LA MASSONERIA
E DARWIN
LA MASSONERIA SPONSORIZZÒ DARWIN PERCHÉ
LA SUA TEORIA SUGLI ESSERI FACEVA A MENO DIO
IL CASO:
PRETI EVOLUZIONISTI E SCIENZIATI CREAZIONISTI
(a cura di Claudio Prandini)
Dentro la Chiesa si è fatto strada un darwinismo teista che in pratica sconfessa il libro della Genesi e il Peccato d'origine. Chi creò il cielo e la terra? Chi creò gli esseri viventi e l'uomo? Il caso, la selezione naturale o Dio? Chi compì il Peccato originale? Il nostro avo scimmione o l'uomo primitivo di Neanderthal? Un Dio che "crea" mediante l'evoluzione è, ai fini pratici, indistinguibile dall'assenza di Dio. È un dio massone e non più il Dio cristiano! Ed è così che oggi nei seminari si insegna ai futuri preti che la storia di Adamo ed Eva sono tutte fole ed è ancora per questo che la realtà teologica del Peccato d'origine è sparita dalle prediche e anche dalla catechesi spicciola. Un neomodernismo ignorante è la triste realtà di una certa teologia e di una certa pastorale odierna. |
INTRODUZIONE
ATTENTI A UNA CHIESA FILO-EVOLUZIONISTA
PUNTI SUI QUALI LA CHIESA NON DEVE CEDERE
AL PENSIERO UNICO DELL'EVOLUZIONISMO
di Claudio Prandini
La massoneria inglese trovò in Darwin l'occasione tanto attesa per portare nella società e alle generazioni future una teoria della conoscenza che spiegasse il mondo e tutti gli esseri viventi a prescindere da Dio. La sua è sempre stata una guerra senza quartiere contro Cristo e la Chiesa. È nel ventesimo secolo che essa riuscì effettivamente a far si che il darwinismo divenisse il dogma scientifico per eccellenza! Senza il suo aiuto, la sua influenza e i suoi soldi Darwin sarebbe rimasto un oscuro e sconosciuto teorico della natura. Ma qualcosa è iniziato a cambiare, il dogma sta scricchiolando sempre di più grazie alla scienza stessa. È importante che la Chiesa, nell'affrontare il tema dell'evoluzionismo, si mantenga entro i limiti di una sana teologia senza sconfinare in ambiti che non le competono, dando così la sensazione di accettare una teoria che sempre più scienziati di varie discipline smentiscono.
Essa deve mantenere saldi i punti fondamentali che sono delineati nei primi capitoli della Genesi, che sono: 1) il mondo non è venuto all'essere per caso; 2) gli esseri, in tutte le loro specie, sono nate non per caso o per evoluzione propria, ma perché chiamate all'essere da una causa esterna ed intelligente; 3) l'essere umano non proviene dalla specie inferiore, esso, così come ogni altra specie, è frutto di un deliberato disegno del creatore. In altre parole, ad ogni gradino della scala degli esseri Dio è intervenuto affinché una nuova specie potesse venire alla luce. 4) L'umanità proviene da un unico ceppo (monogenesi), come anche la genetica conferma; 5) i sei giorni della creazione stanno ad indicare che il Creatore non ha fatto tutto all'improvviso, ma attraverso una serie di ére temporali ben definite e frutto di un disegno ben architettato; 6) La realtà storica del Peccato di Origine commesso dai nostri progenitori, che ha gettato l'umanità e la natura stessa in una specie di involuzione non solo spirituale e morale, ma anche di carattere genetico e fisico le cui conseguenze dureranno fino alla restaurazione di tutte le cose. È infatti la realtà del Peccato Originale "nel" mondo che giustifica la Redenzione operata da Cristo "per" il mondo!
Cedere di fronte all'ideologia darwinista, atea o teista che sia (coma ha fatto recentemente la chiesa anglicana), anche solo di poco, sarebbe per la Chiesa cattolica un fatto estremamente deleterio per la sua missione e la sua identità.
Una questione di origini - Confutazione dell'evoluzione
DARWIN E L'X CLUB
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Thomas Huxley, massone e amico di Darwin |
Lo straordinario successo di una teoria
che rimetteva in discussione l’intera concezione del mondo da parte degli uomini
del tempo non fu dovuta al caso, ma fortemente voluta da precisi gruppi di
pressione che ritornano ciclicamente ad assumere un ruolo di protagonisti nelle
principali tappe della storia moderna dell’umanità.
Thomas Huxley e Charles Darwin: a lanciare il termine “agnostico” fu
Thomas Huxley
Thomas Huxley fu membro fondatore dell’X Club, un club che emanava
direttamente dalla Royal Society, il tempio “scientifico” della
massoneria inglese.
L’X Club sposò e promosse le idee “rivoluzionarie “ di un giovane studioso
(sconosciuto, ndr), che con le sue sconvolgenti teorie metteva in dubbio la
concezione dell’uomo per come si era compresa fino allora.
Il giovane scienziato era Charles Darwin.
Perché la Massoneria ha avuto interesse a promuovere Darwin?
Secondo Aldo Mola, storico ufficiale della Massoneria italiana e massone egli
stesso:
"Fulcro polemico dell'evoluzionismo, la trionfale rivendicazione della
stretta parentela tra gli uomini e le scimmie sconvolgeva gli orizzonti etici,
culturali e scientifici, ancora imperniati su un antropocentrismo (vale a dire
un restaurato geocentrismo radicato nel preteso rapporto privilegiato tra l'Uomo
e Dio e, quindi, tra la Terra e Dio), passato pressoche' indenne attraverso
l'affermazione della fisica classica e l'avvento di paleontologia, biologia e
della meccanica celeste di Immanuel Kant e del napoleonico marchese Pierre Simon
Laplace.
La "vulgata" dell'evoluzionismo divenne presto uno dei punti d'incontro di
certi massoni che, anche senz'avere una precisa cognizione dei contenuti
scientifici del darwinismo e delle sue possibili implicanze socio-politiche,
dalla strenua lotta della Chiesa di Roma contro la sua diffusione e per la sua
stessa provenienza dalla terra di Desaguliers e Anderson [due tra i fondatori
della massoneria "moderna" nel 1717] deducevano ch'esso fosse comunque un buon
compagno di strada, se non verso la Vera Luce almeno per dissipare le tenebre
piu' fitte; e che dalla sua diffusione sarebbe scaturita la definitiva
liberazione dai lacci dell'ignoranza e dall'occhiuta "clerocrazia cattolica"".
(Aldo A. Mola, "Storia della massoneria italiana dalle
origini ai nostri giorni", Bompiani, Milano, 1992, p. 104)
L’evoluzionismo è stato elevato a livello di Dogma, da semplice teoria ottocentesca che voleva spiegare il modo in cui la natura e gli esseri viventi si comportavano nelle generazioni, è stato elevato a strumento di lotta contro una particolare visione del mondo. La mancanza di prove che sostenessero tale teoria era nota anche a Darwin, ed è mio parere che in un futuro speriamo prossimo il Darwinismo sarà considerato per quello che è, una ingenua e fallace fantasia ottocentesca.
Il collasso dell'evoluzionismo
Al mito dell'uomo scimmia non crede più nessuno.
Per primi gli scienziati. Perché insistere?
Nel novembre del 1859 il celebre naturalista inglese Charles
Robert Darwin (1809-1882) pubblicava a Londra The Origins of the Species by
Means of Natural Selection, ovvero L’origine delle specie per selezione
naturale, opera nella quale esponeva per la prima volta la propria teoria
sull’evoluzione.
Secondo Darwin, le specie si sarebbero trasformate progressivamente nel corso
delle ere soprattutto nell’intento di adattarsi ai cambiamenti del proprio
ambiente naturale ed evitare, così, il rischio di estinzione. Ma la scottante
questione dell’origine animale dell’uomo non veniva affrontata.
