OMOSESSUALISMO

 ALLA CONQUISTA DEL MONDO

POTENTI FORZE OSCURE TENTANO D'IMPORRE UNA NUOVA VISIONE

DELL'UOMO E DELLA SESSUALITÀ, SEMPRE PIÙ SLEGATE DALLA

 LEGGE NATURALE. MENTRE NELLA CHIESA SI AFFACCIA UNA

POTENTE LOBBY OMOSESSUALE E UNA NUOVA ERESIA.

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

INTRODUZIONE

Quando Bergoglio marciava contro le unioni gay

L’allora cardinale Bergoglio, oggi Papa Francesco, nella sua veste di Arcivescovo di Buenos Aires, condannò pubblicamente la proposta di legge in discussione al Senato argentino sulla legalizzazione del matrimonio e delle adozioni omosessuali. Scrisse lettere e appelli, convocò per domenica 11 luglio 2010 una marcia contro il matrimonio omosessuale e fece leggere in tutte le chiese, durante le messe, il seguente duro messaggio:

Fonte web

Al popolo di Dio e a tutti gli uomini e le donne di buona volontà

1.     Dio vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità (cf. 1 Tm 2,4). Per questo ha stabilito con l’uomo un dialogo di salvezza, che è culminato con l’incontro di Gesù Cristo, nostro Signore e compagno di cammino. La Chiesa è chiamata a estendere questo dialogo al consesso umano. Ma il dialogo se vuole essere fecondo deve essere chiaro, sereno, semplice e credibile. Tutto ciò implica il rispetto dovuto a chi vive, sente e pensa in modo differente. Tutti siamo chiamati all’amore di Dio. La chiarezza del dialogo, però, esige una capacità di discernimento in ordine all’affermazione della verità, sulla quale i Pastori non possono tacere. Ciò non significa disprezzo o discriminazione.

2.     L’essere umano è stato creato a immagine di Dio. Questa immagine si riflette non solo nella singola persona ma anche nella complementarità e nella reciprocità dell’uomo e della donna, nella comune dignità, e nella loro indissolubile unità, che da sempre viene chiamata matrimonio. Il matrimonio è la forma di vita nella quale si realizza una singolare comunione di persone, la quale assegna il sentimento pienamente umano all’esercizio della funzione sessuale. Alla stessa natura del matrimonio appartengono le predette qualità della differenza, complementarietà e reciprocità dei sessi, e la mirabile ricchezza della loro fecondità. Il matrimonio è un dono della creazione. Non vi è una realtà analoga che possa eguagliarlo. Non è un’unione qualsiasi tra persone, ma possiede caratteristiche proprie ed irrinunciabili che fanno del matrimonio la base della famiglia e della società. Così è stato riconosciuto nelle grandi culture del mondo. Così lo riconoscono i trattati internazionali recepiti dalla nostra Costituzione nazionale  (art. 75). Così lo ha sempre inteso il nostro popolo.

3.     Spetta all’autorità pubblica tutelare il matrimonio tra un uomo e una donna attraverso il riconoscimento normativo, per assicurare e favorire la sua insostituibile funzione e il suo contributo al bene comune della società. Qualora si attribuisse un riconoscimento legale all’unione tra persone dello stesso sesso, o le si garantisse uno status giuridico analogo al matrimonio e alla famiglia, lo Stato agirebbe illegittimamente e si porrebbe in contraddizione con i propri obblighi istituzionali, alterando i principi della legge naturale e dell’ordinamento pubblico della società argentina.

4.     L’unione tra persone dello stesso sesso difetta degli elementi biologici e antropologici propri del matrimonio e della famiglia. È priva della dimensione coniugale e dell’apertura alla procreazione. Al contrario, il matrimonio e la famiglia che in esso si fonda, costituisce il focolare delle nuove generazioni umane. Fin dal loro concepimento i figli hanno il diritto inalienabile di svilupparsi nel grembo della proprie madri, di nascere e crescere nell’ambito naturale del matrimonio. Nella vita familiare e nella relazione con il proprio padre e la propria madre, i figli scoprono la loro identità e apprendono la loro autonomia personale.

5.     Prendere atto di un'oggettiva differenza non significa discriminare. La natura non discrimina quando ci crea uomini o donne. Il nostro codice civile non discrimina quando esige il requisito di essere uomo o donna per contrarre matrimonio, ma riconosce una realtà naturale. Le situazioni giuridiche di reciproco interesse tra le persone dello stesso sesso possono essere sufficientemente tutelate attraverso il diritto comune. Pertanto, sarebbe una discriminazione ingiusta nei confronti del matrimonio e della famiglia attribuire al fatto privato dell’unione tra persone dello stesso sesso uno status di diritto pubblico.

6.     Facciamo appello alla coscienza dei nostri legislatori affinché nell’affrontare una questione tanto grave, tengano conto di queste verità fondamentali, per il bene della Patria e delle sue future generazioni.

7.     Nel presente clima pasquale, e all’inizio del sessennio 2010-2016 del bicentenario della Patria, esortiamo i nostri fedeli a pregare intensamente nostro Signore Dio affinché illumini i nostri governanti e specialmente i legislatori. Chiediamo, altresì, che i fedeli non vacillino nel proclamare la difesa e la promozione dei grandi valori che hanno forgiano la nostra nazione e che costituiscono la speranza della Patria”.

 

 

Prof. Gnerre sull'omosessualità. Da TV dell'IMMACOLATA

 

 

Matrimonio gay, l'Africa è sotto ricatto

Fonte web

Il 30 maggio, poche ore dopo la celebrazione in Francia del primo matrimonio omosessuale, in Nigeria la camera dei rappresentanti ha approvato all’unanimità una legge che proibisce i matrimoni gay e dichiara illegale la costituzione di organizzazioni in difesa dei diritti degli omosessuali.

