ESPIANTO D'ORGANI:

SIAMO SICURI CHE NON SIANO

OMICIDI LEGALIZZATI?

 

«Più tardi, quelli che la malattia o un incidente faranno cadere in un coma “irreversibile”, saranno spesso messi a morte per rispondere alle domande di trapianti d’organo o serviranno, anch’essi, alla sperimentazione medica (“cadaveri caldi”)». (Card. Joseph Ratzinger al concistoro straordinario del 1991)

 

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

INTRODUZIONE

 

"il saccheggio di un vivente"

 

Mi rendo conto del fatto che questo è un argomento delicato, di cui nessuno vuole veramente parlare, ma che dobbiamo affrontare se vogliamo essere liberi e con una coscienza che si lascia interrogare.

Anch'io prima di affrontare questo tema pensavo alla positività degli espianti,  ma dopo aver ascoltato la testimonianza della Signora Silvana Mondo (inserita come video in questo dossier), beh, qualche dubbio mi è sorto. Ad esempio: siamo sicuri che per coloro che sono considerati ormai irrecuperabili, e quindi preparati per l'espianto, non ci sia più niente da fare? Perché tanta fretta da parte dei medici nel dichiarare la morte celebrale del povero malcapitato per poter così togliere gli organi (tanto che anche l'Osservatore Romano ha sentito il bisogno di dedicarvi un articolo[1])?! Qual'è il giro d'affari in questo settore?

 

 

«Sbagliato trattare quelle

persone come cadaveri»

Fonte web

"Il telefono non ha smesso di squillare per tutta la giornata. Ma la foga con cui il professor Paolo Becchi, ordinario di Filosofia del diritto all’Università di Genova, difende le sue ragioni non si è consumata. Perché è stato il suo libro «La morte cerebrale e il trapianto di organi» a scatenare un putiferio ieri, ancora prima della pubblicazione dell’editoriale che lo cita sull’Osservatore romano.
Immaginava di scatenare questo polverone?
«Lo speravo da tempo. Da oltre dieci anni mi occupo dell’argomento e vengo trattato come un reazionario».
Cosa spiega nel suo libro?
«Metto in evidenza che la morte cerebrale è un’invenzione creata ad hoc a fini trapiantistici».
Non è una buona causa quella dei trapianti?
«Certo che lo è, ma quando si tratta di cadaveri».
Che vuole dire?
«Com’è possibile che si difenda l’embrione e non si difenda una persona che ha 37 gradi di temperatura corporea, che è rosea in volto, calda al tatto?».
Lei vuole dire che la morte cerebrale non è morte?
«Io dico che bisogna trovare una giustificazione etica ai trapianti. La giustificazione non è dire che quelle persone sono morte».
Non sarà condizionato da motivi religiosi?
«Mi considero un cattolico non praticante».
Una battaglia dura: lei polemizza con medici e Vaticano.
«Non voglio sparare sui medici né sul Vaticano tout court. Voglio solo mettere in luce le contraddizioni di questo sistema»".

 

 

 

 

 

 

 

 

MORTE CEREBRALE, MOSTRUOSITÀ

INVENTATA DALLA SCIENZA

di Massimo Fini - 11 Settembre 2008

La "morte cerebrale " è una mostruosità che solo la medicina moderna poteva inventarsi. Nacque il 5 agosto 1968 da un gruppo di medici di Harvard che pubblicò sul "Journal of American Medical Association" un rapporto in cui fissava il momento della morte non quando il cuore non batte più - com'era stato da che mondo è mondo - ma quando c'è la perdita irreversibile di ogni attività cerebrale e, contemporaneamente l'individuo non può respirare più in modo autonomo ma deve essere aiutato da dei macchinari. Il criterio è stato poi adottato da tutta, o quasi, la comunità scientifica internazionale. Il problema - spiega il professor Luigi Beretta al San Raffaele - nacque negli anni Sessanta "quando i medici si resero conto che le nuove tecniche di rianimazione potevano far ripartire il cuore e perciò hanno modificato il concetto di morte e introdotto quello di morte cerebrale ".