Tuttavia, nel 1868 seguiva La variazione degli animali e delle piante allo stato
domestico e nel 1871 sarebbe uscita un’altra opera, intitolata La discendenza
dell’uomo e la selezione sessuale, in cui Darwin indicava l’Africa quale culla
dell’umanità, preconizzando inoltre lo sterminio delle «razze selvagge della
Terra» da parte delle «razze umane civilizzate». Infine, l’ultimo lavoro
notevole del positivista inglese fu il libro su L’espressione delle emozioni
nell’uomo e negli animali, apparso nel 1872.
L’“agnostico” Darwin (amato da Karl Marx proprio perché aveva inferto a Dio «un
colpo mortale») poneva in tal modo le fondamenta per affrancare dalla natura
divina la nascita di tutte le creature viventi, proponendo una tesi “casuale”,
costituita dall’intervento di mutevoli condizioni climatiche, di habitat e di
relativi bisogni crescenti, i quali avrebbero condizionato quelle specie viventi
che si sarebbero dimostrate capaci di mutare insieme a tali elementi e, quindi,
di vincere la lotta per la sopravvivenza.
L’oscuro naturalista di Down portava così a termine il compito che gli era stato
assegnato. Così infatti afferma il genetista Giuseppe Sermonti, il più
autorevole rappresentante internazionale dell’antievoluzionismo scientifico e,
in generale, della riflessione critica sulla scienza moderna fin da quando, nel
1971, pubblicò per l’editore Rusconi il saggio, davvero controcorrente, Il
crepuscolo dello scientismo.
Sermonti sostiene che alcuni personaggi avrebbero precedentemente ingaggiato
Darwin allo scopo di elaborare una teoria materialista sull’origine della vita,
assicurandogli notevole fama e un rapido successo editoriale. Si sarebbe
trattato d’individui che agivano per conto di un fantomatico Club X,
costituitosi ufficialmente a Londra nel 1864. Tale associazione pare fosse
solita riunirsi prima dei meeting della Royal Society per discutere gl’indirizzi
politico-culturali e mediatici che avrebbe dovuto imboccare la società
britannica. La prima edizione de L’origine delle specie si esaurì in un solo
giorno , dopo un iniziale scherno piuttosto generalizzato. In soli dieci anni
Darwin si aggiudicò il consenso dell’ortodossia scientifica del tempo. Il Club X
aveva insomma raggiunto il proprio obiettivo e mantenuto le promesse.
I turbamenti di un naturalista
Per secoli, o per millenni, nessuno aveva mai notato le “prove schiaccianti”
fornite da Darwin, anche se le aveva davanti agli occhi.
Poi, improvvisamente, tutte quelle “verità segrete” sono state finalmente
“esposte in evidenza” e dalla zolla sarebbero emerse le risposte che da tempo si
attendevano. Sono, cioè, venuti alla luce i resti di una realtà ancestrale per
troppo tempo occultata e rimossa mentalmente.
Le prove su cui tali riletture della storia umana si fondano sono peraltro
alcuni resti fossili che costituirebbero gli anelli di congiunzione di una
catena virtuale, la quale condurrebbe in linea retta dagli esemplari più
primitivi del genere dei primati fino all’uomo.
Vano il domandarsi perché – se tali teorie fossero realmente attendibili – a
parità di latitudine, condizioni climatiche e ambientali, e via discorrendo, è
possibile trovare “evoluti” esemplari di homo sapiens sapiens accanto a babbuini
e a scimpanzé, ma in circolazione non s’incontra alcun “uomo di Neanderthal” o
“di Cro Magnon” o “di Steinheim”.
Com’è stato autorevolmente osservato, l’estrema rarità delle forme intermedie,
anche nella documentazione fossile, continua a rivestire una sorta di “segreto
di casta” della paleontologia. Inutile cercare la ragione dell’estinzione degli
esemplari delle fasi intermedie, ma più che altro superfluo giacché
l’incontestabilità del dogma darwinista è contenuta in quei pochissimi resti
fossili a cui si è fatto cenno. Talmente rari da tormentare perfino lo stesso
Darwin.
L’uomo-scimmia fai-da-te
Molto meno turbati appaiono, invece, i suoi più tardi epigoni ed emulatori.
Tutti presi dal contendersi a vicenda la palma dell’ortodossia piuttosto che
quella dell’originalità, producendo semplici varianti sul tema, sfugge ai loro
occhi la beffa dell’artista (così come sfuggì quella delle teste di Amedeo
Modigliani ad affermati critici d’arte), giacché, se la principale occupazione è
quella di dividersi in mille rivoli, di fronte alla necessità di difendere il
contestato cardine dogmatico le truppe sparpagliate riacquistano la monolitica
compattezza d’una testudo romana.
D’altronde, come dubitare di fronte ad un eoanthropus Dawsoni, meglio conosciuto
come “uomo di Piltdown”, che deteneva tutte le caratteristiche necessarie per
rappresentare il classico caso da manuale. Due crani con caratteri marcatamente
primitivi, una mandibola nettamente scimmiesca, un canino e un molare vennero
portati in superficie fra il 1909 e il 1915.
Nel frattempo, quell’“uomo” veniva valutato positivamente da alcuni presunti
specialisti e, pertanto, inserito come dato certo e acquisito in numerose
pubblicazioni di prestigio, quali per esempio la famosa Enciclopedia Treccani
che ne forniva ampie descrizioni. Purtroppo, però, dopo quasi quarant’anni dal
ritrovamento dei frammenti presso l’omonima località del Sussex orientale, nel
1953 una commissione di scienziati dimostrò che si trattava di una bufala
clamorosa.
Se qualcuno fosse tentato di pensare a un errore di quest’ultima équipe di
studiosi ci ripensi: il falsario, infatti, ha già raccontato tutto e la Treccani
si è vista costretta a rettificare definitivamente alla pagina 351 della terza
appendice (1949-1960), spiegando come il famoso reperto di Piltdown altro non
fosse se non il «prodotto di una mistificazione». Il cranio era, infatti, un
fossile umano di epoca neolitica (quindi relativamente recente); la mandibola
apparteneva a un giovane orango morto pochi anni prima, a cui erano stati limati
i denti per farli sembrare umani; anche il canino era stato limato, al fine di
applicarlo alla mandibola; e il pomello di articolazione (condilo) era stato
spezzato di fresco nell’intento di adattare la mandibola al cranio. Il tutto era
stato poi usurato artificialmente e colorato chimicamente per simulare l’effetto
del tempo.
I cannibali dagli occhi a mandorla
Un altro caso palese d’interpretazione abusiva è rappresentato dal cosiddetto
sinantropo od homo pekinensis. Unicamente per il fatto che le rimanenze ossee di
tale scimmia – fino ad allora totalmente ignota agli zoologi – furono ritrovati
insieme ai residui di utensili e di focolari preistorici, si volle
automaticamente dedurne che si trattasse delle spoglie del loro artefice, ovvero
di un essere umano, sebbene i resti dello scheletro in questione si trovassero
chiaramente mischiati a quelli di animali da preda. Il cranio, inoltre,
presentava le medesime perforazioni osservate in casi analoghi, dove
l’espediente si era reso necessario allo scopo di prelevarne il gustoso cerebro.
Così, pur di non dover concludere la cosa più ovvia, cioè che il ritrovamento
altro non riguardava che una preda di uomini preistorici, gli scienziati
annunciarono che i cosiddetti homines pekinenses si erano addirittura divorati a
vicenda.
Da circa sei anni sull’autorevolissima Boston Review del Massachusetts Institute
of Technology (MIT) infuriava una polemica assolutamente devastante per la
dottrina darwinista quando improvvisamente, sul numero del novembre 1999, la
rivista National Geographic pubblicò con enfasi la foto di una lastra minerale
nella quale si vedeva impressa l’immagine di un teropode pennuto. «È la prova
che gli uccelli si sono evoluti da questi antichi rettili», esultava troppo
frettolosamente il biologo Barry A. Palevitz nell’articolo di tono
sensazionalistico che accompagnava la presunta scoperta. Il rettile piumato
ridava così smalto alla logora teoria evoluzionista.
