MYANMAR:
TRA AFFARI E DIRITTI UMANI
LE SOLITE IPOCRISIE, MA FORSE
QUALCOSA STA CAMBIANDO
LO SAPEVI CHE QUANDO FAI BENZINA ALLA TOTAL
AIUTI GLI OPPRESSORI DEL POPOLO BIRMANO?
(A cura di Claudio Prandini)
prologo
Birmania: va bene il 'fiocco rosso',
ma i nostri affari col regime?
Sarebbe il caso ad esempio di cominciare a prendere sul serio quanto le campagne
per il boicottaggio del turismo stanno dicendo da anni. La
Burma
Campaign UK, in collegamento con i movimenti che si
battono per la democrazia nell’ex-Birmania
ha
promosso il boicottaggio del turismo nel Paese asiatico:
grazie al settore turistico, le cui infrastrutture si sono sviluppate grazie al
ricorso a forme di schiavitù e al lavoro minorile, il regime di Myanmar afferma
di ricavare circa 100 milioni di dollari l’anno, circa la metà dei quali
finiscono in spese militari. Chi fa viaggi, chi li promuove lo tenga presente.
Sempre la Burma Campaign UK ha denunciato le
attività della multinazionale francese Total
soprattutto per quanto riguarda il metanodotto di Yadana, verso la Thailandia,
del valore di 1,2 miliardi di dollari.
Ma è anche ora di cominciare a guardare alle nostre ditte italiane. Come ha ben
sottolineato nei giorni scorsi un comunicato di
Cisl, Wwf, Greenpeace e Legambiente chiedendo di mettere fine ai rapporti
commerciali con il paese fino ad un cambio della
situazione politica. Poiché tutte le principali attività economiche e produttive
sono in mano o sono controllate dal regime militare o dallo stato le
associazioni chiedono "alle imprese italiane che hanno rapporti commerciali con
la Birmania e alle multinazionali, a partire da quelle
impegnate nel settore forestale, petrolifero, del gas
e minerario,
nei progetti di costruzione di dighe ed infrastrutture
- che comportano ingenti profitti per il regime, la violazione dei diritti
umani, sindacali, ambientali - di sospendere i loro rapporti con questo paese,
per non contribuire a rafforzare il potere della giunta, che continua ad
utilizzare il lavoro forzato e la devastazione ambientale come fonte di potere".
Forse Confindustria e le Camere di Commercio potrebbero cominciare a muoversi in
tal senso, al di là della retorica delle dichiarazioni di solidarietà al popolo
birmano. Ma intanto possiamo cominciare tutti dando un'occhiata a questa
lista di ditte che fanno affari col regime di Ragoon...
(Fonte web)
Sanzioni da Tiffany
Bulgari, Tiffany, Cartier. Ma anche OviEsse,
le assicurazioni della compagnia aerea. Le aziende voltano le spalle al regime
birmano.
Cresce
la ripulsa per la repressione violenta del regime
birmano, anche nel mondo del lusso e degli affari. Gli almeno 200 morti –
tutti cremati per
non lasciar tracce – gli oltre 7mila arrestati e i
2mila monaci deportati ai
lavori forzati come replica a una
manifestazione di protesta gandhiana e
pacifica fanno breccia anche nei cuori di chi solitamente è obbligato dai doveri
aziendali a anteporre le ragioni del profitto a scelte etiche. Gioiellieri,
catene di grande distribuzione, aziende tessili, grandi compagnie assicurative,
negozi specializzati nel lusso d’élite. Fioccano giorno dopo giorno le sfilze di
“Senza di me” pronunciati da manager in gessato e tailleur di alta moda...
(leggere
il seguito qui)
CHI VENDE ARMI AL REGIME,
OLTRE CINA E INDIA?
Gli Stati Uniti vendono armi a paesi privi di nemici, come la Tailandia e la
Birmania, in cui i regimi utilizzano la forza per distruggere ogni ribellione.
Le autorità americane hanno reso potentissimo l’esercito birmano... Le
sollevazioni popolari vengono represse anche da forze militari mercenarie,
pronte a commettere torture, violenze e ogni sorta di crimine. Oggi gli Usa e la
Gran Bretagna sono gli investitori più importanti in Birmania e i maggiori
fornitori di armi al regime birmano. La popolazione è costretta a vivere nel
terrore, e le stragi del regime vengono spacciate per "guerra al terrorismo di
al Qaeda".
