IRAQ:

LA RAZZIA DIVENTERÀ LEGGE

COSÌ, PER IL PETROLIO, SI FANNO A PEZZI I POPOLI!

Secondo una stima dei profitti del petrolio iracheno

circa l'80% andrà alle compagnie straniere se

passerà la nuova legge irachena sul petrolio.

(A cura di Claudio Prandini)

 

 

 

PREMESSA

 

Come era già stato anticipato dalla stampa americana Bush ha deciso di aumentare di altri 21.500 soldati la già cospicua, ed inutile visto il peggioramento della situazione, presenza militare un Iraq. Lo ha fatto andando contro sia il suo popolo, che nelle elezioni di novembre aveva fatto vincere i democratici, ma anche contro i vertici dello Stato Maggiore, restii ad una escalation militare di cui non si vede alcuna reale soluzione. Questa accelerazione dell'impegno militare americano in Iraq come anche in tutta la zona del golfo, non dimentichiamo la questione iraniana, rischia di aggravare ulteriormente una situazione che si fa sempre più tesa e preoccupante man mano che il tempo passa.

 

Nel frattempo, «il leader radicale sciita Moqtada Sadr è uscito allo scoperto contro il piano Bush: "La nuova strategia americana non è la benvenuta, i soldati americani non sono benvenuti", ha detto tramite un suo portavoce: "Gli americani faranno meglio a evitare che i loro figli vengano qui, rischiano di ripartire nelle bare". E ieri, giorno di preghiera islamica, da tutte le moschee si sono levate prediche di fuoco contro il presidente Usa e i suoi militari"» (vedere qui).
 

I russi, da parte loro, ammettono che questa nuova escalation americana rende sempre più probabile un attacco all'Iran in tempi brevi: «Un attacco americano contro l'Iran e' da considerarsi come ''imminente''. Lo ha stimato l'ammiraglio Eduard Baltin, ex comandante delle forze navali russe, in un'intervista rilasciata alla stampa moscovita. ''La presenza di numerosi sommergibili e di un'imponente flotta di navi e portaerei americane e occidentali nelle acque del Golfo Persico - ha detto Baltin - non promette nulla di buono e annuncia l'imminenza di un'azione militare su vasta scala contro l'Iran e le sue installazioni militari e nucleari''» (Teheran, 10 gen - Adnkronos/Aki).

 

Ma perché tutto questo? La risposta principale, che però non è l'unica, l'ha data Bush stesso qualche tempo fa quando disse che "L'America è drogata dal petrolio" (vedere qui). Così, quando ci si ritrova con una superpotenza "drogata", tutto diventa possibile! La mistificazione dei "liberatori" si è trasformata ben presto per l'Iraq in ciò che veramente era ed è, ossia in una razzia petrolifera! Come? Occupando prima e imponendo poi una legge sul petrolio che darà, per i prossimi trent'anni, la possibilità alle compagnie petrolifere occidentali di ricavare dal petrolio iracheno circa l'80% dei profitti! Un furto in piena regola che smaschera la foglia di fico della "guerra umanitaria" sbandierata in questi anni dall'Amministrazione americana. Questa legge capestro sarà varata prossimamente da un parlamento iracheno vistosamente influenzato dall'amministrazione Bush. Ecco perché urge pacificare il paese con più truppe... Senza stabilità non ci possono essere reali profitti!

 

Caso isolato? Niente affatto! In realtà esiste un piano più o meno segreto di "razzia globale" che ha come punti cruciali il Golfo Persico e l'Africa. Non ci credete? Guardate questo articolo che non proviene da "Al Qaeda", se esiste, ma da ambienti americani non drogati dal petrolio (vedere qui)! Tra l'altro, ciò che sta accadendo in Somalia (vedere qui) in questi giorni va visto attraverso la lente "dell'accaparramento delle materie prime (vedere qui) che passa attraverso la destabilizzazione del continente nero. Arrivano così i contingenti militari, in teoria impegnati nella lotta ad Al Qaeda", ma in realtà per ben altro... (vedere qui). Così, per il petrolio, si fanno a pezzi i popoli...!!!

 

 

 

 


BUSH PERDE SEMPRE PIÙ CONSENSI...

ANCHE QUELLI  DEL SUO CANE!!!

