ENERGIA PULITA:
QUANDO MARCONI FERMAVA LE
AUTOMOBILI CON IL SUO RAGGIO.
Rino Di Stefano, Il Giornale, Martedì 6 Luglio 2010 (www.rinodistefano.com)
(a cura di Claudio Prandini)
PRIMA PARTE
Marconi ideò un raggio che fermava i mezzi a motore. Mussolini lo voleva, il Vaticano lo bloccò. Da quelle ricerche altri scienziati crearono l’alternativa a petrolio e nucleare. Nel 1999 l’invenzione stava per essere messa sul mercato, ma poi tutto fu insabbiato.
Il raggio che fermava i motori delle automobili
IL MISTERO DELL’ENERGIA GRATUITA CHE CI TENGONO NASCOSTA
L’energia pulita tanto auspicata dal presidente Obama dopo il disastro ambientale del Golfo del Messico forse esiste già da un pezzo, ma qualcuno la tiene nascosta per inconfessabili interessi economici. Ma non solo. Negli anni Settanta, infatti, un gruppo di scienziati italiani ne avrebbe scoperto il segreto, ma questa nuova e stupefacente tecnologia, che di fatto cambierebbe l’economia mondiale archiviando per sempre i rischi del petrolio e del nucleare, sarebbe stata volutamente occultata nella cassaforte di una misteriosa fondazione religiosa con sede nel Liechtenstein, dove si troverebbe tuttora. Sembra davvero la trama di un giallo internazionale l’incredibile storia che si nasconde dietro quella che, senza alcun dubbio, si potrebbe definire la scoperta epocale per eccellenza, e cioè la produzione di energia pulita senza alcuna emissione di radiazioni dannose. In altre parole, la realizzazione di un macchinario in grado di dissolvere la materia, intendendo con questa definizione qualunque tipo di sostanza fisica, producendo solo ed esclusivamente calore.
Come
ogni giallo che si rispetti, l’intricata vicenda che si nasconde dietro la
genesi di questa scoperta è stata svelata quasi per caso. Lo ha fatto un
imprenditore genovese che una decina d’anni fa si è trovato ad avere rapporti di
affari con la fondazione che nasconde e gestisce il segreto di quello che, per
semplicità, chiameremo “il raggio della morte”. E sì, perché la storia che
stiamo per svelare nasce proprio da quello che, durante il fascismo, fu il mito
per eccellenza: l’arma segreta che avrebbe rivoluzionato il corso della seconda
guerra mondiale. Sembrava soltanto una fantasia, ma non lo era. In quegli anni
si diceva che persino Guglielmo Marconi stesse lavorando alla realizzazione del
“raggio della morte”. La cosa era solo parzialmente vera. Secondo quanto
Mussolini disse al giornalista Ivanoe Fossati durante una delle sue ultime
interviste, Marconi inventò un apparecchio che emetteva un raggio
elettromagnetico in grado di bloccare qualunque motore dotato di impianto
elettrico. Tale raggio, inoltre, mandava in corto circuito l’impianto stesso,
provocandone l’incendio. Lo scienziato dette una dimostrazione, alla presenza
del duce del fascismo, ad Acilia, sulla strada di Ostia, quando bloccò auto e
camion che transitavano sulla strada. A Orbetello, invece, riuscì a incendiare
due aerei che si trovavano ad oltre due chilometri di distanza. Tuttavia, dice
sempre Mussolini, Marconi si fece prendere dagli scrupoli religiosi. Non voleva
essere ricordato dai posteri come colui che aveva provocato la morte di migliaia
di persone, bensì solo come l’inventore della radio. Per cui si confidò con papa
Pio XI, il quale gli consigliò di distruggere il progetto della sua invenzione.
Cosa che Marconi si affretto a fare, mandando in bestia Mussolini e gerarchi.
Poi, forse per il troppo stress che aveva accumulato in quella disputa, nel 1937
improvvisamente venne colpito da un infarto e morì a soli 63 anni.
