L'ITALIA IN LIBANO CON

L'ONU, UNA SCELTA CHE

POTREBBE COSTARCI CARO.

a cura di Claudio Prandini

 

 

 

La portaerei italiana G. Garibaldi

 

 

 

Premessa

 

 

Intendiamoci, io non sono di per sé contrario a questa missione di pace in Libano, ma cIò che mi fa dubbioso sono due cose: primo, quel luogo rappresenta da decenni il punto più caldo, in senso militare, del pianeta. Basterebbe poco per riaccendere il prossimo round... d'altronde ci andiamo proprio per evitare che questo accada di nuovo! Okay, mi sta bene, ma cosa accadrebbe (e questo è il secondo dubbio ed anche il più preoccupante) alle truppe ONU se Israele o gli Stati Uniti decidessero di attaccare l'Iran? Semplice: ci troveremmo in poco tempo con tutto il Medio Oriente (e non solo) in fiamme e i nostri soldati in mezzo! Prodi ha pensato a questa eventualità? Ha chiesto chiarezza anche su questo punto all'amico Bush e all'amico Olmert?

 

Che la cosa non sia poi così campata in aria come a qualcuno potrebbe sembrare, lo si deduce dal fatto che il segretario della Difesa americana, Rumsfeld, ha assicurato in un recente discorso (29 agosto 2006) che gli americani "sono in grado di iniziare un'altra guerra" se necessario, con evidente riferimento all'Iran! (fonte web)

 

La mia sensazione è che non si siano soppesati veramente tutti i rischi, soprattutto quello di un attacco militare all'Iran. La Francia ha titubato! E ne aveva tutte le ragioni... Sorge allora una domanda: e se l'intera operazione, dalla reazione di Israele in poi, rientrasse nella strategia a lungo termine di Washington, che sta sorniona muovendo i pezzi della scacchiera mediorientale per sferrare l'attacco all'Iran?

 

Se questo sospetto fosse vero noi europei (e in particolare l'Italia) ci saremmo gettati nel macello mediorientale con una ingenuità disarmante, che farà certamente sorridere di gusto i cinici manovratori del Partito della Guerra, negli Stati Uniti e in Israele, per essere riusciti a coinvolgere nella "loro" guerra all'Iran i pacifici europei!   Le conseguenze politiche per Prodi e la sua maggioranza sarebbero in tal modo gravi e devastanti per la stabilità politica dell'intero paese.

 

Ora, forse, per qualcuno del Partito della Guerra non resta che aspettare il momento giusto (preferibilmente prima delle elezioni di metà mandato in USA, cioè verso ottobre), per far scattare l'astuta trappola  finale tesa all'ONU e all'Europa.  Infatti... «Con il fallimento di Israele nel raggiungere i suoi obiettivi strategici in Libano e gli Stati Uniti che hanno fallito nel raggiungere i loro obiettivi strategici in Iraq, Hezbollah esce trionfante, e la Siria e l’Iran escono incolumi ed esultanti.

Cosa succederà poi? È ovvio.

Con il Partito della Guerra discreditato dalle politiche fallite, dopo averle acclamate, in Libano e in Iraq, si replicherà che Bush "deve andare all’origine" di tutte le nostre difficoltà - l’Iran. Solo così il Partito della Guerra può redimersi per aver spinto noi e Israele in due guerre non necessarie e distruttive. E il rullo di tamburi per la guerra contro l’Iran è già cominciato.

"I pericoli continuano ad aumentare all’estero", geme il Weekly Standard nel suo editoriale principale. "La maniera in cui Bush tratterà con l’Iran che appoggia il terrorismo e che insegue le armi nucleari sarà la prova" per la sua amministrazione. Sì, la prova suprema. Bush è stato avvisato dai neocon e dal Partito della Guerra, che hanno quasi distrutto la sua presidenza: o annienti l’Iran, Mr. Bush, o sei un presidente fallito.

Per un caso disperato come quello di Bush, questo affronto potrebbe essere troppo da sopportare. Senza considerare le "realtà della politica internazionale e interna", Bush potrebbe cedere ai suoi severi sorveglianti neocon e spingere per un’invasione dell’Iran "colpisci e terrorizza".