 

 

 

 

'INDEPENDENT':

IL PETROLIO IRACHENO

ANDRA' AI COLOSSI STRANIERI

Roma, 7 gennaio 2007

"Il futuro dell'Iraq: la divisione del bottino di guerra", ovvero "come l'Occidente distruggerà le riserve petrolifere dell'Iraq": con questo titolo "The Independent on Sunday", anticipa la controversa legge che sta per arrivare al Parlamento di Baghdad, e di cui ha visionato una bozza, che permetterà ai colossi stranieri, in particolare quelli statunitensi, di sfruttare la enormi riserve di oro nero dell'Iraq, le terze per dimensione del pianeta. A redigere il provvedimento ha partecipato la stessa amministrazione Usa, scrive l'edizione domenicale del quotidiano britannico. Una legge che assegnerà a colossi petroliferi come Bp, Shell e Exxon, contratti trentennali per estrarre il greggio iracheno, permettendo per la prima volta, dalla nazionalizzazione del settore nel 1972, il ritorno delle aziende petrolifere straniere sul suolo dell'Iraq.

Torneranno allora in mente le parole del vice-presidente Usa Dick Cheney, che nel 1999, quando era ancora ad dell'azienda di servizi Halliburton, disse che "il mondo avrà bisogno di ulteriori 50 milioni di barili di petrolio al giorno entro il 2010". Da dove arriverà il petrolio? Si interrogava Cheney, poi affermando: "Il Medio Oriente, con due terzi del petrolio mondiale ai prezzi più bassi, è ancora il luogo dove si trova la ricompensa finale". Questa legge - scrive il quotidiano - darà peso alle voci critiche di quanti hanno sempre sostenuto che la guerra in Iraq fu combattuta per il petrolio. Secondo gli oppositiro, l'Iraq, la cui economia si basa per il 95% sul petrolio, è costretto a consegnare un'inaccettabile percentuale della sua sovranità agli stranieri. Secondo i vertici del settore e gli analisti - scrive il giornale britannico - questa misura, che nei primi anni di sfruttamento delle risorse petrolifere permettterà alle aziende occidentali di intascare tre quarti dei profitti, è l'unico modo per rimettere in piedi l'industria petrolifera dopo anni di sanzioni, guerra e fuga di esperti. Ma lo sfruttamento dei pozzi avverrà attraverso gli "accordi per la divisione della produzione" (production-sharing-agreements, o PSAs) per nulla diffusi in Medio Oriente, dove l'industria del petrolio in Arabia Saudita o Iran, i due maggiori produttori mondiali, è controllata dallo Stato.

 

 

POZZO DI PETROLIO

 

 

Petrolio in vendita: l’Iraq Study Group

raccomanda la privatizzazione

 

di Antonia Juhasz - 7 dicembre 2006

 

L' Iraq Study Group può non avere una soluzione per come porre fine alla guerra, ma certo ha un modo per far fare soldi ai suoi amici delle multinazionali

Nelle suo attesissimo rapporto, reso pubblico mercoledì, l’Iraq Study Group ha presentato almeno quattro proposte indiscutibilmente radicali.

Il rapporto esorta gli Stati Uniti a offrire il proprio aiuto per attuare la privatizzazione dell’industria petrolifera irachena, aprendo l’Iraq alle compagnie energetiche private straniere, offrendo assistenza tecnica diretta per la “stesura” di un nuovo disegno di legge nazionale sul petrolio per l’Iraq, e garantendo che tutti gli introiti provenienti dal petrolio iracheno vadano a vantaggio del governo centrale.

Più di un anno fa, il presidente Bush ha ingaggiato un dipendente della Bearing Point Inc., un’agenzia di consulenza americana, per assistere il ministero iracheno del petrolio nella stesura e nell’attuazione di una nuova legge nazionale sul petrolio. Come progettato in precedenza, il disegno di legge prevede l’apertura del settore petrolifero nazionalizzato iracheno agli investimenti privati di aziende straniere, ma non si spinge fino alla privatizzazione totale.

Il rapporto dell’ISG, però, va oltre, affermando che “gli Stati Uniti dovrebbero fornire assistenza ai dirigenti iracheni per la riorganizzazione dell’industria petrolifera nazionale come se fosse un’impresa commerciale.” Per di più, l'attuale costituzione irachena non stabilisce se il controllo del petrolio iracheno debba essere suddiviso fra le sue regioni oppure accentrato nelle mani del governo centrale.