La fine degli anni Trenta fu comunque molto prolifica da un punto di vista
scientifico. Per qualche imperscrutabile gioco del destino, pare che la fantasia
e la creatività degli italiani non fu soltanto all’origine della prima bomba
nucleare realizzata negli Stati Uniti da Enrico Fermi e da i suoi colleghi di
via Panisperna; altri scienziati, continuando gli studi sulla scissione
dell’atomo, trovarono infatti il modo di “produrre ed emettere sino a notevoli
distanze anti-atomi di qualsiasi elemento esistente sul nostro pianeta che,
diretti contro una massa costituita da atomi della stessa natura ma di segno
opposto, la disgregano ionizzandola senza provocare alcuna reazione nucleare, ma
producendo egualmente una enorme quantità di energia pulita”.
Tanto per fare un esempio concreto, ionizzando un grammo di ferro si sviluppa un
calore pari a 24 milioni di KWh, cioè oltre 20 miliardi di calorie, capaci di
evaporare 40 milioni di litri d’acqua. Per ottenere un uguale numero di calorie,
occorrerebbe bruciare 15mila barili di petrolio. Sembra quasi di leggere un
racconto di fantascienza, ma è soltanto la pura e semplice realtà. Almeno quella
che i documenti in possesso dell’imprenditore genovese Enrico M. Remondini
dimostrano.
“Tutto
è cominciato – racconta Remondini – dal contatto che nel 1999 ho avuto con il
dottor Renato Leonardi, direttore della Fondazione Internazionale Pace e
Crescita, con sede a Vaduz, capitale del Liechtenstein. Il mio compito era
quello di stipulare contratti per lo smaltimento di rifiuti solidi tramite le
Centrali Termoeletriche Polivalenti della Fondazione Internazionale Pace e
Crescita. Non mi hanno detto dove queste centrali si trovassero, ma so per certo
che esistono. Altrimenti non avrebbero fatto un
contratto con me. In quel periodo, lavoravo con il mio collega, dottor
Claudio Barbarisi. Per ogni contratto stipulato, la nostra percentuale sarebbe
stata del 2 per cento. Tuttavia, per una clausola imposta dalla Fondazione
stessa, il 10 per cento di questa commissione doveva essere destinata a favore
di aiuti umanitari. Considerando che lo smaltimento di questi rifiuti avveniva
in un modo pressoché perfetto, cioè con la ionizzazione della materia senza
produzione di alcuna scoria, sembrava davvero il modo ottimale per ottenere il
risultato voluto. Tuttavia, improvvisamente, e senza comunicarci il perché, la
Fondazione ci fece sapere che le loro centrali non sarebbero più state
operative. E fu inutile chiedere spiegazioni. Pur avendo un contratto firmato in
tasca, non ci fu nulla da fare. Semplicemente chiusero i contatti”.
Remondini
ancora oggi non conosce la ragione dell’improvviso voltafaccia. Ha provato a
telefonare al direttore Leonardi, che tra l’altro vive a Lugano, ma non ha mai
avuto una spiegazione per quello strano comportamento. Inutili anche le ricerche
per vie traverse: l’unica cosa che è riuscito a sapere è che la Fondazione è
stata messa in liquidazione. Per cui è ipotizzabile che i suoi segreti adesso
siano stati trasferiti ad un’altra società di cui, ovviamente, si ignora persino
il nome. Ciò significa che da qualche parte sulla terra oggi c’è qualcuno che
nasconde il segreto più ambito del mondo: la produzione di energia pulita ad un
costo prossimo allo zero.
Nonostante questo imprevisto risvolto, in mano a Remondini sono rimasti diversi
documenti strettamente riservati della Fondazione Internazionale Pace e
Crescita, per cui alla fine l’imprenditore si è deciso a rendere pubblico ciò
che sa su questa misteriosa istituzione. Per capire i retroscena di questa tanto
mirabolante quanto scientificamente sconosciuta scoperta, occorre fare un salto
indietro nel tempo e cercare di ricostruire, passo dopo passo, la cronologia
dell’invenzione. Ad aiutarci è la
relazione tecnico-scientifica che il 25 ottobre 1997 la Fondazione
Internazionale Pace e Crescita ha fatto avere soltanto agli addetti ai lavori.
Ogni foglio, infatti, è chiaramente marcato con la scritta “Riproduzione
Vietata”. Ma l’enormità di quanto viene rivelato in quello scritto giustifica
ampiamente il non rispetto della riservatezza richiesta.
Il “raggio della morte”, infatti, pur essendo stato concepito teoricamente negli
anni Trenta, avrebbe trovato la sua base scientifica soltanto tra il 1958 e il
1960. Il condizionale è d’obbligo in quanto riportiamo delle notizie scritte, ma
non confermate dalla scienza ufficiale. Non sappiamo da chi era composto il
gruppo di scienziati che diede vita all’esperimento: i nomi non sono elencati.
