I GULAG DEL CAPITALISMO:
VIAGGIO NELLE CARCERI AMERICANE E A GUANTANAMO
A Guantanamo si combatte. E’una guerra psicologica e fisica. Un braccio di ferro tra i prigionieri e l’amministrazione Usa che, dall’11 settembre 2001, ha dato inizio alla War of terror (la guerra del terrore) contro AlQaeda. Ma Guantanamo non è un carcere come gli altri: non a caso è stato ribattezzato The battle lab (il laboratorio della guerra) «dove migliaia di detenuti sono sottoposti ad esperimenti umani e psicologici», spiegano il generale Mike Dunlean ed il Maggiore Geoffrey Miller che hanno coniato l’espressione. A svelare i retroscena nascosti di Guantanamo ci pensa ancora una volta Wikileaks che pubblica documenti di Stato, files e testimonianze di quanti hanno preso parte, assistito o subìto torture e sevizie. (Vedere in Approfondimento)
(a cura di Claudio Prandini)
INTRODUZIONE
Situazione delle carceri americane
In America ci sono più
di 2.250.000 persone in prigione. 726 galeotti ogni 100.000 abitanti, uno ogni
138 americani: il record mondiale d’imprigionamento.
100.000 detenuti sono in isolamento. 128.000 sono ergastolani. 100.000 i minorenni
in riformatorio e 15.000 nelle prigioni per adulti. Il Michigan da solo ha 300
minorenni condannati all’ergastolo senza possibilità di rilascio anticipato.
Dei 700.000 che si trovano nelle prigioni locali 400.000 sono, più che in attesa
di giudizio, in attesa d’avvocato. Aspettano, anche per anni, che qualcuno si
degni di trovargli uno straccio di difensore d’ufficio.
Le persone in libertà vigilata sono 4.800.000 e a questi occorre aggiungere 5
milioni di ex detenuti che hanno perso il diritto di voto. Trent’anni fa, nelle
carceri federali e statali, c’erano 200.00 detenuti, oggi sono 1.400.000: il più
grande esperimento di imprigionamento di massa dai tempi di Stalin.
Metà dei detenuti sono afro-americani. Se il tasso d’incarcerazione per i
bianchi è di 393 per 100.000, per i neri è 2.531. Se poi si considerano solo i
maschi il tasso per i bianchi sale a 717, mentre per i neri arriva a 4.919, ma
in molti Stati supera abbondantemente quota 10.000. Non stupisce quindi che in
un quarto degli USA il 10% dei maschi neri adulti sia in galera. Questo si
spiega perché, pur essendo il 13% dei drogati, i neri sono il 35% degli
arrestati per possesso di droga, il 55% dei processati per questo reato e il 75%
di quelli che stanno scontando una pena per questo delitto.
Un terzo dei ventenni di colore è in prigione o in libertà vigilata e per i
giovani neri passare un certo periodo di tempo in prigione è diventato un “rito
di passaggio”, come lo era per noi fare il servizio militare. Il loro tasso
d’incarcerazione è di 12.603 per centomila, mentre per i loro coetanei bianchi è
di 1.666.
La metà dei delitti non è denunciata, eppure ogni giorno le carceri della Contea
di Los Angeles accolgono 6.000 nuovi detenuti e ogni anno le 18.000 polizie
americane arrestano almeno 13.700.000 persone (ma più probabilmente sono 15
milioni). Circa 2.200.000 sono minorenni: almeno 500.000 sotto i 15 anni,
120.000 fra i 10 e i 12 e 20.000 sotto i 10. Sono stati arrestati bambini di
meno di 6 anni.
Le esecuzioni sono state quasi mille e nel braccio della morte ci sono circa
3.400 persone fra cui alcuni innocenti e molti pazzi. Il Texas ha fatto un terzo
delle esecuzioni, 152 sotto l’attuale presidente George Bush. 121 innocenti sono
stati rilasciati e non sappiamo quanti siano stati uccisi, ma, vista la scarsa
qualità dei processi americani, devono essere stati molti.
L’ex governatore dell’Illinois George Ryan ha detto che il sistema giudiziario
americano non è in grado di stabilire chi è innocente, chi è colpevole e nemmeno
il grado di colpevolezza. Ha ragione. La giustizia americana funziona solo
perché non fa i processi, non fa gli appelli e non motiva le sentenze. Più del
90% delle condanne per crimini gravi è ottenuto grazie al patteggiamento. Lo
stesso avviene per il 56% delle condanne per omicidio preterintenzionale e
volontario. La gran parte dei piccoli reati sono sbrogliati in meno di un minuto
da tribunali locali, in cui la presenza dell’avvocato difensore non è prevista e
spesso nemmeno consentita.
I processi, quando si fanno, sono caratterizzati da una grande sommarietà e
dalle scarse garanzie che sono concesse agli imputati poveri, cui sono forniti
avvocati incompetenti, quando non ubriachi, drogati e addormentati. Le condanne
sono spesso ottenute grazie a confessioni estorte a suon di botte, a pentiti
fasulli, testimoni bugiardi e a referti di laboratori compiacenti. I Procuratori
non si fanno scrupolo di mentire e di far sparire prove favorevoli alla difesa:
tanto non gli succede nulla.
L’appello (nei rari
casi in cui è accolto) ha templi biblici e non prevede la libertà provvisoria
del condannato, così che il Parlamento del Texas ha dovuto fare una legge
apposita per mettere in libertà i 13 innocenti della “strage di Tulia”. Le
condizioni carcerarie sono normalmente orribili e spesso atroci, tanto che una
prigione della Georgia è stata definita da un giudice federale “una nave di
schiavi”. In questo immenso gulag i suicidi, le violenze e gli stupri sono
innumerevoli.
