Cari figli, la pace nel mondo è
minacciata. Inginocchiatevi e pregate, perché solo così raggiungerete la vera
pace. L’umanità cammina verso un grande abisso ed è giunto il momento del vostro
ritorno al Signore. Il Medio Oriente tremerà per il grande olocausto atomico. I
momenti di dolore per l’umanità si avvicinano. Sono venuta dal cielo per
chiamarvi alla conversione. Aprite i vostri cuori e accettate la volontà di Dio
per le vostre vite. Non esitate. Perseverate lungo il cammino che vi ho
indicato. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima
Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi
benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete
nella pace. (Mensagem
de Nossa Senhora Rainha da Paz transmitida em 28/01/2010)
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Gli uomini grigi, fedeli accoliti del grande
impostore, in un’orgia di piacere e di sfrenate ambizioni, si stanno prodigando,
con crescente ferocia, in speculazioni che, come putridi miasmi, diffondono
povertà e demoliscono l’umanità.
Tutto quanto coperto e giustificato da accademici,
tristi omuncoli asserviti a teorie della dissoluzione.
Con la medesima arroganza con la quale hanno seminato la zizzania, stanno
raccogliendo con vanitosa soddisfazione il propagarsi della distruzione. I
marinai della barca delle impurità hanno raggiunto tutti i posti di potere: la
scimmia sulfurea ha sempre distribuito onori e glorie terrene ai suoi seguaci.
Farebbe ben altro per strappare le anime a Colui
che ha versato il proprio sangue per la Redenzione.
Il pifferaio magico ha suonato la danza della morte: tramite la menzogna
ha trasformato l’orribile canto in un suadente e soave suono incantatore che ha
pervertito i sensi. Gli uomini, trasformati in animali e guidati dagli istinti
di potere, in moltitudini hanno seguito il canto delle sirene:
ora il burrone è vicino e le prime fila iniziano già a
precipitare tra grida di dolore ed urla di disperazione.
Evitate di pensare alla salvaguardia dei vostri risparmi: si avvicinano tempi in
cui qualcosa di molto più importante è in gioco. Non ci si può nascondere per la
salvaguardia del quieto vivere, non è il tempo delle talpe: i figli della verità
si scontrano con i figli della menzogna. Gli schieramenti si stanno spiegando:
la battaglia cruciale si avvicina.
I figli della luce non abbiano alcuna paura. Nel cielo vi è una stella che
brilla squarciando l’oscurità della notte dello spirito: basta preservare Fede,
Speranza e Carità rivolgendo lo sguardo orante verso le colline di Medjugorje.
Le armi della Regina della Pace sono invincibili: umiltà, digiuno e preghiera.
Attacco all'Iran
Verso la guerra con l'Iran: ecco
la strategia israeliana
Analisi di Ruben Weizman, resp. Medio Oriente di Watch International - E' solo di pochi giorni fa la notizia che navi da guerra americane e israeliane erano transitate per lo Stretto di Suez in direzione Golfo Persico, notizia che aveva seguito quelle secondo cui l'Arabia Saudita aveva concesso un corridoio all'aviazione israeliana nel caso di un attacco alle centrali nucleari iraniane. Ma se la notizia diffusa ieri da Israeli Globes venisse confermata saremmo di fronte ad un vero e proprio accerchiamento dell'Iran.
Secondo l'autorevole giornale economico israeliano, ripreso anche da diversi siti specializzati e vicini all'intelligence israeliana, sarebbe in atto un importante concentramento di truppe israeliane e americane in Azerbaijan. La notizia sarebbe stata confermata indirettamente dalla Iranian Press TV Agency che ha riferito di un imponente spostamento di Guardie Rivoluzionarie Iraniane lungo il confine nord del Paese, in prossimità del confine con l'Azerbaijan, proprio per prevenire un attacco da nord.
Sempre in riferimento a preparativi di guerra, ieri un sito web islamico saudita, ripreso dall'agenzia iraniana Fars News, ha riportato la notizia che secondo diversi testimoni nei giorni scorsi aerei da trasporto C130 avrebbero scaricato materiali e truppe israeliane nella città saudita di Tabuk, a conferma degli accordi segreti tra Arabia Saudita e Israele per un attacco alle centrali nucleari iraniane.