Sappiamo invece che vi furono diversi tentativi di realizzare una macchina che
corrispondesse al modello teorico progettato, ma soltanto nel 1973 si arrivò ad
avere una strumentazione in grado di “produrre campi magnetici, gravitazionali
ed elettrici interagenti, in modo da colpire qualsiasi materia, ionizzandola a
distanza ed in quantità predeterminate”.
Fu
a quel punto che il governo italiano cominciò ad interessarsi ufficialmente a
quegli esperimenti. E infatti l’allora governo Andreotti, prima di passare la
mano a Mariano Rumor nel luglio del ’73, incaricò il professor Ezio Clementel,
allora presidente del Comitato per l’energia nucleare (CNEN), di analizzare gli
effetti e la natura di quei campi magnetici a fascio. Clementel, trentino
originario di Fai e titolare della cattedra di Fisica nucleare alla facoltà di
Scienze dell’Università di Bologna, a quel tempo aveva 55 anni ed era uno dei
più noti scienziati del panorama nazionale e internazionale. La sua
responsabilità, in quella circostanza, era grande. Doveva infatti verificare se
quel diabolico raggio avesse realmente la capacità di distruggere la materia
ionizzandola in un’esplosione di calore. Anche perché non ci voleva molto a
capire che, qualora l’esperimento fosse riuscito, si poteva fare a meno
dell’energia nucleare e inaugurare una nuova stagione energetica non soltanto
per l’Italia, ma per il mondo intero. Tanto per fare un esempio, questa
tecnologia avrebbe permesso la realizzazione di nuovi e potentissimi motori a
razzo che avrebbero letteralmente rivoluzionato la corsa allo spazio,
permettendo la costruzione di gigantesche astronavi interplanetarie.
Il professor Clementel ordinò quindi quattro prove di particolare complessità.
La prima consisteva nel porre una lastra di plexiglas a 20 metri dall’uscita del
fascio di raggi, collocare una lastra di acciaio inox a mezzo metro dietro la
lastra di plexiglass e chiedere di perforare la lastra d’acciaio senza
danneggiare quella di plexiglass. La seconda prova consisteva nel ripetere il
primo esperimento, chiedendo però di perforare la lastra di plexiglass senza
alterare la lastra d’acciaio. Il terzo esame era ancora più difficile: bisognava
porre una serie di lastre d’acciaio a 10, 20 e 40 metri dall’uscita del fascio
di raggi, chiedendo di bucare le lastre a partire dall’ultima, cioè quella posta
a 40 metri. Nella quarta e ultima prova si doveva sistemare una pesante lastra
di alluminio a 50 metri dall’uscita del fascio di raggi, chiedendo che venisse
tagliata parallelamente al lato maggiore.
Ebbene, tutte e quattro le prove ebbero esito positivo e il professor Clementel,
considerando che la durata dell’impulso dei raggi era minore di 0,1 secondi,
valutò la potenza, ipotizzando la vaporizzazione del metallo, a 40.000 KW e la
densità di potenza pari a 4.000 KW per centimetro quadrato. In realtà, venne
spiegato a sperimentazione compiuta, l’impulso dei raggi aveva avuto la durata
di un nano secondo e poteva ionizzare a distanza “forma e quantità
predeterminate di qualsiasi materia”.
Tra l’altro all’esperimento aveva assistito anche il professor Piero Pasolini,
illustre fisico e amico di un’altra celebrità scientifica qual è il professor
Antonino Zichichi. In una sua relazione, Pasolini parlò di “campi magnetici,
gravitazionali ed elettrici interagenti che sviluppano atomi di antimateria
proiettati e focalizzati in zone di spazio ben determinate anche al di là di
schemi di materiali vari, che essendo fuori fuoco si manifestano perfettamente
trasparenti e del tutto indenni”.
In pratica, ma qui entriamo in una spiegazione scientifica un po’ più complessa,
gli scienziati italiani che avevano realizzato quel macchinario, sarebbero
riusciti ad applicare la teoria di Einstein sul campo unificato, e cioè
identificare la matrice profonda ed unica di tutti i campi di interazione, da
quello forte (nucleare) a quello gravitazionale. Altri fisici in tutto il mondo
ci avevano provato, ma senza alcun risultato. Gli italiani, a quanto pare,
c’erano riusciti.
