Giornata per la Vita 2008

E MORATORIA SULL'ABORTO

 

PER NON DIMENTICARE LA SACRALITà DELLA VITA

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

INTRODUZIONE

 

Il 3 febbraio prossimo la Chiesa italiana promuove, ormai da molti anni, la Giornata per la Vita nella quale si puntualizza l'attenzione sul valore della vita nascente in rapporto soprattutto al dramma dell'aborto. Quest'anno, grazie a Ferrara, c'è anche il tema della Moratoria sull'aborto sull'esempio della moratoria sulla pena di morte recentemente votata a maggioranza all'assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. Interessante notare come il Movimento per la Vita faccia propria, per bocca del suo presidente, la proposta sulla moratoria sull'aborto. Pubblichiamo pertanto, oltre al messaggio dei vescovi, quanto Carlo Casini ha scritto su "La moratoria sull’aborto e la legge 194 - La posizione del Movimento per la Vita". Si tratta di un forte e ragionato richiamo sulla via di una possibile revisione della 194 "rendendo garantita dalla legge stessa e in modo univoco la preferenza per la nascita" e non per la morte come troppo spesso avviene ora.
 

 

 

 

Il Sole quando era piccolo... 

Un bambino è sempre un sole di speranza per l'umanità!

 

 

Messaggio dei Vescovi

Messaggio del Consiglio Episcopale Permanente

per la 30° Giornata per la Vita
 

Fonte web

"Servire la Vita"

I figli sono una grande ricchezza per ogni Paese: dal loro numero e dall’amore e dalle attenzioni che ricevono dalla famiglia e dalle istituzioni emerge quanto un Paese creda nel futuro.

Chi non è aperto alla vita, non ha speranza. Gli anziani sono la memoria e le radici: dalla cura con cui viene loro fatta compagnia si misura quanto un Paese rispetti se stesso. La vita ai suoi esordi, la vita verso il suo epilogo. La civiltà di un popolo si misura dalla sua capacità di servire la vita. I primi a essere chiamati in causa sono i genitori. Lo sono al momento del concepimento dei loro figli: il dramma dell’aborto non sarà mai contenuto e sconfitto se non si promuove la responsabilità nella maternità e nella paternità. Responsabilità significa considerare i figli non come cose, da mettere al mondo per gratificare i desideri dei genitori; ed è importante che, crescendo, siano incoraggiati a “spiccare il volo”, a divenire autonomi, grati ai genitori proprio per essere stati educati alla libertà e alla responsabilità, capaci di prendere in mano la propria vita. Questo significa servire la vita. Purtroppo rimane forte la tendenza a servirsene. Accade quando viene rivendicato il “diritto a un figlio” a ogni costo, anche al prezzo di pesanti manipolazioni eticamente inaccettabili. Un figlio non è un diritto, ma sempre e soltanto un dono. Come si può avere diritto “a una persona”? Un figlio si desidera e si accoglie, non è una cosa su cui esercitare una sorta di diritto di generazione e proprietà. Ne siamo convinti, pur sapendo quanto sia motivo di sofferenza la scoperta, da parte di una coppia, di non poter coronare la grande aspirazione di generare figli. Siamo vicini a coloro che si trovano in questa situazione, e li invitiamo a considerare, col tempo, altre possibili forme di maternità e paternità: l’incontro d’amore tra due genitori e un figlio, ad esempio, può avvenire anche mediante l’adozione e l’affidamento e c’è una paternità e una maternità che si possono realizzare in tante forme di donazione e servizio verso gli altri.

Servire la vita significa non metterla a repentaglio sul posto di lavoro e sulla strada e amarla anche quando è scomoda e dolorosa, perché una vita è sempre e comunque degna in quanto tale. Ciò vale anche per chi è gravemente ammalato, per chi è anziano o a poco a poco perde lucidità e capacità fisiche: nessuno può arrogarsi il diritto di decidere quando una vita non merita più di essere vissuta. Deve, invece, crescere la capacità di accoglienza da parte delle famiglie stesse. Stupisce, poi, che tante energie e tanto dibattito siano spesi sulla possibilità di sopprimere una vita afflitta dal dolore, e si parli e si faccia ben poco a riguardo delle cure palliative, vera soluzione rispettosa della dignità della persona, che ha diritto ad avviarsi alla morte senza soffrire e senza essere lasciata sola, amata come ai suoi inizi, aperta alla prospettiva della vita che non ha fine. Per questo diciamo grazie a tutti coloro che scelgono liberamente di servire la vita. Grazie ai genitori responsabili e altruisti, capaci di un amore non possessivo; ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, agli educatori e agli insegnanti, ai tanti adulti – non ultimi i nonni – che collaborano con i genitori nella crescita dei figli; ai responsabili delle istituzioni, che comprendono la fondamentale missione dei genitori e, anziché abbandonarli a se stessi o addirittura mortificarli, li aiutano e li incoraggiano; a chi – ginecologo, ostetrica, infermiere – profonde il suo impegno per far nascere bambini; ai volontari che si prodigano per rimuovere le cause che indurrebbero le donne al terribile passo dell’aborto, contribuendo così alla nascita di bambini che forse, altrimenti, non vedrebbero la luce; alle famiglie che riescono a tenere con sé in casa gli anziani, alle persone di ogni nazionalità che li assistono con un supplemento di generosità e dedizione.

