CARA ENI, GIÙ LE MANI

DAL PETROLIO IRACHENO.

AIUTIAMO IL POPOLO IRACHENO A DIFENDERSI

DAGLI AVVOLTOI DEL PETROLIO

(a sostegno della campagna di "Un ponte per")
 

(A cura di Claudio Prandini)

 

 

INTRODUZIONE

 

Purtroppo mentre in Italia i media s'interessano solo di cronaca nera, incendi e della vacuità sempre più penosa e maleodorante della politica italiana, un silenzio quasi assoluto circonda un fatto - grave - che avrebbe dovuto far sobbalzare dalle sedie i paladini delle libertà e dei diritti civili in Italia come in tutto l'occidente e invece nulla. Cosa è successo? Semplice: il governo iracheno ha sciolto la federazione dei sindacati dei lavoratori che lavorano nei pozzi petroliferi dell'Iraq, perché essi si stanno duramente opponendo alla prevista legge sul petrolio, fortemente voluta dagli americani. Tale legge consentirebbe alle grandi Compagnie petrolifere, soprattutto americane e inglesi, di prendersi circa il 70-80 per cento dei ricavi petroliferi dell'Iraq per parecchi decenni, lasciando così al popolo iracheno solo le briciole. Tale legge non è stata ancora varata dal parlamento iracheno, grazie anche alle ferie estive, ma sta trovando sempre più oppositori all'interno del paese tanto che l'amministrazione Bush sta vivendo la cosa come "estremamente seccante", secondo quanto riporta il giornale inglese "The Guardian". Questo spiega anche una delle recenti affermazioni di Bush. Cito a memoria: l'America non deve scappare come ha fatto in Vietnam, ma restare... Ora sappiamo perché vuole restare, anzi, lo abbiamo sempre saputo!

E l'Eni italiana cosa centra? Anche qui è semplice: l'Agip, che appartiene all'Eni, si occupa di perforazione ed estrazione di petrolio e di metano in Italia e all'estero. In Iraq l'Agip ha dei giacimenti di petrolio a Nassiriya - ciò spiega il perché il nostro contingente militare andò a finire proprio là - avuti al tempo in cui c'era ancora Saddam al potere, ma non ancora pienamente sfruttati. Quest'anno il nostro governo di centro sinistra spenderà circa tre milioni e 498 mila euro per pagare una delle più grandi società inglesi - l'Aegis defence Services - di  contractors, cioè di guardiani armati, per proteggere il personale civile e i tecnici italiani che sono a Nassiriya. Il fondatore di questa società di contractors, Tim Spider, è stato però coinvolto in abusi contro i diritti umani e in violazioni internazionali. Chi sono allora veramente quei "tecnici" e quel personale "civile" da proteggere con uomini armati fino ai denti ed a così caro prezzo? Prezzo che naturalmente poi ricade  sull'ignaro e non molto contento contribuente italiano.

Tra l'altro, lo stesso «Fabio Alberti, presidente dell'Organizzazione Non Governativa Un Ponte per, presente in Iraq da molti anni si dice meravigliato che in Iraq, "ci sia ancora una presenza armata italiana"... Ma soprattutto chiede il presidente dell'Ong: "Quali sono le regole d'ingaggio di questi eserciti privati? Chi li controlla? E quale bisogno c'è di avere fisicamente dei tecnici italiani sul posto?". "Per assistere gli iracheni alla ricostruzione - conclude Alberti - basta assisterli economicamente, nella progettazione e in tanti altri modi: l'Iraq è pieno di tecnici bravi"». (vedere qui)

Comunque sia, una cosa è chiara: che se la nuova legge sul petrolio venisse approvata l'Eni-Agip parteciperebbe con i suoi pozzi di Nassiriya, alla pari delle altre compagnie straniere, alla grande abbuffata a scapito del popolo iracheno e lo farebbe indipendentemente dal colore politico del governo in carica in Italia, perché sì sa, gli affari sono affari. Ecco allora il motivo del nostro sostegno a questa campagna promossa da "Un ponte per": chiedere con forza all'Eni e al governo di non partecipare a questa rapina legalizzata, nel caso in cui la nuova legge sul petrolio venisse varata da un parlamento e da un governo iracheno succube di potenti forze esterne.

