LIBIA:

TRAGEDIA O LIBERAZIONE?

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

L'ultimo messaggio di Gheddafi a Berlusconi. In una lettera dello scorso 5 agosto fatta recapitare a Palazzo Chigi dai manager di Hostessweb (l’agenzia di ragazze che animarono le ultime visite del colonnello in Italia) il rais chiedeva al premier italiano di fermare i bombardamenti della Nato sul suo Paese. «Caro Silvio - si legge nella bozza della missiva pubblicata dal sito internet del settimanale francese Paris Match - sono rimasto sorpreso per l’atteggiamento di un amico con cui ho concluso un trattato di amicizia favorevole ai nostri due popoli. Avrei sperato che da parte tua ti interessassi almeno ai fatti e che tentassi una mediazione prima di dare il tuo sostegno a questa guerra».

 

 

INTRODUZIONE

I veri motivi per l’eliminazione di Gheddafi

Fonte web - Massimo Mazzucco

In questo breve servizio, Russia Today si interroga sui motivi che hanno portato al rovesciamento di Gheddafi da parte della NATO, e suggerisce che il vero pericolo da lui rappresentato fosse il suo progetto di introdurre un “gold-standard” africano, legando nel contempo la nuova moneta al prezzo del petrolio.

TESTO IN ITALIANO:

ANNUNCIATORE: Circolano nuove domande sui motivi dell’intervento NATO in Libia. Come ci dice la corrispondente di RT, Laura Emmet, l’organizzazione potrebbe aver cercato di impedire a Gheddafi di seppellire il dollaro americano.

LAURA EMMETT: Alcuni credono che l’attacco della NATO alla Libia sia stato fatto per proteggere i civili.

DAVID CAMERON: Non dobbiamo tollerare che questo regime usi l’esercito contro la propria gente.

LAURA EMMETT: Altri dicono che il motivo è il petrolio.

RICHARD CELENTE: L’unico motivo per cui sono interessati alla Libia è il petrolio. Pensate che oggi saremmo in Iraq se la loro esportazione principale fossero i broccoli?

LAURA EMMETT: Ma c’è anche chi è convinto che l’intervento in Libia sia dovuto a questioni di valuta, ed in particolare al progetto di Gheddafi di introdurre il dinaro d’oro, una moneta unica per tutta l’Africa, fatta in oro, il vero parametro della ricchezza.

JAMES THRING: E’ una di quelle cose che devi pianificare quasi in segreto, perchè nel momento in cui annunci che vuoi passare dal dollaro a qualcos’altro entri subito nel mirino. Ci sono state due conferenze su questo argomento, nel 1996 e nel 2000, chiamate World Mathaba Conference, organizzate da Gheddafi. Erano tutti interessati, e penso che la maggioranza dei paesi africani fosse favorevole.

LAURA EMMETT: Gheddafi non ha mai rinunciato all’idea. Nei mesi che hanno preceduto l’intervento militare ha invitato gli stati africani e musulmani ad unirsi per creare questa nuova moneta, in competizione con il dollaro e con l’euro. Avrebbero venduto il petrolio e le altre risorse a tutto il mondo, solamente in cambio di dinari d’oro.

Una tale idea farebbe cambiare gli equilibri economici mondiali. La ricchezza di un paese dipenderebbe dalle quantità d’oro che possiede, e non dai dollari che scambia. E la Libia possiede 144 tonnellate di oro. Il Regno Unito ne ha il doppio, ma ha una popolazione dieci volte maggiore.

ANTHONY WILE: Se Gheddafi aveva l’intenzione di cambiare il prezzo del petrolio, e di qualunque altra cosa il paese vendesse sui mercati globali, accettando qualcosa di diverso come moneta, oppure introducendo il dinaro d’oro, una mossa di quel tipo non sarebbe stata certo gradita alle attuali elite di potere, che sono incaricate di gestire le banche centrali nel mondo. Quindi è chiaro che una cosa del genere avrebbe causato la sua eliminazione immediata, insieme alla necessità di creare altre motivazioni per rimuoverlo dal potere.