Grazie: voi che servite la vita siete la parte seria e responsabile di un Paese che vuole rispettare la sua storia e credere nel futuro.  

Roma, 2 ottobre 2007 - Memoria dei Santi Angeli Custodi  - Il Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana

 

 

Carlo Casini, presidente del

Movimento per la Vita

 

 

 

 

 

Il sì di Carlo Casini alla

moratoria sull'aborto

 

Fonte web

Al direttore  de "Il Foglio" – L’idea della “grande moratoria” è veramente geniale. La ringrazio per averla proposta con la sua consueta energia ed efficacia espressiva.

Il Movimento per la Vita ha da sempre avuto caro il parallelo tra la pena di morte e l’aborto. Fui proprio io nel 1989 a presentare la proposta di legge che ha portato all’abolizione residua di tale pena dal nostro Codice militare. Ma la pensata della “grande moratoria” è densa di straordinari sottintesi. C’è peraltro una differenza: per non eseguire la pena di morte basta la decisione di poche persone, magari di una sola, mentre la moratoria riguardo all’aborto in tutto il mondo e anche soltanto in Italia esige la decisione di milioni di persone. Inoltre mentre la “piccola moratoria” viene attuata semplicemente con un comportamento omissivo, la “grande moratoria” esige un comportamento attivo della società civile nel suo complesso, con la sua legge, le sue strutture amministrative, i suoi strumenti di sostegno alle madri in difficoltà e di educazione al riconoscimento del valore della vita.

E’ inevitabile quindi affrontare il tema della legge 194 specialmente in un momento in cui sta per cominciare l’anno del suo trentesimo anniversario e che è anche il sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e della nostra Costituzione repubblicana. Lei conosce bene le difficoltà di una riforma, ma forse qualcosa è possibile fare rendendo garantita dalla legge stessa in modo univoco la preferenza per la nascita.

Le parole scritte da lei, inconfutabili dal punto di vista della ragione e assolutamente laiche, mi fanno immaginare che un incontro tra persone sensibili al significato delle sue parole, insieme a lei e nella sede del Foglio per delineare una strategia concreta che dia le gambe alla “grande moratoria” potrebbe essere molto efficace.

 

 

Giuliano Ferrara, il direttore del "Foglio"

 

 

 

 

 

La moratoria sull’aborto e la

 legge 194 - La posizione del

 Movimento per la Vita

 

Fonte web

 

A) Sulla moratoria

1) Il senso della “moratoria”

Il Movimento per la Vita plaude alla iniziativa di Ferrara e del Foglio, che condivide, appoggia ed alla quale fornisce adesione. La proposta di una “moratoria sull’aborto” indicata come logico sviluppo della “moratoria sulla pena di morte” costringe a meditare sulla identità umana di ogni figlio dell’uomo e della donna fin dal concepimento e sul principio di eguaglianza che è acquisizione indiscussa della dottrina civile moderna.

2) La moratoria dell’O.N.U.

L’affermazione che l’uomo è sempre uomo fin dal suo primo comparire dal nulla all’esistenza condiziona la verità di tutti i diritti umani proclamati nella Carta universale di 60 anni fa (10/12/1948). Condividiamo, perciò, il progetto di chiedere la integrazione dell’art. 3 della Dichiarazione Universale, dove si riconosce a ciascuno il diritto alla vita, con le parole “fin dal concepimento”. Una tale richiesta potrà essere formulata da personalità del mondo scientifico, culturale e politico a livello internazionale, ma per avere uno sbocco concreto deve essere appoggiata anche dagli Stati. L’Italia e l’Europa che tanto lodevolmente si sono impegnate in prima fila per ottenere dall’Assemblea dell’ONU l’approvazione dell’invito alla moratoria nell’esecuzione della pena di morte, devono essere invitate ad operare con identica
energia per avere una analoga pronuncia in materia di aborto.