Il darwinismo, infatti, è talmente in declino oltreoceano che in numerosi Stati
dell’Unione nordamericana si è perfino chiesto e ottenuto che il suo
insegnamento venga soppresso dalle scuole o, perlomeno, presentato come semplice
ipotesi in alternativa ad altre, di cui si deve dare notizia allo stesso modo.
Per rendersi conto delle enormi difficoltà che la “teoria della scimmia” sta
attraversando in ambiente scientifico, basta fare un rapido giro su Internet e
constatare di persona quanti siti ospitino tesi critiche, inserendo in un
qualunque motore di ricerca parole-chiave come “creazionismo”.
Finalmente scoperto l’‘uccellosauro’, dunque, il creazionismo sarebbe stato
sconfitto definitivamente.
Acquisito il posto che gli spettava nello schema darwiniano di discendenze, allo
snodo evolutivo fra rettili e uccelli, il “nuovo” animale è venne battezzato con
un’altisonante denominazione latina, come d’uopo: archaeoraptor liaoningensis.
Di lì a poco, tuttavia, si sarebbe amaramente appurato che il supposto fossile
altro non era se non l’ennesimo falso, composto da due differenti resti (di un
uccello e di un sauro) incollati assieme, con abilità asiatica, per opera dei
poverissimi contadini cinesi che vivono nella provincia di Liaoning, i quali
sfruttano e vendono sul mercato nero i fossili di un ricco giacimento locale.
Il falso composto era stato offerto al titolare di un piccolo museo privato
nello Utah durante una fiera di trouvaille paleontologiche, tenutasi nel
febbraio del 1999 nello Stato dell’Arizona, presso la città di Tucson.
Già in precedenza si era cercata questa tanto sospirata prova della discendenza
degli uccelli dai rettili preistorici. Del resto, la teoria darwinista parlava
chiaro: tutte le forme viventi della terra avevano subito evoluzioni clamorose,
adattandosi all’ambiente circostante. Da qualche parte sarebbero quindi pur
dovuti saltare fuori anche gli elementi che confermavano la veridicità di quelle
stravaganti idee.
Illusionismi e prestidigitazioni
In realtà, già nel lontano 1957, lo studioso nordamericano Douglas Dewar nel
libro The Transformist Illusion – pubblicato a Murfreesboro, in Tennessee, dalle
DeHoff Publications – osservò che tutta la teoria sulla graduale evoluzione
delle specie, facente capo a Darwin, si fonda su di una madornale confusione tra
“specie” e “subspecie”.
A suo avviso, le singole specie non soltanto sarebbero fra loro separate da
differenze abissali, ma non esisterebbero neppure forme che accennino a una
qualche possibile connessione tra i diversi ordini di esseri viventi, come i
pesci, i rettili, gli uccelli e i mammiferi. Non era immaginabile nella maniera
più assoluta che l’uno potesse essere nato dall’altro. Anche il celebre fossile
denominato archaeopteryx, frequentemente addotto quale esempio di membro
intermedio fra un rettile e un uccello, è in realtà un autentico rappresentante
di quest’ultima categoria animale, nonostante alcune singolari caratteristiche –
come le unghie al termine delle ali, i denti nelle mascelle e la lunga coda con
le piume diramate – potessero comprensibilmente a prima vista fuorviare.
Gli studiosi moderni più seri e scrupolosi, ormai, rigettano completamente la
tesi dell’evoluzione della specie, o si limitano a mantenerla in maniera
provvisoria esclusivamente quale mera “ipotesi di lavoro”.
Le più recenti scoperte in materia di paleontologia, sedimentologia, chimica,
biologia molecolare e genetica hanno infatti smontato, pezzo per pezzo, il
castello di carta su cui si fondava l’evoluzionismo darwinista.
Del resto, non solo tutte le forme animali conosciute avrebbero avuto origine,
quasi contemporaneamente, durante il periodo dell’“esplosione cambriana”, ma le
ricerche più recenti hanno dimostrato l’incredibile complessità anche di quegli
organismi che i vari Piero Angela si ostinano a definire “semplici”.
Il molteplice dell'infinitamente piccolo
La microscopia elettronica ha, infatti, messo in risalto come i processi che si
svolgono all’interno dell’essere monocellulare siano di una molteplicità
inimmaginabile. Inoltre, come ebbe a riconoscere, già nel 1977, perfino lo
stesso professor Stephen Jay Gould, docente di Geologia e Zoologia presso la
prestigiosa Harvard University, nonché darwinista eterodosso e marxista
dichiarato, «le testimonianze fossili non supportano in alcun modo il
cambiamento graduale».
Sulla medesima linea, il geologo David Schindel, professore alla Yale University,
il quale, in un articolo apparso nel 1982 sulla rivista Nature, rivelò che
l’ipotizzata graduale «transizione dai presunti antenati ai discendenti […] non
esisteva».
In definitiva, si può affermare che – alla prova dei fatti – la teoria
darwiniana si è rivelata un semplice prodotto della propria epoca. L’inglese
vittoriano si sentiva intimamente superiore al resto del mondo e il darwinismo
sembrò fornire una sanzione scientifica a tale convincimento.
La vicenda del Club X e il simultaneo sviluppo di un insidioso “darwinismo
sociale” sul piano filosofico-politico la dicono lunga sulla reale valenza di
quella “selezione naturale” contemplata nell’evoluzionismo.
Una volta acquisita questa teoria da parte della comunità scientifica, si è
quindi imboccata una pericolosa via che gli attuali studiosi temono però di
abbandonare poiché, forse, ritengono che ciò equivarrebbe, di fatto, a decretare
un fallimento di cui potrebbe risentire tutta la classe degli scienziati
contemporanei.
Se così fosse, si tratterebbe di un fatto gravissimo, poiché darebbe conto della
debolezza – camuffata con l’arroganza – da cui la scienza è affetta oggigiorno.
Diversamente, si attendono spiegazioni plausibili sul perché non si sia ancora
avviato un dibattito serio e approfondito anche in Italia, e per quale strana
ragione ci si ostini a presentare un semplice mito come verità acquisita.
Perché la teoria di Darwin altro non è che un mito, il quale – come tutti i miti
– tenta di soddisfare il bisogno di rispondere ad alcuni dei quesiti
fondamentali che, sin dalla notte dei tempi, tormentano l’uomo: “chi siamo?”,
“da dove veniamo?”. Davvero arduo appare il fornire una spiegazione convincente
con le sole armi della ragione; schiere di filosofi ci hanno provato, fallendo
ogni volta miseramente. Charles Darwin fu uno di loro.
Perché io credo
in colui che ha creato il mondo
Padre Livio di Radio Maria contro l'evoluzionismo
PERCHÉ L'EVOLUZIONE STA BENE ALLA CHIESA?
Fonte web - Giuseppe Sermonti
La teoria dell'evoluzione è la storia del mondo e dei
viventi sottratta al Creatore. Darwin non ha bisogno di Dio. Perché allora la
Chiesa romana, negli ultimi cinquant'anni, non ha preso posizione contro la
teoria dell'evoluzione darwiniana? Giovanni Paolo II è arrivato anzi a
dichiarare, era il 1986, che "…nuove conoscenze conducono a non considerare più
la teoria dell'evoluzione una mera ipotesi." Se non è un'ipotesi, è un fatto.
Naturalmente, la Chiesa non accetta il corollario che l'anima sia un
sottoprodotto del cervello, ma considera questa proposta come un'incongrua
intromissione di teorie materialistiche in un contesto scientifico. Qualcuno ha
suggerito che la Chiesa non ha voluto fare su Darwin un secondo caso Galileo. Ma
le ragioni della sua adesione a Darwin, che riposa in pace accanto a Newton
nella Westminster Abbey, sono molto più sottili e profonde.
