I GULAG DEL CAPITALISMO:

VIAGGIO NELLE CARCERI AMERICANE E A GUANTANAMO

A Guantanamo  si combatte. E’una guerra psicologica e fisica. Un braccio di ferro tra i prigionieri e l’amministrazione Usa che, dall’11 settembre 2001, ha dato inizio alla War of terror (la guerra del terrore) contro AlQaeda. Ma Guantanamo non è un carcere come gli altri: non a caso è stato ribattezzato The battle lab (il laboratorio della guerra) «dove migliaia di detenuti  sono sottoposti ad esperimenti umani e psicologici», spiegano il generale Mike Dunlean ed il Maggiore Geoffrey Miller che hanno coniato l’espressione. A svelare i retroscena nascosti  di Guantanamo  ci pensa ancora una volta Wikileaks che pubblica documenti di Stato, files e testimonianze di quanti hanno preso parte, assistito o subìto torture e sevizie. (Vedere in Approfondimento)

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

INTRODUZIONE

Situazione delle carceri americane

Fonte web

In America ci sono più di 2.250.000 persone in prigione. 726 galeotti ogni 100.000 abitanti, uno ogni 138 americani: il record mondiale d’imprigionamento.

100.000 detenuti sono in isolamento. 128.000 sono ergastolani. 100.000 i minorenni in riformatorio e 15.000 nelle prigioni per adulti. Il Michigan da solo ha 300 minorenni condannati all’ergastolo senza possibilità di rilascio anticipato.
Dei 700.000 che si trovano nelle prigioni locali 400.000 sono, più che in attesa di giudizio, in attesa d’avvocato. Aspettano, anche per anni, che qualcuno si degni di trovargli uno straccio di difensore d’ufficio.

Le persone in libertà vigilata sono 4.800.000 e a questi occorre aggiungere 5 milioni di ex detenuti che hanno perso il diritto di voto. Trent’anni fa, nelle carceri federali e statali, c’erano 200.00 detenuti, oggi sono 1.400.000: il più grande esperimento di imprigionamento di massa dai tempi di Stalin.

Metà dei detenuti sono afro-americani. Se il tasso d’incarcerazione per i bianchi è di 393 per 100.000, per i neri è 2.531. Se poi si considerano solo i maschi il tasso per i bianchi sale a 717, mentre per i neri arriva a 4.919, ma in molti Stati supera abbondantemente quota 10.000. Non stupisce quindi che in un quarto degli USA il 10% dei maschi neri adulti sia in galera. Questo si spiega perché, pur essendo il 13% dei drogati, i neri sono il 35% degli arrestati per possesso di droga, il 55% dei processati per questo reato e il 75% di quelli che stanno scontando una pena per questo delitto.

Un terzo dei ventenni di colore è in prigione o in libertà vigilata e per i giovani neri passare un certo periodo di tempo in prigione è diventato un “rito di passaggio”, come lo era per noi fare il servizio militare. Il loro tasso d’incarcerazione è di 12.603 per centomila, mentre per i loro coetanei bianchi è di 1.666.

La metà dei delitti non è denunciata, eppure ogni giorno le carceri della Contea di Los Angeles accolgono 6.000 nuovi detenuti e ogni anno le 18.000 polizie americane arrestano almeno 13.700.000 persone (ma più probabilmente sono 15 milioni). Circa 2.200.000 sono minorenni: almeno 500.000 sotto i 15 anni, 120.000 fra i 10 e i 12 e 20.000 sotto i 10. Sono stati arrestati bambini di meno di 6 anni.

Le esecuzioni sono state quasi mille e nel braccio della morte ci sono circa 3.400 persone fra cui alcuni innocenti e molti pazzi. Il Texas ha fatto un terzo delle esecuzioni, 152 sotto l’attuale presidente George Bush. 121 innocenti sono stati rilasciati e non sappiamo quanti siano stati uccisi, ma, vista la scarsa qualità dei processi americani, devono essere stati molti.

L’ex governatore dell’Illinois George Ryan ha detto che il sistema giudiziario americano non è in grado di stabilire chi è innocente, chi è colpevole e nemmeno il grado di colpevolezza. Ha ragione. La giustizia americana funziona solo perché non fa i processi, non fa gli appelli e non motiva le sentenze. Più del 90% delle condanne per crimini gravi è ottenuto grazie al patteggiamento. Lo stesso avviene per il 56% delle condanne per omicidio preterintenzionale e volontario. La gran parte dei piccoli reati sono sbrogliati in meno di un minuto da tribunali locali, in cui la presenza dell’avvocato difensore non è prevista e spesso nemmeno consentita.

I processi, quando si fanno, sono caratterizzati da una grande sommarietà e dalle scarse garanzie che sono concesse agli imputati poveri, cui sono forniti avvocati incompetenti, quando non ubriachi, drogati e addormentati. Le condanne sono spesso ottenute grazie a confessioni estorte a suon di botte, a pentiti fasulli, testimoni bugiardi e a referti di laboratori compiacenti. I Procuratori non si fanno scrupolo di mentire e di far sparire prove favorevoli alla difesa: tanto non gli succede nulla.

L’appello (nei rari casi in cui è accolto) ha templi biblici e non prevede la libertà provvisoria del condannato, così che il Parlamento del Texas ha dovuto fare una legge apposita per mettere in libertà i 13 innocenti della “strage di Tulia”. Le condizioni carcerarie sono normalmente orribili e spesso atroci, tanto che una prigione della Georgia è stata definita da un giudice federale “una nave di schiavi”. In questo immenso gulag i suicidi, le violenze e gli stupri sono innumerevoli.

