I FIGLI D'ISRAELE IN IRAN
SIAMO EBREI IRANIANI E SIAMO CONTENTI
DI NON ESSERE A GAZA O IN CISGIORDANIA!
(a cura di Claudio Prandini)
Gli ebrei sono in Iran da molto prima che nella sua storia si affacciassero i musulmani. Amano ricordare che l’Iran è casa loro da 2.500 anni e che fu uno scià persiano, Ciro il Grande, a liberarli dalla cattività babilonese. (...) La comunità è riconosciuta come minoranza dalla Costituzione della Repubblica islamica. Come i cristiani e gli armeni, gli ebrei sono cittadini iraniani. A patto di rinunciare al proselitismo, possono praticare la religione dei padri, eleggere un loro deputato al Parlamento, avere scuole, asili, sinagoghe e godere di alcune deroghe alla legge islamica. |
Ebrei ortodossi non sionisti incontrano Ahmadinejad
PERCHÈ GLI EBREI IRANIANI STANNO
MEGLIO DEI PALESTINESI DI GAZA
Vivere nella dignità con i benefici della cittadinanza
25 000 Ebrei vivono in Iran. È la più
grande popolazione ebraica nel Medio Oriente fuori da Israele. Gli Ebrei
iraniani non sono perseguitati, né subiscono abusi da parte dello stato, anzi,
sono protetti dalla Costituzione iraniana. Sono liberi di praticare la loro
religione e di votare alle elezioni. Non vengono fermati e perquisiti ai posti
di blocco, non vengono brutalizzati da un esercito di occupazione, e non vengono
ammassati in una colonia penale densamente popolata (Gaza) dove vengono privati
dei loro mezzi di sussistenza di base. Gli Ebrei iraniani vivono nella dignità e
godono dei diritti della cittadinanza.
Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad è stato demonizzato dai media
occidentali. Viene definito un antisemita e il “nuovo Hitler”. Ma se queste
teorie sono vere, perché la maggioranza degli Ebrei iraniani ha votato per
Ahmadinejad alle recenti elezioni presidenziali? Potrebbe essere che la gran
parte di quello che sappiamo su Ahmadinejad altro non sia che voci senza
fondamento e propaganda?
Questo estratto è stato pubblicato in un articolo della BBC:
“l’ufficio di (Ahmadinejad) ha fatto una recente donazione di denaro
all’ospedale ebraico di Tehran. È solo uno dei quattro ospedali di carità
ebraici in tutto il mondo ed è finanziato con le sovvenzioni della diaspora
ebraica – una cosa straordinaria in Iran, dove persino le organizzazioni di
aiuto locali hanno difficoltà a ricevere sovvenzioni dall’estero per timore di
essere accusati di essere agenti stranieri”.
Quando mai Hitler ha donato denaro agli ospedali ebraici? L’analogia con Hitler
è un tentativo disperato di fare il lavaggio del cervello agli Americani. Non ci
dice niente di come sia realmente Ahmadinejad.
Le menzogne su Ahmadinejad non sono diverse da quelle su Saddam Hussein o su
Hugo Chavez. Gli Stati Uniti e Israele stanno cercando di creare la
giustificazione per un’altra guerra. È per questo che i media attribuiscono ad
Ahmadinejad di aver detto cose che non ha mai detto. Non ha mai detto di “volere
cancellare Israele dalla carta geografica”. Questa è un’altra finzione. L’autore
Jonathan Cook spiega quello che il presidente iraniano ha realmente detto:
“Questo mito è stato riciclato a non finire dal momento in cui fu commesso un
errore di traduzione di un discorso di Ahmadinejad fatto quasi due anni fa. Gli
esperti della lingua persiana hanno verificato che il presidente iraniano, lungi
dal minacciare di distruggere Israele, stava citando un discorso precedente del
defunto Ayatollah Khomeini, in cui rassicurava i sostenitori dei Palestinesi che
“il regime Sionista a Gerusalemme” sarebbe “svanito dalla pagina del tempo”.
Non minacciava di sterminare gli Ebrei e neppure Israele. Stava paragonando
l’occupazione da parte di Israele dei [territori] Palestinesi ad altri sistemi
illegittimi di governo il cui tempo è ormai finito, compresi gli Shah che un
tempo governavano l’Iran, l’apartheid in Sud Africa e l’impero sovietico.
Ciononostante, questa traduzione errata è persistita e ha prosperato perché
Israele e i suoi sostenitori l’hanno sfruttata per i propri crudi scopi di
propaganda”. (“Israel Jewish problem in Tehran, Jonathan Cook, The Electronic
Intifada)
Ahmadinejad non rappresenta una minaccia né per Israele né per gli Stati Uniti.