L'argomento è stato trattato da Joseph Ratzinger nel 1968, nel corso della sua
splendida "Introduzione al Cristianesimo" (Queriniana, 2003, 12 edizioni), in un
capitolo intitolato "A che punto siamo con la credenza in Dio". Affrontando il
mistero dell'essere, Ratzinger rifiuta, insieme al materialismo, l'idealismo. La
materia è, per il vescovo di Cracovia, un'entità senza coscienza, "un entità che
non si auto-comprende": la coscienza è degradata dal materialista a secrezione
neuronale.
Ma neppure la via idealista convince il teologo bavarese. Gli esseri,
rappresentati come pure entità pensate da Dio, da una coscienza creatrice,
sarebbero entità statiche, perfette e eterne. Sarebbero come le idee platoniche
o la matematica pitagorica, forme già pensate prima di noi. Il nostro pensiero
non sarebbe ideazione libera, ma solo ripensamento. Il matematico, argomenta,
non può scoprire che matematica, e davanti a un melo in fiore gli sfugge
"l'altamente superfluo miracolo della bellezza." Il Dio cristiano non è
obbligato dalla "geometria" del cosmo, non è anonimo e neutrale come un
professore di matematica con i suoi teoremi, ma è autentica Persona, dotata di
somma Libertà.
Egli non solo crea e conosce le sue creature, ma le ama e su di esse riversa una
dotazione di amore, di senso del bello, di rischio del male, insomma di libertà.
In questa visione ratzingeriana, la persona particolare prevale sull'universale,
e "il minimo diventa massimo" in quanto unico e irripetibile, libero e genuino.
La vigna del Signore prevale sulla immensità del firmamento.
Che cosa ha da dire il naturalista di questa asserita priorità del particolare,
della preminenza del singolare sull'assoluto? Anche nella storia naturale è in
atto una contrapposizione, tra chi fonda la sua scienza sulle tipologie e chi
invece privilegia il particolare e considera i tipi pure astrazioni. Il singolo
cavallo, è, per il tipologo, la manifestazione di una realtà astratta, il
cavallo "ideale". Per chi invece si rivolge solo agli individui e alle loro
comunità (il popolazionista) esso non è niente più che la media di una
popolazione di cavalli. "Ogni grande controversia nel campo dell'Evoluzione,
scrisse Ernst Mayr nel 1970, è stata una controversia tra un tipologista e un
popolazionista." Per il tipologista, precisa François Jacob (1971), "solo il
tipo ha realtà; gli oggetti si limitano a rifletterla". Per il popolazionista il
tipo medio è "un'astrazione; solo gli individui, con le loro particolarità e
differenze, con le loro variazioni, hanno realtà concreta."
Tipologista e popolazionista di Mayr corrispondono a idealista e materialista
nel linguaggio di Ratzinger. Distaccandosi dalla scienza tipologica e statica
dell'ottocento, Darwin inaugura la visione popolazionista, e si concentra sui
singoli individui che formano la collettività. Per il naturalista inglese la
specie (il tipo) è una realtà vaga e transitoria, quel che conta è il singolo e
sono le sue variazioni, i suoi errori, che costruiscono le specie future. Il
trascendente ferma l'evoluzione, il contingente la consente. Scrive François
Jacob: "L'introduzione del contingente nel mondo vivente, ad opera di Darwin e
Wallace, rappresenta per la biologia il 'tutto è permesso' di Ivan Karamazov,".
Ratzinger opta anch'egli per la supremazia della libertà sulla geometria: del
particolare sull'universale: "Non lasciarsi coartare dalla grandezza massima, ma
lasciarsi afferrare dalla minima - scrive - è una prerogativa realmente divina."
In questo modo egli si avvicina alla visione darwiniana, che si focalizza sul
quotidiano. Anche per il naturalista inglese le vicende del mondo sono fondate
sulle traversie testimoniate nel tempo presente, nell'attualità.
Nella sua "Origine delle Specie" l' "attualismo" del suo mentore Ch. Lyell è
opposto al "catastrofismo" dei grandi sistematici e il mistero della Creazione è
risolto nel romanzo dell'oggi." Scrive un secolo e mezzo dopo Henry Gee ("Tempo
Profondo", Einaudi 2006): "Questa lettura lineare o progressiva della nostra
epopea, così simile alla trama di un romanzo, riflette tutt'al più i nostri
pregiudizi, ma si adatta davvero male ai dati empirici della paleontologia. Il
problema è che i romanzi sono ambientati in tempi brevi, quotidiani, mentre
l'evoluzione si svolge nel 'tempo profondo', in quel particolare ambiente
scandito da milioni di anni nel quale i fossili sono solo piccole isole remote,
collegate tra loro da null'altro che dalle nostre supposizioni."
Darwin e Wallace non hanno risolto il mistero dell'esistenza, come pretende
Richard Dawkins. Essi, con Mendel, hanno introdotto la contabilità nella natura,
ma vi hanno escluso la immensità e l'eterno. Essi hanno preteso di apprendere
dal recinto di allevamento o dall'orto del convento l'inaudito miracolo che ha
luogo nella misteriosa dimensione del tempo profondo. Come si dice in termini
tecnici, hanno spiegato la macroevoluzione con la microevoluzione.
Ed oggi accade che, mentre la Chiesa rivolge la sua benevolenza alla evoluzione
storica dei viventi, la biologia se ne sta allontanando delusa, preferendo
dedicare il suo impegno alla manipolazione artificiale della vita e dello stesso
uomo, non più al /factum/ ma al /faciendum/. Anche questa visione del mondo
(come officina da lavoro) non è del tutto estranea alla tradizione
ebraico-cristiana. Non ci dobbiamo stupire pertanto se il magistero della
Chiesa, pur con le debite riserve, non sia decisamente all'opposizione neppure
nel campo dei progetti di intervento della genetica e della trapiantologia
sull'uomo, alla futuristica evoluzione sotto vetro.
Darwin fatto a pezzi al TG del secondo canale
PRETI EVOLUZIONISTI
E SCIENZIATI CREAZIONISTI
Secondo la cultura laica, scientifica e
materialista oggi dominante in Occidente, si può credere nel racconto biblico
sulla creazione solo ignorando la conoscenza scientifica; sorprende che a
sostenere tale tesi sia anche il padre gesuita Giuseppe De Rosa con due articoli
apparsi su La Civiltà Cattolica, autorevole rivista cattolica, solitamente in
forte sintonia con la Santa Sede. Gli articoli sono stati entrambi onorati con
la posizione di apertura dei quaderni n. 3715 del 2 aprile 2005 (pp. 3-14), e n.
3730 del 19 novembre 2005 (pp. 319-329).
La tesi è sostenuta con chiarezza: «Quando un cristiano, divenuto adulto,
ritorna con il pensiero a quanto gli è stato insegnato nelle lezioni di
catechismo […] si chiede – scettico e sconcertato – se quello che gli è stato
detto di Adamo, formato dal fango della terra […] di Eva […]dell’albero del bene
e del male […] del serpente che inganna Eva […] non siano che favole per bambini
da non prendersi sul serio. Se poi questo cristiano ha raggiunto un livello
culturale abbastanza alto; in particolare, se conosce, anche soltanto in maniera
elementare, ciò che la scienza oggi insegna sull’origine dell’uomo con la teoria
dell’evoluzione, rimarrà scandalizzato dall’atteggiamento della Chiesa che
continua a insegnare quella che può apparire una favola per bambini e si
convincerà che c’è opposizione tra quanto insegna la fede cristiana e quanto
afferma la scienza. Si pone così il problema: circa l’origine dell’uomo, davvero
c’è opposizione tra quanto afferma la teoria dell’evoluzione, che la maggior
parte degli scienziati ritiene fondata su prove sicure (anche se non mancano gli
scienziati seri che rifiutano tale teoria), e quanto viene affermato nella Sacra
Scrittura? La risposta è: no. E il motivo è che la Bibbia è un libro che vuol
dare non un insegnamento ‘scientifico’, ma un insegnamento ‘religioso’. Non
vuole, cioè, insegnare ‘come’ storicamente è apparso l’uomo, ma ‘chi’ è l’uomo
nel suo rapporto con Dio.» (quaderno 3730, 19 novembre 2005, p. 319).
