LA GRANDE ABBUFFATA
di Primo Di Nicola
 

 

fonte web - L'Espresso 18-11-05

 

 

Quasi 500 mila stipendiati. Fra eletti e consulenti. Una spesa di 4 miliardi. Che aumenta di anno in anno. Un libro svela i costi della politica. Con sprechi e clientele
 

 

Un esercito di 500 mila persone. Che ogni anno costano fino a 4 miliardi di euro. Troppi. Sono gli Eletti della Repubblica. Eletti in tutti i sensi: o perché insediati in cariche pubbliche con il voto popolare. O perché premiati con una di quelle consulenze che lo spoil system consente di distribuire tra colleghi di partito e amici degli amici. Tutti comunque privilegiati perché dipendenti della più florida azienda italiana: la Politica Spa. Che ogni mese, non importa quel che succeda, guerre, tagli di bilancio, crolli azionari, continua ad elargire stipendi lautissimi. A spese dello Stato e della pubblica moralità.

Una denuncia esagerata? Un attacco qualunquistico alle istituzioni? Macché, stavolta le critiche arrivano dal cuore dello Stato con un libro ('Il costo della democrazia', Mondadori) firmato dal vicepresidente del Senato Cesare Salvi e dal collega Massimo Villone, vicepresidente della commissione Affari costituzionali: 186 pagine di tabelle e analisi che ripropongono l'irrisolta questione morale. Una nuova tangentopoli? No, a 12 anni da Mani pulite, scrivono Salvi e Villone, "la nuova questione morale è profondamente diversa da quella che travolse i vecchi partiti". Essa "non si traduce di per sé nella violazione del codice penale. Si trova nella moltiplicazione degli incarichi e dei posti, nella lottizzazione a tutti i livelli, nei rapporti impropri tra politica e amministrazione, fra politica e società civile. Proprio per queste sue caratteristiche è perfino più pericolosa".

Dal libro-inchiesta di Salvi e Villone, un atto d'accusa contro l'attuale sistema di finanziamento pubblico della politica, i costi delle Regioni (che aumenterebbero ancora di 50 miliardi con la devolution di Bossi) e la mancanza di controlli sugli amministratori pubblici, emerge che sono quasi 200 mila le persone che in Italia ricevono una retribuzione per essere state elette o per avere una carica di governo. Gli altri 300 mila affiliati alla 'Politica Spa' ricavano una retribuzione da incarichi e consulenze ottenute dalle varie articolazioni pubbliche, dal governo fino alle Asl (vedere l'articolo a seguire). Dov'è il problema per gli eletti? Nel fatto che il mandato sta diventando un vero e proprio lavoro dipendente. Un fenomeno costoso anche se si limitasse ai rami alti delle istituzioni. E che si sta invece estendendo anche alle articolazioni più basse della politica, che hanno provveduto da tempo ad elargire un compenso per tutti. Conseguenza? I problemi di bilancio degli enti locali, come il comune di Bari, che ha dovuto fare ricorso a una manovra aggiuntiva perché 3 milioni di euro di compensi per i consiglieri si sono rivelati insufficienti.

Proprio nella 'retribuzione' sta il cuore del problema. L'articolo 69 della Costituzione parla solo di 'indennità' e solo per i parlamentari, nel presupposto che costoro abbiano un lavoro nella società che verrà sospeso durante il mandato. Con il sistema maggioritario invece è proprio quello di eletto che sta diventando un posto di lavoro, una carriera che assicura a un numero crescente di persone, stipendio, pensione, liquidazione, assistenza sanitaria e altri benefit e privilegi . Un processo di professionalizzazione della politica che è frutto della crisi dei partiti, con gli eletti che si sostituiscono alle forze politiche sfuggendo al loro controllo. Per questo non rispondono più a nessuno del loro operato, con costi altissimi per lo Stato a causa della proliferazione dei compensi e delle cariche che si autoassegnano.