Detta così sembra che la "morte cerebrale " sia nata per ovviare, pietosamente, ad un'intrusione della medicina tecnologica. In realtà serviva per favorire la tecnica e la pratica degli espianti allora agli inizi. Ma la "morte cerebrale " è solo una convenzione, non è un fatto fisico inequivocabile come quando il cuore cessa di battere e con esso, tutte le funzioni vitali. Non è la vera morte. Tanto che per accertarla c'è bisogno di sofisticate apparecchiature (l'encefalogramma, l'angiografia e altre) mentre quando un uomo è morto sul serio lo si vede "ictu oculi" senza bisogno di tante indagini. E tanto più che spesso si tengono in vita (in vita) persone considerate "clinicamente morte" ai fini di espianto per potergli strappare organi ancora, appunto, vitali.

Per salvarsi l'anima gli scienziati fanno una distinzione fra l'individuo e il suo corpo. Nella "morte cerebrale " l'individuo non esisterebbe più ci sarebbe solo il suo corpo. Ma che distinzione è mai questa? L'uomo è il suo corpo, e quando il suo cuore batte e il sangue pulsa nelle vene è vivo. Nel 2002 c'è stato il caso di una donna incinta data per "clinicamente morta" che ha continuato a portare avanti la sua gravidanza.

Cosa significa tutto questo? Che quando i medici espiantano un organo ad un uomo morto solo per una convenzione, stabilita a loro uso, in realtà lo strappano ad una persona che è ancora viva. E non potrebbe essere diversamente perché se fosse veramente morta lo sarebbero anche i suoi organi che quindi non potrebbero essere più utilizzati per gli espianti e i trapianti. E questo è tanto più vero dato che, come si è ricordato, delle persone considerate ufficialmente morte vengono tenute artificialmente in vita per poter procedere all'espianto. I medici quindi quando espiantano gli organi non solo uccidono una persona ancora viva ma quando la tengono in vita artificialmente impedendo la morte naturale, la torturano, per ore, per giorni. Si dirà che espianti e trapianti servono a salvare altre vite.

Ma a parte che per ottenere questo risultato bisogna uccidere, dopo averli torturati, uomini vivi, a parte che a me sembra orribile essere costretti a sperare che un ragazzino di 14 anni si spacchi il cranio col suo motorino per salvare un uomo di 60, questa favorisce una cultura e una mentalità, già ampiamente presente nella società del benessere che ha stolidamente proclamato il diritto alla felicità, di non-accettazione della morte (che felicità ci può mai essere se poi, a conti fatti, sia pur con qualche dilazione, si muore lo stesso?). La morte (la morte biologica intendo, quella inevitabile) è stata rimossa, scomunicata, proibita, dichiarata pornografica, è "il Grande Vizio che non osa dire il suo nome", tanto che i media non ne parlano e preferiscono puntare pesantemente sulla medicina tecnologica che prima o poi ci guarirà da tutti i mali e, forse, ci renderà immortali. Ma questa rimozione di un evento comunque ineluttabile porta inevitabilmente con sè una paura della morta quale nessuna società del passato ha mai conosciuto in questa misura. E come diceva il vecchio e saggio Epicuro: "Muore mille volte, chi ha paura della morte ".
 

 

 

No al mercato degli organi umani


 

 

La merce finale

 

Ida Magli - Il Giornale 8 settembre 2008

Nella questione dei trapianti i punti controversi sono talmente gravi e numerosi che non si finirebbe  più di parlarne anche se la discussione fosse ammessa; in realtà, invece, esiste un ordine segreto ma inderogabile che vieta qualsiasi informazione sull’argomento, salvo qualche compiaciuta notizia che viene data su casi straordinari tesi a meravigliare l’opinione pubblica e a incitarla a mettere a disposizione senza remore tutti i corpi, quello proprio e quello dei familiari.