E’ piuttosto raro che i giornali si interessino di pena capitale americana. La stragrande maggioranza delle uccisioni effettuate dagli Stati Uniti d’America passa sotto silenzio. Ma non fu così per Donald Gaskins: i quotidiani di tutto il mondo parlarono della sua esecuzione avvenuta in Sud Carolina il 6 settembre del 1991.

Gaskins non era uno dei tanti possibili innocenti ammazzati dalla giustizia americana. Non era un poveraccio, un minorenne, un pazzo o un nero linciato da una giuria di bianchi. Gaskins era un feroce assassino come pochi se ne sono visti nelle carceri Usa, ma era il primo bianco, dal 1944, ad essere “giustiziato” per l’uccisione di un nero. Un fatto del genere è estremamente raro negli “States”. In Texas non è mai accaduto e in Sud Carolina non accadeva dal 1880.

Anche le circostanze del suo crimine erano eccezionali. Gaskins, che stava scontando nove ergastoli consecutivi per l’uccisione di nove bianchi, fu avvicinato dal figlio della vittima di un altro carcerato, il nero Rudolph Tyner, e convinto a ucciderlo dietro compenso.

In questi anni altri 11 bianchi sono stati “giustiziati” per l’assassinio di un nero, mentre 202 sono stati i neri uccisi per l’omicidio di un bianco (un quarto condannato da giurie di soli bianchi). Su un totale di quasi 1.000 esecuzioni l’80 per cento riguarda omicidi di bianchi, anche se in America il 50 per cento delle vittime degli omicidi è nero. Dal tempo in cui gli Stati Uniti erano delle colonie, sono una ventina, su quasi 20.000 esecuzioni legali, i bianchi “giustiziati” per l’uccisione di un nero. Il totale sale a 30 se si contano anche i 10 bianchi uccisi perché avevano distrutto la proprietà di un bianco: avevano cioè ammazzato uno schiavo.

 

 

Dietro le Sbarre - Arizona, Tent City

 

 

 LA VERGOGNA DEI GULAG AMERICANI

Fonte web - di Chris Hedges (*)

Se, come scrisse Fëdor Dostoevskij, “il grado di civiltà di una società si può valutare entrando nelle sue carceri”, qui siamo davanti ad una nazione di barbari. La nostra vasta rete di prigioni federali e statali, con qualcosa come 2.3 milioni di reclusi, fa a gara con i gulag degli stati totalitari. Non appena sparisci dietro le pareti del carcere diventi una preda. Da stuprare. Da torturare. Da picchiare. Isolamenti prolungati. Privazioni sensoriali. Discriminazioni razziali. Reti di bande. Lavori forzati. Cibo rancido. Bimbi incarcerati alla stregua degli adulti. Prigionieri forzati a prendere medicinali che inducono all’apatia. Impianti di ventilazione e riscaldamento inadeguati. Scarse cure sanitarie. Dure sentenze per crimini non violenti.

Bonnie Kerness e Ojore Lutalo li incontrai entrambi a Newmark, New Jersey, dopo che, qualche giorno prima, avevano combattuto, come forse pochi prima di loro, nel comitato americano per il monitoraggio delle prigioni (AFSCPW, n.d.t.) contro i crescenti abusi nei confronti dei prigionieri (specialmente l’uso dell’isolamento). Lutalo, una volta diventato membro dell’esercito per la liberazione dei neri (BLA, n.d.t.), un ramo delle Pantere Nere, scrisse a Kerness per la prima volta nel 1986, durante la sua detenzione alla prigione di stato di Trenton, ora chiamata prigione dello stato del New Jersey. Le raccontò il mondo oscuro e degradante dell’isolamento; il mondo di detenuti come lui, trattenuti in cosiddette unità di controllo di gestione, che lui chiamò “una prigione nella prigione”. Prima di essere rilasciato nel 2009, Lutalo rimase nell’unità di controllo gestione per 22 dei 28 anni comminatigli per il secondo dei suoi due crimini- il primo fu una rapina in banca e il secondo per un conflitto a fuoco con uno spacciatore. Mantenne la sanità mentale, mi disse, seguendo un rigido programma fatto di esercizi svolti nella sua piccola cella; qui scrisse, meditò e ritagliò giornali per fare collages che rispecchiassero le sue condizioni in carcere.

“Le guardie in assetto antisommossa all’improvviso ti svegliavano all’una del mattino, ti obbligavano a toglierti i vestiti, ti facevano arrabattare le tue cose e ti spostavano in un’altra cella, solo per il gusto di tormentarti”, raccontò quando parlò a Newark. “Hanno preso dei cani addestrati per attaccarti ai genitali. Passavi un giorno 24, il giorno dopo 22 ore chiuso nella tua cella. Se non hai un forte obiettivo in mente non sopravvivi psicologicamente. L’isolamento è studiato per annullare mentalmente i carcerati e ho visto tanti non farcela”.

La lettera di Lutalo fu la prima indicazione, per Kerness, che il sistema carcerario americano aveva creato nuove speciali strutture che secondo le leggi internazionali sono una forma di tortura. Le scrisse: “Come finisce se porti alla disperazione qualcuno che non lo è? Cosa succede se mi crei lo stress psicologico di sapere che la gente aspetta solo che mi auto-distrugga?”

Le tecniche di privazione sensoriale e isolamento prolungato sono state sperimentate durante la Guerra Fredda dalla CIA. Alfred McCoy, autore del libro “A proposito di tortura: gli interrogatori della Cia, dalla Guerra Fredda alla Guerra al terrorismo”, scrisse che “chi interroga ha capito che il dolore fisico, non importa quanto violento sia, spesso produce una resistenza maggiore”. Così, la CIA ha optato per il meccanismo più efficace del “disorientamento sensoriale” e del “dolore auto- inflitto”, dice McCoy. (Un esempio di come portare a dolore auto- inflitto è obbligare il prigioniero a stare in piedi senza muoversi oppure mantenere altre posizioni dure da mantenere per un lungo periodo). La combinazione, ritengono gli psicologi del governo, porterebbe le vittime a pensare di essere esse stesse la causa delle loro sofferenze, portandole ad un più rapido annientamento psicologico. Il disorientamento sensoriale combina forti sensazioni a forti privazioni sensoriali. Isolamenti prolungati sono intervallati da intensi interrogatori. Caldo estremo seguito da freddo altrettanto estremo. A una luce accecante segue totale oscurità. Un rumore continuato e fortissimo è seguito dal silenzio.