Ad aprire gli occhi di padre De Rosa, cioè a fargli capire che il racconto
biblico della creazione è una favola, non è stata dunque una rivelazione divina,
ma una teoria scientifica – la teoria dell’evoluzione – nonostante il fatto che,
come De Rosa stesso ammette, «non mancano gli scienziati seri che rifiutano tale
teoria». Rimane un mistero perché padre De Rosa abbia scelto di seguire gli
scienziati che accettano l’evoluzione, anziché quelli che la rifiutano: forse
per amore della scienza? Non ci sarebbe nulla di strano, dato che i gesuiti
hanno sempre avuto un grande interesse per la scienza, anche se forse non è
stata la scienza il campo nel quale si sono maggiormente distinti durante la
loro lunga storia. Qui, ad esempio, l’autorevole scrittore accetta come scienza
niente meno che una teoria rifiutata da molti scienziati seri, i quali la
ritengono soltanto una rispettabile idea e fra i quali, a titolo di esempio,
possiamo citare gli italiani Antonino Zichichi, Giuseppe Sermonti, Roberto Fondi
e Giulio Dante Guerra; mentre fuori d’Italia troviamo fra gli altri Michael
Denton, William Dembski, Michael Behe, Lee Spetner, Werner Gitt, Dean Kenyon,
Walter Veith e molti altri. Per non parlare del libro di John Ashton, tradotto
anche in italiano (L’origine dell’Universo, Milano, Armenia, 2003, per la
recensione vedi http://www.creazionismo.org/articolo.asp?id=41), nel quale 50
scienziati di tutto il mondo spiegano perché credono nel racconto biblico della
creazione, lo stesso racconto che per il padre gesuita è invece una «favola per
bambini, da non prendersi sul serio».
Prosegue De Rosa: «In realtà, è fuorviante prendere alla lettera ciò che è detto
circa la formazione dell’uomo e della donna nel secondo capitolo della Genesi,
dando della Bibbia una lettura fondamentalista, come sta avvenendo attualmente
in alcuni territori degli Stati Uniti, con la conseguenza di opporre la Bibbia
alla teoria dell’evoluzione.» (quaderno 3730, 19 novembre 2005, p. 325) Si può
rispondere che non è vero che a considerare il racconto non metaforico siano
soltanto pochi fondamentalisti in alcuni territori degli Stati Uniti, perché i
primi undici capitoli della Genesi sono ritenuti appartenenti al genere
storiografico (o storico-letterario) da molti teologi e praticamente dalla
totalità degli studiosi dell’Antico Testamento: sia di religione ebraica, come i
rabbini Michel Yehuda Lefkovitz, Nissim Karelitz e Chaim Kanyevsky, sia
cristiani di vario tipo, come lo ieromonaco Serafim Rouz e l’archimandrita
Iannuarij Ivliev (russi ortodossi), mentre in Occidente abbiamo Herman Bavinck,
Julius Wellhausen, G. Ernest Wright, James Barr, Gerhard von Rad (quest’ultimo
citato dallo stesso De Rosa) e molti altri.
Come si vede, in tutte le religioni basate sulla Bibbia vi sono sia credenti
“creazionisti” che credenti “evoluzionisti”. Che sappia io, nessuna chiesa –
tranne alcune sette ebraiche ortodosse – obbliga i propri membri a fare una
scelta netta tra “evoluzionismo” e “creazionismo biblico”, ma lascia i membri
liberi di scegliere tra le diverse interpretazioni del racconto della creazione.
Ed è per questo che all’interno di tutte le chiese coesistono diverse
interpretazioni del testo della Genesi e questo vale anche per la Chiesa
cattolica, nella quale padre De Rosa è in buona compagnia, come si può vedere
dai recenti interventi “filoevoluzionisti” del cardinale Poupard e del gesuita e
astronomo George Coyne e in due monumentali opere teologiche (J. Feiner & L
Fischer eds., Neues Glaubensbuch. Degemeinsame christliche Glaube,
Freiburg-Basel-Wien, 1973, pp. 686 e B. Chenu & F. Coudreau eds., La foi des
catholiques. Catéchèse fondamentale, Paris, 1984, pp. 736), dove in riferimento
alla creazione si trovano frasi come « I concetti di selezione e mutazione sono
intellettualmente molto più onesti rispetto a quello di creazione » ; «La
creazione come un progetto cosmico è un idea ormai sorpassata », «Il concetto di
creazione è addirittura un concetto irreale»; «La creazione significa una
chiamata all’uomo. Qualsiasi altra cosa venga detta di essa, persino nella
Bibbia, non è il messaggio della creazione stessa, ma piuttosto la sua
formulazione in parte mitologica e in parte apocalittica»; «Parlando di Dio come
Creatore significa che il primo e ultimo significato della vita si trova in Dio
stesso, presente intimamente nel nostro essere». Ho scelto queste precise
citazioni perché sono state commentate da un teologo cattolico particolare,
l’allora cardinal Joseph Ratzinger, poi divenuto papa Benedetto XVI, che ha
scritto: «Tale riduzione ‘esistenzialista’ del tema della creazione determina,
però, una enorme (se non completa) perdita della realtà della fede, il cui Dio
non ha più nulla a che vedere con la materia.» (J. Ratzinger, In the Beginning.
A Catholic Understanding of the Story of Creation and the Fall, Edinburgh, T&T
Clark, 1995, p. XII). Più recentemente Joseph Ratzinger, nella sua omelia
durante la Messa “Pro eligendo Romano Pontifice” del 18 aprile 2005, ha
stigmatizzato la «moderna opinione» (che è anche l’opinione di molti moderni
teologi), secondo la quale «avere una fede chiara, secondo il Credo della
Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo» (http://www.zenit.org/italian,
archivio, 18 aprile 2005, codice ZI05041816).
È evidente, dunque, come l’argomento abbia delle implicazioni sulla fede e io,
data la mia incompetenza, mi sono limitato a fornire solo alcune citazioni.
Torniamo però agli aspetti scientifici a me più congeniali. Dal punto di vista
della metodologia della scienza non è difficile capire il motivo del paradosso
che vede, da una parte scienziati che credono nella creazione biblica,
dall’altra teologi che credono nell’evoluzione. Nelle scienze naturali - fisica,
chimica, biologia – abbiamo due diversi “tipi” di scienza. Una, chiamata anche
scienza sperimentale o operativa, studia i fenomeni osservabili, misurabili,
sperimentabili e riproducibili; l’altra, chiamata storica, studia invece eventi
e fenomeni verificatisi in passato, perciò non direttamente osservabili e non
riproducibili. Le teorie delle scienze operative possono essere sottoposte a
verifica e quindi convalidate o smentite (falsificate); mentre le teorie delle
scienze storiche non possono esserlo, e di conseguenza non possono essere né
convalidate né falsificate, quantomeno non nel modo che è invece possibile nelle
scienze operative. L’evoluzione è una scienza storica, per la quale non valgono
le severe regole e il rigore scientifico applicati nella scienza sperimentale e
operativa, ciò rende la teoria dell’evoluzione un’idea o concezione più
filosofica e ideologica che scientifica: per questo molti scienziati non si
sentono obbligati a crederla. In compenso, però, la credono molti teologi.
Quanto a me, tra scienziati creazionisti e teologi evoluzionisti scelgo i primi.
È una scelta intellettualmente più appagante, anche se una mia anziana zia mi ha
avvertito che riuscire a smentire Darwin non avvicina necessariamente a Dio.
