MYANMAR:

TRA AFFARI E DIRITTI UMANI

LE SOLITE IPOCRISIE, MA FORSE

QUALCOSA STA CAMBIANDO

 

LO SAPEVI CHE QUANDO FAI BENZINA ALLA TOTAL

AIUTI GLI OPPRESSORI DEL POPOLO BIRMANO?

 

(A cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

prologo

 

 

Birmania: va bene il 'fiocco rosso',

ma i nostri affari col regime?

 

Sarebbe il caso ad esempio di cominciare a prendere sul serio quanto le campagne per il boicottaggio del turismo stanno dicendo da anni. La Burma Campaign UK, in collegamento con i movimenti che si battono per la democrazia nell’ex-Birmania ha promosso il boicottaggio del turismo nel Paese asiatico: grazie al settore turistico, le cui infrastrutture si sono sviluppate grazie al ricorso a forme di schiavitù e al lavoro minorile, il regime di Myanmar afferma di ricavare circa 100 milioni di dollari l’anno, circa la metà dei quali finiscono in spese militari. Chi fa viaggi, chi li promuove lo tenga presente. Sempre la Burma Campaign UK ha denunciato le attività della multinazionale francese Total soprattutto per quanto riguarda il metanodotto di Yadana, verso la Thailandia, del valore di 1,2 miliardi di dollari.

Ma è anche ora di cominciare a guardare alle nostre ditte italiane. Come ha ben sottolineato nei giorni scorsi un comunicato di
Cisl, Wwf, Greenpeace e Legambiente chiedendo di mettere fine ai rapporti commerciali con il paese fino ad un cambio della situazione politica. Poiché tutte le principali attività economiche e produttive sono in mano o sono controllate dal regime militare o dallo stato le associazioni chiedono "alle imprese italiane che hanno rapporti commerciali con la Birmania e alle multinazionali, a partire da quelle impegnate nel settore forestale, petrolifero, del gas e minerario, nei progetti di costruzione di dighe ed infrastrutture - che comportano ingenti profitti per il regime, la violazione dei diritti umani, sindacali, ambientali - di sospendere i loro rapporti con questo paese, per non contribuire a rafforzare il potere della giunta, che continua ad utilizzare il lavoro forzato e la devastazione ambientale come fonte di potere". Forse Confindustria e le Camere di Commercio potrebbero cominciare a muoversi in tal senso, al di là della retorica delle dichiarazioni di solidarietà al popolo birmano. Ma intanto possiamo cominciare tutti dando un'occhiata a questa lista di ditte che fanno affari col regime di Ragoon...
(
Fonte web)

 

 

Sanzioni da Tiffany

 

 

Bulgari, Tiffany, Cartier. Ma anche OviEsse, le assicurazioni della compagnia aerea. Le aziende voltano le spalle al regime birmano.
Cresce la ripulsa per la repressione violenta del regime birmano, anche nel mondo del lusso e degli affari. Gli almeno  200 morti – tutti cremati per non lasciar tracce – gli oltre 7mila arrestati e i 2mila monaci deportati ai lavori forzati come replica a una manifestazione di protesta gandhiana e pacifica fanno breccia anche nei cuori di chi solitamente è obbligato dai doveri aziendali a anteporre le ragioni del profitto a scelte etiche. Gioiellieri, catene di grande distribuzione, aziende tessili, grandi compagnie assicurative, negozi specializzati nel lusso d’élite. Fioccano giorno dopo giorno le sfilze di “Senza di me” pronunciati da manager in gessato e tailleur di alta moda... (leggere il seguito qui)

 

 

CHI VENDE ARMI AL REGIME,

OLTRE CINA E INDIA?

 

 

Gli Stati Uniti vendono armi a paesi privi di nemici, come la Tailandia e la Birmania, in cui i regimi utilizzano la forza per distruggere ogni ribellione. 
Le autorità americane hanno reso potentissimo l’esercito birmano... Le sollevazioni popolari vengono represse anche da forze militari mercenarie, pronte a commettere torture, violenze e ogni sorta di crimine. Oggi gli Usa e la Gran Bretagna sono gli investitori più importanti in Birmania e i maggiori fornitori di armi al regime birmano. La popolazione è costretta a vivere nel terrore, e le stragi del regime vengono spacciate per "guerra al terrorismo di al Qaeda". 
Negli ultimi tre anni sono state uccise decine di migliaia di persone. Solo fra la popolazione Karen della Birmania, i morti sono almeno 30.000 (Fonte web).