Come chiunque altro in Medio Oriente, vuole una tregua dall’aggressione degli
USA e di Israele.
Questo [estratto] proviene da Wikipedia:
“Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha mosso accuse di
discriminazione in Iran contro gli Ebrei. Secondo tale studio, gli Ebrei non
potrebbero occupare alte posizioni nel governo e non potrebbero prestare
servizio nei servizi giudiziari e di sicurezza, né diventare presidi di scuole
pubbliche. Lo studio dice che ai cittadini ebrei è consentito ottenere il
passaporto e viaggiare fuori dal paese, ma che spesso gli vengono loro negati i
permessi di uscite multiple normalmente rilasciati agli altri cittadini. Le
accuse mosse dal Dipartimento di Stato americano sono state condannate dagli
Ebrei iraniani. La Association of Tehrani Jews ha detto in una dichiarazione,
“noi Ebrei iraniani condanniamo le accuse del Dipartimento di Stato americano
sulle minoranze religiose iraniane, annunciato che siamo pienamente liberi di
praticare i nostri doveri religiosi e non sentiamo alcuna restrizione in merito
alla pratica dei nostri rituali religiosi”.
A chi dovremmo credere: agli Ebrei che a tutti gli effetti vivono in Iran, o
alle provocazioni del Dipartimento di Stato americano?
Ci sono 6 macellerie kosher, 11 sinagoghe e numerose scuole ebraiche a Tehran.
Né Ahmadinejad, né nessun altro funzionario del governo iraniano ha mai fatto
alcun tentativo di far chiudere queste strutture. Mai. Gli Ebrei iraniani sono
liberi di viaggiare (o di spostarsi) ad Israele a loro piacimento. Non sono
imprigionati da un esercito di occupazione. Non gli vengono negati né cibo, né
medicine. I loro figli non crescono con disturbi mentali provocati dal trauma
della violenza sporadica. Le loro famiglie non vengono fatte saltare in aria
dagli elicotteri d’assalto che girano intorno alle spiagge. I loro sostenitori
non vanno a finire sotto ai bulldozer, né gli vengono sparati nel cranio delle
pallottole di gomma. Quando fanno manifestazioni pacifiche per le loro libertà
civili non vengono picchiati né vengono usati gas lacrimogeni. I loro leader non
vengono perseguitati ed uccisi con assassini premeditati.
Roger Cohen ha scritto un articolo molto attento sull’argomento per il New
York Times. Ha detto:
“Sarà che io prediligo i fatti alle parole, ma dico che la realtà della
civiltà iraniana nei confronti degli Ebrei ci dice più sull’Iran – sulla sua
sofisticazione e sulla sua cultura – di quanto lo faccia tutta la retorica
incendiaria. Potrà essere perché sono ebreo, e raramente sono stato trattato con
un tale e costante calore come in Iran. O forse mi ha colpito che l’ira per
Gaza, sbandierata sui poster e sulla TV iraniana, non si è mai riversata sotto
forma di insulti o di violenze contro gli Ebrei. O forse è perché sono convinto
che la caricatura di “Mullah Pazzo” dell’Iran e che l’assimilarne qualunque
compromesso al Monaco del 1938 – una posizione popolare in alcuni circoli
ebraici americani – sia fuorviante e pericoloso”. (“What Iran’s Jews Say”,
Roger Cohen, New York Times).
La situazione non è perfetta per gli Ebrei che vivono in Iran, ma è meglio di
quella dei Palestinesi che vivono a Gaza. Molto meglio.
Ebrei iraniani
Iran, cosa vogliono gli ebrei iraniani
La giornata dalla memoria è stata la scusa per Israele e per molti dei suoi lustrascarpe, Berlusconi-lingua birforcuta in primis, per tornare ad accusare l'Iran, in vista di un ulteriore massacro preventivo, esattamente come è successo in Iraq. Addirittura il regime iraniano viene paragonato al nazismo. Ebbene, nella Teheran "nazista" come se la passano gli ebrei? Per chi è così male informato da non sapere neanche che una antichissima comunità di 25 000 ebrei vive in Iran e non sono certo vittime di un genocidio, ma anzi, in confronto ai palestinesi in Israele se la spassano:
L’Iran è una realtà complessa, fatta di numerose etnie e minoranze religiose, che hanno vissuto storie di convivenza accanto a episodi di brutale repressione. La realtà degli ebrei iraniani, una comunità antichissima tuttora vitale in Iran, fra millenaria tolleranza e ostilità recenti, viene raccontata da Roger Cohen, noto commentatore del New York Times
ESFAHAN - In Piazza Palestina, dal lato opposto della moschea chiamata al-Aqsa,
vi è una sinagoga dove gli ebrei di questa antica città si riuniscono all’alba.