 

 

 

 

Gli esempi più eloquenti arrivano dalle regioni. Criticatissime per l'istituzione di proprie ambasciate, da Bruxelles (tutte meno la Basilicata) a L'Avana, Pechino, Shanghai (Lombardia), Parigi e Tunisi (Sicilia), e per le sontuose sedi di rappresentanza a Roma, esse gareggiano con le loro strampalate trovate. La Campania ha triplicato le commissioni speciali. La ragione? Ognuna porta con sé un presidente e un ufficio di presidenza, con indennità e personale aggiuntivi. Nel Lazio le commissioni sono salite da 14 a 24 e gli assessori da 12 a 16. La Calabria ha nominato tre sottosegretari, presto imitata dalla Lombardia. La Campania ha pure deciso di portare i consiglieri da 60 a 80 offrendo lo spunto ad altre regioni. Risultato? In pochi mesi i consiglieri sono aumentati di 48 unità. E aumenteranno ancora quando entreranno in vigore tutti i nuovi statuti regionali, passando da 1070 a 1181. Con un'anomalia aggiuntiva: l'esplosione dei 'monogruppi' (sono già 58), cioè quelli con un solo consigliere che fa gruppo a sé per accaparrarsi uno staff e il relativo contributo pubblico.

Ma in tema di 'paga', l'inchiesta non fa sconti a nessuno, a cominciare dagli europarlamentari. Quelli italiani, spiegano, sono i più ricchi d'Europa: tra indennità (fissata autonomamente da ciascuno Stato), rimborso spese di viaggio per il deputato e i suoi collaboratori (calcolato a forfait sul biglietto più costoso, senza vincolo di documentazione); stipendi per gli stessi collaboratori (anche qui senza documentare il compenso e la loro esistenza); indennità di soggiorno e altri benefit, si arriva a 30-35 mila euro mensili ("Una corruzione legalizzata", secondo il 'Financial Times') da moltiplicare per 78, il numero dei nostri eurodeputati. In totale, quasi 11 milioni 700 mila euro. Pagati dall'Italia.

Poi ci sono i costi per i parlamentari nazionali (187 milioni l'anno) i cui compensi si articolano in una indennità e in una diaria per il soggiorno a Roma, nei rimborsi per i portaborse, i trasferimenti, i viaggi di aggiornamento all'estero e le spese telefoniche. Ancora, vanno aggiunti l'assegno di fine mandato, le prestazioni sanitarie e, soprattutto, la pensione, uno dei capitoli più scabrosi del Palazzo visto che, a parità di capitale versato, il parlamentare ricava una rendita 6-7 volte superiore rispetto a quella di un comune cittadino. È con questo andazzo che i costi del Parlamento sono lievitati molto più velocemente dell'inflazione. Il Senato è passato da 298 milioni di euro del '95 ai 551 milioni dell'ultimo anno (155 dei quali per indennità e vitalizi dei senatori). La Camera spende 980 milioni, 291 dei quali destinati proprio ai compensi degli onorevoli.

Altrettanto lauto è il trattamento che si riservano i consiglieri regionali (beneficiati anch'essi con una ricca pensione), i cui compensi sono ancorati all'indennità parlamentare in percentuali che vanno dal 65 al 100% (Sicilia). Ma, sorpresa, sommando diarie, gettoni, rimborsi, alla fine che "un consigliere regionale guadagna in media 2 mila euro al mese in più di un parlamentare". E non sono i soli.

Come non restare ammirati di fronte alle performance retributive degli eletti in province (in Parlamento giacciono proposte per istituirne altre 35, tra politici e burocrazia costerebbero sui 50 milioni di euro ciascuna), comuni, comunità montane, circoscrizioni e consigli di quartiere? È una novità introdotta alla chetichella nel '99 da una legge delega che dava mandato al governo di regolamentare le indennità per gli amministratori degli enti locali. Cosa ha fatto l'esecutivo? Ha concesso una retribuzione a tutti, parlando in verità di gettoni di presenza, ma lasciando agli enti locali il diritto di trasformarli in indennità. Per quanto riguarda l'ammontare, la legge attribuiva la decisione al ministro dell'Interno. Solo che gli enti locali hanno trovato il modo per avere alla fine lo stesso voce in capitolo in un pozzo senza fondo dove spiccano i 950 euro mensili per ciascuno dei 427 consiglieri di circoscrizione di Napoli e i 1500 euro per i 156 consiglieri circoscrizionali di Catania: "Uno stipendio che corrisponderebbe a una buona retribuzione per un giovane meridionale". E che alimenta invece un ceto politico sproporzionato che a Roma vanta un eletto per 5.178 abitanti e a Ascoli Piceno addirittura uno ogni 348 cittadini.

Come rimediare a questi sperperi? Salvi e Villone avanzano alla fine nove proposte. Tra queste, la revisione del finanziamento pubblico oggi fondato sull'iniquo meccanismo dei rimborsi elettorali: nell'ultimo anno ben ottantuno partiti e liste elettorali si sono spartiti oltre 196 milioni di euro. "Si calcoli invece quanto serve per i dipendenti dei partiti e se ne tenga conto in un sistema pubblico e trasparente del finanziamento". Con un ritorno all'idea della politica come missione: "Chi è eletto si accontenti di una indennità ben più modesta di quella attuale. Chi non se la sente scelga un'altra attività".