In un Paese normale (ma tutti sappiamo
che il nostro non lo è) una simile scoperta sarebbe stata subito messa a frutto.
Non ci vuole molta fantasia per capire le implicazioni industriali ed economiche
che avrebbe portato. Anche perché, quella che a prima vista poteva sembrare
un’arma di incredibile potenza, nell’uso civile poteva trasformarsi nel motore
termico di una centrale che, a costi bassissimi, poteva produrre infinite
quantità di energia elettrica.
Perché, dunque, questa scoperta non è stata rivelata e utilizzata? La ragione
non viene spiegata. Tutto quello che sappiamo è che i governi dell’epoca
imposero il segreto sulla sperimentazione e che nessuno, almeno ufficialmente,
ne venne a conoscenza. Del resto nel 1979 il professor Clementel morì
prematuramente e si portò nella tomba il segreto dei suoi esperimenti. Ma anche
dietro Clementel si nasconde una vicenda piuttosto strana e misteriosa. Pare,
infatti, che le sue idee non piacessero ai governanti dell’epoca. Non si sa
esattamente quale fosse la materia del contendere, ma alla luce della
straordinaria scoperta che aveva verificato, è facile immaginarlo. Forse lo
scienziato voleva rendere pubblica la notizia, mentre i politici non ne volevano
sapere. Chissà? Ebbene, qualcuno trovò il sistema per togliersi di torno quello
scomodo presidente del CNEN. Infatti venne accertato che la firma di Clementel
appariva su registri di esame all’Università di Trento, della quale all’epoca
era il rettore, in una data in cui egli era in missione altrove. Sembrava quasi
un errore, una svista. Ma gli costò il carcere, la carriera e infine la salute.
Lo scienziato capì l’antifona, e non disse mai più nulla su quel “raggio della
morte” che gli era costato così tanto caro. A Clementel è dedicato il Centro
Ricerche Energia dell’ENEA a Bologna.
C’è comunque da dire che già negli anni Ottanta qualcosa venne fuori riguardo un
ipotetico “raggio della morte”. Il primo a parlarne fu il giudice Carlo Palermo
che dedicò centinaia di pagine al misterioso congegno, affermando che fu alla
base di un intricato traffico d’armi. La storia coinvolse un ex colonnello del
Sifar e del Sid, Massimo Pugliese, ma anche esponenti del governo americano
(allora presieduto da Gerald Ford), i parlamentari Flaminio Piccoli (Dc) e Loris
Fortuna (Psi), nonché una misteriosa società con sede proprio nel Liechtenstein,
la Traspraesa. La vicenda durò dal 1973 al 1979, quando improvvisamente calò una
cortina di silenzio su tutto quanto.
Erano
comunque anni difficili. L’Italia navigava nel caos. Gli attentati delle Brigate
Rosse erano all’ordine del giorno, la società civile soffocava nel marasma, i
servizi segreti di mezzo mondo operavano sul nostro territorio nazionale come se
fosse una loro riserva di caccia. Il 16 marzo 1978 i brigatisti arrivarono al
punto di rapire il Presidente del Consiglio Nazionale della Dc, Aldo Moro,
uccidendo i cinque poliziotti della scorta in un indimenticabile attentato in
via Fani, a Roma. E tutti ci ricordiamo come andò a finire. Tre anni dopo, il 13
maggio 1981, il terrorista turco Mehmet Alì Agca in piazza San Pietro ferì a
colpi di pistola Giovanni Paolo II.
E’ in questo contesto, che il “raggio della morte” scomparve dalla scena. Del
resto, ammesso che la scoperta avesse avuto una consistenza reale, chi sarebbe
stato in grado di gestire e controllare gli effetti di una rivoluzione
industriale e finanziaria che di fatto avrebbe cambiato il mondo? Non ci vuole
molto, infatti, ad immaginare quanti interessi quell’invenzione avrebbe
danneggiato se soltanto fosse stata resa pubblica. In pratica, tutte le
multinazionali operanti nel campo del petrolio e dell’energia nucleare avrebbero
dovuto chiudere i battenti o trasformare da un giorno all’altro la loro
produzione. Sarebbe veramente impossibile ipotizzare una cifra per quantificare
il disastro economico che la nuova scoperta italiana avrebbe portato.