Se è vero che non ci sono conferme da fonti ufficiali (come del resto è più che logico) è anche vero che tante voci tutte insieme confermano che qualcosa sta succedendo e che si sta andando verso un attacco militare alle centrali nucleari iraniane. I piani israeliani iniziano a farsi chiari. Se fosse confermato che aerei e militari israeliani fossero in Azerbaijan si sarebbe risolto il problema della lontananza dagli obbiettivi, mentre l'appoggio dato dall'Arabia Saudita (e indirettamente dall'Egitto) confermerebbe che anche i Paesi Arabi sono favorevoli ad un attacco militare all'Iran. Le navi militari nel Golfo Persico potrebbero lanciare salve di missili sulle centrali nucleari iraniane più lontane. In pochi minuti tutto sarebbe finito e il programma nucleare iraniano azzerato completamente. Nel caso, molto probabile, di una reazione iraniana le truppe e gli aerei presenti in Arabia Saudita e in Azerbaijan sarebbero sopra gli obbiettivi in pochi minuti. A completare la strategia israeliana c'è la notizia diffusa l'altro ieri dai comandi dell'IDF di un “importante” spostamento di truppe israeliane lungo i confini con il Libano, altro fronte caldo soprattutto in previsione di una reazione iraniana.
Man mano che passano i giorni sembra quindi delinearsi la strategia di attacco israeliano all'Iran. A Teheran sono sempre più nervosi e attraverso i loro media diffondono notizia che vorrebbero trasmettere sicurezza ma che, al contrario, denotano la paura del regime di ritrovarsi sotto attacco nelle prossime settimane. Quello che sembra chiaro è che l'operazione “attacco all'Iran” ha ormai preso il via e non sarà certo facile per nessuno fermarla.
Attacco all'Iran - Il generale Mini
Movimenti sospetti al confine
nord-occidentale dell'Iran
NOTIZIE: LA IAF[1] E' SBARCATA IN UNA BASE SAUDITA E LE TRUPPE AMERICANE SI SONO AMMASSATE VICINO AL CONFINE IRANIANO
L’aviazione israeliana ha di recente
scaricato attrezzature militari in una base dell’Arabia Saudita, secondo quanto
riferito da un’agenzia di notizie iraniana semi-ufficiale, mentre una gran
quantità di truppe americane si è ammassata in Azerbaigian, al confine
nord-occidentale dell’Iran.
Entrambe le notizie giungono a meno di una settimana dalla conferma, da parte
del Pentagono, che una flotta americana insolitamente imponente ha attraversato
sabato il Canale di Suez. Diverse fonti hanno detto che all’armata si è unita
una nave israeliana.
Il Pentagono ha minimizzato le notizie, dicendo che quelle americane sono
manovre di routine. Tuttavia, una notizia proveniente mercoledì dall’Iran –
secondo cui questo paese ha arricchito dozzine di libbre di uranio arricchito al
17% - ci ricorda che il tempo per impedire all’Iran di produrre un’arma nucleare
sta finendo.
L’iraniana Fars News Agency ha detto che l’aereo
militare israeliano è atterrato 10 giorni fa nella base saudita vicina alla
città di Tabuk, ubicata nella zona nord-occidentale dell’Arabia Saudita, una
delle più vicine all’Iran dal “regno del petrolio” saudita.
Fars ha detto che la base di Tabuk sarà il quartier generale
dell’attacco israeliano all’Iran. Essa ha citato un sito islamico di news
secondo cui un passeggero di una compagnia aerea privata ha detto che
l’aeroporto di Tabuk è stato chiuso ad ogni altro traffico durante il presunto
atterraggio degli israeliani. Il passeggero ha detto che “nessuna spiegazione
ragionevole” è stata fornita per aver chiuso l’aeroporto e i passeggeri
coinvolti sono stati risarciti e alloggiati in alberghi a quattro stelle.
“I rapporti tra l’Arabia Saudita e Israele sono diventati l’argomento di
conversazione della città”, ha aggiunto il passeggero. Si dice che l’autorità
principale di Tabuk, il Principe Fahd ben Sultan, stia coordinando la
cooperazione con Israele.