Sopra l’ingresso vi è uno striscione che dice: “Congratulazioni per il 30°
anniversario della Rivoluzione Islamica dalla comunità ebraica di Esfahan.”
Gli ebrei dell’Iran si tolgono le scarpe, avvolgono cinghie di pelle attorno
alle braccia per allacciare i filatteri, e prendono posto. Presto il sinuoso
mormorio delle preghiere ebraiche attraversa la sinagoga stipata, con i suoi
deliziosi tappeti e le sue misere piante. Soleiman Sedighpoor, un vecchio
commerciante con un negozio pieno di tesori, dirige la funzione dal podio sotto
al lampadario.
Ero stato a trovare Sedighpoor, un uomo di 61 anni dagli occhi vivaci, il giorno
precedente nel suo piccolo negozio polveroso. Mi aveva venduto, con un po’ di
riluttanza, un braccialetto di madreperla ornato con miniature persiane. “Il
padre compra, il figlio vende”, aveva borbottato prima di invitarmi alla
funzione.
Accettando, gli avevo chiesto cosa pensasse dei cori “morte a Israele” - “Marg
Bar Esraeel”- che accompagnano la vita in Iran.
“Lasciategli dire ‘morte a Israele’”, ha detto, “sono in questo negozio da 43
anni e non ho mai avuto un problema. Ho visitato i miei parenti in Israele, ma
quando vedo cose come l’attacco a Gaza, anche io manifesto come un iraniano.”
Il Medio Oriente è un quartiere scomodo per le minoranze, persone la cui stessa
esistenza è un rimprovero alle definizioni contrapposte di identità nazionali e
religiose. Eppure sono forse 25.000 gli ebrei che vivono in Iran, Paese che ne
ospita la comunità più grande, insieme alla Turchia, nel Medio Oriente
musulmano. Ci sono più di una dozzina di sinagoghe a Tehran; qui a Esfahan una
manciata di esse accoglie circa 1.200 ebrei, superstiti di una comunità antica
più di 3.000 anni. Nel corso dei decenni, fra la nascita di Israele nel 1948 e
la Rivoluzione Islamica nel 1979, il numero degli ebrei iraniani è diminuito di
circa 100.000 persone. L’esodo è stato però molto meno completo rispetto a
quello dai Paesi arabi, dove risiedevano più di 800.000 ebrei al momento della
nascita di Israele.
In Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, e Iraq – Paesi in cui vivevano più di
485.000 ebrei prima del 1948 – ne rimangono meno di 2.000. L’ebreo arabo è ormai
scomparso. L’ebreo persiano se l’è passata meglio. Di sicuro, il ciclo di guerre
(a quanto pare non ancora conclusosi) di Israele è avvenuto con gli arabi, non
con i persiani, e ciò spiega alcune delle discrepanze.
Eppure, c’è un mistero che ancora aleggia sugli ebrei d’Iran. È importante
decidere cosa sia più significativo: le invettive di annientamento
anti-israeliane, la negazione dell’Olocausto e altre provocazioni iraniane – o
la presenza di una comunità ebraica che vive, lavora, e pratica la propria
religione in relativa tranquillità.
Forse ho una preferenza per i fatti rispetto alle parole, ma penso che la realtà
della civiltà iraniana nei confronti degli ebrei ci dica di più sull’Iran –
sulla sua raffinatezza e cultura – di quanto non lo faccia tutta la recente
incendiaria retorica. Ciò potrebbe dipendere dal fatto che io sono un ebreo e
non sono mai stato trattato con tanto calore come in Iran. O forse sono rimasto
impressionato dal fatto che tutta la furia su Gaza, sbandierata ai quattro venti
sui manifesti e sulla televisione iraniana, non è mai degenerata in insulti o
violenze verso gli ebrei. O forse ancora, perché sono convinto che la caricatura
da “folli Mullah” che viene fatta dell’Iran, e il fatto di paragonare ogni
eventuale compromesso con Tehran a quello di Monaco nel 1938 (che portò
all’annessione alla Germania hitleriana dei Sudeti appartenenti alla
Cecoslovacchia, nell’ambito della cosiddetta ‘politica di appeasment’, la
politica condiscendente adottata da Francia e Germania nei confronti del regime
nazista durante gli anni ’30 (N.d.T.) ) – una presa di posizione popolare nei
circoli ebrei americani – siano fuorvianti e pericolosi.