E’ piuttosto raro che i giornali si interessino di pena capitale americana. La
stragrande maggioranza delle uccisioni effettuate dagli Stati Uniti d’America
passa sotto silenzio. Ma non fu così per Donald Gaskins: i quotidiani di tutto
il mondo parlarono della sua esecuzione avvenuta in Sud Carolina il 6 settembre
del 1991.
Gaskins non era uno dei tanti possibili innocenti ammazzati dalla giustizia
americana. Non era un poveraccio, un minorenne, un pazzo o un nero linciato da
una giuria di bianchi. Gaskins era un feroce assassino come pochi se ne sono
visti nelle carceri Usa, ma era il primo bianco, dal 1944, ad essere
“giustiziato” per l’uccisione di un nero. Un fatto del genere è estremamente
raro negli “States”. In Texas non è mai accaduto e in Sud Carolina non accadeva
dal 1880.
Anche le circostanze del suo crimine erano eccezionali. Gaskins, che stava
scontando nove ergastoli consecutivi per l’uccisione di nove bianchi, fu
avvicinato dal figlio della vittima di un altro carcerato, il nero Rudolph Tyner,
e convinto a ucciderlo dietro compenso.
In questi anni altri 11 bianchi sono stati “giustiziati” per l’assassinio di un
nero, mentre 202 sono stati i neri uccisi per l’omicidio di un bianco (un quarto
condannato da giurie di soli bianchi). Su un totale di quasi 1.000 esecuzioni
l’80 per cento riguarda omicidi di bianchi, anche se in America il 50 per cento
delle vittime degli omicidi è nero.
Dal tempo in cui gli Stati Uniti erano delle colonie, sono una ventina, su quasi
20.000 esecuzioni legali, i bianchi “giustiziati” per l’uccisione di un nero. Il
totale sale a 30 se si contano anche i 10 bianchi uccisi perché avevano
distrutto la proprietà di un bianco: avevano cioè ammazzato uno schiavo.
LA VERGOGNA DEI GULAG AMERICANI
Fonte web - di Chris Hedges (*)
Se,
come scrisse Fëdor Dostoevskij, “il grado di civiltà di una società si può
valutare entrando nelle sue carceri”, qui siamo davanti ad una nazione di
barbari. La nostra vasta rete di prigioni federali e statali, con qualcosa come
2.3 milioni di reclusi, fa a gara con i gulag degli stati totalitari. Non appena
sparisci dietro le pareti del carcere diventi una preda. Da stuprare. Da
torturare. Da picchiare. Isolamenti prolungati. Privazioni sensoriali.
Discriminazioni razziali. Reti di bande. Lavori forzati. Cibo rancido. Bimbi
incarcerati alla stregua degli adulti. Prigionieri forzati a prendere medicinali
che inducono all’apatia. Impianti di ventilazione e riscaldamento inadeguati.
Scarse cure sanitarie. Dure sentenze per crimini non violenti.
Bonnie Kerness e Ojore Lutalo li incontrai entrambi a Newmark, New Jersey, dopo
che, qualche giorno prima, avevano combattuto, come forse pochi prima di loro,
nel comitato americano per il monitoraggio delle prigioni (AFSCPW, n.d.t.)
contro i crescenti abusi nei confronti dei prigionieri (specialmente l’uso
dell’isolamento). Lutalo, una volta diventato membro dell’esercito per la
liberazione dei neri (BLA, n.d.t.), un ramo delle Pantere Nere, scrisse a
Kerness per la prima volta nel 1986, durante la sua detenzione alla prigione di
stato di Trenton, ora chiamata prigione dello stato del New Jersey. Le raccontò
il mondo oscuro e degradante dell’isolamento; il mondo di detenuti come lui,
trattenuti in cosiddette unità di controllo di gestione, che lui chiamò “una
prigione nella prigione”. Prima di essere rilasciato nel 2009, Lutalo rimase
nell’unità di controllo gestione per 22 dei 28 anni comminatigli per il secondo
dei suoi due crimini- il primo fu una rapina in banca e il secondo per un
conflitto a fuoco con uno spacciatore. Mantenne la sanità mentale, mi disse,
seguendo un rigido programma fatto di esercizi svolti nella sua piccola cella;
qui scrisse, meditò e ritagliò giornali per fare collages che rispecchiassero le
sue condizioni in carcere.
“Le guardie in assetto antisommossa all’improvviso ti svegliavano all’una del
mattino, ti obbligavano a toglierti i vestiti, ti facevano arrabattare le tue
cose e ti spostavano in un’altra cella, solo per il gusto di tormentarti”,
raccontò quando parlò a Newark. “Hanno preso dei cani addestrati per attaccarti
ai genitali. Passavi un giorno 24, il giorno dopo 22 ore chiuso nella tua cella.
Se non hai un forte obiettivo in mente non sopravvivi psicologicamente.
L’isolamento è studiato per annullare mentalmente i carcerati e ho visto tanti
non farcela”.
La lettera di Lutalo fu la prima indicazione, per Kerness, che il sistema
carcerario americano aveva creato nuove speciali strutture che secondo le leggi
internazionali sono una forma di tortura. Le scrisse: “Come finisce se porti
alla disperazione qualcuno che non lo è? Cosa succede se mi crei lo stress
psicologico di sapere che la gente aspetta solo che mi auto-distrugga?”
Le tecniche di privazione sensoriale e isolamento prolungato sono state
sperimentate durante la Guerra Fredda dalla CIA. Alfred McCoy, autore del libro
“A proposito di tortura: gli interrogatori della Cia, dalla Guerra Fredda alla
Guerra al terrorismo”, scrisse che “chi interroga ha capito che il dolore
fisico, non importa quanto violento sia, spesso produce una resistenza
maggiore”. Così, la CIA ha optato per il meccanismo più efficace del
“disorientamento sensoriale” e del “dolore auto- inflitto”, dice McCoy. (Un
esempio di come portare a dolore auto- inflitto è obbligare il prigioniero a
stare in piedi senza muoversi oppure mantenere altre posizioni dure da mantenere
per un lungo periodo). La combinazione, ritengono gli psicologi del governo,
porterebbe le vittime a pensare di essere esse stesse la causa delle loro
sofferenze, portandole ad un più rapido annientamento psicologico. Il
disorientamento sensoriale combina forti sensazioni a forti privazioni
sensoriali. Isolamenti prolungati sono intervallati da intensi interrogatori.