D’altronde è l’unica scelta che posso fare, dato che la mia preparazione è più
scientifica che teologica. Quanto a padre De Rosa ed ai moderni teologi che la
pensano come lui, il loro sforzo di armonizzare le Sacre Scritture con le
acquisizioni scientifiche non solo è apprezzabile e lodevole, ma è addirittura
indispensabile se si vuole avere una fede accettabile anche per la ragione. Per
farlo occorre però conoscere bene la scienza e la natura del metodo scientifico,
altrimenti si finisce per confondere le acquisizioni della scienza sperimentale
con le elaborazioni mentali, le idee, i concetti, i paradigmi, le visioni del
mondo e le cornici interpretative basati sui preconcetti del naturalismo
(materialismo filosofico): è solo per armonizzarlo con questi preconcetti che è
necessario declassare il racconto biblico a mito o favola. La vera scienza è
infatti più compatibile con il racconto biblico che con le teorie evoluzioniste;
lo credeva già san Tommaso d’Aquino, che considerava la ragione e la fede come
provenienti entrambe da Dio, perciò che non possono contraddirsi. Dato il
livello delle conoscenze dell’epoca, per san Tommaso questa era semplicemente
una dichiarazione di fede, ma dopo settecentocinquanta anni e alla luce
dell’attuale livello delle conoscenze scientifiche, oggi più che fede è una
constatazione. Ciò è stato percepito anche dall’allora cardinal Ratzinger che ha
scritto: «Passiamo direttamente alla questione dell’evoluzione e dei suoi
meccanismi. La microbiologia e la biochimica hanno portato a conoscenze
rivoluzionarie in questo campo. […] Dobbiamo avere il coraggio di dire che i
grandi progetti del creato vivente non sono i prodotti del caso e dell’errore.
[…] I grandi progetti del creato vivente indicano una Ragione creatrice ed una
Intelligenza creatrice, e lo fanno oggi in modo più evidente e più chiaro che
mai.» (Joseph Ratzinger, op. cit., pp. 54-56).
Sono ormai 150 anni che gli scienziati di fede materialista cercano di inficiare
il racconto della Genesi. Nonostante il grande impegno e l’importante aiuto
fornito loro da molti teologi moderni, fino ad oggi tutti i tentativi in tal
senso sono falliti. Con l’aumento delle conoscenze scientifiche e contrariamente
alle attese, le teorie materialiste delle origini sono diventate sempre più
speculative, sempre più in contrasto con i dati delle osservazioni e con le
leggi naturali. Perciò coloro che hanno scelto di credere alle Sacre Scritture
ebraico-cristiane hanno davvero di che essere contenti: il loro Sacro e Antico
Libro non contiene solo regole morali e promesse di salvezza, ma consente loro
anche di interpretare la storia del mondo meglio di tanti uomini con più alta
istruzione, che però hanno scelto la cornice interpretativa della filosofia
materialista e i concetti da essa derivati.
Dentro la Chiesa si è fatto strada un darwinismo teista che in pratica sconfessa il libro della Genesi e il Peccato d'origine. Chi creò il cielo e la terra? Chi creò gli esseri viventi e l'uomo? La selezione naturale o Dio? Chi compì il Peccato originale? Il nostro avo scimmione o l'uomo primitivo di neanderthal? Per questo oggi nei seminari si insegna ai futuri preti che la storia di Adamo ed Eva sono tutte fole ed è ancora per questo che la realtà teologica del Peccato d'origine è sparito dalle prediche.
Intelligent Design, Finalmente una sfida
seria alla religione evoluzionista
Il "creazionismo scientifico" scuote il torpore del dogmatismo darwinista
e scansa i bassifondi in cui s’incagliano i letteralisti biblici
Fonte web - di Guglielmo Piombini
La clamorosa abiura dell’ateismo da parte di uno dei suoi
esponenti più famosi, il filosofo Anthony Flew, raccontata e descrita sulle
pagine del Dom da Philip Larrey, ha suscitato scalpore all’interno della
comunità scientifica perché a fargli cambiare idea non è stata un’improvvisa
illuminazione religiosa o una nuova argomentazione filosofica, ma le sempre più
convincenti prove empiriche che sembrano dimostrare, per l’estrema complessità
dell’universo e dei modi in cui si è formata la vita, il coinvolgimento di
un’intelligenza superiore.
Flew ha cioè fatto proprio il “creazionismo scientifico” che il movimento dell’“Intelligent
Design” (“disegno intelligente”) ha iniziato a far circolare con successo sulla
scena pubblica statunitense a partire dalla metà degli anni Novanta del secolo
scorso. La tesi centrale del “disegno intelligente” è che il caso e la selezione
naturale, le forze che per i darwinisti spingono l’evoluzione, non sono
sufficienti a spiegare le caratteristiche degli esseri viventi, la cui
complessità si comprende meglio postulando una causa intelligente piuttosto che
un processo senza direzione.
Questa rivolta contro le dominanti teorie evoluzioniste, nata all’interno del
mondo scientifico, ha la sua data di origine nel 1985, anno di pubblicazione del
libro Evolution: a Theory in Crisis di Michael Denton. Secondo questo chimico e
medico australiano, la teoria evoluzionista aveva accumulato troppi problemi
irrisolti che non si potevano più ignorare. Denton elencava in maniera
dettagliata più di venti organi esistenti in natura, a partire dal polmone degli
uccelli, che non avrebbero mai potuto formarsi a poco a poco, per numerose,
successive e piccole modificazioni, perché nella forma intermedia non avrebbero
funzionato.
La conclusione del libro era perentoria: la teoria darwiniana della
macroevoluzione, che dovrebbe spiegare il passaggio da una specie all’altra,
«dal 1859 a oggi non è stata confermata da una sola scoperta empirica ». In
queste condizioni, avvertiva Denton, il paradigma scientifico del darwinismo era
destinato a entrare presto in crisi.
Uomini e topi, e scienziati
Denton si considerava peraltro agnostico e non proponeva una teoria alternativa
al darwinismo. Il suo libro si rivelò tuttavia decisivo nella nascita dell’“Intelligent
Design” perché aveva un’impostazione scientifica molto più rigorosa del
tradizionale creazionismo biblico. Anche l’attuale leader del movimento del
“disegno intelligente”, il docente di Diritto dell’università californiana di
Berkeley Philip Johnson, ha affermato di essersi «risvegliato dal sonno
dogmatico» proprio grazie alla lettura di questo libro. La storia della
conversione di Johnson è singolare: nel 1987, osservando la vetrina di una
libreria scientifica di Londra, nota due libri affiancati, The Blind Watchmaker
di Richard Dawkins – il più famoso sostenitore del darwinismo – ed Evolution: A
Theory in Crisis di Denton. Li acquista entrambi e li legge senza interruzione
la sera stessa. Alla fine le argomentazioni di Dawkins l’avevano lasciato
perplesso, ma la critica di Denton gli era apparsa irresistibile.
Non essendo uno scienziato, Johnson decide che da quel momento avrebbe studiato
quanto più poteva l’argomento. Negli anni successivi, terminato il periodo di
preparazione, organizza dunque una serie di convegni in ambito universitario e
s’impegna personalmente in decine di dibattiti pubblici con i maggiori campioni
dell’evoluzionismo (come Stephen Jay Gould), mettendo le proprie notevoli
capacità logiche e dialettiche, allenate in decenni di pratica giudiziaria, al
servizio della critica al darwinismo.
Nel 1991 pubblica un libro che diventa una pietra miliare del movimento, Darwin
On Trial, nel quale accusa i darwinisti di fondare le proprie teorie non su
prove scientifiche, che anzi le smentirebbero, ma su una filosofia metafisica a
priori, il materialismo. Il darwinismo, secondo Johnson, svolge infatti il ruolo
di mito fondante della cultura moderna; funziona cioè come un dogma religioso
che tutti debbono accettare come vero, piuttosto che come una ipotesi
scientifica da sottomettere a test rigorosi.