3) Tentativi di “moratoria” nell’Unione Europea

Ma proprio l’Unione Europea e l’Italia devono per prime approvare al loro interno la “moratoria”. Anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, solennemente proclamata il 12 dicembre 2007, all’art. 3, riconosce il diritto alla vita, ma lascia indeterminata l’indicazione del soggetto che ne è titolare. Se per “moratoria” si intende una forte indicazione di valore è doveroso chiedere la “moratoria” anche all’Unione europea. Il Movimento per la vita Italiano, in collaborazione e coordinamento con associazioni e movimenti degli altri 26 Stati membri dell’Unione, ha già lanciato, con decisione presa a Strasburgo il 12 dicembre 2007, una petizione “per la vita e la dignità dell’uomo, da realizzarsi in tutti i 27 Stati attraverso la sottoscrizione popolare di un documento che sarà presentato alle istituzioni europee nel dicembre 2008, in coincidenza con il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e ad un anno dalla proclamazione solenne della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

4) La “moratoria” in Italia

Per molti versi l’Italia riconosce già il diritto alla vita fin dal concepimento. Si è pronunciata in questo senso la Corte Costituzionale, lo ha dichiarato autorevolmente per tre volte il Comitato Nazionale di bioetica, è scritto sull’art. 1 della legge 40/2004 sulla Procreazione Medicalmente Assistita. Ciò nonostante nessuno potrebbe sostenere che in Italia vi sia una “moratoria riguardo all’aborto volontario”. E’ evidente che si pone il problema della L. 194/78. Ma, indipendentemente da essa, un atto di grande rilevanza giuridica o almeno politica che riconoscesse in via generale il diritto alla vita anche dei bambini non ancora nati, sarebbe un modo concreto di avviare anche da noi la “moratoria” nel senso in cui è intesa da chi l’ha proposta. A questo proposito si ricorda che il Movimento per la Vita ha già presentato fin dal 1995 una proposta di legge di iniziativa popolare che, attraverso la integrazione dell’art. 1 del Codice Civile, intende riconoscere in via generale la soggettività giuridica del concepito. Tale proposta che ha ottenuto il consenso convinto e operante del Forum delle Associazioni familiari potrebbe essere rilanciata come espressione concreta in Italia della “moratoria”. In ogni caso il M.P.V. chiede che la richiesta di moratoria si sviluppi in modo coordinato a livello universale (O.N.U.), a livello europeo, a livello italiano. In questo senso opereremo.

B) Sulla legge 194/78

1) Una legge ingiusta

La legge che fu approvata 30 anni fa resta una legge ingiusta. I giudizi espressi in vario modo e in molteplici circostanze dal movimento per la Vita restano tutti veri. Tuttavia lo sforzo di aprire canali di comunicazione con le pubbliche istituzioni al fine di salvare concretamente il maggior numero di vite umane (e di restituire alle madri – non dobbiamo mai stancarci di dirlo, perché corrisponde a un dato d’esperienza – la libertà di non abortire) ha indotto a chiedere sempre più insistentemente l’applicazione di quelle parti della legge, dalle quali traspare, sia pur debolmente, il principio di “preferenza per la nascita”. Si tratta di quelle espressioni che – se interpretate e attuate secondo il suddetto principio e se isolate dal restante
contesto - si possono dire “buone”.
Questa posizione ci ha fatto evocare quel passo della Bibbia dove si racconta del modo in cui il Re Salomone individua la mamma vera del figlio conteso. Essa è colei che piangendo rinuncia al figlio purchè egli viva anche se nelle braccia di una mamma falsa. Se l’applicazione di qualche disposizione della legge può salvare un bambino – abbiamo sempre detto – applichiamola, senza chiuderci in un rifiuto totale della intera legge, che impedirebbe persino l’inizio di un possibile dialogo. Ma, sull’onda di questa passione per la vita, non si può giungere ad affermare che la legge è giusta. Sarebbe falso, pericoloso e anche offensivo per coloro che in questi 30 anni hanno sacrificato energie di ogni genere per salvare vite umane nonostante la legge. Gli 85.000 bambini nati con l’aiuto dei Centri di Aiuto alla Vita sono il frutto della resistenza morale alla legge. Non risulta che coloro i quali già 30 anni fa difesero la legge descrivendola come diretta a proteggere anche la vita dei bambini e citando a riprova le parti c.d. “buone” abbiamo fatto qualcosa di paragonabile all’oscuro e umile lavoro dei CAV, che, anzi, sono stati condannati all’emarginazione.