Questo è il primo dato sul quale bisogna riflettere: perché le Istituzioni vogliono a tutti i costi incrementare la pratica dei trapianti e hanno impostato fin dall’inizio una campagna pubblicitaria indirizzata a convincere i sudditi in modo che non li sfiori neanche il minimo indizio negativo? Quale interesse ha lo Stato? I trapianti sono autorizzati esclusivamente nelle strutture pubbliche, quindi la spesa enorme che comportano è a carico dei cittadini. 

Nessuna cifra, però, viene mai allo scoperto. Cifre spaventose, comunque, anche se non ne conosciamo l’entità perché non riguardano soltanto i numerosi fallimenti (i trapianti di midollo, per esempio, vengono ripetuti più volte e non sempre riescono), ma soprattutto a causa dell’incremento di malattie genetiche le quali ovviamente non guariscono con il trapianto. E’ il caso di molte cardiopatie: gli individui trapiantati mettono al mondo dei figli a loro volta bisognosi di trapianto. In Italia esistono ormai le terze e le quarte generazioni di portatori di trapianto cardiaco e nessuno si sogna neanche di esortarli almeno a non procreare: altro che “dono”…non c’è mondo più egoista di quello dei trapianti.

“Merce finale” l’ha chiamata Giovanni Berlinguer - un medico dalla coscienza trasparente e della cui sapienza marxista nessuno può dubitare - in un saggio dedicato alla “compravendita di parti del corpo umano” uscito ormai oltre dieci anni fa (Baldini & Castoldi, 1996). Non fece scalpore allora, ma continuano a non fare scalpore neanche oggi le notizie che pure si susseguono ogni giorno sul crimine più infame che l’umanità abbia mai compiuto: bambini, bambine, ragazze, rapiti e uccisi per rifornire di organi palpitanti il mercato dei trapianti. Per non parlare degli adulti, povere donne soprattutto, che in India vendono un rene per pochi dollari (condannandosi così ad una morte precoce per l’impossibilità di sopravvivere con un solo rene alle gravidanze). Come mai nessuno inorridisce? 

Ogni volta che si è tentato di portare alla luce gli atroci segreti della “merce finale”, le notizie sono sprofondate subito nel più complice dei silenzi. Perfino quando hanno alzato la voce i missionari e le missionarie in Africa e in Brasile; perfino quando, come pochi giorni fa, sono stati i Vescovi a denunciare questi delitti tramite l’Osservatore Romano, quotidiano ufficiale della Santa Sede, non è successo nulla. Noi dobbiamo per forza chiederci: perché, perché? Cosa si nasconde dietro i trapianti? Come mai non vengono denunciati i tanti  chirurghi, i tanti anestesisti che sono indispensabili per tali operazioni e che uccidono prelevando organi bambini rapiti in ogni parte del mondo, o che, come minimo, tacciono sull’origine degli organi che trapiantano? Sia ben chiaro: occorrono strutture adeguate, camere sterili, strumentazione apposita, laboratori di analisi, assistenza e farmaci per i pazienti, tutte cose che sicuramente sono in molti a conoscere. La motivazione economica non è sufficiente a spiegare una complicità così estesa e che coinvolge, anche soltanto con il silenzio, medici, giornalisti, politici, sacerdoti, poliziotti, nel crimine  più efferato, più sconvolgente che sia possibile immaginare.  
 
Stefano Lorenzetto ha messo in luce, nell’articolo pubblicato sul Il Giornale del 4 settembre scorso, molti punti controversi nella questione dei trapianti e, più importante di tutti, il problema della morte cerebrale. E’ inutile girarci intorno: la definizione di morte cerebrale è una convenzione indispensabile al prelievo di organi ed è stata fissata a questo unico scopo. Non mi soffermo su tutti gli interrogativi che Lorenzetto ha già esposto in modo chiarissimo. La mia domanda è sempre la stessa: perché? Perché tutte le istituzioni hanno abbracciato con tale entusiasmo la definizione di morte cerebrale? 