Caldo estremo seguito da freddo altrettanto estremo. A una luce accecante segue
totale oscurità. Un rumore continuato e fortissimo è seguito dal silenzio.
“La fusione di queste due tecniche, disorientamento sensoriale e dolore auto-
inflitto, crea una sinergia di traumi fisici e psicologici, la cui somma è un
martellamento del piano esistenziale dell’identità personale”, scrisse McCoy.
Dopo aver parlato con Lutalo, Kerness iniziò a difendere strenuamente lui e gli
altri prigionieri chiusi nelle unità di isolamento. Pubblicò con il suo ufficio
un manuale di sopravvivenza per coloro che stavano in isolamento e insieme un
libricino intitolato “Tortura nelle prigioni americane”. Iniziò così a mettere
insieme più storie di prigionieri tenuti in isolamento.
“Il mio vassoio per il cibo era stato spruzzato con macis o detergenti, … feci
umane e urine lasciate dalle guardie che portavano il vassoio con la mia
colazione, pranzo e cena…”, sembra abbia detto un prigioniero in isolamento nel
Wabash Valley Correctional Facility a Carlisle, Indiana in “Tortura nelle
prigioni americane”. “Ho potuto assistere alla metamorfosi di persone sane di
mente iniziare ad auto- mutilarsi, soffrire di paranoia, di attacchi di panico,
di fantasie ostili di vendetta. Un Prigioniero poteva ingoiare un pacco di pile
stilo o ficcarsi una matita nel pene. Potevano tagliarsi per poter avere un
contatto con le infermiere o solamente per attirare un po’ l’attenzione. Questi
stessi uomini iniziarono a lanciare feci e altri escrementi umani ogni giorno,
come fosse un gioco riconosciuto. Altri la mangiavano oppure si cospargevano di
feci come fosse una crema per il corpo… I secondini usano una forma di freno, un
letto su cui erano state applicate delle strisce di velcro. Entrambe le mani
legate ai polsi ed entrambi i piedi alle caviglie. I prigionieri potevano
restare in quella posizione per 3 o anche 6 ore ogni volta. Spesso dovevano
togliersi i vestiti di dosso. L’unità speciale di isolamento usava anche [delle
pompe] su questi uomini … Quando le prigioni iniziano ad essere sovraffollate, i
secondini ti mettono in due per branda. I temi del sovraffollamento portano ad
una serie di problemi i quali sfociano spesso in violenza … i secondini mettono
intenzionalmente un carcerato per crimini sessuali con gli altri prigionieri con
l’unica intenzione di vederlo pestato o magari ucciso”.
Nel 1913 la Eastern State Penitentiary di
Philadelphia sospese l’internamento in isolamento. I prigionieri nelle prigioni
americane non furono messi in isolamento in gran numero prima dei tumulti del
1960 con l’aumento dei movimenti pacifisti e di difesa dei diritti, nonché
l’affermazione di gruppi radicali come le Pantere Nere. La Trenton State Prison
stabilì nel 1975 un’unità di controllo, o unità di isolamento per i prigionieri
politici, molti dei quali estremisti di colore, come Lutalo, che lo stato volle
separare dal resto della popolazione carceraria. Furono messi in isolamento non
per aver trasgredito a qualche regola della prigione, ma per le loro convinzioni
rivoluzionarie: convinzioni che le autorità carcerarie non volevano che si
diffondessero tra i prigionieri. Nel 1983 la prigione federale a Marion, in
Illinois, istituì una zona recintata e permanente, essenzialmente una “zona di
controllo” permanente grande quanto la prigione stessa. Dal 1994 il Federal
Bureau of Prisons utilizzò il modello della Marion per costruire la sua prigione
di massima sicurezza a Florence, Colorado. Esplose l’uso di un prolungato
isolamento e della privazione sensoriale. “Unità speciali di internamento”
furono formate per i malati di mente. Furono formate “unità di controllo per
gruppi minacciosi per la sicurezza” per coloro che erano accusati di attività
connesse a gruppi criminali. “Unità di controllo per le comunicazioni” furono
formati per isolare i musulmani etichettati come terroristi.
Furono formate anche unità di custodia protettiva volontaria e involontaria. Le
unità amministrative di segregazione e punizione furono create con lo scopo di
isolare prigionieri detti psicologicamente disturbati. Il tutto fu stabilito in
aperta violazione della convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, nel
patto delle Nazioni Unite per i diritti civili e politici, nonché della
Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale.
Kerness la chiamò “la guerra in casa” e disse di ritenerla l’ultima variazione
della lunga guerra ai poveri, specialmente alle persone di colore.
“Non si può parlare di ex sistemi alla Jim Crow”, disse Kerness. “Il passaggio
dallo schiavismo ai Black Codes, dai lavori forzati alle leggi di Jom Crow per
fronteggiare l’attivismo politico, dei poveri, dei giovani, dei veterani negli
anni ’60 ha continuato ininterrottamente fino ad arrivare all’esclusione delle
persone povere e di colore. Le pratiche fasciste sofisticate del ferma- e-
perquisisci, dell’accusare di vagabondaggio persone di colore o rientranti in un
determinato codice condiviso di razzismo, nelle città dell’interno; queste e
altre pratiche sono state messe in atto con il risultato di riempire le nostre
carceri. In un sistema nel quale il 60% dei detenuti è di colore, dove gli
studenti di colore subiscono a scuola pene più dure dei loro colleghi bianchi,
dove il 58% dei giovani afro (americani)… viene mandato nelle prigioni per
adulti, dove le donne di colore hanno il 69% in più di possibilità di essere
incarcerate e dove le sentenze per offese razziste vanno spesso per le lunghe,
ecco, qui l’idea di uguaglianza razziale non esiste. Il razzismo che si respira
è palpabile”.
