LIBIA-GHEDDAFI:

 

ISRAELE DI NASCOSTO FA IL TIFO PER IL

DITTATORE E SPONSORIZZA I MERCENARI

 

In esclusiva per l'Italia le immagini delle proteste in Arabia Saudita,

traballa il trono dell'ultimo sovrano assoluto della Terra!

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

C'é l'ex-Generale israeliano Yisrael Ziv dietro l'improvvisa comparsa di una "force noire" di mercenari africani fra le fila di pretoriani di Gheddafi; ora che il rais di Tripoli ha perso il sostegno delle più influenti e numerose tribù libiche, persino quelle dei nomadi dell'interno, solo arruolando soldati di ventura, sbandati abituati alle peggiori stragi e carneficine delle mille "guerre dimenticate" che dilaniano il Continente Nero (per il tornaconto delle grandi corporazioni occidentali), il Colonnello può sperare di intimidire a sufficienza la popolazione per rimanere in qualche modo in sella.

Altra notizia che, se vera, farebbe subito il giro del mondo. Gheddafi avrebbe sangue ebraico nelle vene visto che una sua nonna era ebrea. Questo è almeno quello che hanno dichiarato pubblicamente ad una TV Israeliana i presunti parenti israeliani del Colonnello.

 

 

INTRODUZIONE

 

Al Jazeera: c’è Israele dietro ai

mercenari usati da Gheddafi

Fonte web

La questione libica si fa sempre più delicata. Soprattutto dopo che una società di sicurezza israeliana, pare con l’approvazione del governo di Tel Aviv, viene ritenuta responsabile dell’invio di gruppi di mercenari centrafricani in Libia per combattere i rivoltosi che da due settimane chiedono la caduta del regime di Gheddafi.

La notizia, lanciata dal sito di Al Jazeera, si basa su una fonte israeliana “qualificata”, un giornalista del quotidiano israeliano “Yediot Ahronoth” che ha confermato le voci che da giorni circolano tra le diplomazie occidentali: «Israele sta guardando alla Libia da un punto di vista di sicurezza e strategico».

La caduta di Gheddafi, secondo fonti di sicurezza israeliane, «aprirebbe la porta a un regime islamico in Libia». In una riunione dello scorso 18 Febbraio, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Ehud Barak e quello degli Esteri Avigdor Liberman, avevano deciso, secondo il giornalista, di «assoldare mercenari africani per combattere al fianco di Gheddafi».

«Nella riunione è stato deciso anche di incaricare il generale Israel Zef, direttore della società di consultazione di sicurezza “Global CST” di Petah Tikva – attiva in molti paesi africani –, di mettere un gruppo di mercenari semi militare provenienti dalla Guinea, Nigeria, Africa Centrale, Mali, Senegal, Darfur e sud Sudan a disposizione di Abdullah Assinousi, uno dei responsabili dell’intelligence libica».

 

 

Contro i mercenari di Gheddafi (assoldati da Israele) si mobilitano

i volontari di Bengasi e di tutta la Cirenaica!

 

Mercenari morti esposti in pubblico in Libia

 

 

SE IL MOSSAD DA UNA MANO A GHEDDAFI

La stampa israeliana: «I nostri Servizi lavorano per il Colonnello». La rivelazione: Mercenari reclutati da Global Cst - Il via libera dallo stesso Netanyahu per evitare la vittoria degli islamici.

Fonte web

Mercenari africani in Libia«Leggenda, oppure verità», titola il quotidiano israeliano Maariv per raccontare una storia che sembra uscita da un intrigante romanzo di fantapolitica. Quei mercenari, africani ma non soltanto, che stanno combattendo in Libia per cercare di salvare Gheddafi sarebbero stati reclutati da una famosa organizzazione di Tel Aviv. Su richiesta del leader libico. E con il beneplacito delle più alte sfere del governo Netanyahu. Negli anni Ottanta, quando la Giamahiria figurava tra gli stati dell'«Asse del male», Yehezkel Dror, professore emerito dell'Università ebraica di Gerusalemme e consulente del Ministero della Difesa israeliano, mi disse che «se non fosse esistito, il leader libico andava inventato».

