CHI È IL VERO DIO DI
MASSIMO CACCIARI?
L'ANTICRISTO...
SECONDO BLONDET, SOCCI E ALTRI!
(a cura di Claudio Prandini)
Il suo pensiero è una giustificazione di interessi ideologici ed una forma di nichilismo. Sembra vicino al cristianesimo, ma in realtà nega la verità della Rivelazione. Cacciari è convinto di poter rivelare la vera natura di questo Spirito Liberatore da ogni legge: natura sconvolgente, sconosciuta a Cristo, a Paolo, alla Chiesa, e che invece lo gnostico - solo lui, grazie ad una lettura forzosa delle Scritture - ha compreso. Cacciari deve annunciare il suo Liberatore con cautela, per motivi che diverranno comprensibili. Come un angelo tentatore, ci porta nelle estreme regioni delle Scritture, dove si svela la parousia della Sconosciuto. (...) dovunque nel mondo che diciamo civile, se ancora «non si tagliano le gole alle fanciulle», se «la vita esige pietà» al contrario di quanto avveniva prima di Cristo, è perché il cristianesimo ha ispirato leggi: codici penali e civili, una dottrina sociale. E in questo che la Chiesa può dichiararsi erede del diritto romano. E non ha rivestito il manto di Roma per usurpazione, ma perché la salvezza che la Chiesa annuncia è Incarnazione: avviene già «di qua». Per questo il Papa Wojtyla, contro ogni gnosi nullificante (come vorrebbe Cacciari, ndr), ripeteva: «Per noi esistere è meglio che non esistere». Attenti dunque, o voi cardinali, vescovi e preti, quando lo invitate a parlare nelle vostre conferenze, poiché non conoscete il suo vero pensiero, forse perché non leggete abbastanza la sua produzione filosofico-gnostica..,! |
INTRODUZIONE
(....) Nel sito
dell’Azione cattolica un lungo argomentato articolo del 2004 illustra i
contenuti pericolosi del pensiero di Cacciari che circolano acriticamente nelle
sacrestie. Torna l’accento sullo "gnosticismo", l’antico nemico della Chiesa,
l’origine di tutte le eresie anticristiane, soprattutto per il suo dualismo che
finisce per identificare il Bene e il Male, Dio e Satana, in un inaccettabile
Uno. L’antropologa Cecilia Gatto Trocchi - studiosa del mondo occulto e magico -
nel 1996 dedica "a Massimo" il suo libro "Il risorgimento esoterico", scritto in
risposta al volume di Cacciari "Dell’Inizio". La Gatto Trocchi confronta
"L’Angelo necessario" di Cacciari con un libro di Giovanni Papini che contiene
questo capitolo: "Il Diavolo è necessario?". Papini riprendeva antiche teorie
gnostiche, condannate dalla Chiesa, secondo cui Satana svolgerebbe un ruolo
affidatogli da Dio e alla fine anche lui sarebbe stato salvato.
Passione per la gnosi
«Massimo Cacciari aderisce appassionatamente alla tesi fondamentale del pensiero
gnostico», afferma la studiosa. Secondo la quale infine il filosofo veneziano
sarebbe molto vicino ai temi della New Age. Formulati però in modo colto. Egli
arriverebbe a identificare «il nuovo Messia con il Filius perditionis...».
Letture allarmate che si trovano riprese da un recente volume sui movimenti
esoterici di Roberta Grillo, presidente del Gris della diocesi di Milano.
Probabilmente è un eccesso di allarmismo e di complottismo. Bisogna capire che
Cacciari usa le categorie teologiche e le dottrine antiche, ma se ne infischia
dello "spirito", è sempre di storia e di politica che parla: deve spiegare a se
stesso com’è possibile che una persona intelligente sia stata comunista e come
si "giustifica" l’orrore che è stato il comunismo. Affronta dunque da filosofo
il problema del male e lo risolve all’opposto di Ratzinger che in "Fede, verità,
tolleranza" demoliva proprio la tesi della "necessità" del Male. Ecco cosa
scriveva il cardinale: «Il male non è affatto - come reputava Hegel, e Goethe
vuole mostrarci nel Faust una parte del tutto di cui abbiamo bisogno, bensì la
distruzione dell’Essere. Non lo si può rappresentare, come fa il Mefistofele del
Faust, con le parole: "io sono una parte di quella forza che perennemente vuole
il male e perennemente crea il bene". Il bene avrebbe bisogno del male e il male
non sarebbe affatto realmente male, bensì proprio una parte necessaria della
dialettica del mondo. Con questa filosofia sono state giustificate le stragi del
comunismo, che era edificato sulla dialettica di Hegel, vòlta in prassi politica
da Marx. No, il male non appartiene alla "dialettica" dell’Essere, ma lo attacca
alla radice». In pratica: il comunismo non è stato un «male necessario», ma solo
un Male devastante.