“Negli anni ’60, quando le ultime leggi di Jim Crow furono rovesciate, questo
insieme di nuove pratiche diffusesi con l’applicazione della legge, fu
congegnato per permettere la continuazione del sistema carcerario crea- soldi,
che ha al suo interno una nuova schiavitù”, afferma. “Fino a che non
riconosciamo profondamente che all’apice del sistema c’è un controllo sociale e
la creazione di un mercato di gente di colore e povera, nulla potrà cambiare”.
L’autrice nota che più della metà delle persone che si trovano nel sistema
penitenziario non hanno mai fisicamente colpito un’altra persona, ma “spesso
quasi tutte hanno fatto del male a loro stesse”. E non solo la giustizia spazza
via i poveri e le persone di colore, ma la schiavitù nel sistema carcerario è
permessa secondo il 13° emendamento della Costituzione degli Stati Uniti
d’America, che recita: “La schiavitù e altre forme di costrizione personale, non
potranno essere ammesse negli Stati Uniti, o in luogo alcuno soggetto alla loro
giurisdizione, se non come punizione di un reato per il quale l'imputato sia
stato dichiarato colpevole con la dovuta procedura”.
Questo, afferma Kerness, “è centrale nella trasformazione dalla schiavitù a
quella che l’ambiente carcerario chiama neo- schiavitù”. La neo- schiavitù è
parte integrante del complesso dell’industria carceraria, nel quale centinaia di
migliaia di prigionieri nazionali, primi fra tutti i soggetti di colore, sono
obbligati a fare lavori involontariamente e per più o meno un dollaro l’ora. “Se
ti capita di chiamare all’ufficio per il turismo del New Jersey ti potrà
tranquillamente succedere di parlare con una prigioniera dell’istituto
penitenziario femminile Edna Mahan, che sta guadagnando 23 centesimi all’ora e
non ha alcuna possibilità di negoziare la propria base oraria o le condizioni di
lavoro”, afferma la Kerness.
I corpi dei poveracci, dei giovani disoccupati, hanno poco valore nelle strade,
ma lo acquistano dietro le sbarre.
“Le persone mi hanno detto che il sistema di giustizia criminale non funziona”,
dice la Kerness. “Sono arrivata a scoprire invece che funziona perfettamente
(come solo la schiavitù sa funzionare) come una questione di linea economico-
politica. Com’è possibile che in Newark un ragazzo di 15 anni, bollato dallo
Stato come inutile per l’economia e che non ha alcuna speranza di conseguire un
diploma o di trovare un lavoro, può improvvisamente generare dai 20000 ai 30000
dollari l’anno una volta entrato nel sistema giudiziario criminale? L’espansione
delle prigioni, della libertà condizionata e vigilata, dei sistemi della corte e
della polizia, ha portato un’enorme burocrazia suppletiva, che a sua volta è
stata una manna per chiunque, dall’architetto al negoziante; tutti con un
aspetto in comune: percepire uno stipendio sfruttando degli esseri umani in
catene. La criminalizzazione della povertà è un business molto lucrativo e
abbiamo rimpiazzato la rete di sicurezza sociale con una trappola”.
Le prigioni sono da una parte immensamente costose - lo Stato ha speso qualcosa
come 300 milioni di dollari fino al 1980- e come ha sottolineato Kerness, anche
immensamente redditizie. Le prigioni funzionano precisamente come gli apparati
militari- industriali. I fondi sono pubblici e il profitto privato.
“La privatizzazione nell’apparato industriale carcerario include società che da
una parte sono pagate per mandare avanti le prigioni e dall’altra speculano sui
lavori forzati”, spiega la Kerness. “Nello Stato del New Jersey, il cibo e i
servizi sanitari vengono forniti da corporations, che hanno come principio il
guadagno. Una recente esplosione dell’industria privata è l’affiliazione della
Corrections Corporations of America con il governo federale, per detenere circa
un milione di persone. Usare soldi della comunità per arricchire pochi privati
cittadini è la storia del capitalismo ai massimi livelli”. Chi esce di prigione
è miseramente impreparato al re- inserimento. Si portano addosso gli anni di
trauma che hanno dovuto sopportare. Spesso soffrono di malattie endemiche dovute
alla lunga incarcerazione, come l’epatite C, la tubercolosi e l’HIV. Spesso non
hanno accesso ai farmaci per le loro malattie fisiche o mentali. Trovare lavoro
diventa difficile. Diventano alienati e sono spesso rigettati da amici e
famiglia. Più del 60% di loro ritorna in prigione.
“Come si fa a insegnargli ad uscire dal degrado?”, chiede la Kerness. “Quanto
serve per insegnargli a sentirsi al sicuro, a darli un senso di rinvigorimento
in un mondo dove spesso tornano a casa psicologicamente e fisicamente degradati
e in occupabili? Ci sono diverse ragioni per le quali gli ex- detenuti non lo
fanno e la più importante è perché è previsto che non ci riescano”.
Kerness è da tanto tempo un’ attivista impegnata. Nel 1961, a 19 anni, lasciò
New York per lavorare per dieci anni alla lotta per i diritti civili in
Tennessee, compreso un anno al Centro di educazione e ricerca Highlander, dove
insegnavano Rosa Parks e Martin Luther King Jr. Dal 1970 fu coinvolta nelle
campagne abitative per i poveri del New Jersey. Iniziò a prendere contatti con
famiglie di detenuti e ciò la portò a fondare Prison Watch.