L’attività di Johnson apre così la strada alle intuizioni di alcuni scienziati
creativi che nella seconda metà degli anni Novanta sviluppano esplicitamente, in
maniera costruttiva e positiva, una teoria a favore del “disegno intelligente”.
Nel 1996 in un articolo pubblicato dal biochimico Michael Behe su The New York
Times, intitolato (in traduzione) “Darwin al microscopio”, compare per la prima
volta – tutto verrà poi sviluppato e approfondito nel libro Darwin’s Black Box.
The Biochemical Challenge to Evolution – l’“eresia” secondo cui esisterebbe una
teoria chiamata “disegno intelligente” in grado di spiegare meglio del
darwinismo la formazione di tanti meccanismi molecolari “irriducibilmente
complessi”, quali per esempio le funzioni della cellula o la coagulazione del
sangue.
Il concetto di “complessità irriducibile” viene elaborato da Behe per descrivere
quei meccanismi il cui funzionamento dipende dall’interazione di molte parti.
Questi sistemi non possono formarsi per lenta evoluzione, ma debbono
necessariamente essere progettati e assemblati tutti in una volta, come solo
l’intelligenza sa fare. Per spiegare il concetto in termini comprensibili, Behe
fa l’esempio della trappola per topi, che è composta da cinque parti e che non
potrebbe funzionare se anche solo una di queste venisse rimossa. La stessa
cellula è infinitamente più complessa di quanto si poteva ipotizzare ai tempi di
Charles Darwin.
La credibilità di Behe come scienziato dà al suo libro un grande successo
(45mila copie vendute in un anno e centinaia di recensioni) e fa di lui il
personaggio più in vista del movimento. I darwinisti lo accusano però di aver
mischiato le proprie convinzioni cattoliche con la scienza. Ma per quale motivo,
si chiede Behe, bisogna limitare l’oggetto della scienza alle sole spiegazioni
materialiste, anche quando la ricerca conduce a spiegazioni diverse?
Se le prove empiriche rendono plausibile l’esistenza di un “progetto
intelligente” nella natura, perché un ricercatore non dovrebbe accettarle?
Esaminando un sistema, spiega Behe, lo scienziato può inferire l’esistenza di un
“disegno intelligente”, ma non può stabilire chi sia il progettista. È possibile
immaginarlo come un essere supremo, ma non spetta agli scienziati descriverlo.
La scienza a questo punto deve fermarsi, lasciando il posto alla teologia.
Il filtro di William Dembsky
Un importante contributo alla questione del rapporto tra religione, scienza e
“disegno intelligente” viene dunque sviluppato dal matematico William Dembsky
nel libro Mere Creation del 1997, che raccoglie gl’interventi del convegno
svoltosi nel novembre 1996 alla Biola University di Los Angeles, vero punto di
svolta per l’intero movimento.
Dembsky osserva che in altri campi l’individuazione degl’indizi di un intervento
intelligente è un’attività comunissima: si pensi all’archeologia, quando occorre
stabilire se un oggetto ritrovato sia o meno un manufatto; al programma SETI per
intercettare eventuali segni d’intelligenza extraterrestre provenienti dal
cosmo; alle investigazioni legali per stabilire se un determinato evento sia
stato causato da un fatto naturale o da un’azione dolosa e intenzionale; ai
brevetti, dove occorre stabilire se si è verificata un’imitazione deliberata o
dovuta al caso; all’analisi della falsificazione dei dati; alla crittografia e
alla decifrazione dei codici segreti.
Nell’esperienza comune, infatti, la presenza d’informazioni viene sempre
associata all’intelligenza, che si tratti di un algoritmo informatico, di un
geroglifico, di un utensile o di un disegno tracciato sulle pareti di una
caverna. Per Dembsky non c’è ragione per non applicare queste stesse tecniche
anche alle scienze naturali, onde spiegare per esempio l’enorme quantità
d’informazioni presente nel DNA come il prodotto di un “disegno intelligente”.
Dembsky propone infatti un “filtro” capace d’identificare statisticamente in via
generale se un determinato risultato è prodotto dall’intelligenza oppure dal
caso. A un primo livello si verifica se l’evento è altamente probabile, e in
questo caso lo si può attribuire a cause naturali escludendo fin da subito che
sia stato progettato. A un secondo livello, il filtro stabilisce se l’evento è
solo mediamente improbabile (per esempio, una scala reale nel poker): anche in
questa ipotesi il caso è una spiegazione sufficiente.
Al terzo livello del filtro rimangono solo i risultati altamente improbabili, ma
anche in questi casi non li si può classificare subito come progettati. Debbono
infatti anche essere “specifici”, ovvero debbono conformarsi a un determinato
schema identificabile. Così, per esempio, se per cinque volte consecutive
durante una partita di poker capita una scala reale alla stessa persona, è più
razionale attribuire questi esiti non alla fortuna, ma alla deliberata azione di
un baro.
Vi sono però moltissimi sistemi del mondo naturale che gli evoluzionisti
attribuiscono al caso, come l’origine e l’evoluzione della vita, che sono in
verità così altamente improbabili da passare questo severo test statistico e
rientrare necessariamente tra quelli progettati da un’intelligenza. Ogni persona
sana di mente, osserva Dembsky, guardando i volti dei presidenti degli Stati
Uniti scolpiti sul famoso monte Rushmore, li attribuirebbe a una causa
intelligente e non all’erosione naturale. Ma allora, se è logico vedere
l’intelligenza all’opera in una scultura, come non vederla in un corpo umano
infinitamente più complesso?
Le icone di Jonathan Wells
Un altro duro colpo all’ortodossia evoluzionista è poi arrivato dallo scienziato
“iconoclasta” Jonathan Wells, il quale, per mettere in luce l’approccio
dogmatico e fideistico con cui il darwinismo viene insegnato nelle scuole, ha
denunciato, nel libro The Icons of Evolution (uscito nel 2000), le inaccuratezze
scientifiche, se non le vere e proprie frodi, che riempiono i più diffusi
manuali di biologia.
Le “icone” dell’evoluzione sarebbero quelle quattro immagini ormai classiche che
da decenni continuano a essere riproposte nei testi degli studenti per
illustrare le “conquiste scientifiche” del darwinismo: l’esperimento di Stanley
Miller sull’origine della vita, l’albero della vita darwiniano, gli embrioni di
Ernst Haeckel e l’archaeopterix, cioè il presunto anello di congiunzione tra i
rettili e gli uccelli.
Malgrado la scienza abbia da tempo negato ogni loro validità, queste proverbiali
quattro immagini continuano a essere proposte come se nulla fosse. Non è vero
infatti che nel 1953 Miller riuscì a ricreare la vita in laboratorio da una
mistura chimica simile al brodo primordiale: riuscì solo a far scaturire un
aminoacido, ma per arrivare da questo a una cellula vivente il salto è
lunghissimo. Anche l’immagine dell’albero darwiniano della vita, con i rami che
si dipartono da un capostipite comune, non ha nessuna corrispondenza con le
scoperte della paleontologia, dato che non sono mai stati ritrovati gli “anelli
intermedi” tra una specie e l’altra. Dai ritrovamenti fossili, al contrario,
sembra che le specie viventi siano apparse più o meno simultaneamente, già
perfettamente formate, nella grande esplosione di vita del Cambriano, circa 540
milioni di anni fa. E l’archaeopterix, come si è scoperto, non era affatto mezzo
rettile e mezzo uccello: non era nemmeno il progenitore degli attuali uccelli,
era solo il membro di un gruppo di uccelli totalmente estinto.