Per i trasgressori si prevedono pene detentive fino a 14 anni. La legge punisce inoltre con il carcere fino a dieci anni chiunque faccia da testimone o in qualche modo aiuti delle coppie omosessuali a sposarsi. Infine, proibisce, e sanziona con il carcere sempre fino a dieci anni, la creazione di club e organizzazioni gay e ogni pubblica manifestazione diretta e indiretta di omosessualità.
Subito dopo l’approvazione, la legge, che aveva già ottenuto il voto favorevole del senato nel novembre del 2011, è stata inviata al presidente Goodluck Jonathan che la deve ratificare. Che lo faccia, però, non è del tutto scontato.

Il problema non è dato dall’esistenza di potenti gruppi di pressione contrari alla legge. La condanna dell’omosessualità in Nigeria è generale sia negli stati del nord a maggioranza islamica sia in quelli del sud dove si concentrano i cristiani e l’omosessualità è proibita fin dai tempi in cui il paese era una colonia britannica.
Peraltro in tutto il continente africano, salvo che in Sudafrica, i matrimoni omosessuali non sono ammessi e in molti stati l’omosessualità è illegale, punita anche con la morte.

Tra i casi più recenti, ad aprile in Tunisia è stato arrestato per sodomia Mounir Baatour, avvocato e fondatore del Partito Liberale, colto in flagranza insieme a un ragazzo in un albergo della capitale Tunisi. A maggio, in Zambia, è toccato a un militante gay, arrestato per le dichiarazioni fatte durante un programma televisivo in difesa del matrimonio tra persone dello stesso sesso e in favore della depenalizzazione della omosessualità.
Pochi giorni dopo, sempre in Zambia, una coppia di uomini gay conviventi da diverso tempo sono stati a loro volta arrestati e rischiano fino a 14 anni di carcere per atti sessuali contro natura.

Tornando alla Nigeria, ciò che ha rallentato l’iter della legge e potrebbe indurre il presidente Jonathan a non firmare il testo è il rischio di veder interrotti i finanziamenti internazionali della cooperazione bilaterale e multilaterale allo sviluppo, inclusi e anzi, in particolare, quelli destinati ai programmi di lotta all’AIDS.
Recentemente il governo britannico ha infatti minacciato di sospendere gli aiuti ai paesi africani che violano i diritti degli omosessuali maschi e femmine. L’Unione Europea potrebbe seguire l’esempio della Gran Bretagna: nel 2011, mentre la legge era in discussione al senato, ha ufficialmente protestato, chiedendo al governo nigeriano di desistere dall’iniziativa. In un suo intervento, il parlamentare europeo Michael Cashman, dell’intergruppo LGBT (acronimo di Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender), aveva dichiarato:

“Se questo progetto di legge venisse approvato, (i parlamentari nigeriani, n.d.a) dovranno ritenersi responsabili delle complicazioni che sorgeranno tra l’Unione Europea e la Nigeria, complicazioni che riguarderebbero anche gli aiuti economici che attualmente diamo”. Anche gli Stati Uniti avevano alzato la voce nel 2011 e il presidente Obama aveva emanato una direttiva che imponeva al personale diplomatico e ai cooperanti USA di promuovere e proteggere i diritti degli omosessuali e dei transgender nigeriani.

Se promulgata, la legge danneggerebbe per primi i programmi di lotta all’AIDS perché una parte dei fondi dell’UNSAID, il programma delle Nazioni Unite per l’AIDS/HIV, in Nigeria come altrove vanno a organizzazioni che lavorano con gli omosessuali, cosa che non sarebbe più consentita.
Nel novembre del 2011 la parlamentare Ulrike Lunacek, copresidente dell’Intergruppo LGBT del Parlamento Europeo aveva tra l’altro affermato: “questo è un progetto di legge che si basa sull’idea errata che l’omosessualità non appartenga alla storia e alla cultura dell’Africa, credenza che nel corso della storia di qualunque continente è stata ampiamente smentita, dal momento che sono sempre esistite donne e uomini che si sono innamorati di persone del proprio sesso”.

È una dichiarazione che lascia senza parole. Si può non essere d’accordo con l’iniziativa di legge nigeriana, ma di certo non è perché ritiene l’omosessualità estranea alle società africane tradizionali che il parlamento nigeriano è contrario ai matrimoni gay, bensì perché si preoccupa di tutelare la famiglia e i bambini.
Per di più che il verificarsi di un comportamento ne legittimi l’esistenza è un argomento davvero debole: quel che è peggio, avvalora un principio pericoloso che consente di giustificare praticamente qualsiasi cosa.

 

 

Vita Che Rinasce Omosessualità "L'identità Perduta"

 

 

Donne indiane sacrificate per

dare figli a coppie gay

Oggi imponente a manifestazione a Parigi delle associazioni familiari contro la decisione del governo francese di riconoscere i matrimoni fra persone dello stesso sesso. Ieri la sentenza choc della Cassazione in Italia che legittima le unioni gay. C'è una spinta ideologica che attraversa tutto l'Occidente che cerca di imporre la legittimazione dei matrimoni gay. Ma una storia che arriva dall'India ci mostra uno degli effetti aberranti di questa corsa all'omosessualismo. E' un testo molto lungo, ma abbiamo preferito lasciarlo integrale perché rappresenta un eccezionale documento.

Fonte web

Per la visita di routine con il dottor Manish Banker, è arrivata sino al Pulse Women’s Hospital dove è stramazzata al suolo. Premila Vaghela, che era incinta all’ottavo mese, è morta poco dopo. È successo lo scorso maggio, a Ahmedabad, nella povera e turbolenta regione centro-occidentale del Gujarat, in India. Il dottor Banker è un esperto privato di IVF, la sigla che indica in quell’inglese medico ricco di latinismi la In Vitro Fertilisation, cioè la fecondazione in provetta.