2) L’equivocità ingiusta delle c. d. “parti buone” della legge

Al punto in cui sta sviluppandosi la riflessione sull’aborto, quando è unanime il desiderio di porsi “accanto” e non “contro” le madri e tuttavia cresce l’inquietudine di fronte allo sterminio dei più poveri e indifesi degli esseri umani non vogliamo soffermarci, ancora una volta, sulla ingiustizia della autorizzazione ad uccidere i figli concessa alle madri con la collaborazione dello Stato nella forma di un servizio sociale. Vogliamo, invece, segnalare l’ingiustizia presente in quelle parti della legge, che pure vengono qualificate “buone”. La loro specifica ingiustizia consiste nella loro equivocità. Quando diciamo che la legge è stata applicata male non dobbiamo dimenticare che la cattiva gestione è consentita dalla legge. L’ambiguità è stata voluta proprio per evitare di prendere posizione sulla questione ora posta dall’idea di moratoria: “il concepito ha o no diritto a nascere? Questo diritto deve o no essere tutelato dallo Stato?”. Nell’allegato A si elencano le principali ambiguità a cui facciamo riferimento. Perciò se vogliamo limitarci a migliorare la gestione della legge 194 bisogna eliminare le ambiguità delle c.d. “parti buone”. La lettera e i lavori preparatori della legge provano che nel testo si sono confrontate tre anime: quella che nega il figlio come individuo vivente umano e che, dunque, indica la scelta della donna come unico valore degno di tutela; quella che preferisce ignorare il problema del figlio: che ci sia o non ci sia – afferma – è indifferente perché il male da evitare è l’aborto clandestino; quella che riconosce la presenza di due entità umane coinvolte nell’aborto, ma sottolinea la specificità della gravidanza e perciò ritiene unica possibilità di salvare la vita nascente quella di uno Stato che dice alla donna: ti faccio abortire legalmente in sicurezza sanitaria e gratuitamente, ma tu prima devi rivelarmi il tuo proposito ed io cercherò di evitare il gesto uccisivo. Non c’è dubbio che nella lettera e nell’attuazione ha prevalso la prima tendenza e che la terza totalmente
cancellata. Dunque la legge è ingiusta anche nelle c.d. “parti buone”, che in pratica sono servite a fini propagandistici e cioè per guadagnare consensi alla legge anche nella aree che non sono disposte a riconoscere un diritto all’aborto, mascherando la ben più aspra volontà della legge. Neppure si può sostenere, nel tentativo di aprire il dialogo con difensori della 194, che questa è la legge migliore tra quelle sull’aborto, perché non è vero. Ad esempio in Europa sono certamente più attente al diritto del concepito quelle: maltese, irlandese, polacca, tedesca, austriaca, ungherese, portoghese, slovacca, spagnola e, in certo modo, anche quella francese (vedi allegato B).

3) Gli argomenti contro ogni ipotesi di riforma legislativa

Si può immaginare in questo momento una riforma della L. 194? Noi rispondiamo di sì a condizione di capire il livello su cui è possibile intervenire. Il rifiuto di qualsiasi valutazione con l’affermazione che “oggi non ci sono le condizioni politico parlamentari” non è ragionevole perché se “oggi” non ci sono le condizioni dovremmo elaborare una strategia per determinarle. Se i movimenti antischiavisti e contro la pena di morte si fossero fermati di fronte alla constatazione dell’assenza attuale delle condizioni per pronunciare il bando della schiavitù o l’abolizione della pena di morte, avremmo ancora l’istituto giuridico della schiavitù e non sarebbe stata dichiarata la moratoria sulla pena capitale. Inoltre potrebbe darsi che alcune modificazioni sono attualmente impossibili, ma altre invece, possono essere tentate. Non si può esaminare il problema soltanto in modo globale. D’altra parte anche non prendere in considerazione le difficoltà attuali e limitarsi a chiedere il capovolgimento della legge significa non cambiare niente se davvero il capovolgimento è impossibile.
Ma c’è chi non vuole che si parli di modifiche della legge per timore che un dibattito parlamentare porti a correzioni che potrebbero rendere il testo peggiore dell’attuale. Sennonché questa sembra un’autocondanna all’immobilismo dettata da una irragionevole paura. Come è immaginabile un peggioramento legislativo? L’aborto è già libero nei prima 90 giorni e nessuno propone l’allungamento di questo termine.
Per il tempo successivo vi è già un orientamento abbastanza generalizzato a restringerlo, non ad allungarlo. L’unico punto potrebbe essere la disciplina della obiezione di coscienza, ma sembrano abbastanza deboli le istanze di una sua ulteriore
mortificazione. C’è chi dice che il solo modo di contrastare l’uso della Ru 486 è aggrapparsi alla L. 194 che prevede obbligatoriamente l’esecuzione dell’intervento abortivo in un presidio ospedaliero. La Ru 486 privatizza l’aborto ed ha un significato ideologico.
Il pericolo è reale. Ma è illusorio credere che la legge 194 nel medio e lungo periodopossa limitare l’uso della Ru 486. Già ora, notoriamente, centinaia di donne hanno abortito ingerendo una pillola loro somministrata in ospedale e tornandosene subito a casa, né risulta che un solo giudice abbia constatato la violazione della L. 194. Comunque sarà sempre più difficile opporsi all’aborto chimico, se non usiamo una logica opposta a quella che ha prevalso nella stesura e nella applicazione della 194. Già ora è molto diffuso l’uso della “pillola del giorno dopo”, che ha effetti abortivi in una percentuale assai significativa e nelle farmacie si possono comprare prodotti che pur avendo uno scopo terapeutico diverso vengono usati come abortivi ed hanno le stesse caratteristiche della RU 486. Proprio di fronte alla deriva della privatizzazione dell’aborto, il cui presupposto è l’idea della inesistenza o della irrilevanza del figlio, occorre, almeno, irrobustire quell’elemento massimo di prevenzione che è il riconoscimento del diritto alla vita del concepito, con tutte le conseguenze di carattere culturale, educativo, solidaristico che possono raggiungere la mente e il cuore della donna, attraverso cui la tutela del diritto alla vita deve inevitabilmente passare. Naturalmente bisogna opporsi con la massima energia all’introduzione della Ru 486 per le ragioni che abbiamo tante volte spiegato, ma – si ripete – sembra non ragionevole opporsi ad una modifica della 194 esclusivamente per contrastare l’uso
della Ru 486.
La verità è che una discussione sulla legge 194 che divenga anche politica è assai scomoda per i partiti. A destra è noto che Forza Italia accanto a una maggioranza probabilmente disposta ad avviare un percorso di riforma, vi sono presenze minoritarie, ma significative, che possono creare imbarazzi. Ma è soprattutto nel nuovo partito democratico che la legge 194 costituisce effettivamente un cuneo tra l’anima proveniente dai partiti comunista e socialista e quella di coloro che fanno, per origine e forma mentis, riferimento alla antropologia cristiana. L’obiezione che non bisogna discutere di legge 194 per evitare di ricostruire un “muro contro muro” proviene da una visione molto finalizzata a quel che è ritenuto
bene di un partito più che da una volontà di difendere il diritto alla vita.