“La fusione di queste due tecniche, disorientamento sensoriale e dolore auto- inflitto, crea una sinergia di traumi fisici e psicologici, la cui somma è un martellamento del piano esistenziale dell’identità personale”, scrisse McCoy.

Dopo aver parlato con Lutalo, Kerness iniziò a difendere strenuamente lui e gli altri prigionieri chiusi nelle unità di isolamento. Pubblicò con il suo ufficio un manuale di sopravvivenza per coloro che stavano in isolamento e insieme un libricino intitolato “Tortura nelle prigioni americane”. Iniziò così a mettere insieme più storie di prigionieri tenuti in isolamento.

“Il mio vassoio per il cibo era stato spruzzato con macis o detergenti, … feci umane e urine lasciate dalle guardie che portavano il vassoio con la mia colazione, pranzo e cena…”, sembra abbia detto un prigioniero in isolamento nel Wabash Valley Correctional Facility a Carlisle, Indiana in “Tortura nelle prigioni americane”. “Ho potuto assistere alla metamorfosi di persone sane di mente iniziare ad auto- mutilarsi, soffrire di paranoia, di attacchi di panico, di fantasie ostili di vendetta. Un Prigioniero poteva ingoiare un pacco di pile stilo o ficcarsi una matita nel pene. Potevano tagliarsi per poter avere un contatto con le infermiere o solamente per attirare un po’ l’attenzione. Questi stessi uomini iniziarono a lanciare feci e altri escrementi umani ogni giorno, come fosse un gioco riconosciuto. Altri la mangiavano oppure si cospargevano di feci come fosse una crema per il corpo… I secondini usano una forma di freno, un letto su cui erano state applicate delle strisce di velcro. Entrambe le mani legate ai polsi ed entrambi i piedi alle caviglie. I prigionieri potevano restare in quella posizione per 3 o anche 6 ore ogni volta. Spesso dovevano togliersi i vestiti di dosso. L’unità speciale di isolamento usava anche [delle pompe] su questi uomini … Quando le prigioni iniziano ad essere sovraffollate, i secondini ti mettono in due per branda. I temi del sovraffollamento portano ad una serie di problemi i quali sfociano spesso in violenza … i secondini mettono intenzionalmente un carcerato per crimini sessuali con gli altri prigionieri con l’unica intenzione di vederlo pestato o magari ucciso”.

Nel 1913 la Eastern State Penitentiary di Philadelphia sospese l’internamento in isolamento. I prigionieri nelle prigioni americane non furono messi in isolamento in gran numero prima dei tumulti del 1960 con l’aumento dei movimenti pacifisti e di difesa dei diritti, nonché l’affermazione di gruppi radicali come le Pantere Nere. La Trenton State Prison stabilì nel 1975 un’unità di controllo, o unità di isolamento per i prigionieri politici, molti dei quali estremisti di colore, come Lutalo, che lo stato volle separare dal resto della popolazione carceraria. Furono messi in isolamento non per aver trasgredito a qualche regola della prigione, ma per le loro convinzioni rivoluzionarie: convinzioni che le autorità carcerarie non volevano che si diffondessero tra i prigionieri. Nel 1983 la prigione federale a Marion, in Illinois, istituì una zona recintata e permanente, essenzialmente una “zona di controllo” permanente grande quanto la prigione stessa. Dal 1994 il Federal Bureau of Prisons utilizzò il modello della Marion per costruire la sua prigione di massima sicurezza a Florence, Colorado. Esplose l’uso di un prolungato isolamento e della privazione sensoriale. “Unità speciali di internamento” furono formate per i malati di mente. Furono formate “unità di controllo per gruppi minacciosi per la sicurezza” per coloro che erano accusati di attività connesse a gruppi criminali. “Unità di controllo per le comunicazioni” furono formati per isolare i musulmani etichettati come terroristi.

Furono formate anche unità di custodia protettiva volontaria e involontaria. Le unità amministrative di segregazione e punizione furono create con lo scopo di isolare prigionieri detti psicologicamente disturbati. Il tutto fu stabilito in aperta violazione della convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, nel patto delle Nazioni Unite per i diritti civili e politici, nonché della Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale.

Kerness la chiamò “la guerra in casa” e disse di ritenerla l’ultima variazione della lunga guerra ai poveri, specialmente alle persone di colore.

“Non si può parlare di ex sistemi alla Jim Crow”, disse Kerness. “Il passaggio dallo schiavismo ai Black Codes, dai lavori forzati alle leggi di Jom Crow per fronteggiare l’attivismo politico, dei poveri, dei giovani, dei veterani negli anni ’60 ha continuato ininterrottamente fino ad arrivare all’esclusione delle persone povere e di colore. Le pratiche fasciste sofisticate del ferma- e- perquisisci, dell’accusare di vagabondaggio persone di colore o rientranti in un determinato codice condiviso di razzismo, nelle città dell’interno; queste e altre pratiche sono state messe in atto con il risultato di riempire le nostre carceri. In un sistema nel quale il 60% dei detenuti è di colore, dove gli studenti di colore subiscono a scuola pene più dure dei loro colleghi bianchi, dove il 58% dei giovani afro (americani)… viene mandato nelle prigioni per adulti, dove le donne di colore hanno il 69% in più di possibilità di essere incarcerate e dove le sentenze per offese razziste vanno spesso per le lunghe, ecco, qui l’idea di uguaglianza razziale non esiste. Il razzismo che si respira è palpabile”.