Premila era una delle sue “surrogate": povere donne che offrono il loro apparato riproduttivo per danaro a ricche coppie straniere (americani, taiwanesi, arabi, europei, singaporesi, indiani stessi delle classi più affluent) che in sostanza ne affittano l’utero per impiantarci un ovulo fecondato: il loro. Questo fenomeno, chiamato dagli anglofoni semplicemente surrogacy (“surrogazione”; in Italia pare si tenda a preferire l’espressione «maternità surrogata”) è oramai una questione rilevante per la società indiana, oltre che per molta della cultura liberal americana. Come in qualsiasi altro fenomeno economico del mercato globalizzato, a una precisa domanda di “consumatori” di, per esempio,  Upper West Central Park (la zona dei ricchi di New York) o della California, corrisponde una precisa reazione di una manovalanza delocalizzata nel terzo mondo: ecco Anand, in Gujarat, capitale mondiale della surrogacy, dove le coppie di forestieri investono danaro per far produrre la propria prole. Ahmedabad, la città della storia di Premila, non è lontana.

Premila è morta, ma non prima di aver portato a termine  il suo sporco lavoro. La storia della sua breve, brevissima “degenza” è significativa, perché mette in luce (pazzo rovesciamento rispetto alla cultura dell’aborto) il valore della vita della donna rispetto a quella del bambino, che non è suo figlio ma un prodotto, lautamente pagato, destinato a altri. Premila, crollata al Pulse Women’s Hospital - la struttura privata che gestisce le madri surrogate - è stata immediatamente portata nell’unità di terapia intensiva prenatale, dove hanno estratto il bimbo con un cesareo. Successivamente, avendo constatato i medici le sue gravi condizioni, Premila è stata spedita in un altro ospedale, lo Sterling Hospital. Rapporti ufficiali di questo ultimo ospedale riportano lo stato disperato in cui è arrivata la donna, vittima di un grave collasso cardiaco. I tentativi per rianimarla sono stati vani. Premila lascia un marito e due figli. Il neonato, venuto al mondo 1.75 kg, è stato messo in incubazione. Ignoriamo se alla coppia di anonimi benestanti americani sia stato infine consegnato l’ordine che è costato la vita a Premila.
Il Dottor Banker ha dato le informazioni necessarie alla polizia, che al momento della tragedia aveva promesso un’indagine. Pare invece che nessun file sia stato aperto per questo caso.


RACCONTI DISPERATI DEL COLONIALISMO BIOLOGICO
Coolie è un'antica parola, invero spregiativa, con la quale i coloni inglesi descrivevano gli autoctoni delle terre colonizzate. La parola pare che derivi da cool, “fresco”: i coolie erano i servi che con grandi ventagli seguivano gli eleganti inglesi fra le canicole di Asia e Africa. La parola, considerata molto offensiva nell'India indipendente, sta brutalmente riaffacciandosi nel discorso pubblico: qualcuno descrive le madri surrogate come biological coolies, in pratica schiave biologiche. Sia l'essenza, che le modalità concrete del fenomeno fanno infatti pensare alla schiavitù, o forse perfino una schiavitù ancora più pericolosa e umiliante. Non pochi infatti parlano di un "colonialismo biologico". Torna l'imperialismo delle nazioni ricche, sotto la forma - invasiva sino al parossismo - di uno sfruttamento del ventre materno delle autoctone. Il Sydney Herald, in un denso articolo dedicatovi il 7 settembre scorso racconta dell'indifferenza di molti  "clienti" nei confronti delle madri surrogate dei loro figli, che molto spesso non vogliono nemmeno incontrare. "Volevo picchiare un gay che mi chiese, dopo che nacque suo figlio, dove poteva trovare una balia", ha raccontato al giornale la ginecologa Anita Nayar. "Lui voleva che il suo bambino avesse le difese immunitarie che dà il latte materno, come se le indiane fossero schiave delle piantagioni che vanno in giro ad accudire bambini" .

I dettagli giuridici, economici e sociali del fenomeno danno ragione a chi usa la parola "schiavismo".
Anche se sapesse di averne diritto, il marito di Premila non può denunciare il Pulse Hospital per ottenere un indennizzo. Il contratto di surrogazione da lei firmato, come quello di tutte le altre, esonera i dottori e la coppia straniera da ogni complicazione della gestante surrogata, assicurandosi che con il marito si assuma tutto il rischio medico, finanziario e psicologico.
Sostiene sempre il Sydney Herald, che "i contratti specificano che se la madre è diagnosticata con una malattia mortale al termine della gravidanza, ella sarà mantenuta in vita per via artificiale per proteggere la qualità del feto e assicurare una nascita in salute per conto dei genitori genetici". Il baffuto dottor Banker, sostiene che la coppia americana ha pagato di sua sponte un milione di rupie alla famiglia di Premila.
"La somma è irrilevante" tuona Kishwar Desai, una scrittrice indiana che ha appena pubblicato un romanzo sul tema dal titolo Origins of Love. Desai rappresenta una delle prime reazioni intellettuali concrete al diffondersi di questo fenomeno, arrivando a scriverne anche sul noto quotidiano britannico The Guardian. "Di quante altre donne come Premila non abbiamo sentito parlare? Nessuno vuole scrivere della morte di una povera donna", riporta l’articolo australiano. La scrittrice è irritata dal fatto che l'India sia diventata l'Eldorado mondiale della maternità surrogata.

L'industria della surrogacy varrebbe oggi due miliardi e mezzo di dollari, producendo qualcosa come 25.000 bambini all'anno. L'indotto è molto articolato: alle cliniche, si sommano i reclutatori, gli avvocati per i contratti, gli spazi dove tendenzialmente le cliniche fanno vivere insieme le gestanti, gli hotel che ospitano i genitori stranieri che vengono a controllare lo stato dell'ordine o a "ritirare" il prodotto pronto per la consegna. La clientela è principalmente americana, ma qualcuno dice che la metà dei casi coinvolge indiani di classe agiata: il caso più noto, volutamente reclamizzato dai media, è quello delle star del cinema di Bollywood Amir Khan e sua moglie Kiran Rao, che nel dicembre 2011 hanno dichiarato di avere avuto un figlio tramite maternità surrogata. Nel portafoglio clienti delle più di mille cliniche specializzate del subcontinente, non mancano gli australiani, i taiwanesi, i singaporesi e gli Europei. Il gruppo più in crescita rimane comunque quello degli omosessuali occidentali.