Ma queste sono solo ipotesi. Ciò che invece risulta riguarda la decisione presa
dagli autori della scoperta. Infatti, dopo anni di traversie e inutili tentativi
per far riconoscere ufficialmente la loro invenzione, probabilmente temendo per
la loro vita e per il futuro della loro strumentazione, questi scienziati
consegnarono il frutto del loro lavoro alla Fondazione Internazionale Pace e
Crescita, che l’11 aprile 1996 venne costituita apposta, verosimilmente con il
diretto appoggio logistico-finanziario del Vaticano, a Vaduz, ben al di fuori
dei confini italiani. In quel momento il capitale sociale era di appena 30mila
franchi svizzeri (circa 20mila Euro). “Sembra anche a noi – si legge nella
relazione introduttiva alle attività della Fondazione – che sia meglio costruire
anziché distruggere, non importa quanto possa essere difficile, anche se per
farlo occorrono molto più coraggio e pazienza, assai più fantasia e sacrificio”.
A prescindere dal fatto che non si trova traccia ufficiale di questa fantomatica
Fondazione, se non la notizia (in tedesco) che il primo luglio del 2002 è stata
messa in liquidazione, parrebbe che a suo tempo l’organizzazione fosse stata
costituita in primo luogo per evitare che un’invenzione di quella portata fosse
utilizzata solo per fini militari. Del resto anche i missili balistici (con
quello che costano) diventerebbero ben poca cosa se gli eserciti potessero
disporre di un macchinario che, per distruggere un obiettivo strategico,
necessiterebbe soltanto di un sistema di puntamento d’arma.
Secondo voci non confermate, la decisione degli scienziati italiani sarebbe
maturata dopo una serie di minacce che avevano ricevuto negli ambienti della
capitale. Ad un certo punto si parla pure di un attentato con una bomba, sempre
a Roma. Si dice che, per evitare ulteriori brutte sorprese, quegli scienziati si
appellarono direttamente a Papa Giovanni Paolo II e la macchina che produce il
“raggio della morte” venisse nascosta per qualche tempo in Vaticano. Da qui la
decisione di istituire la fondazione e di far emigrare tutti i protagonisti
della vicenda nel più tranquillo Liechtenstein. In queste circostanze, forse non
fu un caso che proprio il 30 marzo 1979 il Papa ricevette in Vaticano il
Consiglio di Presidenza della Società Europea di Fisica, riconoscendo, per la
prima volta nella storia della Chiesa, in Galileo Galilei (1564-1642) lo
scopritore della Logica del Creato. Comunque sia, da quel momento in poi, la
parola d’ordine è stata mantenere il silenzio assoluto.
Tesla e Ighina. Questo video vi aprirà gli occhi - 1
Tesla e Ighina. Questo video vi aprirà gli occhi - 2
Qualcosa, però, nel tempo è cambiata. Lo
prova il fatto che la Fondazione Internazionale Pace e Crescita non si sarebbe
limitata a proteggere gli scienziati cristiani in fuga, ma nel periodo tra il
1996 e il 1999 avrebbe proceduto a realizzare per conto suo diverse complesse
apparecchiature che sfruttano il principio del “raggio della morte”. Secondo la
loro documentazione, infatti, è stata prodotta una serie di macchinari della
linea Zavbo pronti ad essere adibiti per più scopi. L’elenco comprende le SRSU/TEP
(smaltimento dei rifiuti solidi urbani), SRLO/TEP (smaltimento dei rifiuti
liquidi organici), SRTP/TEP (smaltimento dei rifiuti tossici), SRRZ/TEP
(smaltimento delle scorie radioattive), RCC (compattazione rocce instabili), RCZ
(distruzione rocce pericolose), RCG (scavo gallerie nella roccia), CLS
(attuazione leghe speciali), CEN (produzione energia pulita).