Il filosofo e politico Massimo Cacciari
Prima parte
Maurizio Blondet - 17 ottobre 2008
Il filosofo (e sindaco) veneziano, da tempo è
invitato a convegni ecclesiali (oltre che del centro-destra), gode la stima di
vescovi, è ben accolto da celebri cardinali. Ciò è comprensibile: Cacciari è
versato nelle Scritture, scrive di Angeli, molti dei suoi libri hanno al centro
una sorta di spiritualismo super-cristiano. E’ probabile che vescovi e cardinali
non abbiano mai letto la più importante opera teologica di Cacciari,
«Dell’Inizio», pubblicata nel 1990 da Adelphi.
E’ un tomo di quasi settecento pagine, e i cardinali, si sa, sono sempre molto
occupati. E’ un peccato: perché in quest’opera alta e complessa, sottile e a
tratti oscura, troverebbero esposte - come pistis cacciariana, l’insieme delle
sue convinzioni teologiche - non solo un sapere esoterico, interno al potente
gruppo d’opinione di cui Cacciari fa parte e perciò stesso del più alto
interesse culturale e politico, ma dottrine ricorrenti nei secoli, e da secoli
note alla Chiesa.
Il mondo come caduta
Come questa, che Cacciari mutua dall’Eriugena a da Schelling, e a cui sembra
aderire appassionato: «Essere-creato è simultaneamente peccare [...] ed è perciò
che nell’uomo appena creato Dio punisce il peccare, ab initio» (pagina 515).
Ma non solo: «La caduta degli Angeli è simultanea alla creazione, la catastrofe
celeste è tutt’uno con la katabolé-ktisis per cui qualcosa ek-siste» (pagina
5l6).
Cacciari è troppo avvertito per non sapere che queste frasi formulano ciò che
Samek Lodovici ha chiamato «la prima e fondamentale» tesi del pensiero gnostico:
che «il mondo, e l’uomo nel mondo, sono frutto di una caduta, di una frattura;
l’intera realtà in cui ci troviamo è una realtà d’esilio»
(1).
Giovanni Paolo II sapeva che questa tesi era contraria alla dottrina cattolica:
«Per il cristianesimo non ha senso parlare del mondo come di un male ‘radicale’,
perché all’inizio del sue cammino si trova Dio Creatore che ama la propria
creatura» (2).
Lo sapranno di certo i cardinali ed i cattolici che frequentano Cacciari: sicché
potranno ammirarne il rigore con cui egli abbraccia l’altra grande tesi
gnostica, intimamente connessa con quella: Dio ha creato l’uomo (o più
precisamente lo ha emanato) non per amore, ma per ignoranza. Il Dio di Cacciari
è radicalmente inconscio.
«La ‘regio umbrae mortis’ che abitiamo è immagine soltanto [..] di quella
tenebra in cui è Dio nei confronti di sé, della conoscenza di sé [...] Dio
riflette la propria incatturabilità: non può vedersi. Ma nell’istante in cui
cosi si ‘riflette’, egli crea l’immagine stessa della creatura, la sua immagine.
Il sapersi come tenebra da parte di Dio (cioè: l’attingere il fondo della
propria ignoranza) è l’uomo» (pagina 517).
Nientificazione come
salvezza
Poiché la creazione intera è l’errore di un Dio oscuro a se stesso (il cattivo
Demiurgo gnostico), il «futuro Regno» promesso da Cristo «equivale al suo
[dell’uomo] nientificarsi: la nuova creazione è in realtà de-creazione». La
Dissoluzione come salvezza.
Per Cacciari, fu questo il senso autentico (esoterico) della Buona Novella di
Gesù: «Sembrava citare Ezechiele, ma in realtà diceva: io sono la porta
attraverso cui dovrete uscire dal recinto - voi mi seguirete fuori dall’ovile e
questo sarà il vostro esodo vero» (pagina 534).
In realtà, Gesù pone l’accento non sull’uscire, ma sull’entrare nell’ovile: «Io
sono la Porta; chi entrerà attraverso di me sarà salvo» (Giovanni 10,9). Ma
secondo la tradizione gnostica più rigorosa, Cacciari ha in mente soprattutto
l’«esodo dal Nomos», ossia la Liberazione da ogni legge.
Aspirare alla Dissoluzione di ogni forma conduce infatti lo gnostico - come ha
ricordato Samek Lodovici - a «un disprezzo profondo per il diritto e le forme
istituzionali in genere, e per la legge morale in particolare»
(3). Le leggi infatti, anche
interiorizzate, «non sono che necessarie conseguenze di un’essenza incompiuta»,
diceva Novalis, e lo gnostico aspira ad un potere totale di sé su sé, senza
alcuno sopra di sé.
Evidentemente risuona nelle sue orecchie la promessa del serpente antico:
«Sarete come Dèi», e non tollera nulla di meno. Egli vuol nientificarsi nel
pleroma originario, dissolversi nell’apeiron primordiale, nel senza-limiti e
nell’informe (4).
Miseria di Cristo
Ma chi vuole questa smisurata liberazione, non sa che farsene della salvezza
annunciata da Cristo, che vede misera e incompiuta. E infatti Cacciari: «Come
dobbiamo pensare l’Età del Figlio, se in essa durano Nicodemo e Pilato?» (pagina
545), se dopo Cristo vigono ancora la Legge ebraica e lo jus romanum, la Legge
sacra e quella civile, la Chiesa e i codici penali?