Uno studio del Centre for Social Research (CSR) di Nuova Dehli uscito lo scorso aprile e intitolato Surrogacy Motherhood: ethical  or commercial,  ha cominciato a riportare dati e episodi davvero inquietanti . Ranjana Kumari, la direttrice del Centro, racconta: "Abbiamo trovato una donna alla quale erano stati dati 25 cicli di IVF. Un'altra è stata forzata ad aver impiantati quattro embrioni in una sola volta, contro la pratica internazionale di un embrione per volta, o al massimo, due". Dal documento, che si può visionare in rete in formato PDF, emerge che a molte delle madri surrogate viene fatto firmare il contratto ma non gliene viene data copia; che un gran numero di esse hanno già tre o quattro figli che cercano di mantenere con altre due o tre gravidanze surrogate; che esse sono confinate in ostelli dove in caso di malattie contratte dai figli o dal marito non possono ricevere visite; che se un bambino nasce "difettato" (abituiamoci a questo gergo commerciale, perché di commercio propriamente si tratta) la donna non viene pagata: considerando che i rischi di deformità nelle fecondazioni in vitro è doppio rispetto a quelle naturali, questo significa che tante madri surrogate non vengono pagate al termine della gestazione, e del “prodotto di scarto”, cioè dell bambino, ci piacerebbe conoscere la sorte, sulla quale al momento non abbiamo alcuna informazione. Infine c'è il quadro sociale più vasto, in cui a indurre la donna alla surrogacy è spesso il marito con problemi di alcool, il marito che sperpera, il marito che ha bisogno di un capitale di partenza con il quale iniziare un business: una volta che il capitale finirà (accade molto spesso) la donna procederà con un'altra gravidanza per conto terzi. La direttrice del CSR Ranjana Kumari non ha paura di dichiarare al giornale australiano che "il nostro studio dimostra che si sta creando una mafia di trafficanti, con le donne trovate in località remote da agenti di reclutamento che hanno il solo fine di fare soldi. La vulnerabilità dei poveri viene sfruttata".
 
Gli indiani cominciano a essere dubbiosi rispetto a questa commercializzazione della maternità. Un paese che di per sé non ha una grande percezione dell'estero, inizia a chiedersi perché l'India debba offrire un servizio che altrove costituisce un crimine. Ma ancor di più: le immagini delle donne gravide sui cartelli pubblicitari delle cliniche, ormai diffusissime, offendono sempre di più la popolazione, che è conscia del fatto che queste donne spesso vengono fatte vivere tutte insieme in dormitori che assomigliano decisamente a degli allevamenti di bestiame: baby-factories, “bambinifici”, fabbriche di bimbi. Non è raro, infatti, che il contratto preveda la temporanea separazione della fecondata dalla famiglia, onde evitare il pericolo di rapporti sessuali col marito, e quindi la trasmissione di malattie veneree che potrebbero alterare la qualità del prodotto, cioè il bambino surrogato.


IL COSTO DELLA VITA: PUBBLICITA'
Una delle fonti che riporta i dettagli della storia di Premila è l’articolo scritto a caldo del Times of India, reperibile dal sito della testata indiana. Scorrendo la pagina sino in fondo trovo i Google Ads, ossia spazi con annunci che Google profila considerando l’interesse dell’utente internet sulle keyword di quella specifica pagina. Ebbene, l’automatismo amorale dell’algoritmo, vuole consigliarmi siti come quello della New Dehli IVF Center (“International standards with good success rates. Donor and durrogacy). Me ne consigliano anche altri di questo tipo, alcuni hanno come estensione di dominio .ru (Russia) o .gr (Grecia). Ma è oneinsix.com ad attirare la mia attenzione. “Surrogacy Cost $26,500 Surrogate & Surrogacy in India” è il titolo dell’annuncio. Entro nel sito, che è spoglio, brutto: ben visibile però è il tasto per pagare con il sistema Paypal, e poi, nella pagina “cost” un testo, in un inglese irto di sgrammaticature tipico di certi indiani: “nel 2005 la surrogacy costava 12.000 dollari. Oggi le stesse cliniche fanno pagare 35.000 dollari. Un suicidio economico posporre o ritardare il tuo trattamento non necessariamente” scrive il sito sghembamente. “Due cliniche che conosciamo offrono la surrogacy per 26.000 dollari, al prezzo del Giugno 2012. Queste cliniche procurano una surrogata per quel prezzo che include un deposito per la consegna del bambino”. Quando si pensa agli esseri umani come merce, non si arriva a immaginare che si possa essere così espliciti. Il sito continua enumerando ciò che è compreso nel prezzo: “consulenza e reclutamento della surrogata; preparazione della surrogata; parcelle cliniche per il ciclo di IVF; droghe IVF e iniezioni, dipendentemente dal dosaggio; rimborso della surrogata; vitto e alloggio della surrogata per 9 mesi, lavoratori sociali [sic]; Antenatale [sic]; assicurazione; deposito per l’ospedale di consegna e emergenze”. La lista è sconclusionata, poco chiara e paurosa. Più sotto, in un paragrafo chiamato semplicemente “The West” (L’occidente), il sito, con le consuete sgrammaticature,  tocca inusitati vertici di ignominia: “un’altra area di inquietudine è che ci dicono che viviamo in Rip-off Britain [La Gran Bretagna che ci pela, ndr]. Le leggi del governo restringono il numero degli embrioni impiantabili in una donna a tre (...) e ora vogliono ridurre gli embrioni a uno! (...) In India, dove si può impiantare mediamente 4-6 embrioni, ma anche di più, il costo per embrione è significativamente minore”. Seguono conti aritmetici del prezzo di un embrione, e relativa sprezzante critica a chi parla di “sfruttamento”.