Perché la Chiesa, perché Karol Wojtyla ha dato il massimo impulso alla pratica dei  trapianti presiedendo il Convegno organizzato appositamente al Gemelli? E’stato in quella occasione che Wojtyla ha messo la parola fine ad ogni discussione rifiutandosi di far conoscere la lettera che centinaia di cardiologi ed anestesisti cattolici gli avevano mandato dall’America proprio  per motivare pubblicamente il loro rifiuto della “morte cerebrale”.

Torno a chiedere: perché? Togliendo qualsiasi significato trascendente alla morte, la Chiesa ha compiuto un errore gravissimo, forse irreparabile. E’ sulla “morte” che sono state create le religioni, sull’al di là della morte che si fonda l’idea di Dio. Il trapianto di organi, nella sua brutale concretezza, ha tolto qualsiasi sacralità alla morte; e ha cancellato la trascendenza presente, con il suo immenso mistero, nel corpo del defunto. Ci si lamenta del “materialismo” del nostro tempo: l’utilizzazione come pezzi di ricambio dei corpi degli altri ne è la massima prova. Nessun materialismo può andare più in là di così. Né lo si camuffi con la terminologia del “dono”: il soggetto agente è quello che “ti pensa” come pezzo di ricambio, che “ti vede” come pezzo di ricambio, che ti utilizza come pezzo di ricambio

 

 

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Quei dubbi sulla morte

censurati da 40 anni

 

di Stefano Lorenzetto - 4 Settembre 2008

È giusto dichiarare una persona morta in base a una legge che ha lo scopo di favorire i trapianti? Un quesito spesso ignorato dalla stampa.
A me pare che il vero scandalo sia questo: c’è voluto un quotidiano straniero (L’Osservatore Romano), diretto da un docente universitario di filologia patristica prestato al giornalismo (Giovanni Maria Vian), per porre con forza l’interrogativo che da 40 anni viene censurato dagli organi d’informazione italiani: è giusto dichiarare morta una persona in base a una convenzione di legge che ha il solo scopo di favorire i trapianti d’organo? Perciò dobbiamo essere grati a Lucetta Scaraffia, componente del Comitato nazionale di bioetica, che s’è assunta questa scomoda incombenza sulla prima pagina del foglio vaticano e ora deve sopportare il peso delle critiche e degli insulti.

Avrebbe potuto esprimere la sua posizione impopolare dalle pagine del Corriere della Sera, al quale pure collabora insieme col marito Ernesto Galli della Loggia. Non è un caso se ha deciso invece di affidarla al giornale del Papa. Questo Papa. Perché, come ha ricordato lei stessa nell’articolo, fu proprio l’allora cardinale Joseph Ratzinger, in una relazione sulle minacce alla vita umana tenuta durante il concistoro straordinario del 1991, a dire: «Più tardi, quelli che la malattia o un incidente faranno cadere in un coma “irreversibile”, saranno spesso messi a morte per rispondere alle domande di trapianti d’organo o serviranno, anch’essi, alla sperimentazione medica». Il futuro pontefice li chiamò, in quell’occasione, «cadaveri caldi».

Temo d’essere stato l’involontario catalizzatore dell’articolo sul giornale della Santa Sede. Giusto una settimana fa ho partecipato con l’autrice e con il professor Edoardo Boncinelli a un dibattito di Cortina Incontra che verteva proprio su questo tema, Tra la vita e la morte. La professoressa Scaraffia ha parlato soprattutto dell’aborto. Io mi sono permesso di scandalizzare l’attento uditorio ampezzano con alcune provocazioni sulla morte cerebrale. La consonanza d’opinioni, fra lei e me, alla fine m’è sembrata totale. Il padre di mio padre fu dichiarato morto quando il suo cuore si fermò, l’alito non appannò più uno specchio, il corpo cominciò a perdere tepore e a irrigidirsi. Ma nel 1968 la Harvard medical school concepì un nuovo criterio: si è morti quando muore il cervello. Del resto bisognava pur dare copertura giuridica a un chirurgo sudafricano, Christian Barnard, che qualche mese prima aveva eseguito il primo trapianto di cuore.