Il rapporto raccomanda specificatamente la seconda opzione: “I proventi petroliferi dovrebbero confluire nelle casse del governo centrale ed essere suddivisi sulla base della popolazione”. Se queste proposte saranno adottate, l’industria petrolifera nazionale irachena sarà privatizzata e aperta alle aziende straniere, e in controllo di tutto il patrimonio petrolifero iracheno

Le proposte non arrivano inaspettate, considerando il fatto che due autori degli autori del rapporto, James A. Baker III e Lawrence Eaglburger, hanno dedicato gran parte delle rispettive carriere politiche e aziendali a rincorrere un più ampio accesso al petrolio e alle ricchezze irachene.

“Pragmatista” è il termine ricorrente utilizzato per descrivere il co-presidente dell’Iraq Study Group, James A. Baker III, ed è ugualmente appropriato anche per descrivere Lawrence Eagleburger.

Il termine si applica particolarmente bene agli sforzi che entrambi gli uomini hanno profuso per incrementare l’impegno economico degli Stati Uniti verso Saddam Hussein per tutti gli anni '80 e nei primi anni '90. Non solo i loro sforzi hanno arricchito Hussein e le multinazionali statunitensi, e le compagnie petrolifere in particolare, ma hanno servito anche gli interessi delle loro aziende private.

Il 21 aprile 1990, una delegazione statunitense fu inviata in Iraq per abbassare i toni di Saddam Hussein mentre i suoi discorsi anti americani e le sue minacce di una invasione del Kuwait si stavano intensificando. James A. Baker III, Segretario di Stato dell’allora presidente George H.W. Bush, inviò di persona un telegramma all’ambasciata Usa a Baghdad, ordinando all’ambasciatore di incontrare Hussein e spiegargli chiaramente che “pur essendo preoccupati per i programmi di armamenti chimici, nucleari e missilistici, non stiamo in nessun modo preparando la via per un’azione militare unilaterale preventiva per eliminare questi programmi.”(1)

L’attenzione di Baker, al contrario, era focalizzata sugli scambi commerciali, che definiva “il fattore chiave nella relazione USA-Iraq". Dal 1982, quando Reagan depennò l’Iraq dall’elenco di paesi che sostenevano il terrorismo, fino all'agosto del 1990, quando l’Iraq invase il Kuwait, Baker ed Eagleburger lavorarono insieme ad altri nelle amministrazioni Reagan e Bush per espandere aggressivamente e con successo questa attività commerciale.

L’efficacia di una simile mossa può essere meglio descritta in un memo scritto nel 1988 dal gruppo di transizione di Bush dove si sosteneva che gli Stati Uniti avrebbero dovuto “decidere se trattare l’Iraq come una dittatura ripugnante da evitare quando e dove possibile, oppure riconoscere l’attuale e potenziale potere iracheno nella regione e accordargli una priorità relativamente alta. Noi raccomandiamo fortemente quest’ultima tesi ".

Due motivi addotti furono “le smisurate riserve petrolifere” dell’Iraq che promettevano "un mercato redditizio per i prodotti statunitensi,” e il fatto che le importazioni petrolifere statunitensi dall’Iraq stavano salendo alle stelle. Bush e Baker accettarono il consiglio del gruppo di transizione e lo fecero proprio.

Infatti, dal 1983 al 1989, gli scambi fra gli Stati Uniti e l’Iraq aumentarono di quasi sette volte e secondo le previsioni sarebbero raddoppiati nel 1990, prima che l’Iraq invadesse il Kuwait. Nel 1989, l’Iraq diventò il secondo partner commerciale degli Stati Uniti in Medio Oriente: l’Iraq acquistò dagli Stati Uniti beni per 5,2 miliardi di dollari, mentre gli Stati Uniti acquistarono 5,5 miliardi di dollari di petrolio iracheno. Dal 1987 al luglio 1990, le importazioni statunitensi di petrolio iracheno aumentarono da 80.000 a 1,1 milioni di barili al giorno.

Eagleburger e Baker giocarono un ruolo importante in questo vertiginoso incremento degli scambi.