Azerbaigian
L'iraniana Press TV, finanziata dal governo, ha riferito che i
Guardiani della rivoluzione hanno cominciato a sorvegliare attentamente il
confine nord-occidentale della Repubblica Islamica dopo aver visto le forze
americane che, secondo l’Iran, comprendono anche truppe israeliane. Anche il
sito indipendente di news dell’Azerbaigian Trend ha riferito mercoledì
che le forze armate americane si trovano nel paese, che è impegnato in un
conflitto armato con i ribelli. Il generale di brigata dei Guardiani della
rivoluzione Mehdi Moini ha detto martedì che le sue truppe sono state mobilitate
“a causa della presenza delle truppe americane e israeliane al confine
occidentale”. A quanto si dice, i Guardiani hanno concentrato nella zona carri
armati e unità contraeree in quello che equivale a un’allerta di guerra.
Uranio arricchito
Mentre i segnali indicano un più alto profilo militare americano-israeliano
contro l’Iran, Ali Akbar Salehi, il vice-presidente della Repubblica Islamica e
direttore del programma nucleare, ha annunciato mercoledì che l’Iran ha prodotto
altre 37 libbre di uranio arricchito al 20%. La produzione di uranio sfida le
richieste delle Nazioni Unite che l’Iran cessi il suo incontrollato sviluppo
nucleare, sebbene il livello del 20% è molto al di sotto del livello necessario
a costruire un’arma nucleare.
“Potenzialmente, possiamo produrre 5 chili al mese, ma non abbiamo fretta”, ha
detto Salehi all’agenzia di notizie semi-ufficiale ISNA.
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[1] Israel Air Force
[2] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile
all’indirizzo:
http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/138231
L’“INVEROSIMILE” ATTACCO PROSSIMO VENTURO
Israele è pronta ad attaccare l’Iran. Una
crisi annunciata della quale Washington, contrariamente a quanto vorrebbe far
credere, non è affatto all’oscuro. Anche la Russia e la Cina, a sorpresa,
sembrano dare il via libera all’attacco in fede a inediti e non meglio precisati
“scambi di favori”. Accettando un rischio di proporzioni non ancora prevedibili.
C’è da chiedersi: perché lo fanno?
Se siamo a 5 minuti, a 5 giorni, a 5 mesi, non possiamo saperlo. Ma che siamo a
5 anni possiamo escluderlo. Da dove? Dal momento in cui Israele attaccherà
militarmente l’Iran e darà avvio a una crisi militare di così vaste proporzioni
da modificare per una lunga fase i già precari equilibri mondiali restanti.
Questa crisi - annunciatissima ma che quasi nessuno vuole vedere - si
aggiungerà, aggravandole drammaticamente, a tutte le altre crisi già in atto.
Israele vi si accinge, incoraggiata da potenti circoli internazionali che sono
interessati a un grande incendio: l’unico nel quale potranno essere bruciati
tutti i libri contabili degli organizzatori della fine di un’epoca intera della
storia umana.
Inutile rispondere alle obiezioni che di solito promanano da ogni sorta di anime
belle: hanno tutte lo stesso difetto originario, consistente nell’applicare le
regole del politically correct a Israele.
Quelle regole non sono usate da Israele essendo esse state inventate per i paesi
normali, mentre Israele è un paese eletto. La sostanza di questo pensiero è che
Dio sta dalla sua parte, è “con Israele”. E, quindi, ogni forma di analisi
politically correct del comportamento di Israele appare insensata, essendo Dio
estraneo a criteri del genere.
Quindi, invece di prevenire le obiezioni politically corrected mi limiterò ad
elencare i fatti. Che sono molto più vasti, con le loro implicazioni, dei
confini di Israele e conducono tutti, inequivocabilmente, ad un esito, dove
Israele svolgerà un ruolo principale: quello detto all’inizio. Se poi
quell’esito sembrerà dimostrare che Dio è con loro, non potremo che invocare
quel Dio chiedendogli che “ce la mandi buona”.
Vediamo dunque i fatti. A cominciare dall’assalto al convoglio di navi pacifiste
che, alla fine di maggio, intendeva rompere il blocco di Gaza. Sappiamo – fu
chiaro fin dal primo momento della tragedia – che non è stato un malaugurato
errore, ma una sanguinosa provocazione ideata a freddo per aprire uno scandalo
internazionale di enormi proporzioni. Lo scopo era quello di punire la Turchia.