“Negli anni ’60, quando le ultime leggi di Jim Crow furono rovesciate, questo insieme di nuove pratiche diffusesi con l’applicazione della legge, fu congegnato per permettere la continuazione del sistema carcerario crea- soldi, che ha al suo interno una nuova schiavitù”, afferma. “Fino a che non riconosciamo profondamente che all’apice del sistema c’è un controllo sociale e la creazione di un mercato di gente di colore e povera, nulla potrà cambiare”. L’autrice nota che più della metà delle persone che si trovano nel sistema penitenziario non hanno mai fisicamente colpito un’altra persona, ma “spesso quasi tutte hanno fatto del male a loro stesse”. E non solo la giustizia spazza via i poveri e le persone di colore, ma la schiavitù nel sistema carcerario è permessa secondo il 13° emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America, che recita: “La schiavitù e altre forme di costrizione personale, non potranno essere ammesse negli Stati Uniti, o in luogo alcuno soggetto alla loro giurisdizione, se non come punizione di un reato per il quale l'imputato sia stato dichiarato colpevole con la dovuta procedura”.

Questo, afferma Kerness, “è centrale nella trasformazione dalla schiavitù a quella che l’ambiente carcerario chiama neo- schiavitù”. La neo- schiavitù è parte integrante del complesso dell’industria carceraria, nel quale centinaia di migliaia di prigionieri nazionali, primi fra tutti i soggetti di colore, sono obbligati a fare lavori involontariamente e per più o meno un dollaro l’ora. “Se ti capita di chiamare all’ufficio per il turismo del New Jersey ti potrà tranquillamente succedere di parlare con una prigioniera dell’istituto penitenziario femminile Edna Mahan, che sta guadagnando 23 centesimi all’ora e non ha alcuna possibilità di negoziare la propria base oraria o le condizioni di lavoro”, afferma la Kerness.

I corpi dei poveracci, dei giovani disoccupati, hanno poco valore nelle strade, ma lo acquistano dietro le sbarre.

“Le persone mi hanno detto che il sistema di giustizia criminale non funziona”, dice la Kerness. “Sono arrivata a scoprire invece che funziona perfettamente (come solo la schiavitù sa funzionare) come una questione di linea economico- politica. Com’è possibile che in Newark un ragazzo di 15 anni, bollato dallo Stato come inutile per l’economia e che non ha alcuna speranza di conseguire un diploma o di trovare un lavoro, può improvvisamente generare dai 20000 ai 30000 dollari l’anno una volta entrato nel sistema giudiziario criminale? L’espansione delle prigioni, della libertà condizionata e vigilata, dei sistemi della corte e della polizia, ha portato un’enorme burocrazia suppletiva, che a sua volta è stata una manna per chiunque, dall’architetto al negoziante; tutti con un aspetto in comune: percepire uno stipendio sfruttando degli esseri umani in catene. La criminalizzazione della povertà è un business molto lucrativo e abbiamo rimpiazzato la rete di sicurezza sociale con una trappola”.

Le prigioni sono da una parte immensamente costose - lo Stato ha speso qualcosa come 300 milioni di dollari fino al 1980- e come ha sottolineato Kerness, anche immensamente redditizie. Le prigioni funzionano precisamente come gli apparati militari- industriali. I fondi sono pubblici e il profitto privato.

“La privatizzazione nell’apparato industriale carcerario include società che da una parte sono pagate per mandare avanti le prigioni e dall’altra speculano sui lavori forzati”, spiega la Kerness. “Nello Stato del New Jersey, il cibo e i servizi sanitari vengono forniti da corporations, che hanno come principio il guadagno. Una recente esplosione dell’industria privata è l’affiliazione della Corrections Corporations of America con il governo federale, per detenere circa un milione di persone. Usare soldi della comunità per arricchire pochi privati cittadini è la storia del capitalismo ai massimi livelli”. Chi esce di prigione è miseramente impreparato al re- inserimento. Si portano addosso gli anni di trauma che hanno dovuto sopportare. Spesso soffrono di malattie endemiche dovute alla lunga incarcerazione, come l’epatite C, la tubercolosi e l’HIV. Spesso non hanno accesso ai farmaci per le loro malattie fisiche o mentali. Trovare lavoro diventa difficile. Diventano alienati e sono spesso rigettati da amici e famiglia. Più del 60% di loro ritorna in prigione.

“Come si fa a insegnargli ad uscire dal degrado?”, chiede la Kerness. “Quanto serve per insegnargli a sentirsi al sicuro, a darli un senso di rinvigorimento in un mondo dove spesso tornano a casa psicologicamente e fisicamente degradati e in occupabili? Ci sono diverse ragioni per le quali gli ex- detenuti non lo fanno e la più importante è perché è previsto che non ci riescano”.

Kerness è da tanto tempo un’ attivista impegnata. Nel 1961, a 19 anni, lasciò New York per lavorare per dieci anni alla lotta per i diritti civili in Tennessee, compreso un anno al Centro di educazione e ricerca Highlander, dove insegnavano Rosa Parks e Martin Luther King Jr. Dal 1970 fu coinvolta nelle campagne abitative per i poveri del New Jersey. Iniziò a prendere contatti con famiglie di detenuti e ciò la portò a fondare Prison Watch.