Gesù non ha riscattato l’uomo dalla «ontologica miseria della Legge per cui essa
è si contro il peccato, ma ne è sempre anche una sua conseguenza, per cui essa è
costretta a riconoscere la prepotenza del peccato» (pagina 565).
Ciò equivale a rimproverare a Cristo di non aver riscattato l’uomo dal dovere.
«Qui caritas è mandatum e cammino, non ancora riposo» (pagina 566), «l’agape
dell’Età del Figlio è agape dell’ascolto, non ancora della visione».
Più a fondo, il rimprovero a Cristo è di aver rivelato la Sua salvezza non già
come nullificazione, ma come suo contrario: come Incarnazione e come
Resurrezione del Corpo: e il suo Corpo risorto è «semplice vita», capace di
«mangiare»!
Anche per gli gnostici antichi, si sa, il synolon di anima-e-corpo era
abominevole, quanto di più lontano da quella che intendevano come Liberazione.
Cacciari insinua che la caritas di Cristo non è «la Pace che davvero ama, ma la
sua promessa soltanto». Cristo stesso ne è consapevole, e «ciò determina il
carattere sofferente e paziente che essa ancora rivela» (pagina 567): quando
infatti dice «Amatevi come Lui vi ha amato [...] afferma, al presente,
l’impossibile. La pienezza del comandamento è oltre ogni misura di quanto è
realizzabile in questa Età» (pagina 568).
Quando dice: «Amate i vostri nemici [...] il nudo fatto, che si dà [ancora]
nemico, è pre-potente rispetto all’amore […] puoi anche amare il tuo nemico, mai
annullarlo» (pagina 585). Ma soprattutto, il Figlio ha detto che «nessuno, nel
Presente, può dirsi buono, che non possono esservi, in esso, ‘teleioi’ [ossia
gnosticamente ‘perfetti’] cosi radicalmente che neppure il Figlio si chiama
‘buono’ » (pagina 576).
Insomma: ciò che Cristo ci ha lasciato è una «fede radicalmente infirma […] che
non può eliminare la struttura di peccato, la fede di chi non è ‘giusto’»
(pagina 577). La stessa Parola di Gesù dunque rimanderebbe a una rivelazione
ulteriore, definitiva e perfetta, che Cacciari chiama «il tempo dell’Ultimo»
(pagina 568).
Tempo escatologico, di apocalisse, di cui Gesù è il mero annunciatore: «perché
il vero scandalo [...] è [...] che l’apocalisse del Figlio non abbia assunto in
sé, nel suo stesso kairòs, l’apocalisse dei figli» (pagina 621): che Cristo non
ci abbia «rivelati a noi stessi» (tale è il senso di «apocalypsis»)
«nella nostra natura di figli», ossia di assolti da ogni Legge.
Non ci ha salvati Gesù. Dobbiamo aspettare un altro, Ultimo Liberatore.
Il Ni-ente liberatore
Fin qui, il sentiero gnostico ha portato Cacciari al traguardo dell’eresia
gioachimita: all’Età del Padre è succeduta l’Età del Figlio, che è solo un
annuncio di liberazione. Si potrebbe pensare, banalmente, che il filosofo voglia
invitarci ad attendere l’Età dello Spirito.
Ma il vero punto è un altro: Cacciari, con una lettura forzosa dei testi, è
convinto di poter rivelare la vera natura di questo Spirito Liberatore: natura
sconvolgente, sconosciuta a Cristo, a Paolo, alla Chiesa, e che invece lo
gnostico - solo - ha compreso.
Come diverrà comprensibile, Cacciari deve annunciare il Liberatore con cautela.
Come un angelo tentatore, ci porta nelle estreme zone delle Scritture, nelle
zone in cui si allude agli ultimi tempi, per mostrarci parousia dello
Sconosciuto.
Al limitare di questa zona estrema c’è la domanda angosciosa di Cristo: «Ma
tuttavia il Figlio dell’Uomo, venendo, troverà la fede sulla terra?» (Luca,
18,8).
Per la dottrina cristiana, la domanda allude all’apostasia generale e finale: il
secondo avvento di Cristo sarà in un mondo che non l’attende più, un mondo che
ha un falso dio, un potere mondano che si pretende «sacro», l’Anticristo.
Per Cacciari, la domanda di Gesù lancia invece un ponte positivo, verso la
possibilità della vera liberazione. Essa per lui significa: «Saprete, disciolti
da ogni religio, accogliere la grazia che vi si dona, di poter conferire al
volto Futuro del tempo [...] il senso della fede?» (pagina 620).
Ci avvertirebbe insomma, il Cristo, che negli ultimi tempi dovremo abbandonare
ciò che la religione c’insegna a proposito dei tempi ultimi e delle sue rovine e
tradimenti; la sua ansia sarebbe sulla nostra capacità, nonostante e contro la «religio»,
di «conferire il senso della fede» al volto del Futuro. Perché, cristiani che
siamo, potremmo ritrarci di fronte a questo volto in cui Cacciari invece figge
impavido gli occhi: perché è il volto del Ni-ente.
«Il Non della fede è Ni-ente [...] Se alla parousia non corrisponde l’Amen della
fede, vi corrisponde il Ni-ente» (pagina 621). E voi siete tentati di ritrarvi
di fronte al Ni-ente, al non-essere.