LAURA EMMETT: È già accaduto altre volte. Nel 2000, Saddam Hussein aveva annunciato che il petrolio iracheno sarebbe stato venduto in euro, non in dollari. C’è chi dice che le sanzioni e la susseguente invasione siano nate dal fatto che gli americani volessero impedire ad ogni costo che l’OPEC adottasse l’euro nel mercato del petrolio per tutti i suoi paesi membri.

L’oro inglese è depositato in un caveau di sicurezza da qualche parte sotto la Banca d’Inghilterra. Come nella maggioranza dei paesi moderni, non ce n’è abbastanza da metterlo in circolazione per tutti. La cosa è diversa nei paesi come la Libia e molti stati del Golfo. Il dinaro d’oro metterebbe le nazioni africane e mediorientali ricche di petrolio in grado di dire ai loro clienti assetati di energia: “Spiacenti, ma il prezzo è salito, e vogliamo essere pagati in oro”.

C’è chi dice che gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO non avrebbero letteralmente potuto permettere una cosa del genere.

 

 

Gheddafi e Berlusconi prima del tradimento di quest'ultimo

 

Berlusconi-Gheddafi: storia di un'amicizia

 

 

Gheddafi è morto, ma la Libia non è ancora nata

Ucciso dai miliziani del Cnt a Sirte, città natale del

Colonnello, il rais è stato portato a Misurata

Fonte web

Quello che resta di quaranta anni di potere è un corpo, ferito, rigirato nella polvere. La morte di Gheddafi, dopo i dubbi delle prime ore, è confermata dal Consiglio Nazionale di Transizione (Cnt), l'autoproclamato organo di governo provvisorio degli insorti libici. La Nato, per ora, non conferma. E non offre la sua ricostruzione degli avvenimenti, cosa che non chiarisce se il raid decisivo per l'uccisione del Colonnello Gheddafi abbia visto o meno protagonisti i caccia bombardieri dell'Alleanza Atlantica.

Le uniche informazioni che si hanno per il momento, a parte il video trasmesso da al-Jazeera e poi da tutti gli altri, dove Gheddafi ricorda il Mussolini di piazzale Loreto, parlano della salma in viaggio per Misurata. Sarà portato in un luogo segreto. Secondo le informazioni frammentate, Gheddafi si nascondeva sottoterra. In un bunker, per alcuni, in una cantina per altri. Secondo altri ancora in fuga su un convoglio che ha tentato (ancora Mussolini) la fuga all'ultimo secondo. Sarebbe stato ferito durante la cattura, avrebbe implorato pietà, morendo poco dopo per le ferite riportate. E sollevando insorti e alleati Nato dalla gestione di un prigioniero scomodo, che avrebbe fatto del Tribunale Penale Internazionale dell'Aja che lo attendeva una tribuna politica molto scomoda per tutti coloro che in questi quaranta anni lo hanno sostenuto e finanziato.

Gheddafi è morto, dunque, ma sono tante le questioni che la sua scomparsa non risolve. In primo luogo quello della guerra nel Paese nord africano. La più semplice interpretazione sarebbe quella di immaginare un pugno di lealisti, irriducibili e fedeli fino alla morte al Colonnello, che adesso deporranno le armi. Non è così. Le tribù di Sirte, città natale di Gheddafi, non sono state fedeli tanto alla persona del Colonnello, quanto al potere che per mezzo di lui hanno esercitato per anni. I proventi del petrolio come un bancomat, migliaia di notabili hanno cogestito il potere con il Colonnello e hanno combattuto, e combatteranno ancora, per difendere la loro vita. Non è prevista, nella Libia di oggi, una via di mezzo. Chi vince non farà prigionieri e chi perde non si aspetta un finale differente dalla lotta fino all'ultimo sangue.