Le lettere che si riversano nel suo ufficio lasciano basiti. Detenute che denunciano giornalieri abusi sessuali perpetrati da parte delle guardie. Una detenuta scrisse: “Non c’era scritto nella mia sentenza che avrei dovuto fare sesso orale con le guardie”. Altre detenute scrissero delle persone mentalmente disturbate, lasciate a marcire in prigione. Dalla California scrissero che un uomo mentalmente disturbato si cosparse di feci e le guardie lo gettarono sotto l’acqua bollente ustionandogli il 30% del corpo.

Disse Kerness che le lettere che riceve dai prigionieri presentano una litania di “condizioni inumane, freddo, sudiciume, cure mediche brutali, isolamento continuativo, ce dura a volte anni, uso di sistemi di tortura, molestie, brutalità e razzismo”. I prigionieri le mandarono un quadro complessivo fatto di “4-5 costrizioni, come cappucci, legacci, letti con cinghie per l’immobilizzazione, granate stordenti, fucili stordenti, cinghie stordenti, cappucci sporchi di saliva e catene per la vita e le gambe”. Malgrado tutto questo, il maggior tormento , le dicono i prigionieri, è la sofferenza psicologica causata dalla “tortura senza contatto”, che include “l’umiliazione, la privazione del sonno, il disorientamento sensoriale, la luce e il buio estremi, l’estremo freddo o l’estremo caldo”, nonché “il lungo isolamento”. Queste tecniche, disse la Kerness, sono scientemente create per provocare un “sistematico attacco ad ogni stimolo umano”.

L’uso della deprivazione sensoriale fu applicato dal governo con i detenuti “estremisti” degli anni ’60, ivi inclusi membri delle Black Panthers, del Black Liberation Army, del movimento portoricano di liberazione e dell’American Indian Movement; per non parlare degli ambientalisti, degli anti- imperialisti, degli attivisti per i diritti civili. E’ stato esteso poi oggi ai militanti musulmani, agli avvocati delle prigioni e ai prigionieri politici.

Molti di questi prigionieri politici facevano parte dei movimenti radicali neri clandestini degli anni ’60, che combattevano la violenza. Alcuni, come Leonard Peltier e Mumia Abu Jamal, sono molto conosciuti, ma molti hanno poca visibilità pubblica; tra questi ultimi citiamo Sundiana Acoli, Mutulu Shakur, Imam Jamil Al-Amin (conosciuto come H. Rap Brown, quando nel 1960 era consigliera del Comitato Coordinativo Studentesco Non-Violento), Jalil Bottom, Sekou Odinga, Abdoul Majid, Tom Manning e Bill Dunne.

Coloro che stavano nel sistema per cercare di resistere ad abusi e maltrattamenti furono colpiti duramente. I detenuti del sovraffollato Southern Ohio Correctional Facility, una prigione di massima sicurezza in Lucasville, Ohio, si rivoltarono nel 1993 dopo anni di continui maltrattamenti, rituali degradanti di pubblica umiliazione e di presunti omicidi da parte delle guardie carcerarie. I circa 450 detenuti, che unirono le fazioni avverse all’interno della prigione (I Fratelli Ariani e i neri Gangster Disciples), riuscirono a tenere per 11 giorni. Fu una delle più lunghe rivolte di detenuti nella storia degli Stati Uniti d’America. Nove prigionieri e una guardia furono uccisi dai prigionieri stessi durante la rivolta. Lo Stato rispose con la solita furia. Prese 40 prigionieri e li spostò nel Penitenziario di Stato dell’Ohio (OSP), una mega prigione nei pressi di Youngstown, che fu costruita nel 1998. Qui i prigionieri sono mantenuti in isolamento 23 ore al giorno, in celle grandi 2x4 m. I prigionieri del OSP non vedono praticamente mai il sole e non hanno contatti umani.

Coloro che furono accusati di aver partecipato alla rivolta, rimasero in quella condizione dal 1993. Cinque prigionieri - Bomani Shakur, Siddique Abdullah Hasan, Jason Robb, George Skatzes e Namir Abdul Mateen - invischiati nella rivolta, furono condannati a morte. Sono detenuti in isolamento nel braccio della morte.

Afferma Kerness che le società- prigioni a scopo di lucro hanno creato una classe dirigente come quella degli schiavisti sudisti, che è “dipendente dai poveri, dalla gente di colore per poter avere un introito”, e descrive i dipartimenti correttivi federali e di stato come uno “stato mentale”. Questo stato mentale, spiega nell’intervista, “porta ad Abu Ghraib, Bagram e Guantanamo e a ciò che sta accadendo proprio ora nelle prigioni americane”.

Finché il profitto rimarrà un incentivo ad incarcerare esseri umani e il nostro sistema corporativo abbonderà di lavori in esubero, c’è poca speranza che il sistema detentivo venga riformato. Lo si potrebbe fare rendendo sano il nostro sovraccarico aziendale. Le nostre prigioni servono il motore del capitalismo corporativo, che trasferisce i soldi statali a corporations private. Queste corporations continueranno a boicottare una riforma carceraria razionale perché il sistema, anche se inumano e ingiusto, riempie i conti in banca delle corporations stesse. Il problema vero non è la razza - per quanto la razza giochi una parte considerevole nelle statistiche sulla detenzione - né la povertà; è la natura predatoria dello stesso sistema capitalistico. E finché non uccideremo la bestia del capitalismo corporativo, finché non strapperemo il potere alle corporations, finché non costruiremo istituzioni sociali e un sistema di governance creato non per il profitto di pochi, ma per il bene comune, la nostra industria carceraria e l’orrore che ne consegue si espanderanno.

------------------------------

(*) Chris Hedges scrive regolarmente per www.Truthdig.com. Hedges si è laureato alla Harvard Divinity School ed è stato negli ultimi 20 anni corrispondente dall’estero per il New York Times. E’ autore di numerosi libri, tra cui: La guerra è una forza che ci da un senso (War Is A Force That Gives Us Meaning), Tutto ciò che ognuno dovrebbe sapere sulla guerra (What Every Person Should Know About War), Fascisti americani: il diritto cristiano e la guerra in America (American Fascists: The Christian Right and the War on America). Il suo libro più recente è L’impero delle illusioni: la fine dell’alfabetismo e il trionfo dello spettacolo (Empire of Illusion: The End of Literacy and the Triumph of Spectacle).