All’acquirente vengono date vaste opzioni per customizzare il prodotto finale: “Se la donatrice della cellula-uovo non incontra le vostre rischieste riguardo all’aspetto etc. potete pubblicizzare per una donatrice di cellule-uovo sul giornale Times of India. Nel 2005 il costo della pubblicità era $600 in una dozzina di città una volta a settimana per due mesi. Una donatrice di ovuli si aspetta un pagamento fino a 50.000 rupie”. Facciamo notare, che il Times of India è il giornale dal cui articolo sulla morte di Premila siamo partiti: pare che, anche di fronte alla tragedia patente, l’intero sistema sociale indiano (autorità, media, intellighenzia) sia connivente se non complice.
Una disanima dei possibili costi della surrogacy in America (120.000 dollari, dice il sito), condannando che “come sempre in America una grossa porzione va all’agenzia e ai medici” spinge ulteriori altri calcoli della convenienza degli uteri indiani procurati oneinsix.com. Ma non è finita: “se tu avessi l’opzione di impiantare 6, 9 o più embrioni alla volta, non salteresti su di una simile possibilità? Certo, avresti il rischio di nascite multiple, ma esse possono essere ridotte selettivamente”. Maternità surrogata, super-impianto di embrioni, uccisione degli embrioni, aborto selettivo: chiude la pagina, un convertitore di valute.

IL TREND: STAR, GAY E TOO-POSH-TO-PUSH
Come tutti i trend, anche quello della maternità surrogata per arrivare alla gente comune è dovuto passare per le star. Le vedettes di cinema, tv e musica (e moda, sport, teatro, insomma la dimensione delle "celebrità") fungono da immenso catalizzatore funzionale di tendenze che si riversano sulla società dei consumi, dalla forma dei pantaloni che si indossano all'etica riproduttiva.
Già nel 2007, Oprah Winfrey, potentissima presentatrice del talk show più seguito d’America, portò in TV la Dottoressa Nayana Patel della Akanksha Infertility Clinic di Andand, cioè la mecca della surrogazione materna.
In principio, tra le star, fu Sarah Jessica Parker, la protagonista del noto serial "Sex and the City". Incarnazione della donna edonista ed emancipata, al punto da diventare un modello mondiale della sessualità borghese libera e elegante di New York, la magrissima Parker decise tra il 2008 e il 2009 con il marito Matthew Broderick (un altro attore famoso) di avere due gemelle per mezzo della maternità surrogata.

La Parker è la capofila di una particolare categoria della clientela degli uteri indiani: le too-posh-to-push, ovvero troppo eleganti per spingere. Donne dell'alta società che per motivi sociali, professionali o semplicemente per pigrizia rifiutano l'idea che per avere un figlio si debba deformare il proprio corpo con la gravidanza, e non tollerano neanche che alla fine del processo si debba persino soffrire i dolori del parto. Hollywood dedicò alla surrogacy una commedia, con le due più eleganti comiche del popolare programma "Saturday Night Live": le bravissime Tina Fey e Amy Poheler. Nel film, una professionista snob con problemi di sterilità si affida alla maternità surrogata di una ragazza di South Philly (la parte sud di Filadelfia, considerata dall'immaginario USA come terra di poveracci, dei "grezzoni", dei popolani poco educati; il film "Rocky" è ambientato lì).

La rossa premio Oscar Nicole Kidman (che Avvenire definì "magica" quando decise di sposare l'ultimo marito Keith Urban con rito cattolico) ha annunciato poco più di un anno fa di aver avuto una bambina com maternità surrogata. A differenza della Parker, ha tenuto segreto l'intero processo, per poi parlarne solo a cose fatte. Ha chiamato la bambina "Faith", Fede, "perché abbiamo bisogno di molta fede".
Ma il caso più eclatante, per le sue implicazioni sociali, è stato quello del sessantacinquenne cantante Elton John, che ha "surrogato" la maternità di "suo figlio" per poterlo crescere con il proprio "marito" (o “moglie”?) appena sposato, il regista David Furnish, di venti anni più giovane.
Benché vi siano realtà che praticano la surrogacy da svariati anni, il caso di Elton John ha fatto scalpore perché si tratta di un bambino nato biologicamente da una celebre coppia omosessuale. In pratica, la messa in scena su scala mondiale - su di un teatro di cui solo le celebrità possono godere - del sogno ai confini della realtà dei gruppi LGBT e della teoria del Gender tutta: anche coppie dello stesso sesso possono figliare, superando, con slancio post-umano, i limiti imposti dalla natura, che come in ogni Gnosi è vista dalla teoria del Gender come un demiurgo cattivo, che ha incastrato i gay in corpi non compatibili con la riproduzione umana e forse nemmeno con la loro stessa psiche.
Ancora, nel 2011 fu data notizia della nascita del figlio di Elton John il giorno di Natale. Il cantante avrebbe poi dichiarato di aver avuto dei ripensamenti, sostenendo che il bambino necessita di un padre e una madre, ma pare che a tali uscite non siano conseguite azioni reali. Il New York Post nei primi giorni del 2013 ha pubblicato la notizia che la coppia ha “avuto” un secondo figlio per via surrogata. Tra i media e i portavoce del cantante è tutt’ora in corso il consueto Valzer di piccole ammissioni e smentite.


LA FRAGILE POSIZIONE DEL FRONTE OMOSESSUALISTA

Dal punto di vista dei gruppi organizzati dei gay, la questione della maternità surrogata è particolarmente delicata per il futuro della bioetica e della società reale: da una parte, rappresenta il punto di svolta in cui all’omosessuale viene data la possibilità di riprodursi geneticamente; dall’altra, lo status sempre più innegabile di sfruttamento della donna può portare il fronte omosessuale a un inedito divorzio con gli alleati degli ultimi decenni. Il movimento dei diritti civili, i partiti di sinistra, i movimenti di liberazioni delle minoranze, tra cui le diminuite ma pur sempre agguerrite femministe. Un capitale immenso di potere politico potrebbe dilapidarsi in pochissimo tempo.