Difficile stabilire quanto tutto questo possa andare avanti. Le riserve di denaro contante e di armi che Gheddafi ha portato con sé a Sirte, dopo che un numero imprecisato di paesi gli hanno rifiutato l'asilo, non sono quantificabili. Di sicuro il controllo di Sirte e Bani Walid chiude la fase ufficiale del conflitto, con i governi membri della Nato che si sono affrettati a dichiarare praticamente finita la missione internazionale. Soddisfatti, evidentemente, della fine del nemico. Ma l'aspetto bellico vivrà ancora i suoi titoli di coda, che non hanno un esito scontato. Le divisioni tra gli insorti, in questi mesi solo accennati, si riveleranno in tutta la loro complessità. Un esempio è proprio il fatto che il corpo del rais viene portato a Misurata, città martire di questo conflitto. I suoi combattenti si sono guadagnati un posto di rilievo in questa rivoluzione e non hanno alcuna voglia di cedere il passo - senza una succosa contropartita di potere - al gruppo di potere di Bengasi. Il tutto condito dalla presenza di armi ovunque, nel Paese.

Un'altro aspetto che la morte di Gheddafi non chiarisce è di sicuro quello del ruolo della rivolta in Libia all'interno del più vasto movimento ormai battezzato 'primavera araba'. Sarebbe un grave errore ritenere quello che è accaduto in Libia simile alle rivolte popolari in Egitto e Tunisia. Mubarak e Ben Alì non sarebbero mai finiti come Gheddafi, per il semplice motivo che i movimenti egiziani e tunisini sono legati al ruolo svolto dalla forze armate. Che, ritenuti ormai indifendibili i dittatori, di fronte alla pressione popolare spontanea e appoggiata dall'estero, li hanno messi da parte. Nessuno, però, avrebbe accettato che Mubarak e Ben Alì finissero così. La guerra in Libia, dal primo momento, è stata una guerra decisa altrove. Finanziata attraverso la fornitura di armi ai ribelli, preparata con l'acquisto del voltafaccia di una serie di ex sodali di Gheddafi. Quando il rais, dopo essere faticosamente - nel 2003 - rientrato nel novero degli amici dell'Occidente, ha ancora una volta cambiato opinione rispetto ai rapporti con Europa e Nord America, è stato deposto.

Oggi inizia la nuova Libia? No, oggi potrebbe essere il giorno nel quale nasce la Libia, che fino a oggi non è mai esistita. Una colonia per secoli, dagli antichi romani ai turchi, fino alla conquista degli italiani. Un gruppo di tribù senza legami, uniti a forza sotto una bandiera. Poi la guerra e la monarchia fantoccio, rovesciata dal golpe di Gheddafi nel 1969. Ecco che per la prima volta il popolo che abita quella terra, senza una società civile (altro elemento di fondamentale differenza da Egitto e Tunisia) dovrà essere capace di gestire il proprio futuro.

Come insegnano l'Iraq e l'Afghanistan, però, l'aiuto occidentale non è mai a costo zero. Proprio nei giorni che hanno preceduto la morte di Gheddafi, senza che se ne parlasse troppo, il Cnt si è diviso e infiammato in una polemica rovente, sulla questione dei contractors. Veniva chiesto loro, infatti, di ratificare accordi con le compagnie di sicurezza privata, ma alcuni esponenti del Cnt hanno rifiutato. Gesto interessante, ma che rende l'idea di come la Nato va via per lasciare il posto a una serie di interessi che adesso sono tutti da valutare.

Tanti dubbi, quindi. Mentre di Gheddafi restano solo immagini di un corpo trattato senza pietà. Un corpo, però, che da tempo era solo un simulacro. Del giovane ufficiale di meno di trenta anni, affascinante e determinato, capace di guidare una rivoluzione e di affascinare il mondo con i suo socialismo eretico non restava - da tempo - più nulla. Il fantoccio eccentrico, sempre più smarrito tra i suoi continui cambi di rotta, capace di dichiarasi panafricanista ma di trattare i neri come animali da macello, non aveva più nulla in comune con l'uomo divenuto un'icona negli anni Sessanta.