La spiegazione: essendo molto meno pericoloso di quello che appariva, consentiva all'Occidente di flettere i muscoli quando con altri «regimi canaglia» sarebbe stato, dal punto di vista strategico, molto rischioso. Con il tempo, il nome della Libia fu tolto dalla lavagna nera dei cattivi, anche perché, si diceva, costituiva un baluardo contro l'avanzata dell'Islam radicale in Africa del Nord. E sarebbe proprio per questo motivo che Israele avrebbe voluto mantenerlo sul trono della Giamahiria. Giorni fa la tv araba Al Jazeera raccontò di aver saputo da un non meglio identificato giornalista del quotidiano Yediot Aharonot una storia che ha dell'incredibile. Il 18 febbraio il premier israeliano avrebbe riunito attorno a sé i suoi colleghi della Difesa Ehud Barak, degli Esteri Avigdor Lieberman e il capo dell'intelligence militare, generale Aviv Cochavi.

Dovevano decidere su una richiesta arrivata da uno dei capi dei servizi segreti di Tripoli. La Libia non riconosce Israele ma sono sempre esistiti rapporti indiretti tra i due Paesi. Tanto che, anni fa, il Mossad salvò la vita di Gheddafi facendogli arrivare notizia di un complotto ordito ai suoi danni. Ora, secondo il racconto, Gheddafi chiedeva aiuto e faceva leva sulla paura degli israeliani di veder nascere in Libia uno stato islamico fondamentalista. Voleva mercenari e la Global Cst, diretta da un ex capo di stato maggiore, il generale Ziv, è famosa per queste cose: è sufficiente ricordare la liberazione di Ingrid Betancourt in Colombia.

La richiesta era per cinquantamila mercenari. La cifra concordata, cinque miliardi di dollari. La Global Cst è presente in molti Paesi africani. Offre addestramento per gli eserciti del continente. E anche di più. Ma non deve essere facile mettere insieme cinquantamila soldati di ventura, anche se non mancano altre organizzazioni per il reclutamento di poveri africani disposti a tutto. Tutto vero? Vero in parte? Falso? Per ora non ci sono conferme. Ma, come sottolinea Maariv, nemmeno smentite per una vicenda potenzialmente molto imbarazzante per Israele. Naturalmente, al di là di queste indiscrezioni, difficilmente mai si potrà sapere la verità, però questa vicenda dimostra come la realtà sia molto meno leggibile di come apparentemente potrebbe sembrare ai più ingenui.

 

 

Chi ha più armato Gheddafi?

(grafici interattivi)

Fonte web

libia totali

Con quasi 280 milioni di euro di commesse l’Italia è stata, negli anni dal 2005 al 2009, tra i paesi Ue la più grande fornitrice di armi alla Libia di Gheddafi. Sopra, i totali delle commesse. Sotto, la progressione negli anni (per vedere i grafici interattivi cliccare sulle immagini. Poi passare il mouse su colonne e linee per visualizzare i dati)

libia negli anni

I dati li ha tirati fuori dai siti dell’Unione Europea Simon Rogers del Guardian. Il governo di Malta ha fatto sapere che avrebbe, per sbaglio, aggiunto uno “0″ al totale delle sue vendite alla Libia per il 2009

 

 

La Global Cst sarebbe al centro dello scandalo libico-israeliano. A guidarla è l'ex capo di stato maggiore, il generale Ziv. La società di sicurezza avrebbe rifornito il raìs di mercenari centrafricani da usare contro l'opposizione

 

 

INCHIESTA 1

 

Fatti (e misfatti) dell’israeliana

Global Cst: dalla Betancourt all’Ossezia

Fonte web

Dalla liberazione di Ingrid Betancourt all’invasione dell’Ossezia del Sud da parte della Georgia. C’è sempre la stessa società dietro ad alcuni degli eventi che hanno segnato la storia: la Global Cst di Petah Tikva. Non sempre le cose sono andate bene. Ma nel giro di poco tempo la società israeliana è diventata una delle interlocutrici più valide e affidabili del mondo.