I gruppi organizzati dei gay toccano finalmente con mano la possibilità di uscire dalla condanna inappellabile a cui li ha relegati la natura, ossia la sterilità. La prospettiva della famiglia gay accende le speranze di giungere a una equiparazione totale dell'omosessualità con l'eterosessualità, dei “diversi” (notatelo: parola un tempo frequente ora in totale disuso) con la normalità. Si tratta di un punto di svolta decisivo per l'intero movimento omosessuale. Una società che consente di farsi fare dei figli tramite i ventri del Terzo Mondo, è una società pronta ad accogliere in toto ogni caratteristica della loro personalità (tra cui dati statisticamente provati come l’infedeltà, la promiscuità, certa voracità sessuale, che di fatto ha contagiato la società, soprattutto le donne, le quali come nota qualcuno oggi vivono l'accoppiamento in modo più promiscuo e aggressivo).
La maternità surrogata è l'orizzonte finale dell'omosessualismo, e lo è da un punto di vista biologico, morale, sociale, strategico.

Eppure, la surrogacy rischia di essere per i gay un rischio fatale, un boomerang che può finire per distruggere prima le alleanze, poi le vittorie accumulate, infine le basi stesse del mondo gay.
Le femministe, perennemente autoproclamantesi difesa ultima delle donne, non potevano rimanere a lungo insensibili al macroscopico caso della maternità surrogata, di fatto la forma di prostituzione e sfruttamento delle donne più oscena mai inventata dall'Occidente capitalista.
Così, per lo meno in India dove gli effetti del fenomeno surrogacy sono evidenti e devastanti, le femministe cominciano a far sentire la propria voce. I gruppi femministi indiani domandano apertamente la messa al bando della maternità surrogata: l'industria dell'affitto dell'utero, sostengono, è dannosa per la salute delle donne (non più padrone del proprio corpo come da assioma femminista) e le espone a ulteriori crimini da parte dei maschi, come i dottori che non pagano la cifra pattuita o i mariti ubriaconi che le imbottiscono di ormoni sino a far scoppiar loro le ovaia.

La dimensione dello sfruttamento non poteva non far sollevare le antenne anche ai partiti comunisti, molto fiorenti in diverse parti del subcontinente (stati del Kerala e del Bengala in testa). Pur al di fuori di questioni morali e spirituali, Brinda Karat, parlamentare comunista indiana, usa apertamente la parola "sfruttamento" per descrivere il rapporto tra i ricchi stranieri e le povere madri surrogate indiane: "La posizione economica delle indiane non è eguale a quello dei ricchi stranieri, quindi la donna indiana non sta compiendo una libera scelta, non una costrizione. Se le coppie straniere credono nella maternità surrogata commerciale, perché non convincono i loro governi a cambiare le leggi invece di venir qui e sfruttare le povere donne?" .

Così, potrebbe infine crearsi una spaccatura nel fronte unito formato negli ultimi decenni da gay (o LGBT, ora LGBTQIQ, cioè Lesbian Gay Bisexual Transgender Queer Intersexual e Questioning, quali altre categorie si aggiungeranno nel corso di questo lustro non sappiamo) e le alleate femministe, compagne naturali della causa omosessualista nella trincea del politicamente corretto. La politica del movimento gay, infatti, non è qualcosa di spontaneo od improvvisato. Vi è un libro che più di ogni altro dimostra la lucidità del fronte omosessualista. Si tratta di  After the ball. How America will conquer its fear & hatred of Gays in the 90's, (tradotto: Dopo il ballo. Come l'America vincerà la sua paura e odio verso i gay negli anni 1990), uscito nel 1989 dalle penne di Marshall Kirk, un neuropsichiatra, e di Hunter Madsen, un esperto della persuasione del marketing. Il testo, che constata che “la rivoluzione gay è fallita”, delucida le linee guida che il movimento dovrà seguire al fine di conquistare l’opinione pubblica. "Ritrai i gay come vittime, non come provocatori aggressivi", "Dà ai potenziali protettori una giusta causa", "Fa che i gay sembrino buoni", "Fa che gli aggressori sembrino cattivi". Il documento analizza il contesto mediatico, i sistemi di raccolta dei fondi, la composizione dell’opinione della popolazione e le manipolazioni su di essa praticabili. “La legittimazione dell'identità gay e lesbica attraverso una battaglia di libertà come quelle sul divorzio o sull'aborto, che dispone di argomenti semplici e convincenti: primo fra tutti la proclamazione di un modello normativo di omosessualità risolto e rassicurante. Con la torta nel forno e le tendine alle finestre, come l'ha definito una voce maligna. Il messaggio è più o meno il seguente: i gay non sono individui soli, meschini e nevrotici, ma persone splendide, affidabili e equilibrate, tanto responsabili da desiderare di mettere su famiglia”.

L'ULTRA PROSTITUZIONE E IL FAR WEST BIOLOGICO: FINO A QUANDO?
I dottori indiani, che si stanno arricchendo come collaborazionisti autoctoni di questa nuova colonizzazione ovarica, reagiscono con rabbia alle critiche che cominciano a sollevarsi dall’opinione pubblica e dalla politica indiana. I partiti di sinistra in India esistono e hanno gran voce, così come esiste nel subcontinente una ampia libertà di stampa. Così, l’industria surrogante comincia a difendersi con paradossi ridicoli ma perfettamente legittimi per certa mentalità da Terzo Mondo: nelle baby-factories, ci dicono,  le madri surrogate mangiano cibo sano per la prima volta nella loro vita, così come ricevono visite mediche di controllo e cure che mai prima avrebbero potuto permettersi se fossero state gravide di figli “propri”. Parimenti, è interessante notare che alcune reazioni di rabbia di dottori e madri surrogate verso le prime critiche fanno notare come le femministe siano spesso “non sposate” (qualcosa di sospetto per la cultura civile dell’India, che è ancora saldamente basata sul matrimonio, specie se combinato).

Questo Far West biologico, questa Eldorado della post-umanità potrebbe avere i giorni contati. Era impensabile che passasse inosservato un simile mostruoso fenomeno sociale, in cui il valore del corpo e perfino come nel caso di Premila della vita stessa della donna, contrariamente a ogni teoria femminista, è ridotto al punto che le nascite avvengono per lo più per cesareo in accordo con i biglietti aerei dei “committenti” stranieri che arrivano in India per la consegna del prodotto umano, il neonato.