So bene che, se molti ebrei hanno lasciato l’Iran, ciò è avvenuto per una
ragione. L’ostilità esiste. Le accuse di spionaggio a favore di Israele
inventate contro un gruppo di ebrei di Shiraz nel 1999 hanno mostrato il lato
peggiore del regime. Gli ebrei eleggono un rappresentate in parlamento, ma
possono votare per un musulmano se preferiscono. Un musulmano, tuttavia, non può
votare per un ebreo. Tra le minoranze, il trattamento riservato ai Bahai – sette
dei quali sono stati recentemente arrestati con l’accusa di spionaggio per
Israele – è brutale.
Ho chiesto a Morris Motamed, che è stato membro ebreo del Majlis (il parlamento
iraniano (N.d.T.) ), se si sentisse usato – un collaborazionista iraniano. “No”,
ha risposto. “In realtà avverto una profonda tolleranza, qui, nei confronti
degli ebrei”. Mi ha detto che i cori di “morte a Israele” lo infastidiscono, ma
poi ha continuato criticando “i due pesi e le due misure” che permettono a
Israele, al Pakistan, e all’India di avere una bomba atomica, ma non all’Iran.
Questo doppio standard non funziona più; il Medio Oriente è diventato troppo
complesso. Le volgari filippiche anti-israeliane dell’Iran possono essere viste
come una provocazione per far concentrare l’attenzione della gente sulle testate
nucleari israeliane, sulla sua occupazione della Cisgiordania che si protrae da
41 anni, sul suo rifiuto di Hamas, sul suo continuo uso della forza. Il
linguaggio iraniano può essere detestabile, ma ogni tentativo di pace in Medio
Oriente – e ogni coinvolgimento di Tehran – dovrà tenere presenti questi punti.
Il complesso da “Zona Verde” – l’insistenza di basare la politica del Medio
Oriente sulla costruzione di mondi immaginari – non ha portato da nessuna parte.
Il realismo nei confronti dell’Iran dovrebbe tener conto dell’ecumenica Piazza
Palestina a Esfahan. Alla sinagoga, Benhur Shemian, 22 anni, mi ha detto che
Gaza dimostra che il governo israeliano è “criminale”, ma che comunque lui spera
nella pace. Alla moschea di al-Aqsa, Morteza Foroughi, 72 anni, ha indicato la
sinagoga e ha detto: “Loro hanno il loro profeta, noi abbiamo il nostro. E va
bene così.”
In Iran gli ebrei sono circa 25.000
L'ebreo "antisemita"Ahmadinejad piace agli
ebrei iraniani e agli ebrei ortodossi
Ebreo? Si, pare proprio di si. Almeno secondo il Telegraph
Il cognome originale, di origini ebraiche, del presidente iraniano non è Ahmadinejad ma Sabourjan. A fine gennaio lo aveva denunciato Mehdi Khazali, figlio dell'ayatollah Abulqassim al Khazali, critico del presidente. Ora il britannico Daily Telegraph pubblica una foto in cui Ahmdinejad stesso, mostrando nel marzo del 2008 il proprio documento di identità ha involontariamente rivelato il suo cognome originario.
Il cognome, pur riportato in
farsi, è di "chiara origine ebraica", spiega il Telegraph, e significa
"tessitore del talled" (il tradizionale scialle indossato dagli ebrei quando
pregano). Al quotidiano conservatore è bastato ingrandire il documento per
trovare la conferma alle accuse di Khazali in una nota scarabocchiata, da cui
emerge che la famiglia cambiò il suo nome in Ahmdinejad quando si convertirono
all'Islam al momento della nascita di Mahmoud.
In Iran ha sempre vissuto una folta comunità ebraica: prima della rivoluzione
khomeinista si contavano 100.000 persone, mentre ora ne sono rimaste poco meno
di 11mila.(tgcom).
Piace agli ebrei iraniani?
Si pare proprio di si.
Piace agli ebrei ortodossi?
Si, anche in questo caso è vero.