Negli ultimi tre anni sono state uccise decine di migliaia di persone. Solo fra
la popolazione Karen della Birmania, i morti sono almeno 30.000 (Fonte
web).
CONVIENE FARE BENZINA ALLA TOTAL?
PER I DIRITTI UMANI NON CONVIENE!
Nessuno immaginerebbe che, fermandosi a fare benzina in una stazione di servizio Total sta finanziando il governo della Birmania, ovvero una delle dittature più oppressive della Terra. Il regime di questo paese protegge l'esportazione di circa il 60% del commercio globale di eroina, foraggia il mercato della prostituzione in Thailandia, utilizza tutti gli introiti derivanti dal commercio con l'estero per le spese militari e distrugge le ultime foreste di pregiato legno di tek esistenti nel suo territorio (Fonte web).
TOPOLINO IN BIRMANIA
E I LAVORI FORZATI
... la Walt Disney resta
nell'occhio del ciclone anche per un'altra triste vicenda: la confezione delle
felpe di Topolino in Birmania. Qui le condizioni dei lavoratori sono ancora
peggiori che in Haiti. Sei centesimi di paga oraria per un monte ore settimanale
superiore alle sessanta. Meno di 300.000 lire all'anno in un Paese dove la
dittatura militare impone i lavori forzati, reprime brutalmente qualsiasi
rivendicazione sindacale, dove non si contano i casi di sparizioni e massacri.
Quella stessa dittatura militare che,oltre ad imporre una tassa del 5% su ogni
esportazione, è diretta proprietaria del 45% degli stabilimenti Yangon nei quali
vengono prodotte le felpe. Nonostante l'amministrazione Clinton (negli anni 90,
ndr) abbia condannato la dittatura e posto la Birmania nella lista dei Paesi
fuorilegge (per altro è da qui che arriva la metà dell'eroina consumata negli
U.S.A.), nel '95 l'industri tessile statunitense ha importato prodotti "Made in
Myanmar" per un totale di 65 milioni di dollari
(Fonte
web).
Cartina della Birmania (Myanmar)
MYANMAR: I RETROSCENA
DI ROWAN WOLF - Thomas Paine’s Corner
Le attuali proteste in Birmania [nel testo si
usa indifferentemente il nome Birmania, in inglese Burma, e quello,
ufficiale dal 1989 di
Myanmar n.d.t.] sono attribuite ad un
aumento del 500%
dei prezzi del carburante che avrebbe colpito una popolazione che sta già
lottando per sopravvivere (BBC). Il popolo birmano è sceso, nel corso del
passato decennio, in una povertà sempre più profonda. Secondo Jonathan Head,
autore di un articolo per la BBC, il popolo birmano spende una media del 70% del
proprio stipendio per acquistare da mangiare. Il drammatico incremento dei
prezzi del carburante avvenuto il 15 agosto scorso è stato troppo pesante da
sopportare.
Sembra che il governo del Myanmar stesse reagendo ad un suggerimento da parte
del Fondo Monetario Internazionale (FMI) riguardante la necessità di regolare il
sussidio statale sui prezzi della benzina. Il Myanmar è
membro del FMI.
Ciò fa riflettere sull'apparente ingenuità di questa frase scritta da Head:
Come molte decisioni prese dagli schivi generali, l'improvviso aumento dei prezzi del carburante è difficile da comprendere.
Il FMI aveva consigliato di disabituare la popolazione ai sussidi sulla benzina perché, con la crescita dei prezzi del petrolio, ciò stava diventando un fardello insostenibile per la nazione che, sebbene ricca di gas naturale, dipende dalle importazioni per quasi tutti i suoi carburanti raffinati e per il gasolio.
Ma sembra improbabile che il FMI abbia appoggiato un incremento dei prezzi così drammatico e improvviso.