 

 

Dentro Guantanamo - Le torture dei militari USA - 1/2

 

 

LA BASE NAVALE USA A GUANTANAMO

Fonte web

Il 7 febbraio del 1901, il presidente Tomás Estrada Palma firmò l’accordo di cessione di una zona del territorio cubano al Governo degli Stati Uniti per la costruzione della Base Navale di Guantánamo.

La baia di Guantánamo, chiamata "la borsa", è una delle più grande e profonde di Cuba e fu scoperta da Cristoforo Colombo nel suo secondo viaggio nel Nuovo Mondo, il 30 aprile del 1494.

Dispone di caratteristiche naturali molto speciali: profondità, sicurezza e capacità, per ricevere grandi navi; per secoli fu particolarmente inutilizzata poiché i colonizzatori spagnoli non furono capaci d’apprezzarne le qualità.

Dopo un tentativo d’occupare la baia da parte degli inglesi, nel luglio del 1741, che pretendevano di stabilire lì una base d’operazioni, il governo coloniale spagnolo comprese finalmente l’importanza strategica della zona.

GLI STATI UNITI METTONO GLI OCCHI SU CUBA

Agli inizi del XIXº secolo, gli USA resero pubblico il loro obiettivo d’impadronirsi di Cuba per la sua posizione geografica privilegiata, le sue risorse naturali e le caratteristiche storiche e sociali della popolazione.

La gestione per l’acquisto dell’Isola dalla Spagna avvenne nel 1805, nel 1807 e 1808, ma, come si legge nella relazione centrale del Primo Congresso del PCC, se per una volta la cocciutaggine spagnola fu utile all’Isola, lo fu proprio in occasione del rifiuto sistematico d’acconsentire a quelle operazioni di compra vendita che reiteratamente gli Stati Uniti proposero alla Spagna nel secolo scorso.

Nel 1823 il segretario di stato John Quince Adams, propose la sua "tesi della frutta matura" che annunciava come Cuba sarebbe caduta irrimediabilmente nelle mani nordamericane nel momento in cui non fosse più stata colonia spagnola. In quello stesso anno il presidente James Monroe elaborò la Dottrina che porta il suo nome e che avverte le potenze europee che "l’America è riservata unicamente ed esclusivamente agli americani..."

Nello stesso tempo, i vicini del Nord intorpidirono e cercarono di impedire lo sviluppo, per anni, dei tentativi dei cubani di divenire indipendenti.

Nel 1859 gli imprenditori nordamericani avevano investimenti per 50 milioni di pesos nell’Isola, soprattutto nell’industria dello zucchero, del tabacco, nei giacimenti di ferro, cromo e magnesio. Nel 1898 compresero che esistevano condizioni propizie per intervenire nella guerra prima dell’imminente crollo dell’impero coloniale spagnolo e dell’avanzata irresistibile dell’esercito liberatore.

Approfittando dei crescenti sentimenti di simpatia che la causa cubana risvegliava nella popolazione nordamericana, il Congresso degli USA approvò nell’aprile del 1898 una Risoluzione Congiunta che propiziò l’intervento nordamericano nel conflitto spagnolo. La guerra spagnola – cubana - nordamericana, definita da Lenin come la prima guerra imperialista di rapina, ebbe come centro delle sue azioni principali le province orientali e della zona di Guantánamo.

Il 16 luglio del 1898 si firmò la capitolazione e il 10 dicembre di quell’anno fu firmato il Trattato di Parigi. Gli Stati Uniti s’impadronirono di Puerto Rico, Le Filippine e Guam.

Cuba rimase come "territorio speciale" dal quale i nordamericani si sarebbero ritirati dopo la pacificazione. Il governo interventista, con il generale Wood in testa, convocò un’Assemblea Costituente incaricata di redigere la Carta Magna, la Costituzione della futura Repubblica.

Per porre ben chiare le basi delle ulteriori relazioni tra Cuba e gli USA, gli occupanti esercitarono forti pressioni e imposero il tristemente famoso Emendamento Platt, che in due clausole incideva sulla sovranità nazionale, perché rappresentavano gravi implicazioni per l’autodeterminazione della nascente Repubblica.

La Clausola 3 dell’Emendamento Platt riservava il diritto agli Stati Uniti d’intervenire per la preservazione dell’indipendenza di Cuba e il sostegno di un governo adeguato ai loro interessi, mentre la Clausola 7 obbligava Cuba a cedere zone del suo territorio per lo stabilimento di basi navali o per il carbone.

Lo storiografo Miguel Di Stefano Pisano, nel suo libro "Diritto dei trattati", sostiene che l’Emendamento Platt è divenuto una spada di Damocle, il cui filo sono le concessioni navali. Per gli occupanti la forza dell’appendice costituzionale radicava precisamente nella clausola delle basi militari.

L’8 novembre del 1902 il governo nordamericano sollecitò a carattere perpetuo l’affitto dei territori della Baia di Nipe Bahía Honda, Cienfuegos e Guantánamo, ma per via della violenta reazione popolare, si limitò a Bahía Honda e Guantánamo.

Una delle prime figure della lotta indipendentista cubana, Juan Gualberto Gómez, fece udire la sua voce avvertendo che gli articoli 3 e 7 dell’Emendamento Platt "… Equivalgono alla consegna ai nordamericani delle chiavi di casa nostra, per permettere loro entrarvi a qualsiasi ora... di giorno o di notte, con propositi buoni o cattivi ...e che...la finalità non è altro che la brama di potere sui futuri governi di Cuba e sulla sovranità della Repubblica Cubana..."