Resta un rapporto speciale con l'Italia che, adesso, potrebbe essere oggetto di una riflessione approfondita. L'espulsione degli italiani nel 1970 e i il ruolo (passivo) nella strage di Ustica. I missili contro Lampedusa e i migranti usati come un'arma. I risarcimenti per il periodo coloniale e l'esame del Dna per i cittadini delle Tremiti, dove erano stati confinati i libici durante il colonialismo italiano. Una storia di violenze e di eccessi, fin dall'arrivo al potere di Gheddafi, caratterizzata da patti di amicizia firmati da governi di centrodestra e centrosinistra. Senza differenze e senza dignità. ''Sic transit gloria mundi'', ha commentato Berlusconi, interrogato sulla morte del vecchio amico. Purtroppo, oltre alla gloria, in Italia passa in fretta anche la memoria.

 

 

Le milizie degli insorti in Libia hanno commesso "serie violazioni dei diritti umani" e "probabilmente anche crimini di guerra", ma il Consiglio nazionale transitorio (Cnt) "ha mostrato riluttanza a ritenerle responsabili".

È la denuncia che Amnesty International fa nel suo rapporto sulla situazione in Libia, nel quale chiede al Cnt di intraprendere azioni affinché venga messa fine all'abuso dei diritti umani contro gli uomini dell'ex leader Muammar Gheddafi.

"I miliziani dell'opposizione e i loro sostenitori - si legge nel rapporto - hanno rapito, arrestato in modo arbitrario e ucciso ex membri delle forze di sicurezza, sospetti lealisti di Gheddafi, catturato soldati e cittadini stranieri erroneamente sospettati di essere mercenari che combattevano al soldo delle forze di Gheddafi".

Nel documento si fa riferimento al linciaggio di africani sospettati di essere mercenari che combattevano dalla parte di Gheddafi, così come agli omicidi per vendetta e alle torture compiute nei confronti di alcuni soldati di Tripoli catturati.

 

 

Il linciaggio di Muammar Gheddafi

Fonte web

La morte di Muammar Gheddafi è stata accolta da una esplosione di gioia nei palazzi dei governi occidentali, in assenza del popolo libico. Per Thierry Meyssan, questo omicidio militarmente inutile, non è stato perpetrato dall’Impero solo per dare l’esempio, ma anche per decostruire la società libica tribale.

Giovedì, 20 ottobre 2011, alle 13:30 GMT, il Consiglio Nazionale di Transizione libica ha annunciato la morte di Muammar Gheddafi. Anche se confusi, i primi elementi suggeriscono che un convoglio di auto abbia tentato di lasciare Sirte assediata e sia stato bloccato, e in parte distrutto, dai bombardamenti della NATO. I sopravvissuti avrebbero trovato rifugio in dei canali. Gheddafi, ferito, sarebbe stato fatto prigioniero dalla brigata Tigre della tribù di Misurata, che l’avrebbe linciato.

Il corpo della “Guida” della Grande Jamahiriya Araba Socialista non è stato conservato nella sua città natale di Sirte, o trasportato a Tripoli, ma inviato come un trofeo dai misuratini nella loro città eponima.

La tribù di Misurata, che è stata a lungo riluttante a scegliere il suo campo, ed è praticamente assente dal CNT, alla fine investì Tripoli dopo i bombardamenti della NATO, e linciato Muammar Gheddafi dopo il bombardamento del suo convoglio da parte della NATO. Ha anche trasportato il suo corpo nella sua città per celebrare il suo trionfo. A luglio, la “Guida” avrebbe maledetto i misuratini, spingendoli ad unirsi a Istanbul e a Tel Aviv, facendo allusione al fatto che la loro tribù discende da ebrei turchi convertiti all’Islam.

Un diluvio di commenti preparati in anticipo è stato immediatamente trasmesso dai media atlantisti, per demonizzare Muammar Gheddafi, e così, far dimenticare le condizioni barbare della sua morte.

I principali leader della coalizione hanno salutato la morte del loro nemico, come la fine dell’”Operazione Unified Protector“. In tal modo, implicitamente ammettono che non si trattava di attuare la risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza, ma di rovesciare un sistema politico e di ucciderne il leader, anche se l’assassinio di un capo di Stato al potere è vietato dal diritto statunitense  ed è universalmente condannato.