Le lettere che si riversano nel suo ufficio lasciano basiti. Detenute che
denunciano giornalieri abusi sessuali perpetrati da parte delle guardie. Una
detenuta scrisse: “Non c’era scritto nella mia sentenza che avrei dovuto fare
sesso orale con le guardie”. Altre detenute scrissero delle persone mentalmente
disturbate, lasciate a marcire in prigione. Dalla California scrissero che un
uomo mentalmente disturbato si cosparse di feci e le guardie lo gettarono sotto
l’acqua bollente ustionandogli il 30% del corpo.
Disse Kerness che le lettere che riceve dai prigionieri presentano una litania
di “condizioni inumane, freddo, sudiciume, cure mediche brutali, isolamento
continuativo, ce dura a volte anni, uso di sistemi di tortura, molestie,
brutalità e razzismo”. I prigionieri le mandarono un quadro complessivo fatto di
“4-5 costrizioni, come cappucci, legacci, letti con cinghie per
l’immobilizzazione, granate stordenti, fucili stordenti, cinghie stordenti,
cappucci sporchi di saliva e catene per la vita e le gambe”. Malgrado tutto
questo, il maggior tormento , le dicono i prigionieri, è la sofferenza
psicologica causata dalla “tortura senza contatto”, che include “l’umiliazione,
la privazione del sonno, il disorientamento sensoriale, la luce e il buio
estremi, l’estremo freddo o l’estremo caldo”, nonché “il lungo isolamento”.
Queste tecniche, disse la Kerness, sono scientemente create per provocare un
“sistematico attacco ad ogni stimolo umano”.
L’uso della deprivazione sensoriale fu applicato dal governo con i detenuti
“estremisti” degli anni ’60, ivi inclusi membri delle Black Panthers, del Black
Liberation Army, del movimento portoricano di liberazione e dell’American Indian
Movement; per non parlare degli ambientalisti, degli anti- imperialisti, degli
attivisti per i diritti civili. E’ stato esteso poi oggi ai militanti musulmani,
agli avvocati delle prigioni e ai prigionieri politici.
Molti di questi prigionieri politici facevano parte dei movimenti radicali neri
clandestini degli anni ’60, che combattevano la violenza. Alcuni, come Leonard
Peltier e Mumia Abu Jamal, sono molto conosciuti, ma molti hanno poca visibilità
pubblica; tra questi ultimi citiamo Sundiana Acoli, Mutulu Shakur, Imam Jamil
Al-Amin (conosciuto come H. Rap Brown, quando nel 1960 era consigliera del
Comitato Coordinativo Studentesco Non-Violento), Jalil Bottom, Sekou Odinga,
Abdoul Majid, Tom Manning e Bill Dunne.
Coloro che stavano nel sistema per cercare di resistere ad abusi e
maltrattamenti furono colpiti duramente. I detenuti del sovraffollato Southern
Ohio Correctional Facility, una prigione di massima sicurezza in Lucasville,
Ohio, si rivoltarono nel 1993 dopo anni di continui maltrattamenti, rituali
degradanti di pubblica umiliazione e di presunti omicidi da parte delle guardie
carcerarie. I circa 450 detenuti, che unirono le fazioni avverse all’interno
della prigione (I Fratelli Ariani e i neri Gangster Disciples), riuscirono a
tenere per 11 giorni. Fu una delle più lunghe rivolte di detenuti nella storia
degli Stati Uniti d’America. Nove prigionieri e una guardia furono uccisi dai
prigionieri stessi durante la rivolta. Lo Stato rispose con la solita furia.
Prese 40 prigionieri e li spostò nel Penitenziario di Stato dell’Ohio (OSP), una
mega prigione nei pressi di Youngstown, che fu costruita nel 1998. Qui i
prigionieri sono mantenuti in isolamento 23 ore al giorno, in celle grandi 2x4
m. I prigionieri del OSP non vedono praticamente mai il sole e non hanno
contatti umani.
Coloro che furono accusati di aver partecipato alla rivolta, rimasero in quella
condizione dal 1993. Cinque prigionieri - Bomani Shakur, Siddique Abdullah Hasan,
Jason Robb, George Skatzes e Namir Abdul Mateen - invischiati nella rivolta,
furono condannati a morte. Sono detenuti in isolamento nel braccio della morte.
Afferma Kerness che le società- prigioni a scopo di lucro hanno creato una
classe dirigente come quella degli schiavisti sudisti, che è “dipendente dai
poveri, dalla gente di colore per poter avere un introito”, e descrive i
dipartimenti correttivi federali e di stato come uno “stato mentale”. Questo
stato mentale, spiega nell’intervista, “porta ad Abu Ghraib, Bagram e Guantanamo
e a ciò che sta accadendo proprio ora nelle prigioni americane”.
Finché il profitto rimarrà un incentivo ad incarcerare esseri umani e il nostro
sistema corporativo abbonderà di lavori in esubero, c’è poca speranza che il
sistema detentivo venga riformato. Lo si potrebbe fare rendendo sano il nostro
sovraccarico aziendale. Le nostre prigioni servono il motore del capitalismo
corporativo, che trasferisce i soldi statali a corporations private. Queste
corporations continueranno a boicottare una riforma carceraria razionale perché
il sistema, anche se inumano e ingiusto, riempie i conti in banca delle
corporations stesse. Il problema vero non è la razza - per quanto la razza
giochi una parte considerevole nelle statistiche sulla detenzione - né la
povertà; è la natura predatoria dello stesso sistema capitalistico. E finché non
uccideremo la bestia del capitalismo corporativo, finché non strapperemo il
potere alle corporations, finché non costruiremo istituzioni sociali e un
sistema di governance creato non per il profitto di pochi, ma per il bene
comune, la nostra industria carceraria e l’orrore che ne consegue si
espanderanno.