L’azienda fondata dall’ex generale di brigata dell’esercito israeliano, Israel Ziv, e dall’ex brigadiere Yosef (detto “Yossi”) Kuperwasser, ora è al centro di uno scandalo: viene accusata da più voci di aver ingaggiato – per conto di Gheddafi – i mercenari che in questi giorni stanno ammazzando per le strade di Tripoli e dintorni civili innocenti e oppositori del regime.

La Global Cst, fanno sapere fonti qualificate, s’è trasformata nell’agenzia privata d’intelligence, di controspionaggio e di operazioni militari sul campo di cui tutti – dalle aziende ai governi – si fidano. Più delle colleghe statunitensi. Molti Stati hanno iniziato a rivolgersi a loro per risolvere tutta una serie di questioni. Soprattutto per operazioni fuori dalla giurisdizione nazionale di uno Stato.

Non è facile trovare un filo conduttore della società. Non può essere altrimenti, per una realtà che fa della segretezza del suo lavoro e della sua storia la premessa per ogni ingaggio. Si sa che è stata creata dopo l’uscita – burrascosa – di Israel Ziv dall’esercito israeliano. Correva l’anno 2006 e Ziv era stato spinto a mettersi da parte dopo la campagna militare fallimentare contro Hezbollah in territorio libanese. Ziv – raccontano i bene informati – guidava la schiera dei capi che optavano per la linea dura nei confronti dei miliziani di Nasrallah. Poteva farlo: era lui il vertice della sezione preposta alle operazioni militari sul campo. E nei primi giorni dello scontro, le opinioni di Ziv sono state le più considerate. Ma poi, visti i risultati deludenti e la condanna del mondo, il militare è stato messo da parte.

Ziv fonda nel 2007 la “Comprehensive Security Transformation” (Cst), poi ribattezzata Global Cst. A dare una mano c’è anche Amos Ben-Avraham, un altro ex generale di brigata ed ex comandante capo dell’unità d’èlite delle forze speciali dell’esercito israeliano. La sede della Global Cst è al civico numero 11 di Granit Street, a Petah Tikva, a pochi chilometri da Tel Aviv. L’edificio si trova in una grande zona industriale, nascosta tra capannoni, fabbrichette e aziende di lavorazione del ferro. «Il terreno perfetto per una società che voglia evitare di farsi intercettare dalle concorrenti o da un governo nemico», racconta una fonte qualificata.

C’è però da dire che, in quanto a rivali, la Global Cst ci sa fare: la Defensive Shield di Herzliya, altra società israeliana, è sì una concorrente, ma negli ultimi anni spesso si trova a collaborare con l’azienda di Israel Ziv. Vedi alla voce Georgia: l’invasione è stata progettata dal lavoro congiunto delle due agenzie private di intelligence. E l’esercito georgiano è stato addestrato proprio dagli uomini della Global Cst e della Defensive Shield. Centinaia di consulenti militari assoldati dal presidente georgiano per preparare le forze armate del Paese alle tattiche di combattimento e per istruire al meglio l’intelligence militare e la sicurezza.

Mosca non ha mai nascosto l’irritazione nei confronti delle operazioni della Global Cst di e dell’atteggiamento delle autorità israeliane. Il perché lo spiega sempre la fonte qualificata: «La società di Israel Ziv è capace di rovesciare un governo saldo al potere o di garantire il potere perpetuo a un dittatore odiato dal popolo e dal mondo». Questo discorso vale anche per Gheddafi e la Libia?

 

 

Israel Ziv aiuta la Colombia a battere le FARC

 

 

INCHIESTA 2

Controllo degli snodi energetici e delle miniere

di bauxite: la Global Cst nel Caucaso e in Guinea

 

Fonte web

Non c’è solo l’America Latina, negli interessi della Global Cst di Israel Ziv. Un altro fronte caldo – dal punto di vista strategico ed economico – è il Caucaso con tutte quelle tubature che dalle ex repubbliche sovietiche porta gas e petrolio verso l’Europa.