 

CONVIENE FARE BENZINA ALLA TOTAL?

PER I DIRITTI UMANI NON CONVIENE!

 

Nessuno immaginerebbe che, fermandosi a fare benzina in una stazione di servizio Total sta finanziando il governo della Birmania, ovvero una delle dittature più oppressive della Terra. Il regime di questo paese protegge l'esportazione di circa il 60% del commercio globale di eroina, foraggia il mercato della prostituzione in Thailandia, utilizza tutti gli introiti derivanti dal commercio con l'estero per le spese militari e distrugge le ultime foreste di pregiato legno di tek esistenti nel suo territorio (Fonte web).

 

 

TOPOLINO IN BIRMANIA

E I LAVORI FORZATI

 

 

... la Walt Disney resta nell'occhio del ciclone anche per un'altra triste vicenda: la confezione delle felpe di Topolino in Birmania. Qui le condizioni dei lavoratori sono ancora peggiori che in Haiti. Sei centesimi di paga oraria per un monte ore settimanale superiore alle sessanta. Meno di 300.000 lire all'anno in un Paese dove la dittatura militare impone i lavori forzati, reprime brutalmente qualsiasi rivendicazione sindacale, dove non si contano i casi di sparizioni e massacri. Quella stessa dittatura militare che,oltre ad imporre una tassa del 5% su ogni esportazione, è diretta proprietaria del 45% degli stabilimenti Yangon nei quali vengono prodotte le felpe. Nonostante l'amministrazione Clinton (negli anni 90, ndr) abbia condannato la dittatura e posto la Birmania nella lista dei Paesi fuorilegge (per altro è da qui che arriva la metà dell'eroina consumata negli U.S.A.), nel '95 l'industri tessile statunitense ha importato prodotti "Made in Myanmar" per un totale di 65 milioni di dollari (Fonte web).

 

 

Cartina della Birmania (Myanmar)

 

 

 

 

 

MYANMAR: I RETROSCENA

DI ROWAN WOLF - Thomas Paine’s Corner

Le attuali proteste in Birmania [nel testo si usa indifferentemente il nome Birmania, in inglese Burma, e quello, ufficiale dal 1989 di Myanmar n.d.t.] sono attribuite ad un aumento del 500% dei prezzi del carburante che avrebbe colpito una popolazione che sta già lottando per sopravvivere (BBC). Il popolo birmano è sceso, nel corso del passato decennio, in una povertà sempre più profonda. Secondo Jonathan Head, autore di un articolo per la BBC, il popolo birmano spende una media del 70% del proprio stipendio per acquistare da mangiare. Il drammatico incremento dei prezzi del carburante avvenuto il 15 agosto scorso è stato troppo pesante da sopportare.

Sembra che il governo del Myanmar stesse reagendo ad un suggerimento da parte del Fondo Monetario Internazionale (FMI) riguardante la necessità di regolare il sussidio statale sui prezzi della benzina. Il Myanmar è membro del FMI. Ciò fa riflettere sull'apparente ingenuità di questa frase scritta da Head:

Il FMI indicò nel 1998 che il Myanmar era un HIPC [Heavily Indebted Poor Country : "paese povero e fortemente indebitato" n.d.t.]. Tale debito era verso la Banca Mondiale. Le informazioni che si trovano attualmente riguardanti il Myanmar sul sito della Banca mondiale sono le seguenti:

Nel 1998 l'allora ministro delle finanze della Giunta militare del Myanmar fece il seguente rapporto presso il FMI sugli sforzi del governo per cercare di venire incontro alle richieste di riforme di aggiustamento strutturale, per ricevere aiuto tanto dal FMI che dalla Banca mondiale:

Nel 2003 furono stabilite nuove sanzioni economiche ai danni del paese causando la protesta del Major General Hla Tun -governatore della Banca del Myanmar. Ogni anno il Myanmar ha riferito passo passo al FMI i suoi progressi verso gli "aggiustamenti" evidentemente richiesti dalla Banca Mondiale e dal FMI, facendo anche richiesta di appoggio economico. Da quando ogni anno è stata ripetuta questa richiesta (sino al 2006) il FMI e la Banca Mondiale si sono rifiutati di togliere le restrizioni sul prestito o alleviare il debito della Birmania.