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(*) Chris Hedges scrive regolarmente per www.Truthdig.com. Hedges si è laureato alla Harvard Divinity School ed è stato negli ultimi 20 anni corrispondente dall’estero per il New York Times. E’ autore di numerosi libri, tra cui: La guerra è una forza che ci da un senso (War Is A Force That Gives Us Meaning), Tutto ciò che ognuno dovrebbe sapere sulla guerra (What Every Person Should Know About War), Fascisti americani: il diritto cristiano e la guerra in America (American Fascists: The Christian Right and the War on America). Il suo libro più recente è L’impero delle illusioni: la fine dell’alfabetismo e il trionfo dello spettacolo (Empire of Illusion: The End of Literacy and the Triumph of Spectacle).
LA BASE NAVALE USA A GUANTANAMO
Il
7 febbraio del 1901, il presidente Tomás Estrada Palma firmò l’accordo di
cessione di una zona del territorio cubano al Governo degli Stati Uniti per la
costruzione della Base Navale di Guantánamo.
La baia di Guantánamo, chiamata "la borsa", è una delle più grande e profonde di
Cuba e fu scoperta da Cristoforo Colombo nel suo secondo viaggio nel Nuovo
Mondo, il 30 aprile del 1494.
Dispone di caratteristiche naturali molto speciali: profondità, sicurezza e
capacità, per ricevere grandi navi; per secoli fu particolarmente inutilizzata
poiché i colonizzatori spagnoli non furono capaci d’apprezzarne le qualità.
Dopo un tentativo d’occupare la baia da parte degli inglesi, nel luglio del
1741, che pretendevano di stabilire lì una base d’operazioni, il governo
coloniale spagnolo comprese finalmente l’importanza strategica della zona.
GLI STATI UNITI METTONO GLI OCCHI SU CUBA
Agli inizi del XIXº secolo, gli USA resero pubblico il loro obiettivo
d’impadronirsi di Cuba per la sua posizione geografica privilegiata, le sue
risorse naturali e le caratteristiche storiche e sociali della popolazione.
La gestione per l’acquisto dell’Isola dalla Spagna avvenne nel 1805, nel 1807 e
1808, ma, come si legge nella relazione centrale del Primo Congresso del PCC, se
per una volta la cocciutaggine spagnola fu utile all’Isola, lo fu proprio in
occasione del rifiuto sistematico d’acconsentire a quelle operazioni di compra
vendita che reiteratamente gli Stati Uniti proposero alla Spagna nel secolo
scorso.
Nel 1823 il segretario di stato John Quince Adams, propose la sua "tesi della
frutta matura" che annunciava come Cuba sarebbe caduta irrimediabilmente nelle
mani nordamericane nel momento in cui non fosse più stata colonia spagnola. In
quello stesso anno il presidente James Monroe elaborò la Dottrina che porta il
suo nome e che avverte le potenze europee che "l’America è riservata unicamente
ed esclusivamente agli americani..."
Nello stesso tempo, i vicini del Nord intorpidirono e cercarono di impedire lo
sviluppo, per anni, dei tentativi dei cubani di divenire indipendenti.
Nel 1859 gli imprenditori nordamericani avevano investimenti per 50 milioni di
pesos nell’Isola, soprattutto nell’industria dello zucchero, del tabacco, nei
giacimenti di ferro, cromo e magnesio. Nel 1898 compresero che esistevano
condizioni propizie per intervenire nella guerra prima dell’imminente crollo
dell’impero coloniale spagnolo e dell’avanzata irresistibile dell’esercito
liberatore.
Approfittando dei crescenti sentimenti di simpatia che la causa cubana
risvegliava nella popolazione nordamericana, il Congresso degli USA approvò
nell’aprile del 1898 una Risoluzione Congiunta che propiziò l’intervento
nordamericano nel conflitto spagnolo. La guerra spagnola – cubana -
nordamericana, definita da Lenin come la prima guerra imperialista di rapina,
ebbe come centro delle sue azioni principali le province orientali e della zona
di Guantánamo.
Il 16 luglio del 1898 si firmò la capitolazione e il 10 dicembre di quell’anno
fu firmato il Trattato di Parigi. Gli Stati Uniti s’impadronirono di Puerto
Rico, Le Filippine e Guam.
Cuba rimase come "territorio speciale" dal quale i nordamericani si sarebbero
ritirati dopo la pacificazione. Il governo interventista, con il generale Wood
in testa, convocò un’Assemblea Costituente incaricata di redigere la Carta
Magna, la Costituzione della futura Repubblica.
Per porre ben chiare le basi delle ulteriori relazioni tra Cuba e gli USA, gli
occupanti esercitarono forti pressioni e imposero il tristemente famoso
Emendamento Platt, che in due clausole incideva sulla sovranità nazionale,
perché rappresentavano gravi implicazioni per l’autodeterminazione della
nascente Repubblica.
La Clausola 3 dell’Emendamento Platt riservava il diritto agli Stati Uniti
d’intervenire per la preservazione dell’indipendenza di Cuba e il sostegno di un
governo adeguato ai loro interessi, mentre la Clausola 7 obbligava Cuba a cedere
zone del suo territorio per lo stabilimento di basi navali o per il carbone.
Lo storiografo Miguel Di Stefano Pisano, nel suo libro "Diritto dei trattati",
sostiene che l’Emendamento Platt è divenuto una spada di Damocle, il cui filo
sono le concessioni navali. Per gli occupanti la forza dell’appendice
costituzionale radicava precisamente nella clausola delle basi militari.
L’8 novembre del 1902 il governo nordamericano sollecitò a carattere perpetuo
l’affitto dei territori della Baia di Nipe Bahía Honda, Cienfuegos e Guantánamo,
ma per via della violenta reazione popolare, si limitò a Bahía Honda e
Guantánamo.