Errore: si tratta appunto di superare la fede nel Dio del solo vivente (pagina
621); questa è la vera liberazione, la dissoluzione nel Nulla.
Ma perché dunque Gesù pare angosciato quando pone quella domanda, se la perdita
della fede è la condizione per la liberazione?
Risponde Cacciari: perché Gesù è egli stesso tutto contenuto nell’Età del
Figlio, non sa andare oltre. Egli è venuto ad annunciare la Vita, non la
non-Vita liberatrice.
«Il Figlio non sa quale sarà il volto dell’éschaton. [...]», ci assicura (pagina
620). E aggiunge: «Lo sa il Padre? La domanda è oziosa poiché, comunque, ciò che
il Padre sa dell’éschaton non può essere rivelato nemmeno alla Rivelazione per
antonomasia, al Figlio» (ivi).
O bella, e perché?, vi domanderete.
«Non può essere detto, espresso, manifestato, perché contiene in sé la
possibilità che radicalmente contrasta col senso della Rivelazione - o meglio,
il suo polo opposto» (ivi).
La natura del nuovo dio
Cominciate a capire, uomini carnali? E voi cardinali e cattolici troppo
occupati? La salvezza che lo spirituale Massimo vi annuncia sta «al polo
opposto» della Rivelazione di Cristo.
E se ancora non volete capire, Massimo vi porta avanti, in una zona ancora più
estrema delle Scritture apocalittiche (ossia rivelatrici): a quel passo della
Lettera ai Tessalonicesi in cui Paolo annuncia la parousia dell’Iniquo che deve
precedere «il giorno del Signore».
Paolo si scaglia contro coloro che vanno «calcolando» l’avvento del giorno del
Signore. «Si tratta di ben altro - chiosa Cacciari - che del semplice bisogno di
fronteggiare le impazienze apocalittiche delle prime comunità [...] si tratta di
salvare l’incalcolabilità dell’éschaton, e dunque [...] della Vita intradivina,
dalla sua riduzione a forme secolarizzate di messianismo» (pagina 622).
E - inaudito - ciò che Paolo dice del filius perditionis, dell’«Uomo
dell’anomia», dell’apostasia, della «defezione totale da Dio», non è cosi brutto
come appare. Infatti «viene l’antikeimenos, lo spirito della separazione:
separazione dalla Legge [...] Ma il suo contrapporsi e separare, il suo
dia-bàllein (egli viene infatti secundum operationem Satanae, potenza che
separa) [...] non si configura affatto come un semplice ‘distruggere’ Dio. Egli
non proclama affatto che ‘Dio è morto’, ma mostra se stesso come Dio» (ivi).
A dire il vero, il testo paolino allude a un Iniquo che «dichiara se stesso Dio»
opponendosi e innalzandosi su «tutto ciò che è chiamato Dio»: un potere
radicalmente irreligioso che tuttavia si pretende l’ultima istanza. Cacciari
forza il testo.
Ma facciamola breve, perché a Cacciari bruciano le labbra dalla voglia di
enunciare il nome di questo messia che attende: «Il filius perditionis si
manifesta come colui che ‘libera’ Dìo da ogni nascondimento, che ne ‘colma’ l’abissalità,
che ne dis-vela l’essenza...»
Egli (l’Anticristo, che Cacciari chiamerà di qui in poi - significativamente -
l’Anomos) seduce con un «discorso che appare non soltanto estremamente prossimo
al vero Annuncio, ma, addirittura, sua piena esplicazione. Egli predica,
infatti, la libertà dalla Legge come libertà assoluta» (ivi).
Una dottrina interna
L’Anomos, il Filius Perditionis, è dunque il messia atteso da Cacciari:
ulteriore e superiore a Cristo, perché egli e non Cristo compirà la Liberazione,
rivelerà l’essenza divina come «pleroma dell’abbandono» (pagina 644), come
Ni-ente.
Opposto a Cristo anche se «quel polo opposto alla Croce, la sua pura possibilità
[...], è indicato dalla Croce stessa» (pagina 642), perché «se il Figlio ‘libera’,
libera anche questa possibilità: la radicale negazione di sé è a priori
possibile per il pieno erede» (pagina 643).
Cacciari
vuole stupire, e «rivela» di più, come vedremo: che la Chiesa è incapace di
capire questa verità esoterica nascosta nella Buona Novella, e combatte
l’Anticristo non accettandolo come il vero Paraclito annunciato da Cristo.
Noi non ci stupiamo però. Non solo perché qui si rimaneggia la dottrina degli
antichi Ofiti e degli Osceni, rammodernata da Jung (secondo cui la natura totale
di Dio comprende la sua umbra satanica, il Male e il Bene); ma perché altrove
(5) abbiamo mostrato come questa stessa
dottrina fosse bandita dal «cattolico» Leon Bloy nel suo «Dagli ebrei la
salvezza».
Anche Bloy attendeva «l’avvento della terza figura divina, il Paracleto», che
egli chiamava «il Liberatore vagabondo». E anch’egli sosteneva che il Paraclito
sarebbe venuto a dissolvere ogni ordine cristiano, a rovesciare ogni valore cui
i cristiani hanno creduto: il male, nell’ora della Liberazione, sarà bene, e il
bene male.