A questo punto la questione è se l’ala del Pentagono libera dai neocon sarà in grado di resistere alla spinta rovinosa di Bush per un’invasione dell’Iran.

Probabilmente no»
(vedere tutto l'articolo)
 

 

 

 

Giochi dI GUerra

attorno all’Iran (e dentro)

 

Missile semovente iraniano

 

 

Maurizio Blondet - 27/08/2006

Tutta una serie di grandi esercitazioni militari sono in corso nell'Asia centrale; simultanei e apparentemente coordinati, i giochi di guerra sono apparentemente dovuti ad informazioni che ritengono imminente un attacco americano o israeliano contro l'Iran, evento che viene percepito come una minaccia USA dai Paesi dell'area.

«Rubezh-2006», in corso fino a fine agosto presso il porto kazako di Aktau.
Vi partecipano 2.500 uomini di Russia, Kazakhstan, Kirghizistan, e Tagikistan, ossia molti dei membri del cosiddetto CSTO, Collective Security Treaty Organisation; l'Uzbekistan, nuovo arrivato nel CSTO, ha mandato osservatori.
Altri due membri, Armenia e Bielorussia, non partecipano all'esercitazione, evidentemente perché lontani dal Caspio.
Lo scopo dell'esercitazione è infatti ufficialmente inteso alla «protezione delle risorse energetiche da attacchi terroristici» (sic) e il Caspio è il fulcro delle estrazioni di greggio e delle reti di oleodotti strategici per Russia, Iran e Cina.
Spicca l'assenza dell'Azerbaijan, che è sotto influenza USA, e che gli Stati Uniti stanno coprendo di armi e investimenti nell'intento di creare lì un contrappeso all'Iran nel Caspio, nonché una base avanzata in caso di attacco a Teheran.
Gli americani stanno anche sviluppando la marina del Kazakhstan, membro dello CSTO, che ultimamente sembra propendere per un ritorno sotto l'ala di Mosca.
Come l'Uzbekistan, che di recente ha ordinato la chiusura della base USA nel suo territorio; e il Kirghizistan, che ha aumentato l'affitto che gli americani pagano per la base di Manas, ed ha espulso due diplomatici USA.
L'Iran sostiene da sempre l'idea che «potenze estranee» debbano essere impedite di tenere navi da guerra nel Caspio, e Mosca sembra tendere a dargli ogni giorno più ragione.

«Thianshan I», esercitazione congiunta Cina-Kazakhstan.
Come si vede, il Kazakhstan partecipa simultaneamente a due esercitazioni distinte: una sui suoi confini occidentali sul Caspio con i russi e il CSTO, l'altra con Pechino, nella ragione orientale di Almaty.
Queste manovre seguono di poco la visita del venezuelano Chavez nell'area - Bielorussia, Russia, Iran, Qatar - che si è conclusa in Cina, dove è stato firmato un accordo per cui il Venezuela (il cui primo cliente petrolifero è l'America) aumenterà le forniture di greggio a Pechino.

«Zarbat - e - Zolfaqar», grandi manovre iraniane, apparentemente coordinate con quelle del CSTO e della Cina-Kazakhstan.
Questa imponente esercitazione, cominciata una settimana prima delle altre, coinvolge l'esercito regolare e i pasdaran (guardie della rivoluzione) e fa parte di un gioco di guerra che occuperà tutta la nazione, fino a settembre e forse oltre, intensificandosi.
Una sorta di mobilitazione totale in vista della guerra.
Le esercitazioni investiranno le zone di confine (Sistan e Belucistan), il confine sud-orientale verso il golfo di Oman, il Pakistan e l'Afghanistan sotto occupazione NATO.
L'Iran non è membro del CSTO ma è osservatore, e gli è stato offerto di diventare membro, dello SCO, Shanghai Cooperation Organisation, egemonizzata da Russia e Cina - che sono i suoi massimi fornitori di sistemi d'arma.
E Mosca e Pechino hanno condotto grandi manovre congiunte aero-navali nell'agosto 2005.