Personalmente non ci facciamo molte illusioni sulla moralità di una società come l'Eni, visto che fin dal 2004 è stata esclusa dagli indici per l’investimento socialmente responsabile "FTSE4Good", perché non soddisfaceva i criteri riguardanti i diritti umani che riguardano due gruppi di imprese a maggior rischio: quelle operanti nel campo delle risorse naturali, come petrolio, gas e miniere, e quelle che hanno una significativa presenza in Paesi con particolari problemi di rispetto dei diritti umani. (vedere qui)

Ma come a volte si dice: a forza di picchiare il chiodo....

Claudio Prandini
 

 

 

NON PROFITTIAMO DELLA GUERRA

Fonte web

Il Governo iracheno sta per approvare la nuova legge sul petrolio. Voluta dalle multinazionali energetiche, la legge modificherebbe sostanzialmente la politica seguita dall’Iraq dopo la nazionalizzazione del petrolio, consentendo enormi profitti a scapito dell’erario iracheno. E’ una legge scritta sotto la pressione dell’occupazione statunitense, escludendo i sindacati, gli esperti e lo stesso Parlamento iracheno, che acuirebbe le divisioni interne e priverebbe gli iracheni e le irachene di risorse economiche fondamentali per la ricostruzione del paese e l’indipendenza dagli istituti finanziari internazionali.

Whasinghton 1/2/06 Incontro con il direttore generale del ministero iracheno del petrolio (secondo da destra). Presenti Exxon, Shell, Chevron, ITIC e il dott. Caruso dell’ENI (primo da destra in seconda fila)

 

I lavoratori ed i sindacati dell’Iraq stanno facendo una dura battaglia per impedirne l’approvazione: autogestione delle istallazioni, scioperi, blocco delle esportazioni, conferenze aperte alla  cittadinanza per informare sulla legge e aprire una vertenza con il governo. E’ in corso una campagna internazionale in loro sostegno.

Ma il business del petrolio iracheno non è di esclusivo appannaggio delle multinazionali anglo-statunitensi e vede anche l’ENI pronta a firmare la sua fetta di contratti. Se l’ENI concludesse anche solo l’accordo per lo sfruttamento dei campi di Nassirya sulla base della nuova legge potrebbe ottenere sino a 6 miliardi di extraprofitti rispetto alle condizioni applicate in Iraq prima della guerra! Approfittare di questa legge equivale ad approfittare della guerra e delle sofferenze che sono state inferte alla popolazione irachena. Approfittare di questa legge vanificherebbe il  significato positivo del ritiro delle truppe deciso dal Governo Prodi e ridicolizzerebbe gli aiuti umanitari: si restituiscono briciole mentre si rapina la panetteria. Ma l’ ENI è anche nostra. Il 32% delle azioni sono detenute del Ministero dell’ Economia e Finanze a nome di tutti noi.

 

 

Per firmare online l’appello www.unponteper.it/sostienici/eni.php

Per scaricare questo volantino e il modulo per le firme: www.unponteper.it

Per maggiori informazioni: www.osservatorioiraq.it - www.basraoilunion.org

Per sostenere la campagna:

 Un ponte per… CCP 59927004 -Banca Etica 108080, abi 05018 cab 12100

 

 

 

Lavoratore iracheno del petrolio

 

 

CIÒ CHE STA ACCADENDO IN QUESTI MESI

NEL SILENZIO DEI MEDIA OCCIDENTALI

 

 

 

 

Il Governo Iracheno Scioglie I Sindacati.

Appello alla mobilitazione di "Un ponte per"

Fonte web

Il ministro del petrolio iracheno Hussein Shahrastani, utilizzando una legge fascista del 1987 del regime di Saddam Hussein, ha sciolto di fatto la federazione dei sindacati dei lavoratori del petrolio iracheno (Iraqi Federation of Oil Unions) ed i suoi 26.000 aderenti

La direttiva ordina che “A tutti i membri del sindacato deve essere impedito di partecipare a qualunque comitato [si fa riferimento agli organi di partecipazione dei lavoratori alla azienda], di avere accesso agli uffici e alle attrezzature delle aziende in quanto questi sindacati non sono legali nel settore pubblico.” La direttiva impone inoltre che siano prese le misure necessarie per la sua applicazione entro due settimane.