Nel dicembre 1983, l’allora Sottosegretario di Stato Eagleburger scrisse personalmente alla Export-Import Bank statunitense per invitarla a cominciare a estendere i prestiti all’Iraq allo scopo di “sottolineare la nostra fiducia nella futura sostenibilità dell’economia irachena e assicurare agli Stati Uniti una posizione di privilegio in un mercato estero dalle grandi potenzialità.” Egli faceva rilevare che l’Iraq “ha piani innovatori per un incremento del 50 percento delle sue esportazioni petrolifere entro la fine del 1984".

In ultima analisi, il governo Usa avrebbe fatto o appoggiato prestiti per miliardi di dollari al dittatore iracheno, denaro utilizzato da Hussein per acquistare beni statunitensi.

Nel 1984, Baker diventò Segretario al Tesoro, Reagan aprì completamente le relazioni diplomatiche con l’Ira,q ed Eagleburger divenne presidente della compagnia di consulenza di Henry Kissinger, la Kissinger Associates.

La Kissinger Associates partecipò all’U.S.-Iraq Business Forum attraverso il suo amministratore delegato Alan Stoga. Il Forum era un’associazione commerciale che rappresentava 60 aziende americane, fra le quali Bechtel, Lockheed, Texaco, Exxon, Mobil e Hunt Oil.

Nel 1985, in un discorso pubblico a Washington, l’ambasciatore iracheno negli Stati Uniti disse: “La nostra gente a Baghdad darà priorità, quando c’è competizione fra due aziende, a quella che fa parte del Forum.”

Stoga presenziò regolarmente agli eventi organizzati dal Forum e andò in Iraq nel 1989 in occasione di un viaggio sponsorizzato dal Forum, durante il quale incontrò direttamente Hussein. Molti clienti di Kissinger erano anche membri del Forum, e si aggiudicarono contratti con Hussein.

Nel 1989, Eagleburger ritornò al Dipartimento di Stato, ora guidato dal Segretario di Stato Baker. Quello stesso anno, il presidente Bush firmò la National Security Directive 26 che affermava: “Dovremmo portare avanti, e cercare di incoraggiare, le opportunità per le aziende statunitensi di prendere parte alla ricostruzione dell’economia irachena, in particolare nel settore energetico.”

Il presidente avviò quindi le trattative per assegnare un prestito di un miliardo di dollari all’Iraq una settimana prima che il Segretario Baker incontrasse Tariq Aziz al Dipartimento di Stato per siglare l’accordo.

Ma quando Hussein invase il Kuwait, tutti gli affari sfumarono. Baker fece un appello pubblico, chiedendo di sostenere una azione militare contro Hussein, sostenendo che “La linea vitale dell’economia del mondo industriale passa attraverso il Golfo e non possiamo permettere a un dittatore di quel calibro di posizionarsi in mezzo a questa linea.

Baker aveva molto da guadagnare dal maggiore accesso al petrolio iracheno. Secondo l’autore Robert Bryce, gli investimenti personali di Baker e dei suoi stretti famigliari nell'industria petrolifera all'epoca della prima guerra del Golfo includevano investimenti nelle compagnie Amoco, Exxon e Texaco. Lo studio legale di famiglia, Baker Botts, aveva rappresentato Texaco, Exxon, Halliburton e Conoco Phillips, per citarne alcune, in alcune vertenze dal 1914 e in molti casi per decenni. (Anche Eagleburger è collegato alla Halliburton, avendo solo di recente lasciato il consiglio di amministrazione della compagnia).

Baker è un socio di lunga data, e ora partner senior della Baker Botts, che quest’anno, per il secondo anno di seguito, ha ricevuto il premio “The International Who's Who of Business Lawyers Oil & Gas Law Firm of the Year Award”, mentre il Medio Oriente rimane un centro di interesse cruciale dello studio legale.

Nel luglio scorso, Bodman, Segretario Usa all'Energia, ha annunciato a Baghdad che i dirigenti delle compagnie petrolifere statunitensi non sarebbero entrati in Iraq senza l’approvazione della nuova legge.

La rivista Petroleum Economist ha riportato, successivamente, che le compagnie petrolifere Usa mettevano l’approvazione della legge sul petrolio prima delle questioni relative alla sicurezza come fattore decisivo della loro entrata nel mercato iracheno.

In altri termini, le compagnie petrolifere stanno cercando di ottenere ciò che era stato loro negato prima della guerra o in qualsiasi altro periodo della storia moderna dell’Iraq: l’accesso al petrolio iracheno nel sottosuolo. Stanno tentando, inoltre, di strappare il miglior accordo possibile da una nazione dilaniata dalla guerra e sotto occupazione.