Anche per Bloy «I cristiani saranno prodighi verso il Paraclito di ciò che è al
di là dell’odio: egli è talmente il Nemico, talmente l’identico a quel LUCIFERO
che fu chiamato Principe delle Tenebre, che è quasi impossibile separarli: ‘Chi
può comprendere comprenda’».
Roberto Calasso, il capo della casa editrice Adelphi che Cacciari frequenta e
presso cui ha pubblicato suoi libri, nutre un’acuta simpatia per la dottrina
luciferiana di Bloy, di cui proprio lui ha riedito «Dagli Ebrei la salvezza» nel
1994.
Altrove abbiamo già illustrato come la stessa tesi anticristica sia stata fatta
propria dal «cattolico» Sergio Quinzio, altro autore dell’Adelphi, che l’ha
proclamata nel suo «Mysterium Iniquitatis» (1995).
Dunque, le pagine di Cacciari ci forniscono una versione più profonda e completa
di quella che pare essere la dottrina «interna» della cerchia (esoterica?) che
fa capo alla casa editrice Adelphi. E come vedremo, questa dottrina non è un
puro esercizio: essa ispira azioni pratiche - morali e politiche - che
cercheremo di chiarire.
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1) Emanuele Samek
Lodovici, «Metamorfosi della Gnosi», Ares, Milano, 1991 (2a Ediziome), pagina 8.
2) Giovanni Paolo II, «Varcare la
soglia della speranza», Mondadori, 1994, pagina 98.
3) Opera citata pagina 11. Dal
disprezzo del diritto, aggiunge Samek, «deriva un dualismo sociologico» assai
interessante, se si pensa a Cacciari nella doppia veste di filosofo della
dissoluzione e di sindaco: «Da una parte coloro, gli illuminati, che possono
compiere indenni ogni esperienza, anche aberrante; dall’altra gli altri uomini,
che sono tenuti ad una regola di vita precisa». Lo gnostico può essere un
riformista moderato e illuminato nella polis, e un dissoluto in proprio.
4) Emanuele Samek Lodovici, opera
citata, pagina 10. Per significare la tensione verso l’informe, la perdita di
limite, è significativo sapere che per lo più le sette gnostiche fecero del
sesso aberrante la loro tecnica «ascetica»: «Attraverso l’unione erotica si
elimina, con la polarità sessuale, la sofferenza e la finitezza. I soggetti si
riassorbono in un omogeneo universale e disintegrandosi perdono la loro
individualità».
5) Maurizio Blondet, «Gli Adelphi
della Dissoluzione», Ares, pagina 208.
Come uno scritto di Julius Evola aiuta a capire
nel profondo la gnosi di Cacciari
Seconda parte
Maurizio Blondet - 20 ottobre 2008
E’ difficile trovare una più chiara, brutale
propaganda dell’anomia come «teologia dionisiaca», di quella che Julius Evola
proclamò in un testo impressionante pubblicato da «Ignis» (1) nel numero di
novembre-dicembre 1925, intitolato appunto «Dioniso».
Evola vi definisce «religioso», in senso spregiativo, l’atteggiamento di chi
«creda che il mondo sia retto da un principio di ordine e di bontà»: il
contrario della «mia esperienza attuale», che mi presenta «un mondo tutt’altro
che ordinato e razionale». Dunque per «ammettere l’esistenza di un mondo
provvidenziale», il credente deve supporre «un principio trascendente». Con ciò,
il credente deve rimettere «ad altro il suo essere».
E’ infatti da questa credenza in un Essere Trascendente che l’uomo religioso
deriva l’obbedienza alla legge morale: con ciò, rinunciando ad essere libero.
Perché «non è che una legge, per il fatto di essere ‘interiore’, cessi di essere
legge e si trasformi in libertà - se mai, essa esprime una necessità più
profonda», (pagina 356).
Evola sta aggredendo ovviamente il Cristianesimo, la «religione-tipo»; ma non
solo.
«La legge morale, l’‘Io trascendentale’, la ‘dialettica dello Spirito’, ecc.,
come concetti che spiegano e quindi annullano, razionalizzano l’irrazionale,
sono tanti nomi per il Dio della religione e dell’ottimismo ignavo; sono
prodotti dell’identica tendenza ad ‘appoggiarsi a qualcosa’, a consolarsi» (ivi,
nota).
Dioniso svelato
Contro e sopra questa fede «ignava», che nascerebbe dalla paura del reale, Evola
oppone la «Sapienza dei Misteri». Quella «di chi fissa in viso, senza veli», la
realtà «nella sua natura tragica, a-provvidenziale», e «non fugge, non vuole il
mondo diverso da quello che è, ma lo vuole assolutamente, infinitamente quello
che è».
Evola non riecheggia qui solo la dottrina dell’«Eterno Ritorno» di Nietzsche,
che pure cita. «Tale è, diciamolo sin d’ora, la via di Dioniso. [...] Il senso
dell’originaria irrazionalità dell’esistenza congiunto a un ‘tenerfermo’, a un
non scartare in consolazioni teologiche». Volere indomabilmente il caos, questo
è trovarsi «in faccia a Dioniso» (pagina 357). E mentre il punto più alto della
religiosità è «concepire Dio come colui in cui possibilità e realtà, libertà e
legge, atto e fatto sono una medesima cosa (‘Ego sum qui sum’)», l’uomo
dionisiaco afferma che «questo non è affatto il punto più alto».