A quest’ultimo riguardo, nella documentazione fornita da Remondini si trovano
anche i piani per costruire centrali termoelettriche per produrre energia
elettrica a bassissimo costo, smaltendo rifiuti. C’è tutto, dalle dimensioni
all’ampiezza del terreno necessario, come si costruisce la torre di ionizzazione
e quante persone devono lavorare (53 unità) nella struttura. Un’ìntera centrale
si può fare in 18 mesi e potrà smaltire fino a 500 metri cubi di rifiuti al
giorno, producendo energia elettrica con due turbine Ansaldo . C’è anche un
quadro economico (in milioni di dollari americani) per calcolare i costi di
costruzione. Nel 1999 si prevedeva che una centrale di questo tipo sarebbe
costata 100milioni di dollari. Una peculiarità di queste centrali è che il loro
aspetto è assolutamente fuorviante. Infatti, sempre guardando i loro progetti,
si nota che all’esterno appaiono soltanto come un paio di basse palazzine per
uffici, circondate da un ampio giardino con alberi e fiori. La torre di
ionizzazione, dove avviene il processo termico, è infatti completamente
interrata per una profondità di 15 metri. In pratica, un pozzo di spesso cemento
armato completamente occultato alla vista. In altre parole, queste centrali
potrebbero essere ovunque e nessuno ne saprebbe niente.
Da notare che, secondo le ricerche compiute dalla International Company Profile
di Londra, una società del Wilmington Group Pic, leader nel mondo per le
informazioni sul credito e quotata alla Borsa di Londra, la Fondazione
Internazionale Pace e Crescita, fin dal giorno della sua registrazione a Vaduz,
non ha mai compiuto alcun tipo di operazione finanziaria nel Liechtenstein, né
si conosce alcun dettaglio del suo stato patrimoniale o finanziario, in quanto
la legge di quel Paese non prevede che le Fondazioni presentino pubblicamente i
propri bilanci o i nomi dei propri fondatori. Si conosce l’indirizzo della sede
legale, ma si ignora quale sia stato quello della sede operativa e il tipo di
attività che la Fondazione ha svolto al di fuori dei confini del Liechtenstein.
Ovviamente mistero assoluto su quanto sia accaduto dopo il primo luglio del 2002
quando, per chissà quali ragioni, ma tutto lascia supporre che la sicurezza non
sia stata estranea alla decisione, la Fondazione ufficialmente ha chiuso i
battenti.
Ancora più strabiliante è l’elenco dei clienti, o presunti tali, fornito a
Remondini. In tutto 24 nomi tra i quali spiccano i maggiori gruppi siderurgici
europei, le amministrazioni di due Regioni italiane e persino due governi: uno
europeo e uno africano. Da notare che, in una lettera inviata dalla Fondazione a
Remondini, si parla di proseguire con i contatti all’estero, ma non sul
territorio nazionale “a causa delle problematiche in Italia”. Ma di quali
“problematiche” si parla? E, soprattutto, com’è che una scoperta di questo tipo
viene utilizzata quasi sottobanco per realizzare cose egregie (pensiamo soltanto
alla produzione di energia elettrica e allo smaltimento di scorie radioattive),
mentre ufficialmente non se ne sa niente di niente?
Interpellato sul futuro della scoperta da Remondini, il professor Nereo Bolognani, eminenza grigia della Fondazione Internazionale Pace e Crescita, ha detto che “verrà resa nota quando Dio vorrà”. Sarà pure, ma di solito non è poi così facile conoscere in anticipo le decisioni del Padreterno. Neppure con la santa e illustre mediazione del Vaticano.
Quale giornalista professionista che si è occupato di questa incredibile storia, mi sento in dovere di pubblicare alcuni documenti che possano provare al lettore l’attendibilità delle notizie che ho esposto. Si tratta della relazione tecnica di cui sono venuto in possesso. Una relazione, sia ben chiaro, che non dimostra affatto la realtà di quanto la Fondazione Internazionale Pace e Crescita asserisce nella sua documentazione, ma soltanto l’esistenza dei contenuti citati nell’articolo. E’ chiaro, infatti, che la reale consistenza dei fatti dovrebbe essere verificata dai fisici e certamente non da un giornalista la cui responsabilità resta quella di informare nel modo più serio e professionale possibile.