Secondo Michael Chossudovsky (1), la  simultaneità delle manovre in centrAsia intende segnalare a Washington «che un attacco all'Iran può portare a un conflitto molto più vasto, in cui possono essere coinvolti la Russia e gli stati del CSTO».
Non a caso, gli Stati Uniti hanno risposto con loro manovre.
«Viper Lance 2006», che vede la partecipazione di truppe USA coi nuovi alleati della NATO, Bulgaria e Romania.
Queste esercitazioni ne seguono immediatamente un'altra, «Immediate Response 2006», che si è tenuta a luglio, e continueranno fino a settembre.
A fine 2005 Condoleeza Rice ha firmato con la Romania un trattato decennale per l'allestimento di quattro basi militari sul territorio romeno.
Fra queste basi si annovera l'aeroporto Mihail Kogalinceanu, usato dalla Cia come prigione segreta dei suoi voli di deportati, e prima come scalo sulla via di Iraq ed Afghanistan.
La base ospiterà 1500 militari americani a rotazione.


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Note
1)
 Michel Chossudovsky, «Russia and central Asia allies conduct war games in response to US threats», Globalresearch, 24 agosto 2006.
2) Mahdi Darius Nazemroaya, «War with Iran? Military movements throughout Eurasia», Globalresearch, 25 agosto 2006.

 

 

 

APPENDICE

 

 

 

Dobbiamo deciderci... O seminare la guerra con la vendita di armi un po' in tutto il Medio Oriente, oppure fare politiche realmente di pace! Non si può mandare tremila uomini in missione di pace in Libano con tutti i rischi accennati sopra e, nello stesso tempo, continuare a seminare armi praticamente in tutta quella zona...

Infatti, "da alcune anticipazioni de "il Sole 24 Ore" del 3 maggio scorso si apprende che, sia pur con un leggero calo del 9,5%, il portafoglio d'ordini delle autorizzazioni per l'anno 2005 sostanzialmente tiene attestandosi attorno ai 1.360,7 milioni di euro. Ma soprattutto cresce di oltre il 73% il valore delle consegne effettuate nel 2005 che sfiorano gli 831 milioni di euro contro 480 del 2004: il miglior dato dell'ultimo sessennio, segno evidente che le commesse autorizzate negli scorsi anni dal Governo Berlusconi si stanno realizzando. Tra i produttori, spicca la società elicotteristica Agusta, con oltre il 13% delle operazioni autorizzate (quasi 180 milioni di euro di vendite autorizzate) e la Galileo Avionica (166 milioni)". (fonte web)
 

 

 

 

 

 

Armi italiane in Medio Oriente

fonte web - di Francesco Terreri

Mentre i fondi pensione dei dipendenti pubblici statunitensi scelgono di disinvestire dalle imprese in affari col Sudan per protesta contro il genocidio nel Darfur o da quelle coinvolte nella proliferazione nucleare in Iran, il database del commercio estero delle Nazioni Unite rivela che tra il 2001 e il 2004 Iran, Sudan, Libia, Siria e il Libano, in quel periodo controllato da Damasco, hanno ricevuto armi, munizioni e sistemi di puntamento dall'estero, inclusi paesi occidentali, per oltre 327 milioni di dollari. L'Iran, inoltre, ha importato nello stesso periodo materiale per reattori nucleari per 286 milioni di dollari. In testa ai fornitori dei sistemi d'arma, e anche del nucleare, la Russia con 86 milioni di dollari di materiali, in gran parte destinati a Teheran, ma anche alla Siria, al Libano e alla Libia. Al secondo posto la Cina con 73,8 milioni, divisi tra Iran e Sudan. Al terzo posto c'è l' Italia con 34,1 milioni di dollari.

Il nostro paese, secondo quanto Microfinanza ha trovato nei dati Onu, ha rifornito la Siria per oltre 20 milioni di dollari e il Libano per 13,8 milioni. Una piccola fornitura da 42 mila dollari di 7 tonnellate di «armi non militari» è arrivata anche in Iran nel 2004. Tra i venditori - soprattutto all'Iran che da solo ha concentrato 196,4 milioni di importazioni complessive - ci sono anche Francia (12,8 milioni), Svizzera (11,6 milioni), Cipro (7,5 milioni), che però riesporta materiale proveniente da altri paesi, Turchia (4,5 milioni), Slovacchia (4 milioni), Stati Uniti (3,7 milioni), Germania (3,6 milioni). In particolare dagli Usa sono state esportate in Iran nel 2004 «altre armi da guerra» per 106 mila dollari sui 115 mila totali del periodo.