La guerra nel Caucaso. Gli snodi energetici sono quelle che attirano la Global Cst anche in Georgia. Il presidente Saakashvili ha urgente bisogno di fare due cose: respingere i russi oltre l’Ossezia del Sud e, soprattutto, allontanarli dall’oleodotto BTC (Baku-Tbilisi-Ceyhan). Con Mosca alla larga, infatti, la Georgia può spartirsi i proventi delle tubature che passano sul proprio territorio. Snodi importanti che, a differenza della Caspian Pipeline Consortium, non consentono alla Russia il controllo delle risorse dell’area.

Le cose, per la Georgia, non andranno proprio bene. Nemmeno per la Global Cst, marchiata dal governo russo come elemento destabilizzante. Però resta la capacità della società di addestrare in poco tempo e di organizzare l’invasione di una intera regione con pochi mezzi a disposizione. In caso di esito positivo della guerra, la Georgia avrebbe affidato tutta la sicurezza della parte di oleodotto che passa sul suo territorio e quella del presidente del Paese proprio alla Global Cst.

La depurazione dell’acqua in Guinea. Quella del Paese africano è forse una delle pagine più oscure della società israeliana. Soprattutto perché sono ormai verificate le relazioni pericolose con Moussa Dadis Camara, ufficiale dell’esercito e autore del colpo di Stato il 23 dicembre 2008. Ora Camara si trova fuori dal Paese, ma pende su di lui l’accusa di crimini contro l’umanità firmata dalla Corte penale internazionale.

Moussa Dadis Camara, l'autore del golpe militare in Guinea

«Israele non vuole che le sue società d’intelligence privata vadano in giro per il mondo ad armare e a rafforzare regimi dittatoriali», racconta la fonte qualificata. E infatti alla Global Cst era stato il via libera a insediarsi a Conakry, capitale della Guinea, allo scopo di «verificare possibili fronti di investimento dello Stato ebraico». Solo che pochi mesi dopo, i servizi di sicurezza israeliani scoprono che gli uomini di Israel Ziv erano lì a fare tutt’altro: a vendere armi e bombe al regime di Camara.

Il 18 maggio 2010 Shlomo Dror, portavoce del ministero israeliano della Difesa, annuncia che «la Global Cst è stata multata per attività non autorizzate in Guinea». Il giornale Haaretz parlò di una «multa risibile» di 25mila dollari. Ma l’amministratore delegato Ziv ha sempre smentito la notizia. Anzi ha rilanciato dicendo che la sua società si trovava lì per fare del bene. E cioè: sminare il terreno e depurare l’acqua, in modo da renderla potabile per la popolazione.

Agli inizi di quest’anno, su YouTube è apparso anche un video, come a provare che la depurazione era davvero in atto. Ma la nostra fonte svela altro. «La Global Cst, stando alle informazioni in mio possesso, vuole accreditarsi anche in Guinea perché questo è il secondo produttore al mondo di bauxite (dopo l’Australia, nda), ma il primo per riserve stimate. Per non parlare dei giacimenti di uranio, ferro, diamanti, oro». L’obiettivo della società è sempre lo stesso: garantirsi l’appalto per la sicurezza degli impianti di estrazione.

Non solo. Secondo la fonte, è dalle campagne della Guinea e dalle file dell’esercito di Moussa Dadis Camara che arriva la maggior parte dei mercenari portati un po’ ovunque in Africa, a combattere soprattutto al fianco dei governi e contro i civili. Tra questi paesi ci sarebbe anche la Libia.

 

 

François Burgat, intellettuale del modo arabo e dell'Islam

 

 

ISLAM E RIVOLUZIONI IN NORD AFRICA

intervista a F.Bourgat di T.Ferigo

Fonte web - Antonio Ferigo

Iniziamo la pubblicazione di interviste, commenti e articoli di specialisti dell’Islam politico. Iniziamo con François Burgat. Francois Burgat, membro del Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica (Francia), è uno degli specialisti leader del mondo arabo e dell'Islam. Le sue posizioni rappresentano l’interpretazione più “radicale” dell’islamismo politico, sottolineandone il carattere di reazione alle politiche dell’Occidente e le radici sociali della sua diffusione. Ha pubblicato diversi libri su questi argomenti (L’islamism en face, l'Islam, au moment de al Kaida). Ha rilasciato questa intervista al quotidiano francese Le Soir.