Tuttavia, il dover aspettare l’approvazione della legge e il bisogno di garantire la sicurezza delle compagnie statunitensi una volta avviati i lavori, possono benissimo costituire un fattore chiave alla base di quella proposta dell’Iraq Study Group che ha ricevuto grande attenzione dai media: prorogare la presenza delle truppe Usa in Iraq almeno fino al 2008.

Mentre si vagliano più accuratamente le raccomandazioni dell’Iraq Study Group, noi dovremmo tenere gli occhi aperti e guardare con circospezione i profittatori di guerra travestiti da pragmatisti.

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(1) Tutte le citazioni sono indicate nel mio libro, The Bush Agenda

Antonia Juhasz è una ricercatrice associata dell’Institute for Policy Studies, autrice di “The Bush Agenda: Invading the World, One Economy at a Time”, e co-autrice, insieme a John Perkins e altri di “A Game as Old as Empire: the Secret World of Economic Hit Men and the Web of Global Corruption”

 

 

A CHI DIO CHIEDERÀ CONTO

DI TANTO SANGUE?

 

 

I sindacati iracheni contro

la privatizzazione del petrolio

United Press International, 14 dicembre 2006

Cinque federazioni sindacali irachene hanno condannato le trattative per la legge federale sul petrolio in quanto troppo ben disposte verso le multinazionali.

I leader delle cinque federazioni riuniti ad Amman hanno diffuso un comunicato giovedì esortando a una pausa nelle trattative per una legge che regolamenterà i 115 miliardi di barili di riserve petrolifere dell'Iraq, le terze al mondo.

Trattative in una qualche forma sono in corso dall'invasione dell'Iraq, ufficialmente e in modo serio dall'inizio di quest'anno. Articoli pubblicati sulla stampa e commenti di coloro che conoscono bene le trattative dicono che una qualche forma di privatizzazione è una componente importante di una bozza di legge.

Ciò è stato confermato la settimana scorsa dall'ambasciatore iracheno presso le Nazioni Unite, Hamid al Bayati, che ha detto alla United Press International che "l'intenzione è di permettere alle compagnie straniere di investire in tutti i settori, compreso il petrolio".

"La consegna del controllo sul petrolio alle compagnie straniere, il cui obiettivo è quello di fare grossi profitti a spese del popolo iracheno, e di derubare la ricchezza nazionale, sulla base di contratti ingiusti, a lungo termine, che indeboliscono la sovranità dello Stato e la dignità del popolo iracheno " è una "linea rossa" che non deve essere oltrepassata, hanno detto i sindacati in un comunicato congiunto.

Essi inoltre hanno sparato a zero contro il contesto delle trattative, che si svolgono in segreto e non saranno rese pubbliche fino al voto del Parlamento, secondo un comunicato del gruppo per le questioni sociali e ambientali Platform.

"Questa legge ha una moltitudine di problemi", ha detto Hasan Jum'a, presidente della Federazione dei sindacati del petrolio. "E' stata preparata senza consultare gli esperti iracheni, la società civile irachena, o i sindacati. Respingiamo questa bozza, e chiediamo più tempo per discutere la legge".

La legge irachena sul petrolio è vista come un ostacolo da superare e un passo importante per il Paese.

I kurdi e alcune fazioni sciite sono a favore di un maggiore controllo da parte delle regioni di quanto non vogliano i sunniti e altri sciiti, un fattore di stallo importante nelle trattative.

Ma i proventi del petrolio rappresentano quasi tutto il bilancio dell'Iraq, soldi che potrebbero andare per migliorare il settore petrolifero nello specifico, e la sicurezza del Paese nel suo complesso, unitamente ad altre opere di ricostruzione .

E' necessaria una nuova legge per decidere in che modo qualunque di queste cose avverrà.

 

 

 

APPROFONDIMENTO

 

 

Le “guerre del Peloponneso” di

Bush nel Sudovest Asiatico
 

I piani segreti USA per il petrolio dell'Iraq

 

 

Il Petro-Cartello di Bush ha quasi

 fatto suo il petrolio iracheno
 

 

Il rigurgito della NSSM 200
prende di mira l’Africa