 

 

Partiti come bocciofile

 

 

Incarichi, consulenze, sprechi. Senatore Salvi come definire questa situazione?

"Siamo di fronte a un processo di corrompimento del rapporto tra politica e società civile. Da un lato c'è il politico che cerca consenso con le prebende, dall'altro i cittadini sempre meno liberi di fare le loro scelte e competere sul mercato. Il risultato è la totale distorsione del sistema. È giusto che una regione svolga attività diplomatica all'estero? O che un ente locale sia proprietario di un'autostrada? È giusta la moltiplicazione delle intese consociative per spartirsi gli incarichi?".

Ma il consociativismo non doveva finire con il maggioritario?

"Promessa tradita. Il bipolarismo gridato nasconde solo spartizioni di potere. Una situazione provocata dall'introduzione di tante riforme pure condivisibili che messe insieme hanno invece provocato il venir meno di qualsiasi forma di controllo e responsabilità: l'eliminazione dell'interesse privato in atti di ufficio, la riduzione dell'intervento della Corte dei conti, l'eliminazione dei Coreco e dei commissari governativi nelle regioni, l'introduzione dello spoil system, il depotenziamento delle assemblee elettive".

Come rimediare?

"Segnalo due provvedimenti: una legge sui partiti, destinatari di ingenti contributi pubblici, ma ora disciplinati alla stregua di una bocciofila. In Germania, la Corte costituzionale ha stabilito che il finanziamento era possibile solo se accompagnato da una legge che garantiva la vita democratica delle forze politiche. Infine, ci vuole una norma che assicuri trasparenza. Nessun provvedimento che comporti esborso di denaro pubblico deve avere efficacia se non è stato reso noto ammontare e nome del beneficiario. Solo così i cittadini potranno contare e non solo quando vanno a votare". P. D. N.

 

 

 

 

 

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Dal Corriere della Sera del 29/12/05

La norma era stata approvata alla vigilia di Natale del 2003. Pochi giorni fa è arrivato il via libera del governo per la distribuzione

Tesoro, la legge dona 407 milioni ai dipendenti

È il «premio produttività» legato ai controlli fiscali e ai risparmi di spesa. In media sono andati 6 mila euro a testa, ma i vertici ne hanno avuti 55 mila

Chi urla scandalizzato contro i drastici tagli alle università si tiri su con lo spirito: quella montagna di soldi risparmiati ha fatto felici tante famiglie. Sono finiti infatti sotto l'albero dei dipendenti del ministero dell’Economia. Chiamati a spartirsi 407 milioni di euro e benedetti ciascuno, in media, da un «premio» di 6 mila. Che raddoppiano per centinaia di dirigenti e arrivano a punte, per i massimi vertici, di 55 mila euro. Cento milioni di lire. E poi dicono che lo Stato è povero e taccagno...

Spiegano ora, al dicastero che gestisce le pubbliche casse, che è così anche da altre parti e che i premi di produttività sono utili al buon funzionamento degli uffici e che è tutto regolare e sancito dalla legge eccetera eccetera. Certo, a prendere ad esempio quanto è stato recuperato dando la caccia agli evasori, i numeri denunciati da Beniamino Lapadula della Cgil sono (causa condoni) da brividi: 11 miliardi nel 2001 e 4,8 quest’anno. Con un crollo che, insieme con altri dati, non pare dimostrare una efficienza tale da meritare regalie a pioggia. Che tutte le carte siano formalmente a posto, però, è verissimo.

La prima è la legge 350 varata dal governo alla vigilia di Natale del 2003. Dove si diceva che il Ministero dell’Economia, sulle somme riscosse con le «attività di controllo fiscale», le «maggiori entrate realizzate con la vendita degli immobili dello Stato », i «risparmi di spesa per interessi» sul debito pubblico e «l’attività di controllo e di monitoraggio dell’andamento della finanza pubblica e dei flussi di bilancio», fissa una percentuale da spartire tra i dipendenti ministeriali degli uffici «che hanno conseguito gli obiettivi di produttività definiti, anche su base monetaria». Quanti a Tizio e quanti a Caio? La decisione era demandata alla «contrattazione integrativa ». Prova provata che il premio non sarebbe finito affatto a chi aveva aiutato lo Stato eliminando degli sprechi, promuovendo dei risparmi, lavorando il doppio o scovando evasori (come almeno in parte accadeva in passato) ma a tutti. Purosangue e somari, stakanovisti e lavativi.