RELAZIONE TECNICO-SCIENTIFICA DELLA FONDAZIONE INTERNAZIONALE PACE E CRESCITA [PDF, 4,62 MB]
RELAZIONE ILLUSTRATIVA DELLA FONDAZIONE INTERNAZIONALE PACE E CRESCITA [PDF, 13,5 MB]
IL CONTRATTO DI E. M. REMONDINI [PDF, 1,24 MB]
Enrico Remondini non è un uomo di molte parole. La sua esperienza con la Fondazione Internazionale Pace e Crescita, a undici anni di distanza, è ormai un ricordo tra i risvolti della memoria. Alcuni mesi di lavoro, vissuti anche con un certo entusiasmo, poi i contatti si sono chiusi lasciandogli, oltre ad una certa perplessità per il modo in cui sono stati interrotti, anche un velo di amarezza. Aveva condiviso, ammette, i fini umanitari della Fondazione; per cui non comprendeva, e non comprende ancora oggi, il motivo per cui l’operazione non sia stata portata a termine. Soprattutto, però, gli è rimasta dentro una fortissima curiosità: quanto c’era di vero in quello che gli avevano detto?
Signor Remondini, come e quando è entrato in contatto con la Fondazione Internazionale Pace e Crescita?
“Fu nei primi mesi ndel 1999, mi pare, e in modo del tutto fortuito. Mi trovavo a Lugano per lavoro e un amico me ne parlò. Non era una notizia di dominio pubblico, per cui ero incuriosito. In seguito il mio amico mi fece incontrare il direttore della Fondazione, il dottor Renato Leonardi, e a lui chiesi se potevo collaborare con loro”.
Non furono dunque loro a cercarla…
“No, fui io che ne feci richiesta. In un primo tempo pensavo di poter lavorare nelle pubbliche relazioni, ma ben presto mi resi conto che a loro non interessava quel settore. Leonardi, invece, mi chiese di fare alcune traduzioni e, a questo riguardo, mi diede diversi documenti. Gli stessi che adesso, non esistendo più la Fondazione, ho deciso di rendere pubblici”.
La sua collaborazione si fermò alle traduzioni?
“No, successivamente decisi di instaurare un rapporto più imprenditoriale. Per cui venni presentato al professor Nereo Bolognani, presidente della Fondazione. Ci incontravamo a Milano, nella hall di un albergo vicino alla stazione centrale. Fu lui a spiegarmi che le centrali polivalenti della Fondazione erano in grado di smaltire in modo ottimale un certo tipo di scorie. Soprattutto di tipo metallico. Per cui, insieme ad un mio amico, mi feci dare un mandato dalla Fondazione stessa per procurare questo tipo di scorie. Fu un periodo molto breve, perché riuscimmo a prendere contatti con uno solo dei nominativi che ci erano stati forniti. Si trattava di una grossa acciaieria italiana che aveva problemi per lo smaltimento delle scorie metalliche. Noi ci facemmo consegnare un campione e lo passammo a Bolognani perché lo facesse esaminare e ci dicesse se l’affare poteva essere avviato. Ma accadde qualcosa prima di avere l’esito di quelle analisi…”.
E cioè?
“La moglie di Bolognani morì di un brutto male e per qualche tempo non riuscimmo a metterci in contatto con lui. Pensavamo che, dopo un certo periodo, si sarebbe ripreso e avremmo continuato la normale attività lavorativa. Ma le cose non andarono così. E’ probabile, direi quasi certo, che contemporaneamente a quel lutto avvenne anche qualche altro cambiamento interno alla Fondazione. Comunque sia, nonostante avessimo un mandato firmato in tasca, non riuscimmo più a metterci in contatto con loro. Tutto quello che so è che Bolognani, dopo la morte della moglie, si era trasferito da Roma, dove abitava. Ma ignoro dove. Provai anche a chiamare Leonardi, a Lugano, ma fu inutile. Una volta riuscii anche a parlargli, ma era molto evasivo e non volle dirmi nulla. In seguito venni a sapere che la Fondazione era stata messa in liquidazione”.
Eppure lei aveva lavorato per loro, avrà avuto anche delle spese. Gliele hanno mai rimborsate?
“No, e non gliele ho mai chieste. Ripeto, abbiamo preso solo un contatto, per cui si trattava di poca cosa. Non mi è sembrato che ne valesse la pena. Tra l’altro, avevo sempre avuto un buon rapporto con loro e non volevo rovinarlo per così poco”.
Tuttavia nei suoi confronti non hanno mostrato molta chiarezza. Ha mai provato a farsi dire qualcosa in più circa la loro attività? Dopotutto, visto che contattavano industrie ed enti pubblici, non si può dire che il loro segreto non fosse divulgato…
“Sì, una volta ho avuto una conversazione di questo tipo con Bolognani. Devo dire che era una persona molto corretta e molto religiosa. Mi spiegò che lo scopo della Fondazione era quello di evitare che una scoperta scientifica come quella che loro gestivano finisse nelle mani dei militari, diventando causa di morte. Poi aggiunse che un giorno, quando Dio vorrà, questo segreto verrà reso pubblico”.