Una bozza di legislazione da parte delle autorità indiane esiste. Si chiama Artificial Reproductive Technology Bill, ossia documento per la tecnologia di riproduzione artificiale. Il parlamento è da 3 anni che lo deve discutere: un business da due miliardi di euro, immaginiamo, avrà le sue lobby nella democratica e danarocentrica Nuova Dehli (ricordiamo che Lakshmi, il danaro, per l’induismo è una dea cui votarsi, non lo “sterco del demonio”). Forse non sono nemmeno solo le lobby economiche al lavoro: la bozza prevedrebbe che le coppie gay fossero escluse dalla possibilità della surrogacy. Cosa che avrebbe effetti devastanti sia sul business indiano, sia sull’evoluzione a lungo termine della cultura omosessuale, privata di un elemento importante nella sua rincorsa alla presentabilità sociale prima e alla sostituzione della famiglia tradizionALe poi.
Secondo il testo, inoltre, le donne straniere che volessero utilizzare uteri indiani dovrebbero provare a livello medico la loro sterilità: fine delle Sarah Jessica Parker, delle donne in carriera in vena di maternità extracorporea e delle too-posh-to-push. Il testo darebbe inoltre potere alla giustizia indiana di perseguire penalmente una coppia che rifiuti il bambino surrogato se nato “difettato”, proibirebbe le indiane sotto i 21 anni e sopra i 35 di divenire surrogate, impedendo la surrogazione oltre la quinta gravidanza includendo i figli naturali.
Come dicevamo, la legge non è ancora stata nemmeno discussa, è pending, pendente, da più di tre anni.
Ma la questione non riguarda solo l’India. È un affare (in tutti i sensi) globale.

 

 

PRETI GAY TG3 ORE 19 DEL 23 LUGLIO 2010

 

Preti gay. Intervista a don Felice - Parte 1

 

Preti gay. Intervista a don Felice - Parte 2

 

 

«Una lobby gay condiziona la Chiesa»

Fonte web

don Dariusz Oko La Chiesa è infiltrata pesantemente da una potente lobby gay, che decide nomine e promozioni attraverso un meccanismo di ricatti e omertà. È questa la tesi sostenuta da don Dariusz Oko in un articolo pubblicato originariamente sulla rivista polacca “Fronda” (n. 63, pp. 128-160) e successivamente sulla rivista teologica tedesca “Theologisches”, suscitando molto rumore in tutt'Europa.
Roberto Marchesini ha intervistato don Oko in esclusiva per La Nuova Bussola Quotidiana.

Don Oko, quando e come, storicamente, si è affermata la lobby omosessualista all'interno della Chiesa?
Esistono diversi tipi di lobby, e da secoli esistono in tanti ambienti. Questo non è un aspetto specifico della Cheisa cattolica. Dopo il Concilio vaticano II, ai tempi della rivoluzione sessuale del 1968, la teologia cattolica morale ha cominciato ad accettare le idee che prima erano considerate estranee al Magistero della Chiesa e alla morale tradizionale. Uno degli esempi può essere l'insegnamento del prete cattolico americano Charles Curran, che difende l'uguaglianza degli orientamenti omosessuale ed eterosessuale. In questo modo l'omosessualità smise di essere considerata contro la legge naturale e contro la Rivelazione. Questo modo di considerare la sessualità umana è si è infiltrato in tanti seminari e monasteri nel mondo. In conseguenza, in molti seminari diocesani e abbazie di tutti i continenti hanno cominciato a sostenere l'idea che esistono due orientamenti sessuali equivalenti: eterosessuale ed omosessuale. Così si chiede ai chierici esclusivamente la castità, considerata come l'astinenza da atti impuri, e la capacità di vivere il celibato, senza entrare nel merito del loro orientamento o tendenze sessuali. In questo modo l'omosessualità come tendenza e tipo di personalità ha finito di essere un ostacolo all'ordinazione sacerdotale. Negli anni Settanta e Ottanta del Ventesimo secolo i sacerdoti con tendenze omosessuali hanno cominciato a creare molti problemi in tante diocesi ed abbazie nel mondo. Lo scandalo degli abusi sessuali su minorenni, esploso negli anni '80 negli USA, è in gran parte dovuto a preti gay e nel 2002 questa situazione ha portato a un vero e proprio terremoto. Nel 1989, don Andrew Greeley, scrittore e sociologo cattolico, ha scritto sul settimanale americano National Catholic Reporter di Kansas City a proposito della “mafia lavanda” [locuzione che indica la lobby gay all'interno della Chiesa cattolica] in un articolo che ha indignato alcuni e ha trovato d'accordo altri. Secondo Greeley il sacerdozio stava diventando sempre più gay, e non era più rappresentativo della Chiesa universale.

A questo proposito, lei parla di omoeresia. Quali sono le caratteristiche?
L'omoeresia è un rifiuto del Magistero della Chiesa cattolica sull'omosessualità. I sostenitori dell'omoeresia non accettano che la tendenza omosessuale sia un disturbo della personalità. Mettono in dubbio che gli atti omosessuali siano contro la legge naturale. I difensori dell'omoeresia sono a favore del sacerdozio per i gay. L'omoeresia è una versione ecclesiastica dell'omosessualismo.

Quali reazioni ha suscitato, in ambienti ecclesiastici, il suo articolo? Come è stato accolto?
Le reazioni sono state soprattutto positive e hanno fatto gioire i miei amici che hanno partecipato alla nascita del mio lavoro. Queste voci hanno dato soddisfazione anche a tutti i credenti fedeli alla Santa Sede. Ci sono state così tante citazioni su diversi media che non è possibile ricordarle tutte. È sempre più difficile trovare un sacerdote in Polonia che non conosca il mio articolo. Tanti laici e sacerdoti mi hano ringraziato, mi hanno fatto i complimenti per le mie conoscenze e il mio coraggio, mi hanno dato informazioni nuove e più dettagliate a sostegno delle tesi del mio testo. Tante persone hanno sottolineato quanto sia importante toccare questo tema perché la degenerazione moale dei sacerdoti distrugge qualcosa di particolarmente importante per la Chiesa, la colpisce al cuore. Ho ricevuto queste risposte soprattutto dagli educatori dei seminaristi.
Vescovi, abati e rettori di seminari mi hanno detto che questo articolo è un strumento molto utile per il loro lavoro, perché da una parte ricorda e raccoglie i punti chiave del Magistero sul divieto di ordinazione per le persone di tutte le tendenze omosessuali; dall'altra aiuta la riflessione e a risolvere i dubbi sull'argomento, anche se qualcuno potrebbe averne ancora.
Accolgo con particolare piacere l'opinione molto positiva di questo articolo da parte di un certo numero di suore, insegnanti, amici da una varietà di istituzioni laiche e religiose; in particolare i due sacerdoti che vengono considerati correttamente come quelli con la più alta autorità spirituale e morale della Chiesa polacca: don Edward Staniek e don Mark Dziewieckiego. Entrambi sono persone coscienziose libere dalla dipendenza dal giudizio altrui; persone di grande amore per la Chiesa, con una conoscenza particolarmente vasta ed approfondita su di Essa.