La direttiva viene dopo mesi di braccio di ferro tra la IFOU e il Governo Maliki nei quali il sindacato ha indetto lo sciopero del settore a sostegno della propria piattaforma e il Governo ha emesso un mandato di cattura per il presidente della IFOU, Hassan Al Jumaa, ed inviato l’esercito per interrompere lo sciopero. La IFOU si oppone alla proposta della nuova legge sul petrolio in quanto la ritiene lesiva degli interessi nazionali.

La legge 150 del 1987 che vieta la costituzione di organizzazioni sindacali nel settore pubblico era stata confermata dall' amministrazione Bremer con una ordinanza del 6 giugno 2003 e mai revocata dal Governo Maliki. Tuttavia sinora tale divieto era rimasto sulla carta di fronte allo sviluppo del movimento sindacale in Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein.

Essendo la gran parte dell' economia basata sul settore pubblico la implementazione della legge 150/87 corrisponde di fatto al divieto di organizzazione sindacale in gran parte dei posti di lavoro in flagrante violazione delle norme internazionali sul lavoro.

Un ponte per… fa appello alla società civile italiana, alle istituzioni e ai partiti politici affinché protestino con forza contro questa situazione inviando messaggi di protesta alla ambasciata dell’Iraq a Roma iraqembroma@yahoo.com e messaggi di solidarietà alla IFOU info@basraoilunion.org.
 

 

No alla schiavitù delle compagnie petrolifere, che

vogliono ipotecare il futuro del popolo  iracheno

 

 

 

 

Iraq, lavoratori del petrolio minacciano

lo sciopero a difesa dei loro sindacati

 

Osservatorio Iraq, 3 agosto 2007

Sale ancora la tensione fra i sindacati dei lavoratori del petrolio e il ministero, dopo la lettera con cui quest'ultimo ha ordinato a tutte le sue strutture di considerare illegali le organizzazioni sindacali del settore e qualunque organismo che ad esse faccia riferimento.

Dura la reazione del sindacato.

Hassan Jumaa Awad al Asadi, presidente della Iraqi Federation of Oil Unions (IFOU), che raggruppa oltre 26.000 lavoratori del settore petrolifero nelle quattro province del sud del Paese (Bassora, Maysan, Muthanna e Dhi Qar), ha detto che la federazione rifiuta l'ordinanza del ministero del Petrolio, "perché somiglia, nel contenuto, alla decisione del precedente regime che ha trasformato tutti i lavoratori in impiegati".

Il riferimento è alla Legge 150 – del 1987, ai tempi di Saddam Hussein - che proibiva ai dipendenti pubblici (di fatto la quasi totalità dei lavoratori iracheni) di organizzarsi in sindacati.

I lavoratori del settore petrolifero manifesteranno la loro opposizione con manifestazioni e l'astensione dal lavoro nei prossimi giorni, ha avvertito il sindacalista, citato [in arabo] dal quotidiano arabo al Sharq al Awsat.

Il 18 luglio scorso, il ministero del Petrolio, con una lettera a firma del suo Direttore Generale, Laith Abdul Hussein al Shahir, aveva ribadito che i sindacati dei lavoratori non hanno alcuna veste legale per operare nel settore pubblico, e non è quindi loro consentito "utilizzare sedi, strutture, o proprietà" delle società e istituzioni che dipendono dal ministero.

Ai direttori delle suddette istituzioni è stato dato un massimo di due settimane per dare attuazione all'ordinanza.

 

 

 

 

Il cappio delle compagnie petrolifere

sospeso sulla testa del popolo iracheno

 

 

 

 

Sondaggio: gli iracheni si oppongono ai

 piani di sviluppo petrolifero e alla

 nuova legge sul petrolio

Fonte web

Grazie a questo sondaggio per la prima volta normali cittadini iracheni si sono visti chiedere cosa ne pensano della bozza di legge sul riordino del settore degli idrocarburi, dopo che tale bozza è stata oggetto di aspre discussioni e trattative politiche per oltre un anno:

il 32% degli intervistati preferisce ‘fortemente’ che siano le compagnie di stato irachene a gestire l’immensa ricchezza petrolifera; il 31% è moderatamente a favore delle compagnie di stato, il 21% è moderatamente a favore della compagnie straniere e solo il 10% a favore delle compagnie straniere.