Anziché esser devoto a quell’Essere Supremo «che semplicemente è», il dionisiaco
aspira a farsi «Signore dell’Essere, libero rispetto ad esso, potendo essere e
non essere [...] ad arbitrio: non la possibilità identica alla realtà, ma che
eccede e domina la realtà».
Si tratta di farsi più che Dio; di diventare «colui che non ha nulla sopra di
sé», padrone di una totale «superiorità e indifferenza rispetto a qualsiasi
legge o valore» (2), anche a quelli dell’Essere. E qui Evola accredita una
versione della caduta dell’uomo che ricava (il che è per lui almeno curioso) da
«un testo kabbalistico»: nell’Eden, il primo Adamo ebbe ordine di contentarsi
dell’albero della vita. Ma fu tentato a godere dell’«albero del bene e del
male», che altro non era che «il superamento dell’essere per il potere di essere
e di non-essere».
Una possibilità reale di andare di là da Dio, superarlo, «uccidere Dio»: solo
che «a questo atto l’uomo fu insufficiente: lo prese un terrore da cui fu
travolto e spezzato. Come [...] circuito
percosso da un potenziale troppo alto, le essenze si, incrinarono, vennero meno
(deliquere)».
Il delictum, il peccato originale, non fu dunque l’orgoglio e la ribellione, ma
il non averli saputi portare fino in fondo.
«Allora, scatenate da questo terrore, le potenze che dovevano essere serve,
immediatamente precipitarono e ghiacciarono in forma di esistenze oggettive e
autonome. Sofferta, resa esterna e fuggente a se stessa, la potenza si fece
mondo fisico [...]; la libertà, l’apice vertiginoso che avrebbe inaugurato la
gloria di un vivere sopra-divino, si fece contingenza dei fenomeni tra i quali
l’uomo vaga».
Per l’Evola giovanile, l’autore di una «Teoria dell’Individuo Assoluto», infatti
«il mondo fisico è il nostro ‘grande corpo’ congelato dalla categoria del limite
attraverso la forma», e perciò posto sotto il segno di Apollo, il dio della
forma: ossia della «volontà che si scarica di se stessa ed esteriorandosi, non
si vive più come volontà, ma come rappresentazione e conoscenza». Allo stesso
modo in cui, in «una paralisi da spavento», il nostro corpo che dominavamo come
nostro «si fa cosa rigida, morta, estranea» (pagina 360).
Asceti del crimine
A causa di questa «oggettivazione primordiale della paura» l’uomo è imprigionato
nel mondo, ossia dipendente dallo spazio - categoria apollinea, catena del
limite - e dalla finalità, il che denuncia ancora la sua dipendenza: per colui
che vuole realizzarsi nella via di Dioniso, facendosi superiore a Dio, «il fine
non può avere alcun senso, perché al di fuori di sé non ha nulla (né buono, né
vero, né giusto o razionale) da cui trarre norma [...] ma buono, vero, ecc., si
identificano in ciò che egli vuole, solo perché lo vuole» (pagina 361).
Tuttavia è possibile la redenzione da questa gnostica «caduta» nella materia; la
prova dell’Eden può essere ancora tentata dallo gnostico. Come?
«Mediante una volontà che vuole questa caduta sino a fondo, senza terrore e
senza sofferenza», risponde Evola (pagina 363). E schizza i rudimenti di una
ascetica dionisiaca: si tratta di «mettersi in contatto con l’atrocità
originaria (3) di un mondo in cui bene e male […] giusto e ingiusto non hanno
alcun senso essendo soltanto potenza, nuda, libera potenza».
Ciò si ottiene «rendendosi sempre più immorali, capaci di fare qualunque cosa
[...] senza rimorso» (pagina 365) e, sulla scorta di Nietzsche, «vedendo nella
crudeltà e nel male la più alta disciplina». «Il delitto diviene l’atto per
eccellenza», «purché l’atto venga vissuto come crudeltà di me su di me,
infrazione alla mia legge interiore fondamentale»; fino al suicidio (pagina
367), perché «anche il suicidio (si ricordi quello di Kirillof negli ‘Ossessi’
di Dostojevski) può incorporare questo valore di auto-crudeltà metafisica».
Difatti, «Dioniso si rivela nei momenti di crisi e di crollo delle leggi, nei
momenti di colpa: è allora che, squarciato il velo apollineo, l’uomo gioca la
partita della sua eterna perdizione o del suo farsi superiore a vita e a morte»
(pagina 366), e diventa «non Dio, ma il Signore, il superatore di Dio».
Ciò che trattiene
Se abbiamo tanto a lungo citato questo testo, è perché esso mostra come il
Dioniso di Evola sia identico all’Anomos, al Senza-Legge annunciato dal Vangelo
secundum Cacciari.