Purtroppo tutti gli organi, a eccezione delle cornee, hanno questo di brutto: per poter essere trapiantati vanno tolti dal corpo del «donatore» mentre il cuore di questi batte, il sangue circola, la pelle è rosea e calda, i reni secernono urina, un’eventuale gravidanza prosegue, tanto da rendere necessaria la somministrazione di farmaci curarizzanti per impedire spiacevoli reazioni quando il chirurgo affonda il bisturi. Vi paiono cadaveri, questi? Sì, assicurano i trapiantisti. No, stabilisce una legge dello Stato: infatti «per cadavere si intende: “Il corpo umano rimasto privo delle funzioni cardiorespiratoria e cerebrale”» (circolare del ministero della Sanità 24 giugno 1993, n. 24).

Prima contraddizione. Chiesi al professor Vittorio Staudacher, pioniere della chirurgia, come mai ai parenti delle vittime venisse taciuto che il «cadavere» del loro caro tale non era, visto che la funzione cardiorespiratoria è conservata. Mi rispose (aveva ormai 90 anni e non operava più): «Perché è terribile. Per non impressionare la gente. Sembrerebbe il saccheggio di un vivente». Collimava con quanto dichiarato sette anni prima dall’allora presidente dell’Associazione internazionale di bioetica, Peter Singer, assertore del principio per cui è da considerarsi persona solo chi è cosciente: «La gente ha abbastanza buon senso da capire che i “morti cerebrali” non sono veramente morti. La morte cerebrale non è altro che una comoda finzione. Fu proposta e accettata perché rendeva possibile il procacciamento di organi». Molteplici studi convergono sul fatto che solo il 10 per cento delle funzioni encefaliche è stato sinora esplorato. Più ottimista, il professor Enzo Soresi, autore de Il cervello anarchico (Utet), di recente mi ha detto: «Sul piano anatomico e biologico sappiamo intorno al 70 per cento. Ma sulla coscienza? Qui si apre il mondo».

Allora come fa la scienza a dichiarare morto, cessato, finito un mondo di cui per sua stessa ammissione conosce poco per non dire nulla? Seconda contraddizione. Vogliamo parlare delle modalità di accertamento della morte cerebrale? Nel 1975 la legge fissava in 12 ore il periodo d’osservazione obbligatorio prima che il collegio medico potesse autorizzare l’espianto degli organi. Nel 1993 il presidente Oscar Luigi Scalfaro dimezzò i tempi: 6 ore. Dopodiché, se l’elettroencefalogramma risulta «piatto», si procede all’espianto. Un decreto del ministero della Sanità autorizza persino il personale tecnico a eseguire questo esame decisivo. Perché tanta fretta che mal si concilia con la tutela dell’individuo e dei suoi familiari? Terza contraddizione.

Il 1° aprile 1999 è entrata in vigore la legge n. 91 che impone al cittadino di «dichiarare la propria libera volontà in ordine alla donazione di organi». La mancata dichiarazione «è considerata quale assenso alla donazione». È passato cioè il principio del silenzio-assenso che fa di ciascun (ignaro) cittadino un donatore, salvo esplicita opposizione. Ma in che modo va espressa tale contrarietà? Il ministro della Salute era tenuto a emanare, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge, un decreto che lo determinasse. Sono passati quasi 10 anni, si sono succeduti sei ministri, ma quel decreto non s’è mai visto. In compenso si sono visti un illegale tesserino blu inventato da Rosy Bindi; moduli prestampati con i quali Asl e ospedali inducono i cittadini a barrare il «sì» o il «no»; tessere sanitarie regionali che comprendono una sezione per la manifestazione di volontà all’espianto-trapianto; persino tessere comunali di donazione diffuse con la carta d’identità.

Insomma, il Far West. A chi giova questa zona d’ombra se tutto deve avvenire alla luce del sole? Quarta contraddizione. Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti, sostiene che in 40 anni i criteri di accertamento della morte cerebrale «non sono mai stati messi in discussione dalla comunità scientifica e vengono applicati in tutti i Paesi scientificamente avanzati». Ma non in Giappone. È da considerarsi un Paese scientificamente arretrato, il Giappone?