E qualche giorno fa, ancora una volta proprio alla vigilia di Natale (quale momento migliore, per impacchettare un regalino?) è arrivato il via libera del governo a spartire la somma fissata: 407.100.000 euro. Pari al taglio fatto nella Legge finanziaria a tutte le Province messe insieme invitate a tirare la cinghia. Oppure a quello alla sicurezza, con gratitudine dei delinquenti. O pari, come dicevamo, alla sforbiciata data alle Università italiane che secondo Alessandro Bianchi, segretario della Conferenza dei rettori, ammontano appunto a 415 milioni di euro. Di cui 200 destinati agli aumenti di stipendio (spese fisse: inflazione, anzianità, contratti...) dei dipendenti, dai luminari ai bidelli. Scavalcati dal «premio» ai ministeriali dell’Economia.

Oddio, non che sia l’unico. Nel silenzio pressoché totale e un po’ omertoso, un bonus natalizio il nostro squattrinato Stato lo dona ad esempio (grazie all’approvazione d’un emendamento di pochi anni fa di Giuseppe Fioroni, della Margherita) anche ai 1800 dipendenti dell’Istituto Superiore di sanità e ai 1200 dell’Ispesl (l’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro). Nei cui Consigli di amministrazione siede, senza imbarazzi di incompatibilità, lo stesso Fioroni. Il meccanismo qui è leggermente diverso. E nelle buste paga viene dirottata una quota delle somme che la nostra derelitta Sanità non è riuscita a utilizzare. Ma il premio, evidentemente guadagnato grazie al luccichio del nostro sistema sanitario, c’è. E lussuoso.

Pochi esempi: 6.323 euro ai funzionari di quarto livello, 9.937 ai direttori di ricerca, 10.163 ai dirigenti di prima fascia. Per un totale, distribuito quest’anno, di 7milioni di euro. Il costo di una quindicina di tac di ultimissima generazione. Indispensabili come l’aria a decine di ospedali del Sud che devono mandare i pazienti nelle cliniche private. Ma all’Economia, accusa la deputata diessina Laura Pennacchi rilanciando le denunce di una parte degli stessi dipendenti bagnati dal felice acquazzone di denaro, la regalia (che la stessa Cgil ha di fatto approvato chiamandosi fuori dall’accordo ma senza mettersi di traverso per non inimicarsi gli iscritti) è ancora più stupefacente. Basta consultare le tabelle riportate dal sito dei sindacati di base www.rdbcub.it. Tabelle che lasciano sconcertati, in questi anni di vacche magre in cui lo Stato va a tagliare anche sull’assistenza ai disabili.

Dicono dunque queste tabelle che ai 203 dipendenti del Gabinetto del Ministro sono destinati pro-capite 5.911 euro di cadeau-premio. Ai 904 del Dipartimento del Tesoro 6.073. Ai 2.242 della sede centrale della Ragioneria Generale 13.679. Ai 462 del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e Coesione 3.463. Ai 9.305 del Dipartimento Amministrazione Generale, Personale e Servizi del Tesoro 2.610. Ai 3.660 del Dipartimento per le Politiche Fiscali 9.224. E infine ai 109 della Scuola Superiore Economia e Finanze 8.330 euro. Ma questa è la media dei bonus per tutti. Coi dirigenti, abbiano o meno contribuito sul serio a fargli guadagnare o risparmiare dei soldi, lo Stato è stato infatti ancora più generoso.

L’accordo del 15 novembre scorso tra il dipartimento generale e i sindacati, firmato da Unsa, Dirstat, Unadis ma anche dalla Cgil, stabilisce infatti che i dirigenti del Gabinetto di Giulio Tremonti si spartiscano 308 mila euro, quelli del Dipartimento del Tesoro (che sono un centinaio) un milione e 242 mila, quelli della Ragioneria Generale (mezzo migliaio) sette milioni e 204 mila, quelli del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e Coesione 465 mila e quelli della Amministrazione Generale un milione e 702 mila. Per un totale da dividere, tra i soli dirigenti, di 10 milioni e 921 mila euro. Pari a quasi 23 miliardi di lire. Con una maggiorazione del 65% ai dipendenti dell’ex-Tesoro. Fate i conti: circa 12 mila euro a un dirigente del Tesoro, circa 14 mila a quelli della Ragioneria. Con vette di 55 mila euro ai massimi responsabili dei dipartimenti. Le vacche saranno magre. Ma se le sai mungere...