Il filosofo veneziano infatti desidera l’irrompere nel mondo del «Filius
perditionis», perché intende perditio («apòleia», da «apòllumi»: slegare,
disciogliere) come Evola: «nel senso della piena disintegrazione: l’abbattimento
di ogni limite capace di dare forma», di ogni misura apollinea (Cacciari, «Dell’Inìzio»,
pagina 625).
Ma il testo evoliano mostra anche qualcosa che Cacciari prudentemente sottace:
che i seguaci dell’Anomos vogliono instaurare una società in cui «il delitto
diviene l’atto per eccellenza»;
desiderano «il crollo delle leggi», l’anarchia e la crudeltà, e il dilagare
dell’omicidio nel mondo, fino al finale suicidio nichilistico. E’ la «dottrina
sociale» di tutti gli gnostici convinti, durante i secoli, che «la salvezza si
lucra attraverso il peccato» (4).
Difatti, tutta l’ostilità di Cacciari si punta non sull’«Anomos» venturo, ma su
«ciò che lo trattiene».
San Paolo, nella «Seconda Tessalonicesi», a proposito dell’Anticristo che deve
venire, aggiunge «Voi sapete ciò che ora lo trattiene [...] Infatti il mistero
d’iniquità è già in atto: c’è solo da attendere che chi lo trattiene (‘katèchon’,
in greco) sia tolto di mezzo». Che cosa è il «katèchon»?
Cacciari cita Agostino, che confessa di non saperlo (De Civitate Dei, XX, 19).
Egli tuttavia insinua qualcosa: «Il katèchon altro non è che il tempo
dell’indugio»... Più avanti, più francamente, dirà: il «katèchon» è la stessa
Chiesa, come «prototipo di ogni autentica forma politica» (pagina 632).
«Interessa che nella Chiesa si riconosca pienamente la necessità di differire
[l’avvento dell’Anticristo e ‘con lui del Giorno del Signore’] e che tale
processo sia politicamente-gerarchicamente formato».
Osiamo rendere più esplicita l’obliqua espressione: ciò che trattiene
l’Anticristo dalla sua piena manifestazione è l’ordine politico e civile. Tutti
gli ordini civili dell’Occidente infatti sono ispirati, lo si voglia o no, al
cristianesimo; e sono la traduzione politica della volontà della Chiesa non solo
di portare la salvezza agli uomini nell’aldilà dei puri spiriti, ma di
instaurare una qualche misura di giustizia nell’aldiquà carnale.
E infatti, dovunque nel mondo che diciamo civile, se ancora «non si tagliano le
gole alle fanciulle», se «la vita esige pietà» al contrario di quanto avveniva
prima di Cristo, è perché il cristianesimo ha ispirato leggi: codici penali e
civili, una dottrina sociale. E in questo che la Chiesa può dichiararsi erede
del diritto romano. E non ha rivestito il manto di Roma per usurpazione, ma
perché la salvezza che la Chiesa annuncia è Incarnazione: avviene già «di qua».
Per questo il Papa Wojtyla, contro ogni gnosi nullificante, ripeteva: «Per noi
esistere è meglio che non esistere».
La «caritas», amor di Dio, non è il contrario della giustizia, ma s’incarna
nella giustizia terrena: «Non defraudare della mercede l’operaio», e cosi via.
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1) «Ignis», «Rivista di studi iniziatici», era pubblicata a Roma dalla casa editrice massonica «Atanor» e diretta da Arturo Reghini, che Ellèmire Zolla ha lodato come «uomo di profonde conoscente» nonché «ultimo esponente della Scuola italica e pitagorica». Virulento anti-cattolico («ghibellino», come si definiva lui), il massone Reghini si vantava di aver propiziato la salita al potere del fascismo grazie ad un rito magico, in cui fu usata un’ascia bipenne rinvenuta in una tomba etnisca. Tuttavia ruppe col regirne quando Mussolini firmò il Concordato. Il saggio di Evola si trova a pagina 355 del numero 11-12 di Ignis, 1925.
2) Evola cita il termine sanscrito per «colui che può fare
ciò che vuole»: «svechchhachara». Si tratta di uno stadio «spirituale», la
totale autonomia, promessa da certi rituali di yoga tantrico connesso al culto
di Shiva, l’avatar indiano di Dioniso, ispiratore di antiche aberrazioni «al di
là del bene e del male» in India.
3) Come noto, anche Roberto Calasso, il dominus della casa editrice Adèlphi,
proclama la necessità di mettersi in contatto con l’originaria atrocità del
mondo. Ne «Le nozze di Cadmo e Armonia», egli sospira per il crudele mondo
omerico, pre-orfico, quando «la vita non chiedeva pietà» e
«si tagliavano le gole alle fanciulle».
4) A dire il vero, Evola non giunge a predicare l’anarchia e la crapula di
massa, il disordine sociale che anzi aborre: glielo impedisce la sua «romanità»,
il suo riferimento alla «virilità olimpica» (che è precisamente il motivo per
cui Evola non è gradito dalla Adelphi). L’ascesi dell’eccesso è, per Evola,
raccomandabile solo a pochi spiriti forti, (egli usa la parola sanscrita vira,
«eroe»); per la società nel suo complesso, egli vorrebbe restaurare un ordine
romano e addirittura sacro, da imporre - data la stoffa abietta degli uomini nei
tempi ultimi - con la forza. Andrebbe notato che il
dionisismo di Evola contrasta parecchio con la sua «romanità», visto che Roma
combatté ed espulse il culto di Dioniso; si tratta di una posizione giovanile,
assai moderata con gli anni.