Che il presidente iraniano
Ahmadinejad ce l'avesse con lo Stato d'Israele non è certo un segreto. Ma forse
non tutti sanno che ci sono ebrei che parteggiano per lui. Nell’albergo di
Manhattan che lo ospita nella sua "gita" per l'America, Ahmadinejad ha ricevuto
una delegazione della Naturei Karta International, un’organizzazione ebraica
anti-sionista che sostiene d’interpretare alla lettera laTorah, il libro sacro
dell’ebraismo. Secondo loro, le sacre scritture proibiscono la creazione di uno
stato ebraico prima della venuta del Messia, e lo stato d’Israele sarebbe
un’impostura e la sovranità sulla Terra santa apparterrebbe ai palestinesi. Il
rabbino Moshe bel Beek, leader di Naturei così ha accolto il leader iraniano:
"Siamo onorati di incontrare una personalità di questo calibro, qualcuno che
capisce la differenza tra giudaismo e sionismo. Ahmadinejad non è un anti-semita
e non è un nemico del popolo ebraico, ci sono molti ebrei che vivono felici
anche in Iran"
Curiosa tutta questa simpatia, anche tenendo conto le posizioni dell'Iran nel
negare l'Olocausto. Ma altre critiche ad Israele arrivano dal cuore del paese.
L’ex ministra israeliana dell’Istruzione, Shulamit Aloni, ha denunciato Tel Aviv
per i maltrattamenti dei palestinesi, e l’ha accusato di "etnocrazia e
razzismo". Tempi duri per Israele.
Dunque Ahmadinejad non solo ha
origini ebraiche ma non è per nulla antisemita(bensì antisionista), come non
sono antisemiti bensì antisionisti sono gli ebraissimi ebrei ortodossi di qui
sopra o l'ex ministro Aloni.
Purtroppo il Presidente Ahmadinejad è vittima della disinformazione della
propaganda occidentale.
Al riguardo vi consiglio la lettura di quest'articolo pubblicato sul sito
Pressante.
Non c'è niente da fare: il
presidente iraniano Ahmadinejad proprio non riesce a farsi capire. Qualsiasi
cosa dica che contenga la parola "Israele", i media globali ci avvertono che
quel pazzo scatenato vuole cancellare Israele dalla mappa geografica, che nega
l'Olocausto, chi non salta israeliano è, eccetera. Se un giorno sentirete che
vuole distruggere l'Italia, probabilmente avrà semplicemente detto che non gli
piace la pizza. L'ultimo esempio è di questi giorni.
Ecco cosa scrive, ad esempio, TgCom:
Ahmadinejad:"Distruggere Israele"
"E' la soluzione per risolvere guerra"
Per il presidente dell'Iran, Mahmoud Ahmadinejad, la soluzione per risolvere la
crisi in Medio Oriente è "distruggere Israele". La notizia è stata riportata da
organi di stampa ufficiali di Teheran.
Addirittura!
Dare una notizia in questo
modo è fare informazione, disinformazione, propaganda o terrorismo mediatico?
Perchè ovviamente, le cose stanno in ben altro modo.
Ecco le parole di Ahmadinejad:
"Though elimination of the Zionist regime is the main solution to the current
crisis, at this stage a cease-fire should be immediately established. "Any
violation of the internationally recognized borders of Lebanon should also be
stopped. Peace and security in Lebanon and its borders should be maintained by
the Lebanese government and nation"
"Sebbene l'eliminazione del regime Sionista sia la principale soluzione alla
crisi corrente, al momento un immediato cessate-il-fuoco dovrebbe essere
stabilito. Qualsiasi violazione dei confini internazionalmente riconosciuti del
Libano dovrebbe essere inoltre fermata. Pace e sicurezza in Libano ed i suoi
confini dovrebbero essere mantenuti dal governo e dalla nazione Libanese"
Un conto è volere l'eliminazione di un regime alla guida di un paese e altra
cosa è volere l'eliminazione del paese stesso. E' come se 65 anni fa il
presidente di un qualche Stato avesse detto: "La soluzione del problema del
nazifascismo è l'eliminazione dei regimi di Hitler e Mussolini" e ipotetici
grossi mass media allora inesistenti avessero riportato "La soluzione del
problema del nazifascismo è l'eliminazione di Germania ed Italia". A quest'ora
saremmo ancora costretti a fare il saluto romano.
E' evidentissima la malafede della grossa informazione, in Italia poi non ci
facciamo mancare mai nulla e diamo sempre il meglio di noi stessi quando si
tratta di manipolare e disinformare.
Il presidente Iraniano non ha mai detto di voler cancellare Israele dalla mappa
geografica, refrain che ci viene continuamente riproposto da qualche mese a
questa parte.