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Le rivolte che hanno scosso la Tunisia e l'Egitto sono state una sorpresa, come analizzarle , dato che non sono state il risultato di un gruppo organizzato?

 Sono state rivolte che hanno visto la partecipazione di quasi tutti i settori della società. In Tunisia, praticamente l'unanimità. L'obiettivo primario - il rovesciamento del tiranno "- ha trovato un'eco generale. La frustrazione era identica per ogni strato sociale, più politica per alcuni, più morale per altri. E' stata questa unanimità che ha reso irresistibile la rivolta .

Forza o debolezza? La mancanza di leader in questi movimenti popolari non può essere un elemento di fragilità ? Non ritiene che vi sia il rischio che la rivoluzione sia sequestrata dalle forze vicino ai regimi caduti ?

Distinguerei tre fasi nei processi di transizione aperti dalla caduta dei regimi.

In Libia, si è alla prima fase. Per la prima volta siamo di fronte alla richiesta di un Tahrir (Liberazione) in nome delle libertà civili, in Tunisia e l'Egitto siamo invece entrati nella seconda delle tre fasi del processo: gli eredi del regime de facto - gli attori di una possibile "contro-rivoluzione" - stanno valutando il da farsi e la misura della loro possibilità d'azione.

Quali concessioni fare ai dimostranti ? Come cambiare la Costituzione ? Quale sistema elettorale ? L’estito è ancora incerto. In una terza fase, convocheranno le elezioni ma solo dopo che si siano realizzate certe condizioni.Qui sta il pericolo. Saranno ricostruiti, i loro strumenti di comunicazione, vi sarà una forte propaganda. L'inchiesta sulla bomba anti-copta di Alessandria sarà  probabilmente un tema di questa propaganda e si individueranno altri colpevoli oltre ai "musulmani fondamentalisti", non è escluso che venga sventolato lo spettro del caos o dell'intolleranza, per alimentare le paure del cambiamento.

In particolare in Egitto, questa seconda fase potrà essere molto influenzata dall'esterno. Gli Stati Uniti in primo luogo e, attraverso di loro, Israele, a cui l'amministrazione Obama ha dimostrato di non poter rifiutare granché. Anche l'Europa e le monarchie del petrolio avranno un loro peso. I militari nel sostenere " gli impegni assunti a livello regionale " sembrano non essere disposti a prendere in considerazione altre opzioni strategiche. Tuttavia, se continuasse l'embargo su Gaza metterebbero a repentaglio l'apertura politica. Non solo la solidarietà davvero partigiana dei Fratelli Musulmani verso Hamas, come insistono a dire glianalisti che vogliono "ideologizzare" più del necessario il vecchio conflitto arabo-israeliano, ma la reazione della stragrande maggioranza dell'opinione pubblica egiziana, profondamente umiliata dall'appogigo dato all'assedio di Gaza dal regime di Mubarak.

L'Occidente è paralizzato dalla prospettiva di una vittoria elettorale islamista, come quelle di Algeria nel 1991 del FIS e di Hamas nel 2006 a Gaza, ma né i tunisini dell' Ennahda ( Partito islamico ) ne la Fratellanza musulmana egizianasono stati alla testa di queste rivolte.

Questo significa che l'Islam politico è fuori gioco? Il suo collega Olivier Roy parla di una generazione "post-islamista" .

Oggi sappiamo che anche se non hanno l'onore di aver avviato i moti, gli islamisti hanno svolto un ruolo significativo (probabilmente centrale in Egitto ) . Prima di affermare la loro scomparsa dal corpo politico, aspetterei a vedere , se effettivamente vi sarà libertà di voto, quali saranno le scelte di tunisini e egiziani.  Per il resto, al di là delle dispute terminologiche, bisogna prendere atto che le opzioni sono politiche.