Don Claudio Crescimanno (incontro a Gubbio con
l'associazione Benedetto XVI). Tema: "Il Fumo di Satana" 1
Don Claudio Crescimanno (incontro a Gubbio con
l'associazione Benedetto XVI). Tema: "Il Fumo di Satana" 2
Don Claudio Crescimanno (incontro a Gubbio con
l'associazione Benedetto XVI). Tema: "Il Fumo di Satana" 3
APPROFONDIMENTO
Gnosticismo e rivelazione nelle teorie di Cacciari...
Il nichilismo irrazionalistico di Massimo Cacciari
Il suo pensiero è una giustificazione di interessi ideologici ed una forma di nichilismo. Sembra vicino al cristianesimo, ma in realtà nega la verità della Rivelazione.
Il vero Liberatore è il Ni-ente
Cacciari è
convinto di poter rivelare la vera natura di questo Spirito Liberatore da ogni
legge: natura sconvolgente, sconosciuta a Cristo, a Paolo, alla Chiesa, e che
invece lo gnostico - solo lui, grazie ad una lettura forzosa delle Scritture -
ha compreso. Cacciari deve annunciare il suo Liberatore con cautela, per motivi
che diverranno comprensibili. Come un angelo tentatore, ci porta nelle estreme
regioni delle Scritture, dove si svela la parousia della Sconosciuto.
SEMPRE A PROPOSITO DI CACCIARI GNOSTICO
Commenta a tale
proposito l’antropologa Cecilia Gatto Trocchi nel suo libro Il risorgimento
esoterico[10], scritto in risposta al ponderoso volume del filosofo Massimo
Cacciari, Dell’inizio[11]:
"La salvezza gnostica attende un ulteriore tempo, che Cacciari chiama il Tempo
dell’Ultimo e che un qualunque acquariano chiamerebbe il tempo di Maitreya,
atteso Messia del New Age. Cacciari va più a fondo e svela la natura di questo
Ultimo, natura sconvolgente, sconosciuta a Cristo, a Paolo, alla Chiesa, ma che
lo gnostico solo può comprendere. Si tratta del Ni-ente: “Il Non della fede è
Ni-ente. [...] Se alla parusia (manifestazione) non corrisponde l’Amen della
fede, vi corrisponde il Ni-ente”.
Gesù, espressione dell’Età del Figlio, non ha saputo andare oltre: è venuto ad
annunciare la Vita, non la non-vita liberatrice. Forzando le Scritture, Cacciari
arriva a identificare il nuovo Messia con “il Filius Perditionis che si
manifesta come colui che libera Dio da ogni nascondimento, che ne colma l’abissalità,
che ne dis-vela l’essenza. [...] Egli seduce con un discorso che appare
estremamente prossimo al vero Annuncio e alla sua piena esplicazione. Egli
predica la libertà dalla Legge come libertà assoluta”. è ancora l’Anticristo di
Nietzsche, l’Anomos, il Senza Legge che rivelerà l’essenza divina come il
“pleroma gnostico dell’abbandono, come il ni-ente”.
Si tratta di dottrine antiche, legate alle sette degli Ofiti e degli Osceni che
potrebbero sembrare confinate nei testi di storia delle religioni per
specialisti se, semplificate e ridotte a banalità “comprensibili”, non fossero
sulla bocca di tutti gli acquariani.
Certo tali affermazioni sono a-filologiche, non sfoggiano il greco e il latino,
eppure si riferiscono all’abolizione di ogni legge, alla libertà assoluta. La
New Age promuove uno stile di vita alternativo che prevede libertà sessuale,
omosessualità predicata e attacco alle vecchie morali. Vi è un esplicito ritorno
“alle credenze gnostiche e alle antiche religioni orientali”.
è stato suggerito che il Messia della New Age sia Lucifero, lo stesso Paracleto
misterioso di cui parla Leon Bloy. [...] Al di sotto di fiorellini e arcobaleni,
e di amplessi panici boscherecci predicati dalla New Age, il nichilismo
filosofico e religioso non potrebbe essere più radicale. Il “nulla beatissimo”
del Buddha può tornare a conquistare le coscienze.
[...] Il procedimento complesso che ha portato all’attuale diffusione della
magia e dell’esoterismo è costituito da un lato dalla secolarizzazione e dal
laicismo, dall’altro dal corteggiamento di gnosi alternative vagheggiate
pesantemente dal pensiero laico, “disincantato” e progressista. Tale è l’humus
su cui prospera il nuovo magismo, l’esoterismo accattone, l’occultismo da
supermarket dei nostri giorni, che giornalisti e comunicatori di massa
nobilitano e ripropongono nel vuoto culturale dominante".
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[10] Cecilia Gatto Trocchi, Il risorgimento esoterico, Mondadori, 1996
[11] Massimo Cacciari, Dell'Inizio, Adelphi, 1990