Tutto ciò non scusa la brutalità e la repressione della Giunta governativa birmana. Però è importante riconoscere che la situazione economica nel paese non è dovuta semplicemente alla "cronica cattiva gestione" del governo che invece è una delle cause primarie indicate da Jonathan Head.

C'è naturalmente un altro aspetto della storia. Durante il processo di questo suo aggiustamento strutturale, alcuni nella Giunta hanno accumulato forti quantitativi di denaro. Gli accordi commerciali e la corruzione hanno sottratto quantità significative della ricchezza birmana. L' elite vive nell'opulenza; il governo si è segregato nel profondo della foresta stabilendo una nuova capitale. I dettagli sulle aziende coinvolte vengono discussi in un rapporto di Human Rights Watch (HRW) intitolato "Burma: Foreign Investment Finances Regime." ["Birmania: l'investimento straniero finanzia il regime" n.d.t.].

Secondo HRW il Consiglio Statale per la Pace e lo Sviluppo (SPDC), destina solo una frazione delle risorse disponibili a programmi sociali (ad esempio sanità ed educazione). Ciò è coerente con il tipico regime di un programma di aggiustamento strutturale, che richiede una significativa diminuzione nelle spese per le infrastrutture sociali--sebbene HRW non discuta di ciò. Altra cosa tipica dell'aggiustamento strutturale è che grandi quantità di risorse economiche sono state reindirizzate verso le forze armate. E' stato stimato che il 50% dei fondi birmani è destinato all'esercito.

La Birmania ha significative riserve di gas naturale che hanno creato forti relazioni commerciali sia con l'India che con la Cina, e vi sono anche significative esportazioni di legname verso la Cina. Ciò dà alla Cina e all'India, tra gli altri, un certo grado di influenza sulla Giunta. Però è anche probabile che l'elite della Giunta stia direttamente beneficiando da queste relazioni. È improbabile che Cina e India facciano di più del "richiedere" alla Giunta di astenersi dalla sua brutale repressione. Dopotutto, i loro accordi sono stati fatti con l'attuale governo. Non è sorprendente, data la richiesta drammaticamente crescente di gas naturale per alimentare la crescita di Cina e India, che esse, e la Russia, siano state molto attive nell'aiutare a finanziare lo sviluppo delle riserve di gas naturale birmano. Sono coinvolte anche grandi aziende petrolchimiche. Secondo HRW:

Attualmente lo SPDC riceve gran parte del denaro per la vendita di gas grazie ai giacimenti onshore "Yadana" e "Yetagun". Il consorzio Yadana è guidato dalla francese Total e comprende la statunitense UNOCAL (ora Chevron) e la compagnia statale thailandese PTT Exploration and Production Co Ltd (PTTEP). Il consorzio Yetagun, guidato dalla compagnia statale della Malaysia Petronas, comprende la giapponese Nippon Oil e la PTTEP. La PTTEP, una sussidiaria della thailandese PTT Public Co Ltd (PTT) che è in gran parte di proprietà dello Stato, compra il gas per esportarlo in Thailandia.

Sono in corso di sviluppo grandi progetti offshore per il gas naturale. Un consorzio di aziende sudcoreane e indiane, in accordo con la Myanmar Oil and Gas Enterprise, ha trovato un grosso giacimento di gas di fronte alla costa dello stato di Arakan nella Birmania occidentale. Le stime della produzione per i giacimenti di Shwe vanno dai 37 ai 52 miliardi di dollari, e potrebbero portare ad un introito totale dai 12 ai 17 miliardi di dollari in vent'anni per la Giunta o per i futuri governi birmani.

Il consorzio per il gas di Shwe è composto dalla compagnia sudcoreana Daewoo International, da aziende statali dell'India e della Sud Corea e dalla Myanmar Oil and Gas Enterprise. Alcuni dei partner stranieri hanno anche accordi separati con il governo birmano a proposito di altre concessioni.

Ad esempio il 24 settembre l'azienda indiana di proprietà statale Oil and Natural Gas Co (ONGC), la cui sussidiaria ONGC Videsh è socia del consorzio Shwe, ha firmato un accordo con la Myanmar Oil and Gas Enterprise per l'esplorazione in altri tre territori offshore alla ricerca di gas. In base a questo accordo la Oil and Natural Gas Co si è impegnata a investire $ 150 milioni attraverso la ONGC Videsh.