Il FMI indicò nel 1998 che il Myanmar era un HIPC [Heavily Indebted Poor Country : "paese povero e fortemente indebitato" n.d.t.]. Tale debito era verso la Banca Mondiale. Le informazioni che si trovano attualmente riguardanti il Myanmar sul sito della Banca mondiale sono le seguenti:
La Banca Mondiale non ha più approvato prestiti per il Myanmar dal 1987, e non ha in progetto di riprendere tale programma. Il paese è attualmente in arretrato verso la Banca Mondiale e si è dimostrato incapace di compiere riforme economiche e di altro tipo.
Il Myanmar rimane membro della Banca Mondiale. La Banca Mondiale continua a raccogliere dati sul paese e rimane anche in contatto con le Nazioni Unite e altri partner nel campo dello sviluppo per quel che riguarda il Myanmar. La Banca accompagna anche funzionari del Fondo Monetario Internazionale nelle loro visite annuali per stabilire la situazione economica del paese.
Nel 1998 l'allora ministro delle finanze della Giunta militare del Myanmar fece il seguente rapporto presso il FMI sugli sforzi del governo per cercare di venire incontro alle richieste di riforme di aggiustamento strutturale, per ricevere aiuto tanto dal FMI che dalla Banca mondiale:
Lasciatemi ora toccare alcune caratteristiche dello sviluppo economico del Myanmar. Dalla seconda parte del 1988 è stata introdotta l'ottimizzazione per le procedure di commercio con l'estero e la liberalizzazione tanto del commercio interno che esterno. Viene permesso agli investitori stranieri di investire in Myanmar e banchieri stranieri possono aprire i loro uffici di rappresentanza. Il Myanmar ha partecipato ai programmi di cooperazione regionale e sta collaborando tanto con i paesi sviluppati che con quelli in via di sviluppo per il suo avanzamento tecnologico. Le attività della aree rurali e di confine sono state sviluppate per alleviare la povertà e per ridurre le differenze tra la popolazione rurale e quella urbana.
Il Myanmar è una terra ricca di risorse naturali che possono essere estratte per ottenere sviluppo. Sfortunatamente l'assistenza finanziaria multilaterale verso il Myanmar è stata ingiustamente sospesa a partire dal 1988. Il Myanmar è stato membro legittimo della Banca e del Fondo sin dal 1952. Come membro legittimo il Myanmar ha il pieno diritto all'assistenza della Banca per quanto riguarda lo sviluppo. Però la Banca ha ignorato gli sforzi di sviluppo del Myanmar e non lo ha assistito negli scorsi 11 anni. Comunque abbiamo collaborato con la Banca e con il Fondo e stiamo regolarmente adempiendo, sino alla fine del 1997, ai nostri notevoli pagamenti verso la Banca.
Nel 2003
furono
stabilite nuove sanzioni economiche ai danni del paese causando la protesta
del Major General Hla Tun -governatore della Banca del Myanmar. Ogni anno il
Myanmar ha riferito passo passo al FMI i suoi progressi verso gli
"aggiustamenti" evidentemente richiesti dalla Banca Mondiale e dal FMI, facendo
anche richiesta di appoggio economico. Da quando ogni anno è stata ripetuta
questa richiesta (sino al 2006) il FMI e la Banca Mondiale si sono rifiutati di
togliere le restrizioni sul prestito o alleviare il debito della Birmania.
Tutto
ciò non scusa la brutalità e la repressione della Giunta governativa birmana.
Però è importante riconoscere che la situazione economica nel paese non è dovuta
semplicemente alla "cronica cattiva gestione" del governo che invece è una delle
cause primarie indicate da Jonathan Head.
C'è naturalmente un altro aspetto della storia. Durante il processo di questo
suo aggiustamento strutturale, alcuni nella Giunta hanno accumulato forti
quantitativi di denaro. Gli accordi commerciali e la corruzione hanno sottratto
quantità significative della ricchezza birmana. L' elite vive nell'opulenza; il
governo si è segregato nel profondo della foresta stabilendo una nuova capitale.
I dettagli sulle aziende coinvolte vengono discussi in un rapporto di Human
Rights Watch (HRW) intitolato "Burma:
Foreign Investment Finances Regime." ["Birmania: l'investimento straniero
finanzia il regime" n.d.t.].