Il grosso delle forniture di armi all'Iran arriva nel 2002 ed è costituito soprattutto da carri armati e veicoli blindati (77,4 milioni) e da munizionamento (86,9 milioni). Mezzi blindati arrivano dalla Russia (63,3 milioni), dalla Cina (4,2 milioni), dalla Slovenia (2,8 milioni), dalla Germania (2 milioni), dalla Bielorussia (1,5 milioni), dalla Gran Bretagna (quasi 1 milione). Nello stesso anno Teheran vende veicoli blindati al Sudan per 5,9 milioni di dollari. Le munizioni provengono in gran parte dalla Cina (52,6 milioni) e dalla Siria (33,5 milioni). A Damasco vendono soprattutto Italia e Russia. Le esportazioni italiane rientrano in quelle autorizzate dal governo e sono state descritte anche nelle annuali relazioni governative. Si tratta di commesse pluriennali da quasi 220 milioni di euro complessivi per apparati di controllo del tiro prodotti dalla Galileo Avionica, oggi controllata dalla Selex Sensors and Airborne Systems (Finmeccanica 75%, Bae Systems 25%), e destinati a carri armati. Nella classificazione Onu sono «parti e accessori di mirini telescopici per armi», ceduti per 11 milioni nel 2002, 7,6 milioni nel 2003 e 1,6 milioni nel 2004. Anche da Mosca arrivano «mirini telescopici» - del resto i mezzi corazzati che la Siria sta ammodernando con tecnologia occidentale sono di produzione sovietica – per un totale di 11,5 milioni di dollari.

L'Italia è inoltre la prima fornitrice di armi al Libano sotto tutela siriana, per un totale di 13,8 milioni in quattro anni. In questo caso le vendite riguardano armi leggere e munizioni, generalmente fuori dalle autorizzazioni previste dalla legge 185/90 perché classificate come «armi non militari». In Libano esportano anche Cipro, Turchia, Russia e Stati Uniti. Ancora la Russia, ma questa volta insieme alla Francia, sono gli unici venditori registrati di armi alla Libia. In Sudan, invece, esportano, oltre al già citato Iran, la Svizzera, la Cina e la Francia. Inoltre, anche se non è possibile distinguere le forniture civili da quelle militari, come esportatori di apparati radar ai paesi qui considerati troviamo in testa Italia (20,7 milioni di dollari), Francia (13,3 milioni) e Cina (10,4 milioni). L'Italia tra il 2001 e il 2004 è la prima esportatrice in Siria (15 milioni) e vende anche al Sudan (4 milioni) e all'Iran (1,6 milioni). Parigi e Pechino in questo campo riforniscono solo Teheran.

Per quanto riguarda invece le forniture di materiale nucleare all'Iran, sempre secondo l'Onu nel quadriennio 2001-2004 sono stati venduti reattori nucleari e loro parti per oltre 286 milioni di dollari, quasi solo dalla Russia (285,6 milioni), con cui l'Iran è in rapporti d'affari dalla metà degli anni '90. Materiali sono arrivati anche dall'Italia per 303 mila dollari, di cui 299 mila per 8,5 tonnellate di merci nel 2001, e dalla Cina per 158 mila dollari. Cifre minori riguardano la Gran Bretagna, la Germania e la Georgia . Ma l'Italia nel periodo considerato ha rifornito di componenti di reattori nucleari in primo luogo la Libia, dove sono state esportate 89 tonnellate di materiale nel 2004 per oltre 1 milione e mezzo di dollari. Del resto il disgelo con Tripoli ha prodotto all'inizio del 2006 una commessa libica da 80 milioni di euro per 10 elicotteri A109 Power Agusta Westland e l'annuncio da parte di Finmeccanica (comunicato stampa del 17 gennaio 2006) della joint venture aeronautica Libyan Italian Advanced Tecnology Company (Liatec), posseduta al 50% dalla Libyan Company for Aviation Industry e al 50% da Finmeccanica e dalla controllata Agusta Westland.