Un segnale dunque.
Alle anime belle che si sono affannate a scrivere che l’attacco dei commandos
israeliani ha provocato gravi danni alla causa israeliana, isolando
ulteriormente quel paese perfino da molti dei suoi amici europei, si dovrà
suggerire di guardare la faccenda da un altro angolo visuale. Israele non ha
bisogno di alleati terreni, salvo uno, che è terreno solo in un senso
particolare, sentendosi investito, da circa 100 anni a questa parte, di una
missione divina anch’esso: gli Stati Uniti d’America.
E questo alleato non lo ha perduto e non lo perderà mai.
Si capirà meglio così che la violenza contro i pacifisti non è stata un
incidente ma è stata organizzata proprio per spaccare la comunità occidentale e
per costringere tutti a scoprire le loro carte. Del resto - secondo fatto da
elencare – Ankara e Brasilia (new entry, quest’ultima, a sorpresa in questa
partita planetaria) dovevano essere punite (il Brasile si aspetti il suo turno)
per avere rotto il fronte dell’Occidente mandando i rispettivi presidenti a
trattare con Ahmadi Nejad una soluzione che consentisse all’Iran di procedere
senza essere disturbato con il suo programma nucleare civile.
Dunque occorre non perdere d’occhio il cospicuo movimento tettonico di cui è
protagonista la Turchia. Esso procede con scosse di assestamento sempre più
potenti e si ripete, il 9 giugno (una decina di giorni dopo la crisi della
flottiglia pacifista) con il voto contrario (di nuovo la Turchia e il Brasile
agiscono di concerto) alle sanzioni decise dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu
contro l’Iran. Sanzioni, come sappiamo, promosse dagli Stati Uniti e accolte da
Russia e Cina: ecco due novità di vaste implicazioni, piene di interrogativi
come funesti vasi di Pandora.
Tra i fatti da tenere presenti, perché senza queste pennellate altrimenti il
quadro non sarebbe completo, c’è la circostanza che, fino a ieri, gli aerei
israeliani che sarebbero destinati ad attaccare l’Iran, come prima onda d’urto,
si trovavano in una base Nato in territorio turco. Lo scopo era chiaro: disporre
di una traiettoria di volo breve. Non mi stupirei adesso che quella traiettoria
breve, senza rifornimenti in volo, non sia più disponibile e che quei caccia
bombardieri siano già stati trasferiti, o siano in via di trasferimento in
qualche altra base segreta, sicuramente non più in Turchia.
Per scoprire quale essa sia basta fare un piccolo esercizio di Risiko, carta
alla mano, e elenco dei paesi Nato nell’area, senza trascurare qualche paese,
più piccolo e ben piazzato, che è amico degli Stati Uniti e di Israele e che si
trova nelle vicinanze dell’Iran. Altra buona ragione per punire Erdogan.
Ma altri fatti si accavallano in rapida successione. Il 7 giugno, due giorni
prima del voto Onu, The International Herald Tribune, nella sua pagina di
opinioni editoriali, pubblica un articolo di Richard V. Allen, che fu
consigliere per la Sicurezza nazionale di Ronald Reagan nel biennio 1981-82.
Allen, dopo avere esordito con queste parole (“con le notizie controverse che
circolano a proposito di un attacco israeliano”), ricostruisce l’altro attacco
israeliano di 29 anni fa contro l’impianto nucleare iracheno di Osirak, ancora
in costruzione in quel momento. Curiosamente l’intero articolo sembra concepito
per dimostrare che Washington non sapeva nulla di nulla di ciò che Tel Aviv
aveva organizzato.
Lo stesso Reagan, apparentemente cadendo dal pero, chiede infatti a Allen:
“Perché secondo te l’hanno fatto?”. Verrebbe da dire: beata ingenuità.
Il giorno dopo, nella Sala Ovale, si terrà una accesa riunione, mentre le
polemiche dilagano nel mondo a proposito delle rovine ancora fumanti di Osirak.
Rovine dell’allora alleato degli Stati Uniti Saddam Hussein. In quella riunione
il vice-presidente di allora George H.W.Bush, George Baker, capo dello staff
presidenziale, Michael Deaver, aiutante del presidente, si schierano per punire
Israele, mentre il generale Alexander Haig, segretario di stato, e il capo della
Cia William J.Casey sono per appoggiare Israele.