Inoltre, il linciaggio di Muammar Gheddafi dimostra la volontà della NATO di non rinviarlo alla Corte penale internazionale, che non sarebbe stata più in grado di condannarlo per crimini contro l’umanità, come il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia non ha potuto dimostrare la colpevolezza di Slobodan Milosevic, nonostante due anni di processi.

Nel torrente di mota versato dai media atlantisti per infangarne la memoria, si riciclano le false accuse, che dimostrano al contrario che questi media avevano a disposizione pochi elementi autenticamente utilizzabili a suo carico.

Arriva, così, il caso dell’attentato contro la discoteca La Belle a Berlino (5 aprile 1986, tre morti), precedentemente utilizzato come pretesto da parte dell’amministrazione Reagan, per bombardare il suo palazzo e uccidere la figlia (14 aprile 1986, almeno 50 morti). All’epoca, il procuratore tedesco Detlev Mehlis (quella che truccherà, due decenni più tardi, l’indagine sull’assassinio di Rafik al-Hariri) invocò la testimonianza di Mushad Eter per accusare un diplomatico libico e il suo complice, Mohammed Amairi. Tuttavia, la televisione tedesca ZDF ha poi scoperto che Mushad Eter era un falso testimone, e un vero e proprio agente della CIA, mentre il bombarolo Mohammed Aamiri era un agente del Mossad [1].

Oppure il caso dell’attentato di Lockerbie (21 dicembre 1988, 270 morti): gli investigatori identificarono il proprietario della valigia contenente la bomba e il timer, sulla base della testimonianza del negoziante maltese che aveva venduto dei pantaloni che si trovavano nella valigia con la bomba. La giustizia scozzese poi accusò due agenti libici, Abdelbaset Ali Mohmed al-Megrahi e al-Amin Khalifa Fhimah, e il Consiglio di Sicurezza adottò le sanzioni contro la Libia. In definitiva, per fare togliere le sanzioni, la Libia aveva accettato di estradare i due agenti (il primo è stato condannato all’ergastolo, il secondo è stato assolto) e a pagare 2,7 miliardi di dollari di risarcimento, mentre continuava a proclamare la sua completa innocenza. In definitiva, nell’agosto del 2005, uno dei magistrati scozzesi ha dichiarato che la principale delle prove, il timer, era stata depositata sulla scena da un agente della CIA. Poi l’esperto che ha analizzato il timer per conto del tribunale, ammise di averlo prodotto prima che la CIA lo depositasse sul sito. Infine, il negoziante maltese ha ammesso di essere stato pagato 2 milioni di dollari per la falsa testimonianza. Le autorità scozzesi decisero di rivedere il caso, ma la salute di Abdelbaset Ali Mohmed al-Megrahi non lo permetteva.

La campagna di disinformazione in corso comprende anche una sezione sullo stile di vita del defunto, descritto come sontuoso e la quantità faraonica della sua fortuna nascosta. Ma tutti coloro che si sono avvicinati a Muammar Gheddafi, o semplicemente coloro che hanno visitato la sua casa di famiglia e la sua residenza dopo il bombardamento, sono in grado di attestare che viveva in un ambiente simile a quello della borghesia del suo paese, lontano dagli sfarzi volgari del Ministro della Pianificazione, Mahmoud Jibril. Allo stesso modo, nessuno degli Stati che cercano da mesi le fortune nascoste di Gheddafi, è stato capace di trovarle. Tutte le somme significative sequestrate appartenevano al governo libico e non alla “Guida”.

Al contrario, i media non menzionano l’unico mandato di cattura internazionale emesso dall’Interpol atlantista contro Muammar Gheddafi, prima dell’offensiva della NATO. Era stato accusato dalla giustizia libanese di avere eliminato l’Imam Moussa Sadr e i suoi accompagnatori (1978). Questa omissione è dovuta al fatto che il rapimento fu sponsorizzato dagli Stati Uniti, che volevano eliminare l’imam sciita, prima di lasciare che l’ayatollah Ruhollah Khomeini tornasse in Iran, per timore che Sadr estendesse in Libano l’influenza del rivoluzionario iraniano. I media atlantisti non menzionano le critiche che organizzazioni della resistenza antimperialista, e che noi stessi avevamo formulato contro Muammar Gheddafi: i suoi ricorrenti compromessi con Israele.

