph, 3 agosto 2009.
4) «(U//FOUO) Rightwing Extremism:
Current Economic and Political Climate Fueling Resurgence in Radicalization and
Recruitment » - Department of Homeland Security
5) «Due o tre cose sul Nobel»,
Maurizio Blondet, EFFEDIEFFE, 11 Ottobre 2009.
6) «Sulla sanità Obama scricchiola»,
Enrico ed Eloisa Accenti, EFFEDIEFFE 25 giugno 2009.
7) Questo il testo del discorso in
lingua originale:
(Mr. Kucinich asked and was given permission to address the House for 1 minute.)
Mr. Kucinich H: «Madam Speaker, health care is a basic right in a democracy and
a moral responsibility of our government consistent with the preamble and the
Constitution itself; yet we are being told that it’s not possible to have the
kind of single -payer health system which every industrialized democracy in the
world has. We compromised single -payer with a public option. We’re being asked
to compromise a public option with negotiated rates. In conference, we’ll be
asked to compromise negotiated rates with a trigger. In all of this, in each and
every step, the insurance companies win. They get $900 billion in new taxpayer
subsidies. They get to raise their premiums, increase their copays and their
deductibles, while the public is forced to pay for private insurance, and the
insurance companies win big. If this is the best we can do, then it’s time to
ask ourselves whether the two-party system is truly capable of representing the
American people or whether it’s become so compromised by special interests that
it can't even protect the health of our own people. This is a moment of truth
for the Democratic Party in particular. Will we stand for the people or for the
insurance companies? Will we have a true public option or will we be co-opted?».
Uno dei sostenitori storici di Obama, Rabbi Arnold Jacob Wolf, fornisce un
indizio sull’affinità di Obama verso il sionismo. Secondo Rabbi Wolf,
“ Obama è coinvolto nel mondo ebraico". Questo potrebbe spiegare
il sostanziale stallo delle trattative di pace in Medioriente.
La Lobby Israeliana Sconfigge Obama
mentre il Dollaro Muore
Per l’Israel Lobby non ci voleva molto, far carne trita della posizione
dell’amministrazione Obama sui “nuovi insediamenti”. Il Primo Ministro
Israeliano Netanyahu si sta vantando dell'ultima vittoria d’Israele sul governo
degli Stati Uniti, mentre Israele continua a costruire sistemazioni illegali su
terra palestinese occupata.
In maggio, il Presidente Obama lesse il “riot act” agli israeliani, dicendo al
governo israeliano che era serio in riguardo al conflitto israeliano-palestinese
e che un accordo di pace durevole dovesse costringere il governo israeliano ad
abbandonare ogni costruzione di nuovi insediamenti nella West Bank occupata.
Il 10 novembre il capo dello staff della Casa Bianca, Rahm Israel Emanuel, si è
arreso in nome del suo capo nell’annuale conferenza degli United Jewish
Communities.
Gli insediamenti israeliani in corso, disse, non dovrebbero essere una
"distrazione" per un accordo di pace.
Si presume che gli Stati Uniti sono una superpotenza, e che Israele è uno stato
cliente, la cui propria esistenza dipende completamente dall’aiuto militare ed
economico e dalla protezione diplomatica degli Stati Uniti. In realtà, però, è
tutto il contrario. Israele è la superpotenza e gli Stati Uniti sono il suo
stato cliente.
Che questo fatto è vero ci viene provato almeno una volta ogni settimana e
qualche volta anche due o tre volte. Un paio di giorni fa il Parlamento
statunitense ha votato con 344 contro 36 voti in favore alla disapprovazione del
rapporto delle Nazioni Uniti del rispettabilissimo giudice ebreo Richard
Goldstone che concludeva che Israele ha commesso crimini di guerra nei suoi
attacchi alla popolazione civile nel Ghetto di Gaza. La Israel Lobby ha
richiesto che il Parlamento ripudiasse il rapporto, pieno di fatti, ed il
servile Parlamento ha eseguito l’ordine del suo padrone.
Il parlamentare Dennis Kucinich ha parlato ai suoi colleghi per 2 minuti, in uno
sforzo per farli capire che il loro voto contro il rapporto Goldstone sarebbe un
grande imbarazzo per il governo degli Stati Uniti ed umilierebbe il Parlamento
agli occhi del mondo.