 

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Parlamentari, in arrivo aumento di stipendio

 

Restano intatte le pensioni dei senatori dopo il no di Palazzo

 Madama. Probabile il voto contrario anche di Montecitorio

 

 

Mario Sensini - 13 gennaio 2006
 

ROMA — Scongiurato con decisione unanime il taglio al vitalizio e all'assegno di reinserimento, a pochi giorni dalla fine della XIV legislatura, i senatori si apprestano a ricevere un nuovo aumento di stipendio. Lo scatto, che riguarda anche i deputati, e che si trascinerà anche su pensioni e liquidazioni, si annuncia consistente. In grado comunque di cancellare il taglio delle indennità mensili dei parlamentari deciso con la Finanziaria 2006 appena entrata in vigore. Taglio che avrebbe dovuto essere del 10%, ma che in realtà, sia per gli stipendi dei deputati che dei senatori, si è fermato al 6%.
 

NUOVO SCATTO — L'aumento alle porte è quello biennale che deriva dall'agganciamento delle indennità parlamentari agli stipendi dei presidenti di sezione della Cassazione. Secondo alcune indiscrezioni l'aumento alle porte sarebbe intorno al 6%. Esattamente pari al taglio appena effettuato alle indennità, in ossequio alla Finanziaria del ministro Giulio Tremonti. La legge stabilisce che "la misura massima" dell'indennità mensile dei parlamentari debba essere ridotta del 10%. Se non che lo stipendio dei parlamentari, fino al dicembre scorso, era pari non "al massimo", ma al 96% dello stipendio dei magistrati. Sicché il taglio effettivo già adottato dal Senato, e che la Camera si appresta a varare martedì prossimo, sarà di soli sei punti percentuali. La riduzione delle indennità appena decisa, da 5.940 a 5.580 euro netti mensili (cui si aggiungono 4 mila euro di diaria, 4.678 euro di rimborsi, in parte ai gruppi politici di appartenenza, oltre ai forfait annuali per i viaggi, da 9 a 18 mila euro) rischia di essere del tutto vanificata. Mentre non accenna a placarsi la polemica sulla decurtazione del cosiddetto "assegno di reinserimento", pari all'80% dell'indennità mensile per ogni anno di mandato effettuato, e sul vitalizio, variabile tra il 25 e l'80% dell'indennità, anche reversibile, e che scatta ai 65 anni d'età (60 se l'ex parlamentare ha fatto più di una legislatura).


PENSIONI INTATTE — Palazzo Madama, l'altra notte, ha bocciato la proposta che il senatore della Lega Nord, Francesco Moro, considera «una forzatura del presidente del Senato», che l'ha avanzata e che è stato l'unico a sostenerla. «È un'interpretazione troppo estensiva della Finanziaria. Lì c'è scritto taglio dell'indennità mensile. Punto, altro che pensioni e vitalizi», dice Moro. «Senza contare che la proposta di Pera avrebbe avuto l'effetto di ridurre le pensioni anche a chi non è più membro del Parlamento, perché l'assegno è indicizzato all'indennità mensile. E la Finanziaria prevede il taglio solo per i membri attuali del Parlamento», afferma Giuseppe Firrarello, esponente di Forza Italia nel Consiglio di Presidenza del Senato. Le stesse argomentazioni che il senatore Ds Stefano Passigli ha formulato l'altra notte nel corso della riunione.
 

MARTEDÌ LA CAMERA — La palla ora passa ai questori del Senato, che dovranno trovare il modo (che a tutti pare difficile) di applicare la norma proposta salvaguardando i diritti acquisiti dagli ex senatori. Martedì prossimo, invece, ad affrontare la delicata questione del taglio alle pensioni sarà la Camera. I Questori di Montecitorio, a scanso di polemiche, hanno chiesto un parere preventivo all'Avvocatura dello Stato. Che stando alle indiscrezioni confermerebbe tutte le perplessità emerse in Senato. Anche alla Camera, dunque, la bocciatura del taglio alle pensioni e alle indennità sembra probabile. Se non altro per non creare disparità di trattamento con i colleghi senatori. Dalla Camera è attesa anche la decisione sul taglio dell'indennità mensile. Non scontata, se è vero che qualcuno insiste nell'intervenire solo sulle voci accessorie dello stipendio.