Da parte mia, posso attestare che, fino alla Battaglia di Tripoli, la “Guida” ha negoziato con gli inviati di Israele, nella speranza di acquisire la protezione da Tel Aviv. Devo anche dire che, nonostante le mie critiche alla sua politica internazionale, e la documentazione completa a questo proposito che la DCRI francese gli ha gentilmente messo a disposizione su di me, a luglio, nella speranza di farmi arrestare, Muammar Gheddafi mi ha dato la sua fiducia e mi ha chiesto di aiutare il suo paese nel far valere i propri diritti presso le Nazioni Unite [2]; un comportamento assai lontano da quello di un tiranno.

I media atlantisti non hanno più citato le ingerenze della Libia nella vita politica francese, che ho condannato, compreso il finanziamento illegale delle campagne elettorali presidenziali di Nicolas Sarkozy e di Ségolène Royal. La “Guida” aveva infatti autorizzato suo cognato Abdallah Senoussi a corrompere i due principali candidati, in cambio della promessa di un’amnistia o di fare pressioni sulla giustizia per chiudere il suo dossier penale francese [3].

Soprattutto, i media atlantisti non fanno menzione dell’opera principale della “Guida”: il rovesciamento della monarchia fantoccio imposta dagli anglosassoni, la rimozione delle truppe straniere, la nazionalizzazione degli idrocarburi, la costruzione del Man Made River (l’opera di irrigazione più importante del mondo), la ridistribuzione dei profitti del petrolio (ha fatto di uno dei paesi più poveri del mondo, il più ricco in Africa), l’asilo generoso ai rifugiati palestinesi e l’aiuto allo sviluppo senza precedenti del Terzo Mondo (l’aiuto allo sviluppo libico era più importante di quello di tutti gli stati  del G20 messi insieme).

La morte di Muammar Gheddafi non cambierà nulla a livello internazionale. L’evento importante è stata la caduta di Tripoli, bombardata e catturata dalla NATO, certamente il peggiore dei crimini di guerra di questo secolo, seguita dall’ingresso della tribù di Misurata per controllare la capitale. Nelle settimane prima della Battaglia di Tripoli, la stragrande maggioranza dei libici è stata coinvolta, Venerdì dopo Venerdì, in manifestazioni anti-NATO, anti-CNT e pro-Gheddafi. Ora il paese è distrutto ed è governato dalla NATO e dalle sue marionette del CNT.

La morte della Guida avrà per contro un effetto traumatico durevole sulla società libica tribale. Uccidendo il leader, la NATO ha distrutto l’incarnazione del principio di autorità. Ci vorranno anni e molta violenza prima che un nuovo leader sia riconosciuto da tutte le tribù o che il sistema tribale sia sostituito da un’altra forma di organizzazione sociale. In questo senso, la morte di Muammar Gheddafi ha aperto un periodo di somalizzazione o irachizzazione della Libia.

 

 

 

 

Libia, una missione da 192 milioni di euro

Gheddafi è morto ma la guerra durerà ancora molto. E i soldi continuano a scorrere per finanziare le operazioni militari. L'opinione di Francesco Vignarca e Paolo Busoni

Fonte web

Dopo 246 giorni di guerra, Gheddafi è caduto. Ad affondarlo sono stati soprattutto i colpi dei raid aerei della Nato: 26mila bombardamenti nel giro dei sette mesi di operazioni militari. Per l'Italia, l'impegno in Libia è costato 192 milioni di euro, divisi in due tranche: una prima da 134 milioni, in cui si sono disposti sul campo 1.970 uomini; la seconda, riferita al trimestre giugno-settembre, da 58 milioni di euro.

In Parlamento, però, non si discute del rifinanziamento della missione militare da luglio. Colpa dei malumori leghisti, che avrebbero potuto mettere il governo in minoranza nel momento della votazione in aula. "L'esercito - spiega Francesco Vignarca di Rete disarmo -è schierato senza il consenso del Parlamento. Le missioni militari sono votate per un certo periodo, non possono essere approvate indefinitamente". In sostanza, l'esercito italiano spara senza il consenso del Parlamento.