Una delle prime figure della lotta indipendentista cubana, Juan Gualberto Gómez,
fece udire la sua voce avvertendo che gli articoli 3 e 7 dell’Emendamento Platt
"… Equivalgono alla consegna ai nordamericani delle chiavi di casa nostra, per
permettere loro entrarvi a qualsiasi ora... di giorno o di notte, con propositi
buoni o cattivi ...e che...la finalità non è altro che la brama di potere sui
futuri governi di Cuba e sulla sovranità della Repubblica Cubana..."
Dopo molti negoziati, il 10 dicembre del 1903, gli Stati Uniti presero in
consegna il territorio corrispondente alla Base Navale di Guantánamo; mediante
un accordo complementare firmato il 2 luglio del 1903 il governo degli USA
s’impegnò a pagare duemila pesos l’anno in monete d’oro nordamericane - circa
4085 dollari al cambio attuale – una cifra ridicola che gli USA continuano a
depositare e che Cuba non riscuote dal Trionfo della Rivoluzione del 1959.
Stando a un’analisi del Dott. Fernando Álvarez Tabío, nell’articolo "La base
navale di Guantánamo e il diritto internazionale", si legge che il contratto
d’affitto della base navale manca di esistenza legale e di validità giuridica
perché è viziata nei suoi elementi essenziali (...) per l’impossibilità del
governo di Cuba di cedere perpetuamente un pezzo del territorio nazionale ...e
perché il consenso fu strappato con violenza morale, ingiusta e incontrastabile.
Gli Stati Uniti tralasciarono Bahía Honda e si concentrarono a Guantánamo.
L’elezione di questa baia aveva un obiettivo strategico perché per il suo
straordinario valore e le caratteristiche geografiche permetteva di assicurare
il predominio militare nei Caraibi e di mettere gli occhi sul Canale
interoceanico di Panama, i cui diritti di costruzione erano stati acquistati
proprio nel 1903.
UN SECOLO D’INFAMIA
Durante un secolo d’esistenza, la base nordamericana di Guantánamo è stata
scenario di capitoli e avvenimenti vergognosi. Gli investimenti degli USA
nell’Isola si moltiplicarono nella prima metà del secolo scorso con la
costruzione dell’acquedotto necessario, poi nell’industria dello zucchero, delle
ferrovie e dell’elettricità. Il vizio, la prostituzione e il contrabbando
fiorivano e proliferavano dopo l’arrivo dei militari nordamericani, in un affare
molto redditizio per la borghesia locale.
La presenza della base navale di Guantánamo ebbe ripercussioni anche nella vita
politica della zona. Nel 1919 e nel 1922 i marines uscirono dalla base per
"proteggere le centrali dello zucchero" e altri interessi economici
nordamericani di fronte alla ribellione del Partito degli Indipendentisti Negri,
dopo il sollevamento de La Chambelona e alla rivolta dei liberali contro il
governo di Menocal.
Durante l’ultima guerra di liberazione comandata da Fidel con l’esercito
Ribelle, la base di Guantánamo divenne un punto di rifornimento e stazionamento
dell’aviazione del tiranno Batista, che bombardava e mitragliava
indiscriminatamente i contadini e la popolazione civile nelle zone liberate.
Di lì partirono le truppe per invadere altri paesi, come Haiti nel 1915, la
Repubblica Dominicana nel 1918...
Dopo il trionfo rivoluzionario nel 1959, la basa navale USA era divenuta il
rifugio di assassini e torturatori dell’ex regime di Fulgencio Batista. È sempre
stata usata come piattaforma per le aggressioni contro l’Isola, per la partenza
per le infiltrazioni di agenti nemici, per rifornire le bande
controrivoluzionarie, con piani d’aggressione che giustifichino l’invasione
diretta dell’Isola. È un centro di spionaggio radio elettronico e punti di
concentrazione di navi e arerei che possono in un breve tempo imporre un blocco
navale a Cuba.
In tutti questi anni la base navale è stata un centro di provocazioni e
violazioni contro Cuba e contro i guardia frontiera incaricati di custodire il
perimetro esterno.
I dati ufficiali del 1962 sino all’agosto del 1992, segnalano più di 13 mila
provocazioni che includono spari di fucile e pistola -due giovani guarda
frontiera cubano furono uccisi in questo modo- mitragliatrici, carri armati e
cannoni puntai, il lancio d’oggetti, frasi e gesti osceni, rompere i recinti,
violazione degli spazi aererei e marittimi con navi, aerei ed elicotteri...
L’ultimo ruolo nefasto nella storia della base è il suo utilizzo come carcere,
dove sono confinati circa 500 detenuti accusati d’essere terroristi o d’avere
vincoli con il terrorismo, che sono sottoposti a torture fisiche e psicologiche
senza diritto all’assistenza legale o a un degno processo.
Il mondo civile si scandalizza e rabbrividisce di fronte alle immagini terribili
di uomini incatenati e ridotti a livelli di degradazione umana estrema,
alimentati a forza per lo sciopero della fame che hanno iniziato per protestare
contro le condizioni infernali della prigione. A questi prigionieri sono negate
le relazioni con i propri avvocati e con rappresentanti delle organizzazioni
umanitarie e delle Nazioni Unite.
La Costituzione della Repubblica di Cuba, approvata dalla popolazione il 24
febbraio del 1976 nell’Articolo 11 afferma che: ..."L’Isola condanna e considera
illegali io nulli i trattati, patti e concessioni concordati in condizioni di
disuguaglianza e che non riconoscono o diminuiscono la sovranità e l’integrità
territoriale dell’Isola. Per questo Cuba esige dagli Stati Uniti la restituzione
del territorio di Guantánamo perché – come ha dichiarato Fidel - ...questa base
è in loro potere contro la volontà del nostro popolo, è un pugnale piantato nel
cuore della terra cubana!"
Guantanamo/ New York Times:
E' una macchia indelebile
E ANCHE L'ONU DICE LA SUA
Guantanamo
è una macchia indelebile sulla democrazia statunitense, come il carcere di Maze
lo è su quella britannica. Il New York Times torna a parlare del centro di
detenzione per i presunti terroristi, dove è in corso uno sciopero della fame
che ormai coinvolge la maggior parte dei 166 detenuti.