La presenza nei libri di testo dei disegni degli embrioni di Haeckel (uno dei
padri fondatori dell’eugenetica, morto nel 1919) è però ancora più grave,
trattandosi di una frode conclamata. L’obiettivo di Haeckel, mostrando la
rassomiglianza tra diverse specie nelle prime fasi di vita, era quello di
dimostrare l’origine comune di tutti i viventi, come se lo sviluppo
dell’embrione riproducesse il meccanismo generale dell’evoluzione da uno stadio
indifferenziato verso stadi differenziati. Peccato però che Haeckel avesse
alterato di proposito i disegni degli embrioni e che avesse scelto degli esempi
di comodo, oltretutto non riguardanti i primi stadi di vita.
Oggi i biologi sanno bene come gli embrioni delle varie specie all’inizio non si
somiglino affatto tra loro. Per Wells una frode di questo genere, per altro ben
risaputa, rappresenta l’equivalente accademico di un omicidio ed è altamente
rappresentativa dei metodi sleali che l’establishment evoluzionista è disposto
ad adottare per difendere le proprie teorie. Oggi, insomma, i fautori del
“disegno intelligente” si sentono dei rivoluzionari intenzionati a trasformare
il modo in cui l’origine della vita viene insegnata nelle scuole, nelle
università e nei programmi televisivi, e affermano di voler combattere in nome
della libertà di pensiero: non cioè per cancellare l’evoluzionismo dai programmi
scolastici, ma per farlo studiare di più, approfondendone anche i punti deboli e
le teorie alternative.
Per l’ortodossia darwinista sono avversari molto più pericolosi dei creazionisti biblici, perché grazie alle loro eccellenti credenziali accademiche hanno reso per la prima volta la critica antievoluzionista intellettualmente rispettabile.
La testa di Darwin - Il padre dell’evoluzionismo era
convinto che i suoi studi gli avessero modificato il cranio
In un passo della sua curiosa “Autobiografia” Charles Darwin ci offre uno spaccato sulle incredibili convinzioni della sua epoca. Racconta infatti di aver inviato una propria fotografia a una società di psicologi seguaci della frenologia, che gli avrebbero consigliato di intraprendere la vita ecclesiastica: “La forma del mio cranio era stata argomento di pubblico dibattito, e uno degli oratori aveva dichiarato che avevo il bernoccolo sacerdotale tanto sviluppato da bastare per dieci preti”.
Darwin non dice nulla riguardo al modo con cui accolse l’indicazione, ma sembra, da quanto aggiunge subito dopo, che cercò, almeno inizialmente, di tenerne conto. Infatti solo poche pagine più avanti aggiunge: “E’ probabile che il mio cervello si sia sviluppato proprio nel corso delle ricerche compiute durante il viaggio: lo dimostra una osservazione di mio padre… la prima volta che mi vide dopo il viaggio, si volse alle mie sorelle ed esclamò: ‘Guardate, gli è cambiata la forma della testa’”.
Darwin dimostra così di credere che l’aver passato cinque anni a riflettere sull’evoluzione avrebbe in qualche modo determinato una evoluzione della sua intelligenza, tradottasi, molto concretamente, in una mutazione della forma cranica. La cosa potrebbe stupire solo chi conosca il suo pensiero attraverso i nostri ridicoli manuali della scuola dell’obbligo. Non invece chi, leggendo le sue opere originali, le ha trovate disseminate sia di affermazioni sconcertanti dal punto di vista scientifico, che di dichiarazioni apertamente classiste e razziste: ad esempio sull’inferiorità degli irlandesi, sulla necessità di limitare, come con le bestie, la riproduzione degli umani “inferiori”, o sulla superiorità mentale e fisica dell’uomo sulla donna.
Ma non ci si deve in realtà meravigliare: la frenologia, a cui Darwin fa riferimento nei suoi apprezzamenti sul proprio cranio, riprende le concezioni della fisiognomica, e le ripropone nelle teorizzazioni di Joseph Gall, all’inizio dell’Ottocento. Secondo Gall esiste “una corrispondenza tra l’intelligenza dell’uomo e la sua conformazione cranica”: si arriva a sostenere che la “conformazione cranica dei neri, rivelandosi eccessivamente stretta, è sinonimo di una intelligenza inferiore, paragonabile a quella delle scimmie” (Cristian Fuschetto, “Fabbricare l’uomo”, Armando). Di qui, da questo sfrenato e antiscientifico materialismo, sgorga, a metà Ottocento, la craniometria di Paul Broca, che facendo coincidere la superiorità intellettuale col volume cerebrale, identifica l’uomo bianco maschio come superiore, i vecchi, le donne e le altre razze come inferiori. L’antropometria diverrà poi uno sport dei divulgatori darwinisti, da Ernst Haeckel a Cesare Lombroso, sino ai nazisti, che misuravano teste ed arti degli indigeni durante le spedizioni in Tibet, alla ricerca delle origini ariane!
Il mio cervello è più grande del tuo.
A ben vedere l’ottica materialista non offre alternative: se l’anima non esiste,
se la libertà, l’intelligenza, la parola, evidentemente immateriali, non sono
altro che materia casualmente evolutasi, come afferma Darwin, allora ciò che ci
distingue dalle scimmie, e tra noi, non è altro che il volume cranico. Non è
altro che un cervello voluminosamente più o meno ampio.
Così purtroppo viene tutt’oggi insegnato ai nostri ragazzi, dal momento che i manuali di scienze ad uso scolastico mostrano, nella ridicola serie di disegnetti dalla scimmia all’uomo, solo teste sempre più grosse (e meno pelose), salvo poi affermare che “la documentazione fossile è alquanto lacunosa”, e che “non si sa con sicurezza quali spinte evolutive hanno favorito l’ingrandimento dell’encefalo” (Audesirk- Byers, “Biologia”, vol. I, Einaudi, 2003). La stazione eretta e la locomozione bipede, la pelle glabra e il cervello più grande, propri dell’uomo, e non della scimmia, donde derivano, si chiede lo stesso testo? “La risposta è che nessuno lo sa”: però, forse, ha ragione Wheeler, quando “suggerisce che i nostri antenati avrebbero sviluppato la stazione eretta perché questa consente di ridurre al minimo la superficie di esposizione al sole cocente della savana”. Wheeler, capace di tanta fantascienza, ipotizza poi che “fu solo in seguito allo sviluppo della stazione eretta e della pelle glabra che la capacità di disperdere calore raggiunse livelli tali da consentire l’aumento della massa cerebrale”.
Molto più logico, e scientifico, il premio Nobel per la medicina (neurofisiologia) Sir John Eccles: “Mi vedo obbligato ad attribuire l’unicità della psiche, o anima, a una creazione spirituale soprannaturale. In termini teologici: ogni anima è una nuova creazione divina”.
APPROFONDIMENTO
È plausibile l’attuale spiegazione dell’origine della vita? E quale deve essere il rapporto tra scienza e teologia? Una riflessione del cardinale Schönborn
Tempo fa ebbi modo di ascoltare il cardinale Paul Poupard: lo giudicai, come molti della sua casta, un «superficiale», per usare un eufemismo. L'impressione è confermata dall'ultima uscita del prelato, che ha voluto spezzare la sua lancia a favore del darwinismo. L'evoluzionismo, ha assicurato, «è più che un'ipotesi». La fede nella creazione e la teoria dell'evoluzione «convivono perfettamente». La colpa è dei «fondamentalisti», che «prendono alla lettera il libro della Genesi» e vogliono dargli «un contenuto scientifico». «Quando la Genesi, nel primo libro, parla della creazione del mondo», vuole dire solo «che il mondo non si è fatto da solo, che ha un creatore». Queste frasi rivelano che il cardinale Poupard non sa di cosa parla, e che egli ha tratto tutta la sua informazione dell'attuale polemica fra «creazionismo» ed «evoluzionismo» da un'affrettata lettura di qualche giornale.
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La Chiesa di Roma risponde così
Creazionisti contro darwinisti, “disegno intelligente” contro selezione casuale: la controversia è sempre più accesa. Il papa la studia con un team di esperti. Ecco le verità che vuole riaffermare. E le confusioni che vuole dissipare