4) Elementi di speranza in possibili modifiche

Su questi argomenti il MPV ha riflettuto da molti anni nei propri convegni e seminari  così come in dibattiti aperti al confronto con altre organizzazioni alleate o avversarie. Ha anche elaborato proposte fin dal 1993 presentate nel Parlamento, che, a nostro
giudizio, nell’impianto essenziale restano tuttora valide. Noi riteniamo che il ribaltamento della vigente legge non sia oggi possibile e che anzi chiederlo significhi rendere più difficile le modifiche che già oggi, pur restando difficili, sono possibili. Tuttavia queste ultime – le modifiche possibili – devono essere tentate. Non ci accontentiamo dei riconoscimenti che (finalmente!) vengono pubblicamente effettuati nei confronti del nostro Movimento e dei nostri CAV. Sono cosa buona. Possono determinare finanziamenti utili e una eventuale più estesa e intensa collaborazione tra Consultori, presidi ospedalieri, centri di aiuto alla vita. Ma la difesa del diritto alla vita (si ripete: e del diritto di non abortire delle madri) non può essere delegato al volontariato. E’ un compito che appartiene alla Stato e alle istituzioni. I CAV propongono un modello di azione, credibile perché sostenuto da ostensibili risultati. Ma questo modello dovrebbe essere imitato dallo Stato con i suoi organismi, non abbandonato alla iniziativa privata. D’altronde senza i necessari elementi legislativi di garanzia è difficile che le strutture pubbliche (consultori, etc.) cambino metodologia.
Esortazioni e inviti possono stimolare qualche buona volontà, ma non assicurano una generale presa in carico del diritto alla vita almeno nella forma del consiglio e della solidarietà concreta. E’ necessaria una riforma quanto alla funzione e alla struttura
degli strumenti preposti alla protezione della vita in un sistema di rinuncia al divieto di aborto (entro i limiti della 194). Neppure ci contentiamo di ciò che è scontato perché già presente nella legge. Siamo ovviamente d’accordo sulla inaccettabilità di aborti così tardivi da lasciare sul tavolo operatorio un corpicino di bimbo che geme per qualche tempo. Ma già l’art. 7 della
legge vieta questi aborti perché vieta – salvo il pericolo di vita per la madre – l’I.V.G. quando vi è “possibilità di vita autonoma”. La possibilità è molto meno della probabilità e deve tener conto dei progressi della scienza e della tecnica. Inoltre
l’aborto di massa è quello che avviene nei primi tre mesi di gravidanza (98,4%) e meno quello del periodo successivo (2,6%). Perciò l’eventuale correzione della legge deve riguardare prioritariamente gli articoli 4 e 5 che disciplinano, appunto l’I.V.G.
nei primi tre mesi di gravidanza. Tirando le fila delle precedenti considerazioni i punti decisivi nel nostro pensiero sono i seguenti:

1) esiste nel paese e – presumibilmente – nel Parlamento un consenso maggioritario intorno al principio di “preferenza per la nascita”;

 2) E’ diffusa la convinzione che “bisogna migliorare la gestione della 194”;

3) E’ apprezzato generalmente il fatto che un significativo numero di bambini sia stato sottratto all’aborto mediante il lavoro dei CAV: dunque il loro metodo merita di essere imitato dalle istituzioni;

4) Sia la giurisprudenza costituzionale che il comune prevalente sentire percepiscono l’aborto come una “necessità” piuttosto che come un “diritto” (anche se nella L. 194 esso è certamente un diritto il cui esercizio è condizionato ad alcune forme procedurali e dopo i primi 90 giorni di prestazione anche a taluni limiti sostanziali). Tale “necessità” è determinata, oltre che da difficoltà reali, anche da pressioni dell’ambiente e della cultura generale. La negazione dell’esistenza di un essere umano è l’elemento che più concorre a determinare la “necessità”, in quanto distrugge la motivazione del coraggio dell’accoglienza. Dunque il riconoscimento formale nella legge e nei messaggi educativi ed informativi della umanità, soggettività individuale del concepito e della sua conseguente titolarità del diritto alla vita costituisce un aspetto non secondario della prevenzione, in quanto riducendo la pressione culturale e ambientale gravante sulla donna, concorre a sostenere la libertà di non abortire.

5) Ancora, dopo 30 anni, sulla disciplina della I.V.G. per “termini” o per “indicazioni”

Una lettura superficiale dell’art. 4 della legge può far credere che in Italia l’I.V.G. sia possibile anche nei primi tre mesi soltanto in casi particolari e che occorra l’accertamento obiettivo di tali circostanze ad opera di un terzo imparziale. In realtà non è così. Lo dimostra il successivo art. 5. Il medico è obbligato a rilasciare il “titolo” che impone al presidio sanitario l’esecuzione dell’intervento (v. Art. 8 ultimo comma) sulla sola base dell’accertamento della gravidanza e della richiesta della donna. Niente altro condiziona la liceità dell’aborto nei primi tre mesi di gestazione. Ciò è sicuramente in contrasto con gli orientamenti espressi dalla Corte Costituzionale, in modo particolarmente chiaro nelle sentenze 27/1975 e 35/1997, ma, purtroppo le impugnative di incostituzionalità degli artt. 4 e 5 non hanno avuto esito favorevole, non perché ritenute infondate, ma perché valutate inammissibili per ragioni procedurali. Astrattamente una disciplina dell’I.V.G. secondo una logica di “indicazioni” è meno iniqua di una disciplina per termini, che suppone, come unico criterio di legittimità dell’aborto, la “scelta” della donna. La precisazione e il controllo delle indicazioni suppone, almeno concettualmente, l’esistenza di uno “stato
di necessità” già previsto come esimente generale nel diritto penale e civile, disciplinato in modo differenziato in ragione della speciale situazione della gravidanza che esige una valutazione della “necessità” non dopo l’evento, ma prima dell’aborto allo scopo di predisporre idonee garanzie igienico-sanitarie per la donna.
Questa è la logica seguita dalla Corte Costituzionale, sicuramente tradita dalla legge. Ma una modifica della legge 194 secondo la logica delle “indicazioni” sembra oggi impossibile. Tuttavia sebbene l’elenco delle cause contenute nell’art. 4 non abbia una
efficacia giuridicamente limitante, si può supporre che esso costituisca un invito alla responsabilità nella scelta femminile. Sotto questo profilo la indicazione come causa di pericolo per la salute di ragioni economico-sociali è francamente urtante con l’idea di uno stato sociale e forse la eliminazione di tali indicazioni sarebbe utile, specie se accompagnata dalla prescrizione di una verbalizzazione delle cause indicate dalla donna e di una loro precisazione anche sul “documento attestante la gravidanza” che è “titolo” per eseguire l’intervento.
L’elemento di responsabilizzazione dovrebbe valere non solo riguardo alla donna, ma anche riguardo al medico e agli operatori consultoriali che dovrebbero verbalizzare le azioni compiute per rimuovere le cause indicate come motivazione dell’aborto e l’esito di esse. La tecnica legislativa dei termini, assolutamente irragionevole in rapporto alla sempre uguale identità umana del concepito e preordinata solo a garantire la “libertà di abortire”, può essere resa meno iniqua quando vengono esaltati gli aspetti di responsabilizzazione della donna e della società verso la vita nascente e cioè sforzandosi di interpretare la tecnica del consiglio e dell’aiuto solidale come un mezzo più efficace del divieto penale per tutelare il diritto alla vita.
A questo riguardo già durante il dibattito sulla 194 la tendenza più preoccupata per la vita del concepito proponeva quale condizione procedurale della I.V.G. il passaggio obbligatorio attraverso i consultori familiari pubblici. Questa idea è stata scartata per due ragioni contrapposte: da un lato l’aspirazione a rimuovere ogni possibile serio “filtro” prima dell’aborto (di qui la possibilità di ricorrere al medico di fiducia in alternativa al consultorio), dall’altro il giustificato timore di fare dei consultori strumenti di collaborazione dell’aborto anziché di limpida difesa del diritto alla vita. Sotto il secondo aspetto la questione si è posta con particolare forza e drammaticità nella Germania quando si è trattato di adottare una legge unitaria sull’aborto, dopo la riunificazione delle due parti della Nazione. La prolungata riflessione del Movimento per la Vita su questo punto ha formulato una soluzione che concilia l’idea del Consultorio come non equivoco strumento mediante il quale “lo Stato che rinuncia a vietare non rinuncia a difendere” con l’idea del passaggio obbligatorio dal consultorio della donna che manifesta il proposito di abortire.