Secondo HRW il Consiglio Statale per la Pace e lo Sviluppo (SPDC), destina solo
una frazione delle risorse disponibili a programmi sociali (ad esempio sanità ed
educazione). Ciò è coerente con il tipico regime di un programma di
aggiustamento strutturale, che richiede una significativa diminuzione nelle
spese per le infrastrutture sociali--sebbene HRW non discuta di ciò. Altra cosa
tipica dell'aggiustamento strutturale è che grandi quantità di risorse
economiche sono state reindirizzate verso le forze armate. E' stato stimato che
il 50% dei fondi birmani è destinato all'esercito.
La Birmania ha significative riserve di gas naturale che hanno creato forti
relazioni commerciali sia con l'India che con la Cina, e vi sono anche
significative esportazioni di legname verso la Cina. Ciò dà alla Cina e
all'India, tra gli altri, un certo grado di influenza sulla Giunta. Però è anche
probabile che l'elite della Giunta stia direttamente beneficiando da queste
relazioni. È improbabile che Cina e India facciano di più del "richiedere" alla
Giunta di astenersi dalla sua brutale repressione. Dopotutto, i loro accordi
sono stati fatti con l'attuale governo. Non è sorprendente, data la richiesta
drammaticamente crescente di gas naturale per alimentare la crescita di Cina e
India, che esse, e la Russia, siano state molto attive nell'aiutare a finanziare
lo sviluppo delle riserve di gas naturale birmano. Sono coinvolte anche grandi
aziende petrolchimiche. Secondo HRW:
Attualmente lo SPDC riceve gran parte del denaro per la vendita di gas grazie ai giacimenti onshore "Yadana" e "Yetagun". Il consorzio Yadana è guidato dalla francese Total e comprende la statunitense UNOCAL (ora Chevron) e la compagnia statale thailandese PTT Exploration and Production Co Ltd (PTTEP). Il consorzio Yetagun, guidato dalla compagnia statale della Malaysia Petronas, comprende la giapponese Nippon Oil e la PTTEP. La PTTEP, una sussidiaria della thailandese PTT Public Co Ltd (PTT) che è in gran parte di proprietà dello Stato, compra il gas per esportarlo in Thailandia.
Sono in corso di sviluppo grandi progetti offshore per il gas naturale. Un consorzio di aziende sudcoreane e indiane, in accordo con la Myanmar Oil and Gas Enterprise, ha trovato un grosso giacimento di gas di fronte alla costa dello stato di Arakan nella Birmania occidentale. Le stime della produzione per i giacimenti di Shwe vanno dai 37 ai 52 miliardi di dollari, e potrebbero portare ad un introito totale dai 12 ai 17 miliardi di dollari in vent'anni per la Giunta o per i futuri governi birmani.
Il consorzio per il gas di Shwe è composto dalla compagnia sudcoreana Daewoo International, da aziende statali dell'India e della Sud Corea e dalla Myanmar Oil and Gas Enterprise. Alcuni dei partner stranieri hanno anche accordi separati con il governo birmano a proposito di altre concessioni.
Ad esempio il 24 settembre l'azienda indiana di proprietà statale Oil and Natural Gas Co (ONGC), la cui sussidiaria ONGC Videsh è socia del consorzio Shwe, ha firmato un accordo con la Myanmar Oil and Gas Enterprise per l'esplorazione in altri tre territori offshore alla ricerca di gas. In base a questo accordo la Oil and Natural Gas Co si è impegnata a investire $ 150 milioni attraverso la ONGC Videsh.
L'ufficio presidenziale indiano detiene circa il 75% delle azioni della Oil and Natural Gas Co. Il ministro per il petrolio indiano, Murli Deora, si è recato nella capitale birmana la scorsa settimana per firmare un accordo proprio mentre migliaia di manifestanti scendevano in strada in Birmania per chiedere libertà politica, una fine agli abusi della SPDC e miglioramento delle condizioni economiche.
L'India,
la Cina e la Russia, a quanto afferma un altro rapporto di HRW, hanno anche
fornito appoggio militare alla Giunta.