In realtà ha chiesto come obiettivo per il futuro la rimozione dei regimi che
sono al potere in Israele e negli USA. Ha chiesto una maggiore autorità per la
Palestina. La parola mappa non compare nemmeno in nessuno dei suoi discorsi. E
il presidente rende chiaro che l’Olocausto è avvenuto, ma, sostiene che le
potenze occidentali hanno sfruttato il ricordo dell’Olocausto per i loro scopi
imperialistici. Ciò con cui se ne sono usciti i maggiori mass media è un
completo inganno.
L’inganno è aiutato dal fatto che molti mezzi di comunicazione usano una
compagnia "indipendente" chiamata Middle East Media Research Institute (Memri)
per tradurre lingue mediorientali. Memri guarda caso è posseduta da due
Israeliani di destra neo-con: Meyrav Wurmser, la moglie di uno degli aiutanti di
Dick Cheney (ed ex assistente speciale di ‘Strap-on’ John Bolton ), David
Wurmser e l’ex (?) ufficiale dell’Intelligence Militare Israeliana, Colonnello
Yigal Carmon.
APPENDICE
Memri discriminatorio
Brian Whitaker investiga se l’istituto mediatico “indipendente” che
traduce le testate giornalistiche arabe è veramente ciò che sembra
E’ da un po’ di tempo che
ricevo piccoli regali da un generoso istituto sito negli Stati Uniti. Questi
consistono in traduzioni di alta qualità di articoli provenienti da testate
arabe che l’istituto mi manda tramite mail ogni 2 o 3 giorni gratuitamente.
Queste e-mail vanno anche a politici e studiosi, come a molti altri giornalisti.
Solitamente le storie in esse contenuti sono interessanti.
Ogni qualvolta io ricevo una mail dall’istituto in questione, diversi miei
colleghi del Guardian ne ricevono una uguale e ne inoltrano una copia a me –
qualche volta con una nota allegata che mi suggerisce di verificare la storia e
scriverci su.
Se la nota allegata mi arriva da un collega più anziano, rimango con la
sensazione che dovrei veramente scriverci qualcosa a riguardo. Un esempio, la
scorsa settimana, furono un paio di paragrafi tradotti dall’istituto, nei quali
un ex-medico dell’armata irachena dichiarò che Saddam Hussein aveva
personalmente dato ordini di amputare le orecchie ai disertori.
L’organizzazione che produce
tali traduzioni e le spedisce è chiamata Istituto di Ricerca Mediatica del Medio
Oriente (Memri) con Base a Washington ma con uffici di recente apertura a
Londra, Berlino e Gerusalemme.
I suoi lavori sono sostenuti dai contribuenti americani perchè come
organizzazione “indipendente”, non di parte, no-profit”, possiede una posizione
fiscalmente defalcabile per le leggi americane.
Il fine del Memri, secondo le dichiarazioni del sito internet, è di fare da
ponte nel “gap” linguistico tra l’Ovest – dove in pochi parlano l’Arabo – e il
Medio Oriente, “fornendo traduzioni tempestive da Arabo, Farsi e Ebreo”.
Nonostante queste affermazioni
di alto orientamento, alcune cose mi mettono a disagio quando mi viene chiesto
di leggere storie diffuse dal Memri. Prima di tutto si tratta di
un’organizzazione piuttosto misteriosa. Il suo sito web non rilascia il nome di
nessuno da contattare, neanche l’indirizzo di un ufficio.
La ragione di tale segretezza, secondo un ex-dipendente, e che “loro non
vogliono ritrovarsi attentatori suicidi passeggiare davanti la loro porta il
lunedì mattina” (Washington Times, June 20).
Questo mi suona come una precauzione eccessiva per un istituto che vuole
semplicemente abbattere le barriere di linguaggio est-ovest.
La seconda cosa che mi mette a
disagio è che le storie del Memri selezionate per la traduzione seguono uno
schema familiare: o mettono in cattiva luce la natura degli arabi o in qualche
modo promuovono l’agenda di Israele. E non sono l’unico a sentirmi a disagio.
Ibrahim Hooper, della giunta sulle relazioni Islamico-Americane riferì al
Washington Times: “L’intento del Memri è quello di trovare le peggiori citazioni
provenienti dal mondo musulmano e diffonderle il più possibile.
Il Memri potrebbe, naturalmente, obiettare che cerca solo di incoraggiare la
moderazione mettendo in risalto l clamorosi esempi di intolleranza e estremismo.
Ma se fosse così, ci si aspetterebbe – essendo non di parte – la pubblicazione
di articoli riguardanti anche l’estremismo della fazione ebrea.