Se crediamo alla versione di Allen, il presidente Reagan fece il pesce in barile
e rimase, in sostanza, ad ascoltare la disputa. Ma il finale è noto: alla fine
di quell’anno gli Stati Uniti e Israele firmarono un accordo di cooperazione
strategica.
Allora Dio era con loro, senza dubbio alcuno. Ma la domanda è questa (e spiega
bene perché l’autorevole quotidiano americano abbia pubblicato proprio
quell’articolo e proprio in quei giorni): 29 anni dopo sarebbe ancora possibile
(anche se prendessimo per buono il racconto di Richard V. Allen) un attacco
israeliano contro l’Iran senza che il Pentagono, la Cia e gli altri servizi
segreti statunitensi ne sappiano nulla? Ovvio che Washington non è affatto
all’oscuro di ciò che è già stato preparato. Neanche se lo volesse potrebbe
ignorarlo. Perché i primi a non fare mistero delle loro intenzioni sono proprio
i capi israeliani.
Lo stesso 9 giugno (che è poi il giorno delle sanzioni del Consiglio di
Sicurezza), lo stesso International Herald Tribune rivela, in prima pagina, con
un articolo da Gerusalemme di Andrew Jacobs, che una delegazione israeliana è
andata a Pechino per far sapere ai cinesi, “senza melensaggini diplomatiche”,
che Israele intende attaccare militarmente l’Iran.
L’esplicito proposito della visita, scrive Jacobs, era di “spiegare con precisi
dettagli l’impatto economico che la Cina subirebbe nel caso di un colpo
israeliano contro l’Iran”. Ipotesi che Israele “considera probabile quando
dovesse ritenere che l’Iran potrebbe riuscire a mettere insieme un’arma
nucleare”.
Si noti la formulazione: l’attacco avverrà quando Israele pensa che l’Iran
“potrebbe riuscire...” non quando ci sarà riuscito. Cioè prima ancora che il
pericolo si delinei e molto prima che esso sia attuabile, poiché una bomba che
non può essere portata sul bersaglio non costituisce un pericolo reale e l’Iran
non dispone di vettori per la bisogna e, ove si avvicinasse a questo obiettivo,
non potrebbe tenerlo nascosto alle osservazioni dall’esterno e dall’interno cui
è sottoposto incessantemente da tutti i servizi segreti occidentali e orientali.
Non viene detto come i cinesi abbiano reagito ai chiarimenti israeliani. Si sa
solo che hanno votato le sanzioni, seppure mantenendo, come ha fatto Mosca,
alcuni distinguo. Ma – ecco un altro fatto - tre giorni dopo l’articolo citato,
tre giorni dopo il voto all’Onu, ecco la notizia che la Russia non onorerà più
il contratto che aveva già firmato con l’Iran per la fornitura di 300 missili
terra-aria. La perdita della commessa – rivela Russia Today quel giorno – vale
oltre un miliardo e 200 milioni di dollari: un colpo per Rosvooruzhenie, eppure
il Cremlino non muove un ciglio e getta via il tesoro.
Si tratta di armi cruciali per la difesa contro un attacco aereo e mediante
missili di crociera. Anche qui il significato è inequivocabile: Mosca concede il
via libera. Lo stesso giorno 12 giugno le agenzie riferiscono che l’Arabia
Saudita, dopo avere informato il governo di Washington, concede il proprio
spazio aereo al passaggio dei bombardieri israeliani. Negli stessi giorni fonti
iraniane rendono noto che tre sommergibili israeliani, con missili da crociera a
bordo, sono entrati nel Golfo Persico, sicuramente non all’insaputa del comando
strategico degli Stati Uniti.
E, segnale apparentemente soltanto tangenziale rispetto a questo scenario,
sempre lo stesso giorno a Bruxelles il ministro degli esteri russo, Lavrov,
insieme ai suoi colleghi di Kazakhstan e Uzbekistan, annuncia la decisione di
aprire la strada per il transito dei convogli della Nato (non più soltanto di
quelli americani) che trasportino armi, uomini e logistica verso l’Afghanistan.