L’amministrazione americana sta facendo forti pressioni per far si che la legge passi inserendola tra i ‘benchmark’ che il governo iracheno deve soddisfare. Su questo punto si sono espressi più volte i massimi responsabili della Casa Bianca da Dick Cheney a Condoleeza Rice. Al centro della bozza di legge la proposta di dare alle compagnie straniere un ruolo primario nello sfruttamento dei pozzi con contratti che possono arrivare ai trent’anni di durata e l’ingresso di consulenti stranieri nel Consiglio del Gas e del Petrolio, organo che deciderà la strategia petrolifera del paese.

Inoltre il sondaggio svela che la maggior parte degli iracheni ritiene che non ci sia stata informazione su una legge così importante per il futuro del paese. Solo il 4% si sente infatti adeguatamente informata sulla bozza di legge presentata dal governo.

Il dato sulla mancata informazione è particolarmente significativo se pensiamo che le realtà informate sulla legge stanno dando vita ad una forte opposizione allargando sempre più la loro base di consenso, dentro e fuori il parlamento dando vita ad un’opposizione trasversale. Il mese scorso si sono aggiunti al coro dei contrari più di 100 esperti petroliferi iracheni, tra i quali 4 ex-ministri, con una lettera pubblica di dissenso al governo, mentre continua l’azione di informazione e di opposizione del sindacato di settore, la IFOU con i suoi 26.000 iscritti.

Ed è proprio contro questa realtà sindacale che si stanno concentrando le azioni repressive del governo attraverso il ministro del petrolio, Hussein al Sharistani, il quale con una direttiva ha ordinato che: “A tutti i membri del sindacato deve essere impedito di partecipare a qualunque comitato [si fa riferimento agli organi di partecipazione dei lavoratori alla azienda], di avere accesso agli uffici e alle attrezzature delle aziende in quanto questi sindacati non sono legali nel settore pubblico.” Impone inoltre che siano prese le misure necessarie per la sua applicazione entro due settimane.

La direttiva viene dopo mesi di braccio di ferro tra la IFOU e il Governo Maliki nei quali il sindacato ha indetto sciopero di settore a sostegno della propria piattaforma e contro la legge e il Governo ha emesso un mandato di cattura per il presidente della IFOU, Hassan Al Juma’a.
La dichiarazione di ‘illegalità’ della IFOU deriva dalla legge 150 del 1987 che vieta la costituzione di organizzazioni sindacali nel settore pubblico, confermata dall' amministrazione Bremer nel 2003 e mai revocata dai governi iracheni. Tuttavia tale divieto era rimasto sulla carta e non è un caso che venga invoca proprio ora e proprio contro la IFOU una delle realtà sindacali più forti e più impegnate nell’informare e nel creare opposizione alla legge.

Per vedere  le percentuali dl sondaggio cliccare qui

 

 

Il petrolio iracheno fa gola a molti

 

 

 

 

Iraq, intellettuali e professionisti al

governo: stop alla legge sul petrolio

 

di Ornella Sangiovanni - Osservatorio Iraq, 10 agosto 2007

 

Oltre 400 intellettuali e professionisti iracheni hanno firmato una lettera indirizzata al governo, in cui lo esortano a non andare avanti con il disegno di legge sul petrolio.

Lo riferisce l’agenzia di stampa Usa United Press International (UPI), che ha avuto una copia del documento da Issam Chalabi, un esperto petrolifero iracheno che è stato anche ministro del Petrolio.

I 419 firmatari della nuova lettera, che segue quella già inviata la scorsa primavera da 61 esperti iracheni di questioni petrolifere, e quella rivolta al Parlamento da 108 tecnocrati il mese scorso, sono “intellettuali e professionisti, tra cui accademici, medici, scrittori, ingegneri, avvocati, economisti, diplomatici, giornalisti, ex ministri, e alti funzionari”, ha detto Chalabi all’agenzia.