Benchè il Memri dichiari di
fornire traduzioni anche dei media ebraici, non ricordo di averne mai ricevute
alcuna.
Evidenze dal sito del Memri gettano dubbi sul suo stato non di parte. D’altro
canto supportando la democrazia liberale, la società civile e il libero mercato,
l’istituto enfatizza anche “la continua rilevanza dello Sionismo sullo stato di
Israele e sugli ebrei”.
Questo lo ribadiva una volta il suo sito web, ma le parole sullo sionismo adesso
sono state cancellate. La pagina originale, comunque, può essere ancora trovata
negli archivi internet.
La ragione di quest’aria di
segretezza del Memri diventa più chiara quando diamo un’occhiata alle persone
che vi stanno dietro. Il co-fondatore e presidente del Memri nonché proprietario
registrato del sito web è un israeliano di nome Yigal Carmon.
Il Signor – o piuttosto, Colonnello – Carmon trascorse 22 anni nell’intelligence
israeliana e più tardi prestò servizio come consulente per l’antiterrorismo a
due primi ministri israeliani, Yitzhak Shamir eYitzhak Rabin.
Recuperando un’altra delle pagine ora cancellate dall’archivio web del Memri,
emerge anche una lista dei suoi dipendenti. Delle sei persone nominate, tre –
incluso il Colonnello Carmon – sono risultate aver lavorato per l’intelligence
israeliana.
Tra le altre tre, una ha
prestato servizio presso i corpi di artiglieria militare del Comando Nord, una
ha un trascorso accademico e il terzo è un ex-attore comico.
Il co-fondatore del Memri insieme al Colonnello Carmon è Meyrav Wurmser anche
direttore del centro per le politiche del Medio Oriente all’istituto Hudson di
base a Indianapolis, che si autodefinisce come “La più importante fonte
americana per la ricerca applicata sulle minacce politiche a lungo termine”.
L’onnipresente Richard Perle, presidente del comitato politico della difesa al
Pentagono, di recente unitosi al comitato dei curatori Hudson.
La Signora Wurmser è autrice di un lavoro accademico intitolato: “Può Israele
sopravvivere al post-sionismo?” nel quale sostiene che gli intellettuali di
sinistra israeliti rappresentano “più di una minaccia effimera” verso lo stato
di Israele, minandone la sua anima e riducendone la volontà di autodifesa.
In aggiunta, Ms Wurmser è una
speaker ben informata, riconosciuta a livello internazionale sul Medio Oriente,
la quale presenza farebbe di ogni “evento radio o show televisivo un evento
unico” – secondo la Benador Associates, una compagnia di pubbliche relazioni che
propaganda i suoi servizi.
Nessuno, che io sappia, contesta la generale accuratezza delle traduzioni del
Memri, ma vi sono altre ragioni per essere preoccupati riguardo ciò che divulga.
La mail circolata la settimana scorsa riguardante l’ordine dato da Saddam
Hussein di tagliare le orecchie della gente era un estratto di un lungo articolo
di un giornale sul panorama arabo, al-Hayat, di Adil Awadh i quali sostenevano
di possedere conoscenza stretta dell’accaduto.
Era quel tipo storielle riguardanti la brutalità irachena che i giornali
ristamperebbero felicemente senza neanche verificarne le fonti, specialmente
nell’atmosfera corrente di questa febbre di guerra.
Potrebbe benissimo essere
vera, ma la si dovrebbe trattare con un po’ di cautela.
Il Sig. Awadh non è esattamente una figura indipendente. Egli è, o almeno era,
un membro dell’Accordo Nazionale Iracheno, un gruppo d’opposizione iracheno
appoggiato dall’America. Ne Hayat ne Memri hanno mai fatto menzione di questo.
E ancora, le affermazioni del sign. Awadh vennero alla luce la prima volta
quattro anni fa, quando aveva delle forti ragioni personali per farle. Secondo
un comunicato del Washington Post del 1998, l’affermazione sulle amputazioni
l’aveva anche inclusa in una sua domanda di asilo politico negli Stati Uniti.
Al tempo egli era uno dei sei iracheni in stato d’arresto negli USA come
sospetto terrorista o agente segreto iracheno, e stava tentando di dimostrare
che gli americani avevano fatto un errore.
Ancor prima quest’anno, il
Memri ottenne due significativi successi di propaganda contro l’Arabia Saudita.
Il primo fu la sua traduzione di un articolo dal quotidiano al-Riyadh nel quale
un cronista scrisse che gli ebrei usano il sangue di bambini cristiani o
musulmani per metterlo nei dolcetti per la festa religiosa Purim.