Dopo molti negoziati, il 10 dicembre del 1903, gli Stati Uniti presero in consegna il territorio corrispondente alla Base Navale di Guantánamo; mediante un accordo complementare firmato il 2 luglio del 1903 il governo degli USA s’impegnò a pagare duemila pesos l’anno in monete d’oro nordamericane - circa 4085 dollari al cambio attuale – una cifra ridicola che gli USA continuano a depositare e che Cuba non riscuote dal Trionfo della Rivoluzione del 1959.

Stando a un’analisi del Dott. Fernando Álvarez Tabío, nell’articolo "La base navale di Guantánamo e il diritto internazionale", si legge che il contratto d’affitto della base navale manca di esistenza legale e di validità giuridica perché è viziata nei suoi elementi essenziali (...) per l’impossibilità del governo di Cuba di cedere perpetuamente un pezzo del territorio nazionale ...e perché il consenso fu strappato con violenza morale, ingiusta e incontrastabile.

Gli Stati Uniti tralasciarono Bahía Honda e si concentrarono a Guantánamo. L’elezione di questa baia aveva un obiettivo strategico perché per il suo straordinario valore e le caratteristiche geografiche permetteva di assicurare il predominio militare nei Caraibi e di mettere gli occhi sul Canale interoceanico di Panama, i cui diritti di costruzione erano stati acquistati proprio nel 1903.

UN SECOLO D’INFAMIA

Durante un secolo d’esistenza, la base nordamericana di Guantánamo è stata scenario di capitoli e avvenimenti vergognosi. Gli investimenti degli USA nell’Isola si moltiplicarono nella prima metà del secolo scorso con la costruzione dell’acquedotto necessario, poi nell’industria dello zucchero, delle ferrovie e dell’elettricità. Il vizio, la prostituzione e il contrabbando fiorivano e proliferavano dopo l’arrivo dei militari nordamericani, in un affare molto redditizio per la borghesia locale.

La presenza della base navale di Guantánamo ebbe ripercussioni anche nella vita politica della zona. Nel 1919 e nel 1922 i marines uscirono dalla base per "proteggere le centrali dello zucchero" e altri interessi economici nordamericani di fronte alla ribellione del Partito degli Indipendentisti Negri, dopo il sollevamento de La Chambelona e alla rivolta dei liberali contro il governo di Menocal.

Durante l’ultima guerra di liberazione comandata da Fidel con l’esercito Ribelle, la base di Guantánamo divenne un punto di rifornimento e stazionamento dell’aviazione del tiranno Batista, che bombardava e mitragliava indiscriminatamente i contadini e la popolazione civile nelle zone liberate.

Di lì partirono le truppe per invadere altri paesi, come Haiti nel 1915, la Repubblica Dominicana nel 1918...

Dopo il trionfo rivoluzionario nel 1959, la basa navale USA era divenuta il rifugio di assassini e torturatori dell’ex regime di Fulgencio Batista. È sempre stata usata come piattaforma per le aggressioni contro l’Isola, per la partenza per le infiltrazioni di agenti nemici, per rifornire le bande controrivoluzionarie, con piani d’aggressione che giustifichino l’invasione diretta dell’Isola. È un centro di spionaggio radio elettronico e punti di concentrazione di navi e arerei che possono in un breve tempo imporre un blocco navale a Cuba.

In tutti questi anni la base navale è stata un centro di provocazioni e violazioni contro Cuba e contro i guardia frontiera incaricati di custodire il perimetro esterno.

I dati ufficiali del 1962 sino all’agosto del 1992, segnalano più di 13 mila provocazioni che includono spari di fucile e pistola -due giovani guarda frontiera cubano furono uccisi in questo modo- mitragliatrici, carri armati e cannoni puntai, il lancio d’oggetti, frasi e gesti osceni, rompere i recinti, violazione degli spazi aererei e marittimi con navi, aerei ed elicotteri...

L’ultimo ruolo nefasto nella storia della base è il suo utilizzo come carcere, dove sono confinati circa 500 detenuti accusati d’essere terroristi o d’avere vincoli con il terrorismo, che sono sottoposti a torture fisiche e psicologiche senza diritto all’assistenza legale o a un degno processo.

Il mondo civile si scandalizza e rabbrividisce di fronte alle immagini terribili di uomini incatenati e ridotti a livelli di degradazione umana estrema, alimentati a forza per lo sciopero della fame che hanno iniziato per protestare contro le condizioni infernali della prigione. A questi prigionieri sono negate le relazioni con i propri avvocati e con rappresentanti delle organizzazioni umanitarie e delle Nazioni Unite.

La Costituzione della Repubblica di Cuba, approvata dalla popolazione il 24 febbraio del 1976 nell’Articolo 11 afferma che: ..."L’Isola condanna e considera illegali io nulli i trattati, patti e concessioni concordati in condizioni di disuguaglianza e che non riconoscono o diminuiscono la sovranità e l’integrità territoriale dell’Isola. Per questo Cuba esige dagli Stati Uniti la restituzione del territorio di Guantánamo perché – come ha dichiarato Fidel - ...questa base è in loro potere contro la volontà del nostro popolo, è un pugnale piantato nel cuore della terra cubana!"

 

 

Dentro Guantanamo - Le torture dei militari USA - 2/2

 

 

Guantanamo/ New York Times:

E' una macchia indelebile

 

E ANCHE L'ONU DICE LA SUA

Fonte web

Guantanamo è una macchia indelebile sulla democrazia statunitense, come il carcere di Maze lo è su quella britannica. Il New York Times torna a parlare del centro di detenzione per i presunti terroristi, dove è in corso uno sciopero della fame che ormai coinvolge la maggior parte dei 166 detenuti.