In un editoriale, il quotidiano parte dall'inaugurazione, ieri, del
museo-biblioteca in onore di George W. Bush, a cui erano presenti, a Dallas, i
cinque presidenti degli Stati Uniti ancora in vita. Un museo che rappresenta
l'eredità di Bush, la cui inaugurazione è stata definita da Obama come "un
giorno speciale per la nostra democrazia".
Ma c'è un altro edificio, lontano da Dallas - ricorda il Times - che simboleggia
l'eredità "oscura" di Bush: il centro di detenzione nella baia di Guantanamo, a
Cuba, dove l'allora presidente - e i successivi - decise di rinchiudere ogni
persona sospettata di terrorismo, dopo gli attentati dell'11 settembre. Persone,
nella maggior parte dei casi, accusate di nulla. Un carcere divenuto "l'emblema
della pericolosa espansione del potere esecutivo e delle detenzioni al di là
della legge, delle prigioni segrete e delle torture". Ora, il carcere è anche un
"promemoria del fallimento di Obama", che aveva promesso di chiuderlo non appena
arrivato alla Casa Bianca, e della "dannosa interferenza del Congresso" in ogni
tentativo di dare un giusto processo ai detenuti, e liberare gli innocenti.
Sono ormai 100 i prigionieri in sciopero
della fame a Guantanamo, il carcere Usa a Cuba dove sono detenute 166 persone.
Lo ha dichiarato oggi un portavoce del penitenziario. Il colonnello Samuel House
ha precisato in una nota che 20 detenuti sono alimentati con tubi collegati
direttamente allo stomaco dal setto nasale e cinque di loro sono ancora
ricoverati in ospedale, senza però essere "in pericolo di vita".
Ieri, la Casa Bianca ha fatto sapere di "seguire da vicino" lo sciopero della
fame, ribadendo "l'impegno del presidente Barack Obama a chiudere la prigione".
Gli Stati Uniti devono chiudere il carcere cubano di Guantanamo perché detenere persone per un periodo indefinito «rappresenta una chiara violazione del diritto internazionale». L'avvertimento è arrivato dall'alto commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, il 5 aprile a Ginevra. Il presidente americano Barack Obama, il 21 gennaio 2009, ha firmato l'ordine di chiusura del carcere (ma non della base militare), che doveva essere smantellato entro l'anno. Ma ciò non è ancora avvenuto.
INFRAZIONE DELLE LEGGI». Pillay ha ricordato lo sciopero della fame portato avanti dai detenuti, definendolo un «atto disperato, ma non sorprendente. Bisogna essere chiari su questo punto», ha continuato. «Si tratta di una chiara infrazione da parte degli Stati Uniti non solo dei propri impegni, ma anche delle leggi e degli standard internazionali che sono tenuti a rispettare». Per Pillay la situazione nel centro di Guantanamo «indebolisce pesantemente» la posizione degli Stati Uniti in quanto difensori dei diritti umani, soprattutto quando si tratta «di affrontare le violazioni dei diritti umani altrove». L'alto commissario Onu per i diritti umani sì è detta «profondamente delusa» perchè gli Stati Uniti «non sono stati in grado di chiudere Guantanamo nonostante i ripetuti impegni» dell'amministrazione Obama.
SOLO NOVE DETENUTI CONDANNATI. Quindi è stato chiesto un primo passo: rilasciare i detenuti che sono stati esonerati dall'aver avuto un ruolo nella guerra al terrorismo. Dei 166 rimasti a Guantanamo, metà potrebbero esser già oggi trasferiti nel loro Paese e in Paesi terzi, ha notato la Pillay: altri sarebbero stati individuati per incarcerazione sine die. Solo nove detenuti di Guantanamo sono stati incriminati o condannati da quando il carcere cubano ha aperto i battenti nel gennaio 2002 e di recente il Southern Command, a cui fa capo la base-prigione, ha chiesto all'erario 49 milioni di dollari per costruire un nuovo edificio per «prigionieri speciali» in aggiunta alle altre spese di ristrutturazione necessarie dopo che il Congresso ha deciso di tenere aperto il carcere a tempo indeterminato.
ABUSI SUI PRIGIONIERI. Ideato come
carcere di massima sicurezza per gli attentatori dell'11 settembre, Guantanamo è
diventato il simbolo delle leggi anti-terrorismo varate dall'amministrazione di
George W. Bush.
La prigione è diventata tristemente famosa per le pratiche estreme utilizzate
negli interrogatori e per gli abusi perpetrati nei confronti dei detenuti. Nel
dicembre del 2011 il nuovo National defense authorization act ha legalizzato la
detenzione indeterminata e senza imputazioni precise a carico dei prigionieri.
APPROFONDIMENTO
http://www.youtube.com/watch?v=ErdizSI3p_4&feature=share&list=PL9AD1536C4489E3BE
Documentari dalle varie carceri americane
Wikileaks. Ecco i documenti segreti delle torture di Guantanamo.
A Guantanamo si combatte. E’una guerra psicologica e fisica. Un braccio di ferro tra i prigionieri e l’amministrazione Usa che, dall’11 settembre 2001, ha dato inizio alla War of terror (la guerra del terrore) contro AlQaeda. Ma Guantanamo non è un carcere come gli altri: non a caso è stato ribattezzato The battle lab (il laboratorio della guerra) «dove migliaia di detenuti sono sottoposti ad esperimenti umani e psicologici», spiegano il generale Mike Dunlean ed il Maggiore Geoffrey Miller che hanno coniato l’espressione. A svelare i retroscena nascosti di Guantanamo ci pensa ancora una volta Wikileaks che pubblica documenti di Stato, files e testimonianze di quanti hanno preso parte, assistito o subìto torture e sevizie.