In altre parole, l'Islam è, oggi, sinonimo più sicuramente di Erdogan (primo ministro della Turchia) che dei talebani. Ma questo non è per niente di veramente nuovo. Già nel 1990, le riunioni di "islamisti e nazionalisti" in Algeria dimostravano che vi erano ponti tra i due schieramenti. A Sant 'Egidio, nel 1995, l'opposizione algerina, (islamisti , trostkystI , democratici moderati...) aveva dato un segnale in tal senso. Segnale che la comunità internazionale aveva completamente ignorato, preferendo approvare il sostegno all'azione militare tutto repressivo con le conseguenze note: guerra civile (200.000 morti), blocco politico ed economico.

 In Libano ,gli Hezbollah, che hanno un'alleanza con la metà della comunità cristiana hanno esplicitamente "déslimatizzato " il loro lessico di mobilitazione. Sulla base di rivendicazioni democratiche condivise, gli islamisti dello Yemen, dal 2006, hanno stabilito   un patto elettorale con i loro vecchi avversari socialisti. In Turchia , il partito AKP, la cui traiettoria è un utile esempio all'opposto dell'Iran , mostra capacità di stare in politica con una piattaforma di riferimenti del tutto laica, con le forze laiche e / o uscite da eventuali altre affiliazioni religiose. I risultati di regimi democratici che hanno accettato la convivenza sono di gran lunga molto più convincenti di quelli di generali che sono stati così a lungo "i nostri alleati ".

 Quando i Fratelli Musulmani hanno detto che non vogliono la maggioranza nel Parlamento egiziano, significa che essi non sono pronti ad assumere il potere, o non vogliono causare il panico in Occidente?

 Come i tunisini di Ennahda,i leader della Fratellanza musulmana egiziana lentamente si stanno riprendendo dal trauma di lunghi anni di esclusione violenta dal gioco elettorale. Sono ovviamente in una fase di attendismo che la incertezza della situazione giustifica ampiamente. Questo non significa che probabilmente abbiano rimosso definitivamente dalla loro agenda l'obiettivo di arrivare un giorno al potere. Sono nel bel mezzo di una riorganizzazione interna generazionale.

Vi sarà probabilmente una leadership giovane, più moderna e meno timida. Se vi sarà davvero una apertura politica i fratelli mussulmani si troveranno ad agire in un contesto elettorale fortemente modificato, di pluripartitismo. Questo avrà conseguenze sulla loro azione.

 

 

APPENDICE

In esclusiva per l'Italia le immagini delle proteste in Arabia Saudita,

traballa il trono dell'ultimo sovrano assoluto della Terra!

 

La monarchia saudita avrebbe promesso alcune riforme a seguito delle manifestazioni che si stanno moltiplicando nel paese e di cui i media occidentali tacciono.

Fonte web

 

 

 

 

APPROFONDIMENTO

 

I parenti ebrei di Gheddafi: “Il Colonnello

può chiedere esilio qui in Israele”

«Gheddafi? Lo aspettiamo qui, a casa nostra. Del resto è un nostro parente stretto». Udite e udite: dopo l’apertura (implicita) all’esilio all’estero da parte americana, il Colonnello libico potrebbe rifugiarsi nientemeno che in Israele. Anche perché pare essere di origine ebraica.

 

Africa e Armi Israeliane

Vendita di armi, supporto logistico, addestramento… L’interesse dello Stato ebraico per i paesi a sud del Sahara non si può negare. Gennaio 2009. La scena si svolge in un sontuoso ristorante sul mare di Tel Aviv. Seduto nervosamente in un angolo del tavolo, Sternfeld Samuel consiglia la sua squadra per l’ultima volta. In poche ore, l’abile imprenditore israeliano trasformatosi in un trafficante d’armi, deve ricevere una delegazione ufficiale del Centro Africa. Anche se lo stato ebraico non ha alcun rapporto diplomatico con Bangui, tutto è stato organizzato come una visita di stato: i ministri accolti all’aeroporto Ben-Gurion, autista, incontro con gli ufficiali dello Stato Maggiore delle IDF e ispezione dei principali siti bellici israeliani. Ogni tappa del viaggio è stata meticolosamente pianificata.