In un editoriale, il quotidiano parte dall'inaugurazione, ieri, del museo-biblioteca in onore di George W. Bush, a cui erano presenti, a Dallas, i cinque presidenti degli Stati Uniti ancora in vita. Un museo che rappresenta l'eredità di Bush, la cui inaugurazione è stata definita da Obama come "un giorno speciale per la nostra democrazia".

Ma c'è un altro edificio, lontano da Dallas - ricorda il Times - che simboleggia l'eredità "oscura" di Bush: il centro di detenzione nella baia di Guantanamo, a Cuba, dove l'allora presidente - e i successivi - decise di rinchiudere ogni persona sospettata di terrorismo, dopo gli attentati dell'11 settembre. Persone, nella maggior parte dei casi, accusate di nulla. Un carcere divenuto "l'emblema della pericolosa espansione del potere esecutivo e delle detenzioni al di là della legge, delle prigioni segrete e delle torture". Ora, il carcere è anche un "promemoria del fallimento di Obama", che aveva promesso di chiuderlo non appena arrivato alla Casa Bianca, e della "dannosa interferenza del Congresso" in ogni tentativo di dare un giusto processo ai detenuti, e liberare gli innocenti.

Sono ormai 100 i prigionieri in sciopero della fame a Guantanamo, il carcere Usa a Cuba dove sono detenute 166 persone. Lo ha dichiarato oggi un portavoce del penitenziario. Il colonnello Samuel House ha precisato in una nota che 20 detenuti sono alimentati con tubi collegati direttamente allo stomaco dal setto nasale e cinque di loro sono ancora ricoverati in ospedale, senza però essere "in pericolo di vita".

Ieri, la Casa Bianca ha fatto sapere di "seguire da vicino" lo sciopero della fame, ribadendo "l'impegno del presidente Barack Obama a chiudere la prigione".

Gli Stati Uniti devono chiudere il carcere cubano di Guantanamo perché detenere persone per un periodo indefinito «rappresenta una chiara violazione del diritto internazionale». L'avvertimento è arrivato dall'alto commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, il 5 aprile a Ginevra. Il presidente americano Barack Obama, il 21 gennaio 2009, ha firmato l'ordine di chiusura del carcere (ma non della base militare), che doveva essere smantellato entro l'anno. Ma ciò non è ancora avvenuto.

INFRAZIONE DELLE LEGGI». Pillay ha ricordato lo sciopero della fame portato avanti dai detenuti, definendolo un «atto disperato, ma non sorprendente. Bisogna essere chiari su questo punto», ha continuato. «Si tratta di una chiara infrazione da parte degli Stati Uniti non solo dei propri impegni, ma anche delle leggi e degli standard internazionali che sono tenuti a rispettare». Per Pillay la situazione nel centro di Guantanamo «indebolisce pesantemente» la posizione degli Stati Uniti in quanto difensori dei diritti umani, soprattutto quando si tratta «di affrontare le violazioni dei diritti umani altrove». L'alto commissario Onu per i diritti umani sì è detta «profondamente delusa» perchè gli Stati Uniti «non sono stati in grado di chiudere Guantanamo nonostante i ripetuti impegni» dell'amministrazione Obama.

SOLO NOVE DETENUTI CONDANNATI. Quindi è stato chiesto un primo passo: rilasciare i detenuti che sono stati esonerati dall'aver avuto un ruolo nella guerra al terrorismo. Dei 166 rimasti a Guantanamo, metà potrebbero esser già oggi trasferiti nel loro Paese e in Paesi terzi, ha notato la Pillay: altri sarebbero stati individuati per incarcerazione sine die. Solo nove detenuti di Guantanamo sono stati incriminati o condannati da quando il carcere cubano ha aperto i battenti nel gennaio 2002 e di recente il Southern Command, a cui fa capo la base-prigione, ha chiesto all'erario 49 milioni di dollari per costruire un nuovo edificio per «prigionieri speciali» in aggiunta alle altre spese di ristrutturazione necessarie dopo che il Congresso ha deciso di tenere aperto il carcere a tempo indeterminato.

ABUSI SUI PRIGIONIERI. Ideato come carcere di massima sicurezza per gli attentatori dell'11 settembre, Guantanamo è diventato il simbolo delle leggi anti-terrorismo varate dall'amministrazione di George W. Bush.
La prigione è diventata tristemente famosa per le pratiche estreme utilizzate negli interrogatori e per gli abusi perpetrati nei confronti dei detenuti. Nel dicembre del 2011 il nuovo National defense authorization act ha legalizzato la detenzione indeterminata e senza imputazioni precise a carico dei prigionieri.

 

 

APPROFONDIMENTO

http://www.youtube.com/watch?v=ErdizSI3p_4&feature=share&list=PL9AD1536C4489E3BE

Documentari dalle varie carceri americane

 

Wikileaks. Ecco i documenti segreti delle torture di Guantanamo.

A Guantanamo  si combatte. E’una guerra psicologica e fisica. Un braccio di ferro tra i prigionieri e l’amministrazione Usa che, dall’11 settembre 2001, ha dato inizio alla War of terror (la guerra del terrore) contro AlQaeda. Ma Guantanamo non è un carcere come gli altri: non a caso è stato ribattezzato The battle lab (il laboratorio della guerra) «dove migliaia di detenuti  sono sottoposti ad esperimenti umani e psicologici», spiegano il generale Mike Dunlean ed il Maggiore Geoffrey Miller che hanno coniato l’espressione. A svelare i retroscena nascosti  di Guantanamo  ci pensa ancora una volta Wikileaks che pubblica documenti di Stato, files e testimonianze di quanti hanno preso parte, assistito o subìto torture e sevizie.