6) L’esperienza dei CAV come modello per una riforma della funzione consultoriale in merito all’aborto

Molti dei casi su cui intervengono i CAV sono presentati direttamente dalla donna interessata che prende contatto spontaneamente perché ha conosciuto in precedenza  l’esistenza di quell’organismo di volontariato. Di qui l’esigenza di far conoscere il più ampiamente possibile l’esistenza e la funzione dei CAV e le modalità con cui si può stabilire un contatto con essi. Ma i casi più significativi ai fini di una possibile riforma della 194 sono quelli in cui la prospettiva di un aborto di prossima esecuzione è segnalata da una persona diversa dalla donna incinta, come un familiare o un’amica. In queste situazioni è il CAV che prende l’iniziativa di mettersi a disposizione della donna, ovviamente nelle forme più rispettose e cortesi. L’esperienza dimostra che anche in questi casi l’intervento è gradito, consente lo stabilirsi di un dialogo e, in rilevante percentuale, esita nella prosecuzione della gravidanza con soddisfazione della madre. Questa esperienza suggerisce una metodologia che consenta sempre l’intervento dei consultori senza peraltro che essi apportino un qualsiasi contributo causale in direzione dell’aborto.
Oggi la donna si rivolge al consultorio per ottenere il “foglio” da presentare all’ospedale per eseguire l’aborto, mentre una riforma seria dovrebbe chiedere alla donna di rivolgersi al consultorio per verificare la possibilità di evitare l’aborto. Un tale sistema dovrebbe imporre al medico che programma l’aborto il duplice dovere di invitare la donna a recarsi al consultorio di zona (o altro centro convenzionato) e di informare il consultorio medesimo dell’aborto richiesto, in modo che sia possibile un contatto con la donna, anche per iniziativa degli operatori consultoriali. Mai, peraltro, il consultorio potrebbe rilasciare il documento che costituisce “titolo” per l’esecuzione dell’I.V.G. L’intervento abortivo potrebbe avvenire ugualmente a richiesta della donna, ma le istituzioni avrebbero fatto tutto il possibile per evitarlo.

7) Una grande riforma dei consultori

La proposta ora esposta è il frutto di una prolungata meditazione, che si è formalizzata anche in vere e proprie proposte di legge (n.2159 e n. 2160 presentate alla Camera dei Deputati il 22.1.93) oltrechè in alcuni saggi pubblicati su riviste specializzate (v. in particolare “prospettive di riforma dell’attuale legislazione sull’aborto. Il dibattito italiano ed europeo in “incontri” periodico dell’Università Cattolica, 1995).
Essa si fonda essenzialmente sull’idea che la rinuncia a punire l’aborto, a sua volta basata sulla constatazione della particolarissima condizione della gravidanza, non deve significare rinuncia a difendere con altri mezzi il diritto alla vita. La riflessione costituzionale tedesca (v. sentenze 25.2.75, 4.8.92, 28.5.93) suggerisce molti concreti elementi per realizzare senza inganno questo obiettivo. Naturalmente ci si può chiedere se vale la pena indirizzare energie rilevanti verso una riforma nelle linee sopra indicate, che comunque resta difficile, attesa la mentalità dominante. Poiché l’aborto resterebbe connotato da illeicità soltanto astrattamente e quindi, una volta fallito il tentativo di dissuasione, resterebbe il diritto (di questo si tratta al di là di ogni mascheramento verbale) di ottenerlo dalle strutture sanitarie, non sarebbe meglio mantenere una opposizione totale alla legge, inutile da punto di vista politico-legislativo, che però eviterebbe il rischio di fraintendimenti?
A noi pare che lo stretto pertugio tra il realismo che constata l’impossibilità di un “ribaltamento – abrogazione” della L. 194 e la crescente tendenza nella coscienza collettiva a “preferire la nascita” e ad “evitare l’aborto”, possa essere percorso e allargato oggi con una grande riforma dei consultori familiari, che li pensi e li strutturi come strumenti di difesa e promozione del diritto alla vita dei figli non ancora nati in collaborazione con le madri e le famiglie. Un tale compito non può essere assolto dagli attuali consultori pubblici. Può persino apparire opportuno creare organismi nuovi e diversi. Quel che è certo è che oltre ad una chiara indicazione legislativa della funzione dovrebbe esserne rivista la composizione e dovrebbero essere previsti controlli sulla loro attività di prevenzione ad opera degli organismi preposti alla tutela dei diritti dei bambini. In tal quadro diviene inaccettabile l’inquadramento dei consultori nell’ambito sanitario, essendo il loro compito non terapeutico, ma di giustizia e di solidarietà.