E le basta?
“No, però capisco il fine. E per molti versi lo condivido”.
R.D.S.
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AI LETTORI
Confucio, celebre filosofo cinese, diceva
che prima di scrivere bisogna sedersi, raccogliere le idee, rifletterci sopra e
quindi pensare a come esporre il proprio pensiero. Poi, finalmente, si può
cominciare a mettere nero su bianco quanto intendiamo comunicare per iscritto.
Ciò vale tanto per i professionisti della penna, come il sottoscritto, quanto
per chiunque altro. Ma molti, purtroppo, non seguono i saggi consigli di
Confucio. Anzi, si mettono di fronte ad un foglio di carta (o a un video) e
tirano giù qualunque cosa passi loro per la testa. Ne sono un buon esempio certi
lettori del “Giornale” che in questi giorni, dopo aver letto il mio articolo
sull’energia, hanno preso d’assalto il sito Internet del quotidiano, gridando
allo scandalo per quello che avevano letto. Visto che quanto avevo scritto non
corrispondeva a quanto loro sapevano, semplicemente non poteva essere vero.
Ovviamente non tutti sono stati così avventati, molti altri si sono incuriositi
e hanno chiesto chiarimenti. Ma è ai primi che adesso voglio rivolgermi. Le
accuse più frequenti sono state “scemenze, cazzate, non si possono scrivere cose
di questo tipo, sono tutti si dice”, eccetera. Nessuno di questi
signori si è domandato, invece, perché un autorevole quotidiano nazionale come
“Il Giornale” abbia pubblicato un articolo di questo tipo. La verità è che tutto
quanto è stato detto nell’articolo in questione, viene da un’ampia
documentazione originale della “misteriosa” Fondazione Internazionale Pace e
Crescita di Vaduz, nel Liechtenstein. Per la precisione da 30 documenti
autentici (relazioni tecnico-scientifiche, piani industriali, relazioni
illustrative, planimetrie), per un totale di 86 pagine. Nessun “si dice” o
presunte illazioni, ma soltanto la fedele trascrizione di quanto è scritto in
quei documenti. Ciò, però, non significa che io, come giornalista, o “Il
Giornale” stesso, abbiamo sposato e avallato quelle notizie. Riportare dei fatti
non vuol dire affatto assumersene la paternità. Siamo cronisti e, in quanto
tali, portiamo a conoscenza dei lettori le notizie che riteniamo più
interessanti e curiose. Ma ci limitiamo a riportarle, non certo a inventarcele e
farle nostre. E il caso della Fondazione, come chiunque può notare, è davvero
strano e insolito. Tanto più che la Fondazione non è il parto di una fantasia
malata, bensì pura realtà.
Mi devo invece scusare per un paio di refusi contenuti nel pezzo. E mi riferisco
a Pio XII invece di Pio XI e alle tre parole che sono saltate vicino al nome di
Moro: la frase giusta era “il Presidente del Consiglio Nazionale della Dc, Aldo
Moro”. Per il resto, tutto era come doveva essere.
Ovviamente, dopo aver pubblicato questo pezzo, era doveroso sentire l’altra
campana, quella della scienza ufficiale. A questo riguardo, vi comunico che ho
provveduto personalmente a portare la documentazione scientifica, relativa alla
Fondazione Internazionale Pace e Crescita, all’Istituto
Nazionale di Fisica Nucleare affinché la esamini e ne esprima un giudizio.
Quando avrò il risultato, sarà mia premura renderlo pubblico.
Con questo spero di aver dissipato ogni dubbio circa la mia personale serietà e
quella del “Giornale” che ha ospitato l’articolo. “Giornale”, per inciso, nel
quale ho trascorso 26 anni della mia vita professionale e con il quale continuo
ad essere legato con un contratto di collaborazione in esclusiva.
Se poi ci sarà qualcuno che, nonostante tutto, vorrà continuare a scrivere
sciocchezze nei miei confronti, si accomodi pure. Come dicevano gli antichi
greci, contro la stupidità neanche gli Dei possono nulla. Figurarsi i
giornalisti, compresi quelli che si sforzano di essere sempre seri e corretti.