L’articolista in questione, un professore universitario, stava apparentemente
facendo riferimento ad un mito antisemitico che si datava al medioevo. Ciò che
quest’ultimo dimostrava, più che altro, era l’ignoranza di molti arabi – anche
quelli altamente acculturati – riguardo giudaismo e Israele e la loro prontezza
a credere a tali storie ridicole.
Ma il Memri, sosteneva al-Riyadh, era un “quotidiano governativo” saudita
infatti è di proprietà privata, ciò implicando che gli articoli avevano una
sorta di approvazione ufficiale.
L’editore di al-Riyadh disse
che non aveva visto l’articolo prima della pubblicazione perché era stato
all’estero. Si scusò senza esitare e licenziò il cronista, ma ormai il danno era
fatto.
L’altro successo del Memri arrivo un mese più tardi quando l’ambasciatore
dell’Arabia Saudita a Londra scrisse una poesia intitolata “I martiri” – che
parlava di una giovane donna-kamikaze – che fu pubblicato sul quotidiano
al-Hayat.
Il Memri spedì estratti tradotti del poema, il quale descriveva “i lodati
kamikaze”. Se quello fosse il vero messaggio della poesia e solo questione di
interpretazione. Potrebbe, forse più plausibilmente, essere letto come testo di
condanna verso l’inefficacia politica dei leaders arabi ma l’interpretazione del
Memri fu riportata, quasi senza batter ciglio, dai media occidentali.
Questi incidenti che coinvolgevano l’Arabia Saudita non dovrebbero essere visti
isolatamente. Essi sono parte di una costruzione di una causa contro l’impero,
come atto di persuasione degli Stati Uniti nel trattarli come nemici piuttosto
che come alleati.
E’ una campagna che il governo
israeliano e quello neo conservatore americano stanno spingendo dall’inizio di
quest’anno – un aspetto del quale fu la bizzarra l’informativa anti-saudita al
pentagono, presentata lo scorso mese da Richard Perle.
A tutti coloro che leggono quotidiani arabi regolarmente, dovrebbe essere ovvio
che i temi evidenziati dal Memri sono gli stessi che confermano i suoi programmi
e non sono rappresentativi dei contenuti giornalistici in toto.
Il pericolo è che molti dei senatori, dei congressisti e “opinionisti” che non
leggono l’arabo ma ricevono le e-mail del Memri, potrebbero farsi l’idea che
questi esempi estremi non sono solo veramente rappresentativi ma riflettano
anche le politiche dei governi arabi.
Il Col. Carmon del Memri
sembra impaziente di incoraggiarli in quella direzione. Lo scorso aprile a
Washington, in una dichiarazione della Giunta della casa Bianca sulle relazioni
internazionali, egli descrisse i media arabi come parte di un sistema scalare
ampio di indottrinamento sponsorizzato dal governo.
“I media controllati dai governi arabi esprimono l’avversione dell’occidente e
in particolare degli Stati Uniti,” riferisce.” Prima dell’11 settembre, si
potevano trovare di frequente articoli che supportavano apertamente, o
addirittura richiedevano, attacchi terroristici contro gli stati uniti”.
“Gli stati Uniti talvolta vengono equiparati alla Germania Nazista, il
presidente Bush a Hitler, Guantanamo ad Auschwitz," disse.
Nel caso del canale satellitare di al-Jazeera, aggiunse, “la stragrande
maggioranza degli ospiti e dei visitatori sono tipicamente anti-americani e
anti-semiti”.
Sfortunatamente, è sulla base
di tali vaste generalizzazioni che molta della politica americana estera viene
costruita in questi giorni. Per quanto riguarda le relazioni tra
l’occidente e il mondo arabo, il linguaggio è una barriera che perpetua
l’ignoranza e che può facilmente incoraggiare equivoci.
Tutto ciò che serve è un piccolo ma attivo gruppo di israeliti che sfrutti
quella barriera a fini propri e cominci a modificare le percezioni occidentali
sugli arabi per il peggio.
Non è difficile vedere cosa dovrebbero fare gli arabi per controbattere ciò. Un
gruppo di compagnie mediatiche arabe potrebbero unirsi e pubblicare traduzioni
di articoli che riflettono più accuratamente il contenuto dei loro giornali.
Non sarebbe sicuramente così lontano dei loro intenti. Ma, come al solito,
potrebbero preferire adagiarsi e brontolare delle macchinazioni di esperti
dell’intelligence israelita.
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