Quale sia l’interesse russo in questo “affaire” non è chiaro. Ovvio che stiamo
assistendo a un grande “scambio” di favori, ma non ne conosciamo i termini.
Mosca e Pechino accettano il rischio.
Perchè lo fanno? Né l’una né l’altra hanno qualche cosa da temere dall’Iran e, a
prima vista, entrambe hanno qualche cosa da perdere. La Russia, per esempio,
corre il rischio di vedere affacciarsi sulle rive del Mar Caspio un altro
governo filo americano. Sicuramente in caso di una grande crisi militare – se
l’Iran riuscirà a resistere e a infliggere colpi a sua volta – il prezzo del
petrolio potrebbe balzare in alto. E, se questo sarebbe un bel regalo per Mosca,
sarebbe invece un brutto colpo per la Cina. Certo Mosca potrebbe guardare con
sospetto non minore di quello americano, al sorgere di una alleanza Turchia-
Iran. Ma può essere anche che Cina e Russia ritengano che l’avventura iraniana
si risolverà strategicamente in un nuovo disastro per gli Stati Uniti: la
classica immagine di chi sta seduto sulla riva del fiume per aspettare il
passaggio del cadavere del nemico. Per giunta avendo ricevuto dal nemico
agonizzante qualche regalo. Ma dev’essere stato un grande regalo davvero.
Certo è che l’operazione Teheran comporta un grande scenario preparatorio.
Grande quanto il fuoco che ci si prepara ad accendere. E non dopo, ma durante,
la presidenza del premio Nobel per la pace Barack Obama.
APPENDICE
Fold, Call o Raise?
Ricapitoliamo ed aggiorniamo, grazie a diverse fonti, i movimenti pre-bellici di questi giorni che non promettono nulla di buono per il Medio Oriente.
L’ultimo in ordine di tempo è rappresentato dallo “stato di guerra” dichiarato dall’Iran lungo la frontiera nord-occidentale del Paese. Secondo diverse fonti, le Guardie della Rivoluzione iraniane stanno ammassando uomini ed apparecchiature nella regione del Mar Caspio in risposta allo spostamento delle forze israeliane e statunitensi nelle basi aeree in Azerbaigian che sarebbero pronte, in caso di bisogno, a colpire gli impianti nucleari della Repubblica Islamica.
Il Generale dei Pasdaran, Mehdi Mojini ha dichiarato che le forze dispiegate hanno il compito di “respingere qualsiasi [possibile] offensiva americana-israeliana”. “La mobilitazione”, continua il Generale “è dovuta alla presenza di forze americane ed israeliane lungo il confine occidentale”, aggiungendo che “i rinforzi sono stati spediti nella provincia dell’Azerbaigian occidentale anche perché alcuni Paesi occidentali stanno alimentando i destabilizzanti conflitti etnici nella Regione”.
Secondo alcune fonti dell’intelligence iraniana nei giorni scorsi Israele avrebbe segretamente trasferito un numero elevato di caccia-bombardieri nella basi aeree in Azerbaigian, via Georgia e le forze speciali americane sarebbero concentrate a Baku in preparazione di un attacco a sorpresa.
Testimoni locali in Iran affermano che lunghe file di veicoli blindati, come carri armati, artiglieria, unità anti-aeree e fanteria sono stati visti passare lungo le principali autostrade della provincia dell’Azerbaigian occidentale iraniano, dirette a nord verso il Mar Caspio. L’intelligence iraniana ha deciso che tale spiegamento di forze potrebbe risultare utile anche come misura preventiva contro “tempestivi sconvolgimenti” ad opera dei numerosi gruppi separatisti azeri, foraggiati, molto probabilmente dal Mossad e dalla CIA. L’esecuzione di Abdolmalek Rigi, ex Capo dei Jundallah – u’organizzazione sunnita ribelle del Baluchistan iraniano – avvenuta il 20 giugno fa parte del deterrente contro le altre minoranze che operano nel Paese.
Ad accrescere le preoccupazioni iraniane, nei giorni scorsi, è stata l’armata di 11 navi da guerra statunitensi, guidate dalla portaerei USS Truman, accompagnate da almeno una nave israeliana ed una tedesca, che hanno attraversato venerdì 18 giugno il Canale di Suez dirette verso il Mar Rosso e presumibilmente verso il Golfo Persico.