Ma la vera notizia di oggi, secondo Francesco Vignarca, è la riapertura del polo di costruzione di elicotteri della Agusta Westland, in Libia. "Finmeccanica - ha detto il 21 ottobre il ministro Franco Frattini, interpellato a margine del Forum Confindustria-Bdi - ha già riaperto il suo stabilimento. C'e' un laboratorio di costruzione degli elicotteri che ha ripreso a funzionare normalmente". Liatec è il nome dell'azienda, controllata per il 50 percento dalla Libyan Company for Aviation Industry , una società per azioni del Paese nordafricano, per il 25 percento da Finmeccanica e per il restante 25 percento da Agusta. Quindi, il ricavato della società va equamente diviso tra le due sponde del Mediterraneo. "È l'unica joint venture alla pari con un Paese acquirente - dichiara Vignarca - . Questo lascia intendere la forza contrattuale del vecchio regime. E continuerà anche con il Cnt perché non sono molte le aziende che fabbricano elicotteri. Ciò che verrà messo in discussione sarà il nostro primato sulle esportazioni, finora incontrastato".

Nonostante gli affari, le operazioni militari non si interromperanno in tempi brevi. È questa l'opinione di Paolo Busoni, collaboratore di Emergency ed esperto in operazioni militari. "Ritengo - afferma - che ci saranno almeno ricognizioni aeree e qualche raid isolato, che verrà tenuto nascosto". La guerra, oggi, "si fa con le informazioni". Si chiama "situation awarness": anche senza la presenza fisica, si mantiene costante il flusso notizie per avere sempre tutto sotto controllo e non perdere il vantaggio acquisito con l'intervento militare. Anche in questo caso, il primo Paese della lista è la Francia di Sarkò.

Chi mette le mani sulla Libia, infatti, difficilmente lascia la preda così in fretta. E chi ci rimetterà, secondo Busoni, sarà di nuovo l'Italia, che rischia di trovarsi poco attrezzata anche per affrontare questa fase ‘post conflitto armato': "Non so se la politica avrà l'intelligenza per dare una risposta adeguata. In Italia si spera sempre nei soliti meccanismi di corruttela e di amicizia con cui si reggevano i rapporti con il regime di Gheddafi". Ma in questa corsa al consenso dei ribelli libici, l'Italia partirà sempre svantaggiata: la prima a premere il grilletto e a sostenere la rivolta è stata la Francia di Nicholas Sarkozy.

Secondo Busoni, la nuova Libia non avrà la stessa fisionomia di quella vecchia. "Credo che il Paese si frammenterà", dice. Il Paese ormai è stracolmo di armi "soprattutto leggere, facili da usare": un contesto ideale per far scatenare una "guerra tra bande". Tra queste armi, forse, ci sono anche 7.500 pistole, 1.900 carabine e 1.800 fucili che sembra siano finiti nelle mani del settore di Pubblica Sicurezza del Comitato Popolare Generale (l'istituzione di Governo Libica), a fine 2009. Nei documenti italiani che testimoniano la vendita, però, la destinazione finale è celata sotto il segreto di Stato. La partita vale 8,1 milioni di euro: salpata da La Spezia, si sa solo che si è fermata a Malta per uno scalo tecnico, poi più nulla. Un misterioso affare su cui ha indagato Altreconomia e attorno a cui s'annidano ancora molti dubbi solo perché l'Italia non ha l'obbligo di tracciare il traffico degli armamenti leggeri.

"Chi è inquadrato militarmente - prosegue Busoni- è fortemente islamista e si è preparato in Afghanistan o con Hamas", a differenza del resto del governo provvisorio, fuoriuscito dalle gerarchie dell'ex Jamahiriya. D'altronde, come ha ricordato il generale Fabio Mini, in questi ultimi anni non si è conclusa nessuna guerra. La fine di Gheddafi, quindi, rischia di essere solo un punto di svolta in un conflitto molto più lungo.

 

 

APPROFONDIMENTO

 

Dossier Libia