8) Una riforma per rimuovere almeno le equivocità della 194.

La rilettura della L. 194 alla luce di una esperienza trentennale mostra altri punti bisognosi di correzione. Si pensi, ad esempio, al necessario coinvolgimento del padre del concepito a rischio di essere ucciso, alla necessità di verifiche collegiali e specialistiche della malattia materna nel caso di aborto c.d. terapeutico, alla opportunità di un obbligatorio riscontro diagnostico sui feti abortiti a seguito di una diagnosi di anomalia o malformazione. Ma l’ossatura di una riforma difficile ma possibile, limitata e tuttavia importante, deve puntare – a nostro giudizio – sulla proclamazione formale nell’ ordinamento giuridico del diritto alla vita del concepito e su una profonda revisione della funzione
consultoriale.
I difensori della L. 194 sostengono che la legge ha fatto diminuire gli aborti. Non siamo affatto d’accordo. Questa tesi non tiene conto della diminuzione delle classi di donne in età feconda, dell’innalzamento dell’età matrimoniale in un paese in cui l’aborto è soprattutto un fenomeno familiare e soprattutto del diffondersi, anche con il sostegno pubblico, di forme nuove di aborto occulto. Tale è l’aborto precocissimo indotto dalla c.d. “pillola del giorno dopo” che si aggiunge al tradizionale aborto
“clandestino”.
Perchè la legge avrebbe contribuito alla riduzione degli aborti? Dicono: perché ha diffuso la contraccezione. Ma, a parte la discussione sul giudizio etico da esprimere sulla contraccezione, è doveroso constatare che paesi come l’Inghilterra e la Francia (v. allegato C), simili all’Italia per popolazione e per legislazione, vedono non una diminuzione ma un aumento della abortività nonostante che in tale paesi la contraccezione sia certamente più diffusa. Dunque se diminuzione vi è stata in Italia la causa non può essere individuata nella L.194, ma, piuttosto nell’azione di promozione culturale del diritto alla vita e di sostegno solidaristico che si è svolta in Italia, dove resta più diffusa che altrove la
tradizione cristiana.
Se così è, se l’aborto è soppressione di esseri umani, se perciò è compito specifico e primario dello Stato difendere il diritto alla vita di tutti, specie dei più piccoli e deboli, se, infine, proprio la dimensione laica della organizzazione civile deve proporsi l’obiettivo di promuovere sempre l’uguale dignità di ogni essere umano (Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, preambolo), allora è giusto che proprio lo Stato e le istituzioni aumentino quella forza di contrasto dell’aborto che si è rivelata efficace. In questa direzione si muove la richiesta di una formale dichiarazione di riconoscimento del diritto alla vita fin dal concepimento e di una grande riforma dei consultori familiari. Essa cerca di rimuovere le equivocità della L. 194 che hanno consentito e forse imposto la sua gestione sostanzialmente dimentica del diritto alla vita.


Carlo Casini
Presidente del Movimento per la Vita Italiano - Roma, 13 gennaio 2008


 

APPROFONDIMENTO

 

Che cosa è concretamente la

moratoria PER FERRARA

In 5 facili punti

 

ALTRI INTERVENTI DI FERRARA SULLA MORATORIA

Presi dal suo blog

 

MORATORIA UNIVERSALE PER

L’ABOLIZIONE DELLA PENA DI ABORTO

Firma la moratoria on-line

 

RASSEGNA STAMPA QUOTIDIANA SULLA MORATORIA

Aggiornata in tempo reale

 

DOSSIER SULLA MORATORIA DA ASIANEWS

Articoli vari

 

Ferrara, ateo devoto

Un giudizio di Blondet

 

Movimento per la Vita e CAV, Centro

Aiuto alla Vita di reggio emilia

Notizie utili