Il petrolio rappresenta la principale fonte di entrate per l’Iraq, fondamentale per il progresso, lo sviluppo, e la ricostruzione del Paese, dice il documento. Secondo i firmatari, l’attuale disegno di legge sugli idrocarburi smembrerà il settore petrolifero iracheno nazionalizzato, provocando gestione incompetente e un afflusso di investitori stranieri.

Sotto accusa anche il governo Maliki, definito succube alle pressioni dell’amministrazione Bush, che considera l’approvazione della legge sul petrolio e sul gas uno dei “parametri” per giudicare i progressi della situazione irachena e dell’esecutivo.

“E’ chiaro che il governo sta cercando di dare attuazione a una delle richieste dell’occupazione americana, e che con questo cerca di coprire la propria inettitudine nell’attuare qualunque dei suoi compiti politici, economici e di sicurezza”, si legge nella lettera.

Intanto il ministro del Petrolio Hussein al Shahristani, in visita a Mosca, ha precisato che nessuna compagnia petrolifera straniera otterrà un trattamento preferenziale nell’assegnazione dei contratti per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi, ma che tutte dovranno competere sul mercato attraverso gare d’appalto.

Il riferimento è in particolare alla Lukoil, la maggiore compagnia petrolifera privata russa, che nel 1997, ai tempi dell’embargo, aveva firmato un contratto per West Qurna, uno dei maggiori giacimenti iracheni.

Anche se il contratto era stato successivamente annullato dall’Iraq, nel dicembre 2002, per “inadempienze”, i russi sostengono che è ancora valido.

Durante la conferenza stampa tenuta il 9 agosto a Mosca, il ministro del Petrolio iracheno ha precisato che i giacimenti andranno alla compagnia petrolifera nazionale, che a sua volta “avrà il diritto di scegliere compagnie straniere sulla base di condizioni contrattuali”.

Tuttavia, secondo l’agenzia di stampa russa RIA Novosti, Shahristani avrebbe definito il contratto della Lukoil “sospeso”, non “annullato”.

E la compagnia russa partirebbe comunque avvantaggiata.

“La Lukoil è una grossa società, con una notevole esperienza di lavoro in Iraq, e considerevoli vantaggi tecnici, il che naturalmente aumenta le sue chance di aggiudicarsi le gare d’appalto libere e trasparenti per le risorse petrolifere irachene”, ha detto il ministro.

Si tratta di un bottino che fa gola a molti. West Qurna, infatti, è uno dei cosiddetti giacimenti petroliferi “giganti”.

Le stime sulle sue riserve sono salite a 16 milioni di barili, ha detto Shahristani, proprio durante la conferenza stampa nella capitale russa.

Tutte le compagnie petrolifere qualificate saranno invitate a partecipare alla corsa per aggiudicarsi i contratti in Iraq, ha annunciato il ministro, aggiungendo che le gare d’appalto potrebbero iniziare il mese prossimo.

Se il Parlamento avrà approvato la legge sul petrolio.

 

 

 

 

Iraq: situazione drammatica,

2 mila in fuga ogni giorno

 

Sfollati in Iraq - da ©UNHCR

Sfollati in Iraq - da ©UNHCR

In Iraq, un terzo della popolazione ha bisogno di aiuti d'emergenza a causa della crisi umanitaria provocata dalla guerra e dalla violenza in atto nel Paese. "A circa 8 milioni di persone servono urgentemente acqua, servizi fognari, cibo, e alloggio, mentre sono oltre 2 milioni - in maggioranza donne e bambini – quelli che sono stati costretti ad abbandonare le loro case, e ora vivono da sfollati all'interno dell'Iraq, senza un reddito su cui poter contare" - segnala il nuovo rapporto sulla situazione umanitaria in Iraq redatto dall''organizzazione internazionale Oxfam assieme al NGO Coordination Committee in Iraq (NCCI) – il coordinamento che raggruppa le Ong che operano in Iraq – e reso pubblico nei giorni scorsi. Lo studio – dal titolo "Rising to the Humanitarian Challenge in Iraq" (Essere all'altezza della sfida umanitaria in Iraq) - afferma che, nonostante la violenza armata sia la maggiore minaccia che oggi si trovano ad affrontare gli iracheni, la popolazione sta vivendo anche un'altra crisi "di portata e gravità allarmante", minacciata sempre più da malattie e malnutrizione.