L'ufficio presidenziale indiano detiene circa il 75% delle azioni della Oil and Natural Gas Co. Il ministro per il petrolio indiano, Murli Deora, si è recato nella capitale birmana la scorsa settimana per firmare un accordo proprio mentre migliaia di manifestanti scendevano in strada in Birmania per chiedere libertà politica, una fine agli abusi della SPDC e miglioramento delle condizioni economiche.



L'India, la Cina e la Russia, a quanto afferma un altro rapporto di HRW, hanno anche fornito appoggio militare alla Giunta.

Il denaro intascato dall'elite birmana viene certamente tenuto al di fuori del paese. Tom Malinowski di HRW ha testimoniato di fronte al Comitato Relazioni Estere del Senato il 3 ottobre 2007. La trascrizione non è ancora disponibile, anche se l'audizione è stata trasmessa su C-Span. Malinowski ha testimoniato che le relazioni bancarie internazionali più forte della elite birmana sono con Singapore, nonostante essi abbiano certamente altri legami finanziari internazionali. Egli ha suggerito che sanzioni mirate che congelino i conti bancari internazionali della Giunta e di altri potrebbero essere i più efficaci per sollecitare il governo a rilasciare i prigionieri politici e ammorbidire la risposta alle proteste. Questa sembrerebbe la posizione più ragionevole dal momento che più sanzioni contro il paese causerebbero solo maggiori danni alla popolazione. L'esercito birmano è una grande organizzazione-ed è secondo solo alla Cina come numero di effettivi. Visto il passato della Giunta al governo essi non esiterebbero a mobilitarlo ulteriormente contro la popolazione.

Ma c'è forse un legame più oscuro e profondo tra la Birmania e gli interessi Usa che spiegherebbe il motivo per cui per quarant'anni gli Stati Uniti hanno mostrato scarsa preoccupazione per il popolo birmano. Bisogna risalire alla guerra del Vietnam. La Birmania è parte del "Triangolo d'Oro"-la ricca regione asiatica produttrice di oppio. Infatti, fino a poco tempo fa, la Birmania era seconda solo all'Afganistan in quanto a produzione di oppio. I francesi utilizzavano la produzione di oppio e l'appoggio ai signori della guerra per finanziare le loro reti segrete, e quando gli Usa seguirono le orme della Francia [il Vietnam era una colonia francese, gli USA entrarono in guerra proprio per evitare che dopo l'indipendenza ci fosse una riunificazione tra il nord e il sud e il "rischio" di un governo di tipo comunista su tutto il paese n.d.t.] ne ereditarono la lucrosa rete (Alfred McCoy). La C.I.A. utilizzò il traffico di oppio nel "Triangolo d'Oro", e la rete ad esso connessa, per finanziare operazioni segrete in Laos e Cambogia (le cosiddette guerre segrete). Essi usarono questo traffico anche per aiutare il finanziamento di eserciti anticomunisti di etnie come quella Hmong (Djedje and Korff).

Naturalmente questa è una vecchia storia (forse).

Parte degli sforzi della Giunta birmana verso il FMI e la Banca Mondiale sono stati recentemente nel campo delle attività antidroga comprendenti l'eliminazione della produzione di oppio. Se un articolo del 7 marzo 2006 della Reuters - "War on opium gives Golden Triangle a different hue" ["La guerra all'oppio dà al triangolo d'oro un differente colore" n.d.t]- è accurato, la guerra contro la produzione di oppio è stata in gran parte efficace. Naturalmente tale successo potrebbe avere una parte del deterioramento della situazione economica del popolo birmano. Gran parte della popolazione birmana vive di agricoltura, e non c'è raccolto più prezioso dell'oppio. Guardate all'esempio simile dell’Afganistan.

Sembra strano che gli Usa stiano prestando attenzione ufficiale alle più recenti proteste e alla risposta della Giunta in Birmania. Per quarant'anni gli Usa hanno abbondantemente girato lo sguardo. In modo simile gli Usa continuarono a lavorare con il governo talebano nonostante la repressione e gli abusi sino a che anche essi non ridussero drasticamente e con successo la produzione di oppio. Forse è solo una coincidenza, e naturalmente entrambe le situazioni sono molto più complesse.