Ma quando Israele dà un ordine ai suoi servitori, tutto questo non c’entra. Il
Parlamento degli Stati Uniti ha preferito degradarsi e mettere in imbarazzo il
Governo degli Stati Uniti, piuttosto che attraversare i disegni dell’Israel
Lobby.
Su Kucinich è caduto un rapido castigo per il suo discorso di 2 minuti. Il 9
novembre, Kucinich fu costretto a ritirarsi come oratore per l’annuale cena di
raccolta fondi del Partito Democratico al Palm Beach County in Florida. L’Israel
Lobby aveva dato l’ordine di sbarazzarsi di Kucinich o non ci sarebbero stati
soldi e nessuno sarebbe venuto alla cena. Il County Commissioner Burt Aaronson
ha chiamato Kucinich “un assoluto orrore”.
Kucinich è il raro Democratico che difende i principi del suo partito e la
classe operaia e che ha tentato di trovare una sicurezza sanitaria per tutti
quegli americani che sono stati buttati sulla strada dalle Corporazioni. Ma
aiutare gli americani non conta. Israele über alles.
Nel frattempo, il dollaro statunitense continua a scivolare in confronto alle
altre valute. Fin dalla primavera, chiunque avrebbe potuto fare un profitto a
due cifre scommettendo su una qualsiasi valuta contro il dollaro degli Stati
Uniti.
Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha recentemente espresso
preoccupazioni, che nonostante il dollaro stia continuando a scivolare, è
probabile che sia ancora sopravvalutato. La politica del basso tasso
d’interesse della Federal Reserve incoraggia speculatori d’usare il dollaro per
il "carry trade". Gli speculatori, individui o istituzioni finanziarie, prendono
in prestito dollari a bassissimi tassi d’interesse ed usano il capitale quasi
gratis per acquistare strumenti finanziari in altri paesi che rendono di più.
La richiesta di dollari per finanziare il "carry trade" tiene il dollaro
artificialmente in alto.
L'anno scorso era lo Yen giapponese ad essere usato per il "carry trade", per i
tassi d’interesse del Giappone quasi a zero. Il prossimo spavento che scatenerà
il "carry trade" provocherà un'altra grande caduta nei valori dei beni
finanziari. Vuol dire che la borsa è molto volatile. È basata su speculazione,
non su fondamenta sane.
Quando il "carry trade" prenderà il via, la richiesta di dollari statunitensi
per pagare i prestiti solleverà temporaneamente il dollaro. Ma non lasciateVi
ingannare. Il grandissimo deficit commerciale e di bilancio degli Stati Uniti è
la garanzia di morte per il dollaro.
Quando il dollaro finalmente se ne va, se ne va anche la capacità del governo di
condurre guerre di aggressione, di sostenere Israele, di finanziare le sue cifre
rosse e di pagare le merci d'importazione. A quel punto le rotative della zecca
cominceranno a girare sul serio.
APPROFONDIMENTO
Sanità, l'abc della riforma di Obama
Obama non vuole imitare l’Europa e non pensa a un sistema all’europea con ospedali pubblici e assistenza diretta. La riforma del presidente vuole risolvere due problemi principali. ....
L'accordo con i vescovi spiana la strada al "sì"
E’ stato il compromesso sull’aborto con la Conferenza episcopale americana a spianare la strada all’approvazione della riforma sanitaria da parte della Camera dei Rappresentanti di Washington. Poco prima del voto sulla legge voluta da Barack Obama e confezionata da Nancy Pelosi, la maggioranza democratica ha infatti portato all’approvazione un emendamento anti-abortista che impedisce di usare le nuove coperture sanitarie per consentire interruzioni della gravidanza tranne nei casi «di violenza, incesto o quando la vita della madre è in pericolo».
Afghanistan: Usa; Obama, ok rinforzi ma solo sulla carta
Sulla carta il piano è pronto ma il presidente Barack
Obama preferisce attendere il ritorno dal viaggio in Asia per dare l'ordine di
partenza e non è ancora detto che di qui ad allora non cambi idea: se però il
presidente darà luce verde, la prima tranche di un totale di oltre 30 mila
soldati americani potrebbe partire per l'Afghanistan ai primi del 2010, secondo
quanto hanno anticipato fonti dell'amministrazione coperte dall'anonimato.
Pubblicità.