La situazione dell’elettricità è drammatica e la rete è prossima al collasso: le province rifiutano di condividere l'elettricità in tutto il Paese e l'offerta soddisfa solo metà della domanda. A Baghdad, la fornitura di elettricità è stata sporadica per tutta l'estate e adesso è ridotta a poche ore al giorno. Anche la fornitura idrica nella capitale è stata gravemente limitata dalle interruzioni di ernergia e dai tagli che hanno colpito le stazioni di pompaggio e di filtraggio. La rete elettrica in Iraq è sull'orlo del collasso, a causa dei sabotaggi degli insorti, dell'aumento della domanda, delle carenze di carburante, e delle province, che stanno scollegando le centrali locali dalla rete nazionale, dicono alcuni funzionari.

Sono almeno due milioni gli iracheni che sono fuggiti all’estero in cerca di rifugio dalle violenze . "Due mila iracheni stanno fuggendo ogni giorno dalle loro case: è il più grande esodo di massa che si ricordi in Medio Oriente, e fa sembrare piccolo al confronto qualsiasi cosa si sia vista in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale" - riporta The Independent. Quattro milioni di persone, un iracheno su sette, sono scappate via, perché se non lo avessero fatto sarebbero state uccise. Due milioni hanno lasciato l'Iraq, per lo più per la Siria e la Giordania, e un egual numero è sfollato all'interno del Paese.

L'UNHCR sta avendo difficoltà a raccogliere i 100 milioni di dollari per i soccorsi: l'organizzazione afferma che i due Paesi che si stanno prendendo cura della maggior percentuale di rifugiati iracheni - Siria e Giordania - non hanno ancora ricevuto “quasi nulla dalla comunità internazionale". Secondo l'Alto Commissariato dell'Onu per i Rifugiati, circa 1,4 milioni di iracheni sono fuggiti in Siria, la Giordania ne ha accolti 750.000, mentre Egitto e Libano hanno visto 200 000 iracheni entrare nel loro territorio.

Il parlamento iracheno non è riuscito ad approvare la legge sul petrolio e sul gas prima della pausa estiva malgrado le forti pressioni di Washington. "Ma è tutt’altro che una cattiva notizia, dato che nel Paese si fa sempre più forte e diffusa l’opposizione a quella che oramai in molti considerano una minaccia significativa per gli interessi nazionali" - commenta 'Un ponte per...' che da tempo segue la vicenda a fianco dei sindacalisti locali e chiedendo all'Eni di non partecipare alla 'svendita' del petrolio iracheno. Il rinvio della decisione da parte dle parlamento iracheno rappresenta per l’Amministrazione Bush "una cosa seccante" - commenta Jonathan Steele su The Guardian "dato che essa aveva pubblicizzato tale approvazione come “parametro” nella sua battaglia per fare in modo che il Congresso non fissasse un calendario per il ritiro delle truppe Usa".

Nei giorni scorsi il Ministero del Petrolio iracheno aveva ordinato di "considerare illegali le organizzazioni sindacali del settore e qualunque organismo che ad esse faccia riferimento". Un fatto che ha provocato la protesta dei sindacati dei lavoratori del petrolio iracheni: Hassan Jumaa Awad al Asadi, presidente della Iraqi Federation of Oil Unions (IFOU), che raggruppa oltre 26.000 lavoratori del settore petrolifero nelle quattro province del sud del Paese (Bassora, Maysan, Muthanna e Dhi Qar), ha detto che la federazione rifiuta l'ordinanza del Ministero del Petrolio, "perché somiglia, nel contenuto, alla decisione del precedente regime che ha trasformato tutti i lavoratori in impiegati".

 

 

 

 

APPROFONDIMENTO

 

 

In Iraq si aggravano i blackout, mentre

la rete è prossima al collasso

 

 

Iraq, slitta a settembre la discussione

della legge sul petrolio
 

 

Iraq, "contractors" per proteggere gli italiani

 

SITO DELL'ORGANIZZAZIONE "Un ponte per"

 

 

OSSERVATORIO IRAQ