Dal 6 al 10 giugno la stessa USS Truman insieme al gruppo d’attacco che l’accompagna ha svolto segretamente un’esercitazione nel Mar Mediterraneo, 50 miglia a largo della costa sud-ovest d’Israele.
Gli obiettivi della simulazione di guerra sono stati principalmente tre:
1) Intercettare i missili iraniani, siriani e di Hezbollah sparati contro Israele o contro obiettivi militari americani in Medio Oriente, per ridurre al minimo i possibili danni da bombardamento.
2) Per cinque giorni e cinque notti, gli F/A 18 E/F Super Hornet caccia-bombardieri sono decollati costantemente dalla USS Truman per svolgere missioni di bombardamento contro obiettivi simulati nel campo bersaglio all’interno della base israeliana di Nevatim – nel deserto del Negev – una delle tre grandi basi aeree dell’IAF.
3) Decine di F-16 israeliani partiti da basi militari in Germania e Romania, sono stati riforniti in volo ed hanno praticato missioni di simulazioni di bombardamenti a lungo raggio sul Mar Rosso e nel Mar Mediterraneo. L’esercitazione non ha trascurato le simulazioni di combattimento in cielo lungo la strada.
L’esercizio militare può essere letto quindi in funzione sia di un attacco preventivo contro l’Iran, sia sulle possibili ritorsioni, che l’asse sciita potrebbe mettere in campo, aumentate di potenziale distruttivo dopo il quasi certamente avvenuto (ma non confermato) o prossimo trasferimento di avanzati missili Scud dalla Siria ad Hezbollah, in Libano.
Sia Washington che Tel Aviv hanno evitato di esporre al pubblico tale esercitazione e solo pochi quotidiani israeliani hanno fatto filtrare alcune informazioni, dimostrando che nonostante i dissapori tra Netanyahu e l’Amministrazione Obama, Usa ed Israele continuano a lavorare a braccetto per contrastare le minacce in Medio Oriente.
Sempre secondo fonti israeliane il Presidente Barack Obama avrebbe ordinato, la seconda settimana di giugno, a tutti i sistemi intercettori in Medio Oriente di andare in stato di allerta di guerra, comprese le batterie anti-missile a bordo delle navi statunitensi della 6à Flotta nel Mediterraneo e della 5à Flotta nel Golfo Persico. Fonti militari israeliane aggiungono che Gerusalemme avrebbe messo in standby lo scudo antimissile Arrow.
Finita l’esercitazione nel Mediterraneo, il gruppo d’attacco guidato dalla USS Truman ha attraversato il Canale di Suez accompagnato da almeno una nave israeliana (non identificata) e dalla fregata missilistica tedesca FGS Hessen F221.
Ieri, inoltre, in tarda notte, Israele ha lanciato con successo il satellite spia “Ofek 9”, dalla base di Palmakhim – al centro del Paese – ed il Ministero della Difesa ha annunciato che tutti i sistemi a bordo dell’Ofek 9 stanno funzionando regolarmente.
L’Ofek 9 – parola che in ebraico significa orizzonte – pesa circa 650 chili ed è il nono satellite spia che Israele lancia con successo. Fonti militari hanno informato che il satellite navigherà ad un’orbita a 640 chilometri dalla Terra e sarà capace di distinguere oggetti di dimensioni inferiori a quelli rilevati in genere dai satelliti commerciali. Secondo l’industria della Difesa, l’Ofek 9 è stato fatto su misura per il controllo sulle lunghe distanze, comprese quindi le installazioni nucleari e missilistiche iraniane. L’ideale per una pianificazione accurata degli obiettivi da colpire con un attacco preventivo.
Alcune agenzia di stampa iraniane, poi, hanno riportato informazioni sulle attività delle forze aeree d’Israele in Arabia Saudita. Secondo il rapporto, la cui affidabilità rimane poco chiara, degli elicotteri militari di Tzahal sono stati visti atterrare nella base militare saudita di Tabuk, nel nord-ovest e scaricare del materiale bellico, in previsione di un possibile attacco contro l’Iran. Secondo le fonti, al momento dello sbarco degli elicotteri israeliani i voli civili nella zona sono stati cancellati. Alcuni dei passeggeri hanno raccontato di non aver avuto nessuna spiegazione per la cancellazione dei loro voli ma hanno rilevato che le autorità hanno fornito loro compensazioni finanziarie ed alloggi a quattro stelle.