In ogni caso è davvero giunto il momento di alleviare le condizioni del popolo birmano. È davvero giunto il momento per noi di protestare per porre fine alla repressione e al conseguente spostamento forzato di milioni di birmani. E' anche ora di chiedere che la Birmania venga sollevata dei suoi debiti. Come tutti i fardelli di questo tipo esso beneficia interessi al di fuori della Birmania mentre schiaccia il popolo birmano.
 

 

 

Monaci Birmani fronteggiano pacificamente l'esercito

 

 

 

 

 

 

 

LA BIRMANIA: UN’AUTENTICA

TRAGEDIA SOCIOLOGICA
 

Fonte web

Non si può certo difendere un regime che, come accade, ordina ai suoi sgherri di sparare su una folla di monaci indifesi. La Birmania, o Myanmar (secondo l’attuale denominazione) è un paese privo di libertà, almeno nel senso in cui la intendono le organizzazioni internazionali votate a promuovere i valori dell’Occidente.

Ma per liberarsi, una volta per sempre, dei militari, unica istituzione sociale esistente insieme alla “chiesa buddista”, sarebbe necessaria una struttura sociale alternativa, che attualmente non esiste.

Che cosa vogliamo dire? Che le rivoluzioni democratiche e liberali implicano la presenza di un ceto borghese e di una società civile: due fattori sociali che in Birmania praticamente non esistono. Pertanto la caduta di un pessimo regime militare, favorirebbe quei gruppi di pretoriani più favorevoli a una specie di democrazia controllata, ma sempre reversibile.

Qualche dato a conforto nelle nostre tesi (rinvenibile in qualsiasi buona enciclopedia aggiornata): il 75 % della popolazione birmana (circa 45 milioni di abitanti) vive di agricoltura; reddito e tasso di sviluppo umano sono tra i più bassi del mondo; il ceto commerciale è costituito da non birmani ( i birmani sono il 69% della popolazione): cinesi, pakistani, tailandesi e indiani. Quanto alla sfruttamento delle risorse naturali (di cui il paese sembra apparentemente ricco) è in crescita l’estrazione del petrolio e la produzione di gas naturali. Si tratta di settori controllati in larga misura dallo stato, che nel caso di privatizzazioni post-regime militare finirebbero in mani straniere, con la stessa complicità delle famiglie di militari, riciclatasi, come di regola avviene, alle attività civili. Dal momento che la famiglia allargata, in senso patriarcale, sembra sia l’unica struttura sociale tra quelle militari e religiose da una parte, e una popolazione dispersa in villaggi rurali dall'altra. I Birmani sono al 90% buddisti (la cui etica sociale, dunque, non è precisamente in linea con i valori individualistici e competitivi dell’Occidente). Inoltre ai suoi confini politici (con Bangladesh, India, Cina, Laos e Thailandia) vivono differenti etnie ( tra le maggiori: Kachin, Karen, nonché i cosiddetti gruppi delle pianure, Shan ), che in una situazione di caos politico, potrebbero trasformarsi in poteri “centrifughi” (o comunque in grado di imporre rinegoziazioni). Anche perché nella parte orientale, in corrispondenza del “triangolo d’oro”, è attivo un settore economicamente forte e collegato alla criminalità internazionale, come quello della coltivazione dell’ oppio.

Insomma, la caduta di quel che moralmente ripugna (una spietata dittatura militare), potrebbe condurre soltanto a una democrazia puramente formale, sempre controllata dai militari (magari da lontano), e dagli importatori di petrolio, gas naturale e oppio (tramite alcune grandi famiglie locali, sempre legate ai militari).

La nostra, ovviamente, non è un’analisi da studiosi di questioni internazionali. Cerchiamo solo di dimostrare sul piano sociologico, che senza prerequisiti e profonde trasformazioni sociali e culturali (che richiedono decenni se non secoli), l’introduzione della democrazia formale, non può portare nell'immediato, alcun vantaggio sostanziale a popoli non occidentali, come quello birmano. Anche la totale apertura al turismo occidentale, finirebbe per essere gestita - vista l’assenza di una imprenditoria birmana - da stranieri, e in particolare da grandi società occidentali. Con tutto quel che seguirebbe dal punto di vista di un’economia satellite, nell’ambito della disgregazione sociale e dello sviluppo di fenomeni come prostituzione, gioco d’azzardo, vendita e consumo di droghe. E una volta avviato uno sviluppo di tipo coloniale (seppure di tipo "postmoderno"), è difficile invertirne la rotta sul piano delle strutture sociali, perché i poteri si ricompongono e solidificano, fino a diventare impermeabili a qualsiasi riforma democratica basata sulla persuasione e la non violenza. Il che, di regola, provoca la nascita di un contropotere militare, lo scoppio di guerre civili, e la formazione di nuove élite militari "rivoluzionarie", che a loro volta, appena giunte al potere, si solidificano in caste, e così via.