Nel suo articolo lei valorizza i laici nella lotta per la purificazione della Chiesa. Quale può essere il loro ruolo?
Vorrei focalizzare l'attenzione su due cose concrete. La prima riguarda il modo in cui i laici devono reagire nei casi di rapporti sessuali su un minorenne negli ambienti ecclesiastici, da parte di sacerdoti, animatori di gruppi di preghiera, insegnanti, scout, ecc. In questi casi, purtroppo, esiste una vera e propria congiura del silenzio. C'è la necessità di maggior coraggio ed impegno da parte dei laici.
La seconda riguarda i seminari. Purtroppo i laici hanno poca o nessuna conoscenza di come i futuri sacerdoti sono formati. Eppure nei seminari si decide in modo determinante il futuro della Chiesa. C'è bisogno di un maggior coinvolgimento dei laici al fine di non permettere l'ordinazione degli omosessuali. Tutti, clero e laici, dobbiamo sostenere gli sforzi di Papa Benedetto XVI il quale, invece della divisione tra l'omosessualità attiva e quella passiva, nei documenti ufficiali introduce una distinzione tra tendenze omosessuali transitorie, che accadono nel periodo dell'adolescenza, e quelle profondamente radicate. Tutte e due le forme di omosessualità, e non più soltanto l'omosessualità attiva, costituiscono un impedimento all'ordinazione sacerdotale. L'omosessualità non è conciliabile con la vocazione sacerdotale. Di conseguenza, non è solo rigorosamente vietata l'ordinazione di uomini con qualsiasi tipo di tendenza omosessuale (anche se transitoria), ma anche la loro ammissione in seminario.

Lei ipotizza soluzioni per aiutare la Chiesa ad uscire da questa crisi. Ma cosa si può fare per aiutare i sacerdoti con tendenze omosessuali? E per i sacerdoti gay?
Gli uomini con tendenze omosessuali già ordinati diaconi, preti e vescovi conservano la validità delle ordinazioni, ma sono obbligati ad osservare tutti i comandamenti di Dio nonché di tutte le disposizioni della Chiesa. Così come gli altri preti, devono vivere in castità e cessare ogni azione contro il bene della persona umana e della Chiesa, qualsiasi attività di carattere mafioso e soprattutto atteggiamenti di rivolta contro il Santo Padre e la Santa Sede. I sacerdoti afflitti da disturbi del genere sono fortemente indirizzati ad intraprendere al più presto una terapia adeguata.

CHI E' DON DARIUSZ OKO

Don Dariusz Oko, nato nel 1960 ad Oswiecim, è stato ordinato sacerdote nel 1985; è prete dell'arcidiocesi di Cracovia, dottore di ricerca in filosofia ed in teologia, professore al Dipartimento di Filosofia dell'Università Pontificia Giovanni Paolo II di Cracovia. I principali settori delle sue ricerche scientifiche sono: metafisica, filosofia di Dio, teologia contemporanea, zone di confine tra filosofia e teologia, critica dell'ideologia atea. Per sei anni ha studiato in diverse università in Germania, Italia e negli Stati Uniti. Dopo l'ordinazione sacerdotale, insieme al lavoro scientifico, ha sempre svolto quello di ministro cattolico come sacerdote residente in diverse parrocchie europee ed americane.
Per sedici anni è stato direttore spirituale degli studenti e dall'anno 1998 è direttore spirituale dei medici nella sua diocesi. Nel corso di studi, congressi scientifici e pellegrinaggi con i medici ha visitato circa quaranta Paesi di tutti i continenti. In Polonia è conosciuto come editorialista e i suoi articoli sono stati spesso accolti con riconoscimento ed hanno dato origine a discussioni e dibattiti a livello nazionale.

 

 

APPROFONDIMENTO

 

Dittatura omosex

Il mondo – dall'Ucraina all'Ecuador passando per l'Irlanda – sta subendo un forte attacco da parte della lobby gay che spinge per un riconoscimento non solo sociale, ma anche giuridico. La Nuova Bussola Quotidiana raccoglie e propone gli articoli più interessanti.

 

Fratelli d’Africa: la massoneria nel contintente nero

L’inchiesta. Il bisettimanale Jeune Afrique ha pubblicato un’interessante inchiesta sulla nuova massoneria africana. Già due anni fa la rivista aveva parlato dell’argomento, sottolineando l’appartenenza iniziatica di vari capi di Stato e di governo nel continente. Molti infatti sono stati gli uomini di potere affiliati alle varie fratellanze: ripercorrendo la storia africana figurano i nomi dell’eroe algerino Abd el-Kader; l’ex-presidente del Gabon Omar Bongo (è massone anche il figlio – e attuale presidente – Ali Bongo); Blaise Diagne, primo deputato nero del Senegal sotto l’occupazione francese.

 

Cultura gender, la nuova egemonia

Le contraddittorie giravolte ideali di un mainstream in cui si può discutere tutto tranne che il dogma della sacralità dell'agenda omossessuale - Non più di un anno fa era soltanto «una trentaduenne ex pin-up la cui principale qualifica è chiaramente l'attrazione sessuale del premier nei suoi confronti» (Alexander Stille, Repubblica).