Sul fronte della retorica, si nota un’accelerazione delle dichiarazioni belliche da parte d’Israele: l’ex direttore del Mossad, Shabtai Shavit ha parlato chiaramente di attacco preventivo contro l’Iran, lunedì mattina, durante un’assemblea alla Bar-Ilan University: “Io sono del parere che poiché vi è una guerra in corso … dal momento che la minaccia è permanente, dal momento che la chiara intenzione del nemico è di annientarti, la giusta dottrina è quella della prevenzione e non della rappresaglia. Per utilizzare la rappresaglia come strategia principale dovremmo sederci ed aspettare pigramente che il nemico ci attacchi. Ma abbiamo a che fare con un nemico che ha pianificato tutto per tempo e sta solo aspettando l’occasione per ordinare l’attacco …”.
Ma alle dichiarazioni di Shavit hanno seguito quelle ancor più importanti ed ufficiali di Uzi Arad, Capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale d’Israele vicinissimo consigliere del Primo Ministro Benjamin Netanyahu: “L’ultima tornata di sanzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sull’Iran sono inadeguate per contrastare i suoi progressi nucleari. Un attacco militare preventivo potrebbe rivelarsi eventualmente necessario”.
Il Segretario alla Difesa statunitense ha poi rincarato la dose con una dichiarazione che è sembrata ai più un’esagerazione ma che presenta una sua strategica finalità. Il 18 giugno, Robert Gates ha avvertito che l’Iran potrebbe sparare decine o centinaia di missili a breve–medio raggio contro l’Europa, piuttosto che uno o due alla volta.
Il tentativo del Segretario alla Difesa è semplice: spingere l’Europa ad una rapida approvazione di nuove sanzioni unilaterali contro la Repubblica Islamica, che mantiene ancora oggi, importanti commerci con l’eurozona, specialmente con Germania ed Italia.
Oltre alle sanzioni, la strategia americana sembra essere quella della linea dura, nel far capire alla leadership iraniana che il prezzo da pagare per il proseguimento del programma nucleare, supera il beneficio della realizzazione di un’arma atomica. L’Iran potrebbe tuttavia non ritenere credibile un attacco militare contro le sue installazioni in quanto prevedibilemente questo rischierebbe di danneggiare enormemente l’economia occidentale e mondiale a causa dell’aumento del prezzo del petrolio che conseguirebbe da un blitz miliare in tale delicata area.
A dimostrare tranquillità e sicurezza apparente, da parte iraniana, ci hanno pensato le dichiarazioni del Capo dell’Organizzazione per l’Energia Atomica del Paese (AEOI), Ali Akbar Salehi che ha affermato che Teheran ha prodotto più di 17 Kg di uranio arricchito al 20%, sebbene abbia ricordato che l’Iran non ha intenzione di produrre del materiale per una bomba nucleare e che quindi agirà con calma nel convertire una parte delle sue risorse di uranio grezzo. .....
APPROFONDIMENTO
L’Iran sta preparando la bomba atomica? In Israele la gente ha paura. Le discrete allusioni a un possibile attacco preventivo di Israele devono venire prese sul serio? Tel Aviv si prepara allo scenario peggiore con esercitazioni della protezione civile su larga scala.
Aumenta la pressione militare americana
Nei giorni scorsi, 12 navi da guerra della marina Usa hanno traversato il canale di Suez. Sono tre, ora, le squadre navali presenti nell’area. Il dispositivo appare pronto al bombardamento dei siti nucleari iraniani. A rischio il periodo tra fine luglio e i primi di agosto. Gli iraniani minacciano di scatenare il caos in Arabia Saudita. I motivi economici che possono determinare i tempi della crisi.
Il potere occulto: da dove nasce
La grande
complicità internazionale con i massacri periodici israeliani non si creano per
paura di Israele ma per paura di quello che lo stato ebraico rappresenta.
Israele è il simbolo più emblematico, la patria territoriale del sionismo
capitalista che controlla il mondo senza frontiere dagli uffici direttivi di
banche e corporazioni transnazionali.