In conclusione, cacciare i militari, in assenza di alternative sociali, paradossalmente, può rendere il popolo birmano, formalmente più libero, ma sostanzialmente ancora più povero e disperato.

Se ci passa l’espressione, ci troviamo davanti a un'autentica tragedia sociologica.

 

 

 

Scontri tra i dimostranti e l'esercito

 

 

 

 

Schiavitù: in Birmania la

Total usa il lavoro forzato

 

Fonte web

 

La società petrolifera Total e altre multinazionali continuano ad utilizzare il lavoro forzato per le loro operazioni in Birmania. Lo denuncia un rapporto della Confédération Internationale des Syndicats Libres (Cisl), l'organizzazione che raggruppa i sindacati dei lavoratori di tutto il mondo, consegnato lunedì all'Organizzazione internazionale del Lavoro (Oit), un'agenzia dell'Onu con sede a Ginevra.
Nel rapporto sono citate numerose testimonianze che denunciano come il gruppo francese Total Fina-Elf abbia fatto ricorso nel 2002 al lavoro forzato per la costruzione di una strada e per altri lavori di carattere infrastrutturale collegati con la realizzazione del gasdotto Yadana. E ciò nonostante che Totale altri gruppi occidentali fossero già stati diffidati dalla stessa Cisl e dall'Oit dal proseguire con tale pratica.

Il rapporto cita la Federazione dei sindacati birmani che denuncia come dei civili provenienti da almeno 16 villaggi sono stati forzati nel 2002 a partecipare alla costruzione della strada. Nel 2002 molte famiglie sono state costrette a lavoro più di venti giorni al mese. Ad ognuna era affidata la realizzazione di un pezzo di strada lunga 20 metri e larga 4. Secondo la Cisl la società francese avrebbe versato alla giunta militare al potere in Birmania il denaro per il lavoro realizzato, ma i lavoratori non sono mai stati pagati. Tutto ciò, nonostante che le «multinazionali come Total Fina-Elf, sostengano da tempo come non ci fosse alcun legame tra i loro investimenti in Birmania e il ricorso crescente al lavoro forzato».

Nel documento di 350 pagine, che si riferisce al periodo dall'ottobre 2001 al settembre di quest'anno, si citano numerosi casi di coinvolgimento delle multinazionali nell'utilizzo del lavoro forzato e nelle violenze delle forze armate nei confronti dei sindacalisti.

Secondo la Cisl, il lavoro forzato è in aumento in Birmania, soprattutto da parte dell'esercito e nei campi dove si coltiva l'oppio, mentre i sindacati sono oggetto di una violentissima repressione. Il 4 agosto 2002 U Saw Mya Than, un sindacalista, è stato ucciso a sangue freddo dopo essere stato costretto a lavorare per l'esercito.



 

APPROFONDIMENTO


 

Vergogna "Total"

Il colosso petrolifero francese estrae il 25 percento

del petrolio birmano. E adesso verrà condannata

 

 

Petizione per la Birmania

Occorre firmare la petizione a favore della Birmania (Burma) poiché sta avendo

 molto successo, tanto da aprire nuove possibilità nei confronti della Cina

 affinché cambi posizione e consenta una più decisa posizione

internazionale a sostegno del popolo in protesta.

 

 

Free Burma!
 


Global Voices
 


Witness

(filmati Real Media)
 


Altri link di interesse sulla

situazione attuale in Myanmar:
 

Road to Riches Starts in the Golden Triangle
Christopher Wren. 11/05/98. NY Times.

 

 

Drug tourism in the Golden Triangle.

Kieran Cooke. BBC. 06/12/2003.
 


A look at Myanmar’s insular military leadership.

CNN. 30/09/07.
 


Myanmar troops launch nighttime

 roundups to intimidate activists.

CNN. 04/10/07.
 


L’AGENDA INTERNAZIONALE DEI NARCOTICI

 DIETRO L’INSTABILITA’ DEL MYANMAR