Quinta contraddizione. «I dubbi ci sono sempre stati», concede, bontà sua, Nanni Costa, «ma solo da parte di frange minoritarie, che fanno critiche di carattere non scientifico». Cito un nome fra i tanti: il professor Nicola Dioguardi, emerito di medicina interna dell’Università di Milano, ha pubblicamente condannato il concetto di morte cerebrale. È da considerarsi un critico ascientifico, l’illustre professor Dioguardi? Sesta contraddizione. La verità è che una potentissima lobby da 40 anni ha tolto a queste frange minoritarie persino il diritto di parola. La professoressa Lucetta Scaraffia gliel’ha restituito sul giornale del Papa. Un pulpito qualificato, direi, per una predica sulla vita e sulla morte. Basta volerla ascoltare senza pregiudizi.

 

 

 

Attenti a non perdere un rene!

 

 

 

APPROFONDIMENTO

 

segni della morte, di LUCETTA SCARAFFIA

(Articolo dell'Osservatore Romano - 3 settembre 2008)

Quarant'anni fa, verso la fine dell'estate del 1968, il cosiddetto rapporto di Harvard cambiava la definizione di morte basandosi non più sull'arresto cardiocircolatorio, ma sull'encefalogramma piatto: da allora l'organo indicatore della morte non è più soltanto il cuore, ma il cervello.
Si tratta di un mutamento radicale della concezione di morte - che ha risolto il problema del distacco dalla respirazione artificiale, ma che soprattutto ha reso possibili i trapianti di organo - accettato da quasi tutti i Paesi avanzati (dove è possibile realizzare questi trapianti), con l'eccezione del Giappone.
Anche la Chiesa cattolica, consentendo il trapianto degli organi, accetta implicitamente questa definizione di morte, ma con molte riserve: per esempio, nello Stato della Città del Vaticano non è utilizzata la certificazione di morte cerebrale.
A ricordare questo fatto è ora il filosofo del diritto Paolo Becchi in un libro (Morte cerebrale e trapianto di organi, Morcelliana) che - oltre a rifare la storia della definizione e dei dibattiti seguiti negli anni Settanta, tra i quali il più importante è senza dubbio quello di cui fu protagonista Hans Jonas - affronta con chiarezza la situazione attuale, molto più complessa e controversa.
Il motivo per cui questa nuova definizione è stata accettata così rapidamente sta nel fatto che essa non è stata letta come un radicale cambiamento del concetto di morte, ma soltanto - scrive Becchi - come "una conseguenza del processo tecnologico che aveva reso disponibili alla medicina più affidabili strumenti per rilevare la perdita delle funzioni cerebrali".
La giustificazione scientifica di questa scelta risiede in una peculiare definizione del sistema nervoso, oggi rimessa in discussione da nuove ricerche, che mettono in dubbio proprio il fatto che la morte del cervello provochi la disintegrazione del corpo.
Come dimostrò nel 1992 il caso clamoroso di una donna entrata in coma irreversibile e dichiarata cerebralmente morta prima di accorgersi che era incinta; si decise allora di farle continuare la gravidanza, e questa proseguì regolarmente fino a un aborto spontaneo.
Questo caso e poi altri analoghi conclusi con la nascita del bambino hanno messo in questione l'idea che in questa condizione si tratti di corpi già morti, cadaveri da cui espiantare organi.
Sembra, quindi, avere avuto ragione Jonas quando sospettava che la nuova definizione di morte, più che da un reale avanzamento scientifico, fosse stata motivata dall'interesse, cioè dalla necessità di organi da trapiantare.
Naturalmente, in proposito si è aperta nel mondo scientifico una discussione, in parte raccolta nel volume, curato da Roberto de Mattei, Finis vitae. Is brain death still life? (Rubbettino), i cui contributi - di neurologi, giuristi e filosofi statunitensi ed europei - sono concordi nel dichiarare che la morte cerebrale non è la morte dell'essere umano.
Il rischio di confondere il coma (morte corticale) con la morte cerebrale è sempre possibile.
E questa preoccupazione venne espressa al concistoro straordinario del 1991 dal cardinale Ratzinger nella sua relazione sul problema delle minacce alla vita umana:

"Più tardi, quelli che la malattia o un incidente faranno cadere in un coma "irreversibile", saranno spesso messi a morte per rispondere alle domande di trapianti d'organo o serviranno, anch'essi, alla sperimentazione medica ("cadaveri caldi")".

Queste considerazioni aprono ovviamente nuovi problemi per la Chiesa cattolica, la cui accettazione del prelievo degli organi da pazienti cerebralmente morti, nel quadro di una difesa integrale e assoluta della vita umana, si regge soltanto sulla presunta certezza scientifica che essi siano effettivamente cadaveri.
Ma la messa in dubbio dei criteri di Harvard apre altri problemi bioetici per i cattolici: l'idea che la persona umana cessi di esistere quando il cervello non funziona più, mentre il suo organismo - grazie alla respirazione artificiale - è mantenuto in vita, comporta una identificazione della persona con le sole attività cerebrali, e questo entra in contraddizione con il concetto di persona secondo la dottrina cattolica, e quindi con le direttive della Chiesa nei confronti dei casi di coma persistente.
Come ha fatto notare Peter Singer, che si muove su posizioni opposte a quelle cattoliche:

"Se i teologi cattolici possono accettare questa posizione in caso di morte cerebrale, dovrebbero essere in grado di accettarla anche in caso di anencefalie".

Facendo il punto sulla questione, Becchi scrive che "l'errore, sempre più evidente, è stato quello di aver voluto risolvere un problema etico-giuridico con una presunta definizione scientifica", mentre il nodo dei trapianti "non si risolve con una definizione medico-scientifica della morte", ma attraverso l'elaborazione di "criteri eticamente e giuridicamente sostenibili e condivisibili".
La Pontificia Accademia delle Scienze - che negli anni Ottanta si era espressa a favore del rapporto di Harvard - nel 2005 è tornata sul tema con un convegno su "I segni della morte".
Il quarantesimo anniversario della nuova definizione di morte cerebrale sembra quindi riaprire la discussione, sia dal punto di vista scientifico generale, sia in ambito cattolico, al cui interno l'accettazione dei criteri di Harvard viene a costituire un tassello decisivo per molte altre questioni bioetiche oggi sul tappeto, e per il quale al tempo stesso costa rimettere in discussione uno dei pochi punti concordati tra laici e cattolici negli ultimi decenni.

 

Osservatore Romano riapre il dibattito:

"La morte cerebrale non è sufficiente"
 

«L’idea che la persona umana cessi di esistere quando il cervello non funziona più, mentre il suo organismo - grazie alla respirazione artificiale - è mantenuto in vita, comporta una identificazione della persona con le sole attività cerebrali, e questo entra in contraddizione con il concetto di persona secondo la dottrina cattolica».

 

QUELLO CHE NON TI HANNO DETTO

Non ti hanno detto che l'espianto di organi quali cuore, fegato, polmoni, reni, ecc., si effettua solo e sempre da persona in coma, con respirazione aiutata, e non da cadavere freddo e rigido come tutti intendiamo. La persona viene incisa dal bisturi mentre il suo cuore batte, il sangue circola, il corpo è roseo e tiepido, urina, può muovere gambe, braccia, tronco, ecc... Le donne gravide portano avanti la gravidanza. Non è vero che prima si interompa la ventilazione e che poi, a cuore e respiro fermi, si inizi il prelievo, ma è proprio l'opposto. Gli organi vengono tolti da persona che ha perso la coscienza le cui reazioni alla sofferenza prodotta dall'espianto sono impedite da farmaci paralizzanti o da anestetici.

 

Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi

e la Morte a Cuore Battente

 Nata nel 1985