Il denaro intascato dall'elite birmana viene certamente tenuto al di fuori del
paese. Tom Malinowski di HRW ha testimoniato di fronte al Comitato Relazioni
Estere del Senato il 3 ottobre 2007. La trascrizione non è ancora disponibile,
anche se l'audizione è stata trasmessa su C-Span. Malinowski ha testimoniato che
le relazioni bancarie internazionali più forte della elite birmana sono con
Singapore, nonostante essi abbiano certamente altri legami finanziari
internazionali. Egli ha suggerito che sanzioni mirate che congelino i conti
bancari internazionali della Giunta e di altri potrebbero essere i più efficaci
per sollecitare il governo a rilasciare i prigionieri politici e ammorbidire la
risposta alle proteste. Questa sembrerebbe la posizione più ragionevole dal
momento che più sanzioni contro il paese causerebbero solo maggiori danni alla
popolazione. L'esercito birmano è una grande organizzazione-ed è secondo solo
alla Cina come numero di effettivi. Visto il passato della Giunta al governo
essi non esiterebbero a mobilitarlo ulteriormente contro la popolazione.
Ma c'è forse un legame più oscuro e profondo tra la Birmania e gli interessi Usa
che spiegherebbe il motivo per cui per quarant'anni gli Stati Uniti hanno
mostrato scarsa preoccupazione per il popolo birmano. Bisogna risalire alla
guerra del Vietnam. La Birmania è parte del "Triangolo d'Oro"-la ricca regione
asiatica produttrice di oppio. Infatti, fino a poco tempo fa, la Birmania era
seconda solo all'Afganistan in quanto a produzione di oppio. I francesi
utilizzavano la produzione di oppio e l'appoggio ai signori della guerra per
finanziare le loro reti segrete, e quando gli Usa seguirono le orme della
Francia [il Vietnam era una colonia francese, gli USA entrarono in guerra
proprio per evitare che dopo l'indipendenza ci fosse una riunificazione tra il
nord e il sud e il "rischio" di un governo di tipo comunista su tutto il paese
n.d.t.] ne ereditarono la lucrosa rete (Alfred
McCoy). La C.I.A. utilizzò il traffico di oppio nel "Triangolo d'Oro", e la
rete ad esso connessa, per finanziare operazioni segrete in Laos e Cambogia (le
cosiddette guerre segrete). Essi usarono questo traffico anche per aiutare il
finanziamento di eserciti anticomunisti di etnie come quella Hmong (Djedje
and Korff).
Naturalmente questa è una vecchia storia (forse).
Parte degli sforzi della Giunta birmana verso il FMI e la Banca Mondiale sono
stati recentemente nel campo delle attività antidroga comprendenti
l'eliminazione della produzione di oppio. Se un articolo del 7 marzo 2006 della
Reuters - "War on opium gives Golden Triangle a different hue" ["La guerra
all'oppio dà al triangolo d'oro un differente colore" n.d.t]- è accurato, la
guerra contro la produzione di oppio è stata in gran parte efficace.
Naturalmente tale successo potrebbe avere una parte del deterioramento della
situazione economica del popolo birmano. Gran parte della popolazione birmana
vive di agricoltura, e non c'è raccolto più prezioso dell'oppio. Guardate
all'esempio simile dell’Afganistan.
Sembra strano che gli Usa stiano prestando attenzione ufficiale alle più recenti
proteste e alla risposta della Giunta in Birmania. Per quarant'anni gli Usa
hanno abbondantemente girato lo sguardo. In modo simile gli Usa continuarono a
lavorare con il governo talebano nonostante la repressione e gli abusi sino a
che anche essi non ridussero drasticamente e con successo la produzione di
oppio. Forse è solo una coincidenza, e naturalmente entrambe le situazioni sono
molto più complesse.
In ogni caso è davvero giunto il momento di alleviare le condizioni del popolo
birmano. È davvero giunto il momento per noi di protestare per porre fine alla
repressione e al conseguente spostamento forzato di milioni di birmani. E' anche
ora di chiedere che la Birmania venga sollevata dei suoi debiti. Come tutti i
fardelli di questo tipo esso beneficia interessi al di fuori della Birmania
mentre schiaccia il popolo birmano.
Monaci Birmani fronteggiano pacificamente l'esercito
LA BIRMANIA: UN’AUTENTICA
TRAGEDIA SOCIOLOGICA
Non si può certo difendere un regime che, come
accade, ordina ai suoi sgherri di sparare su una folla di monaci indifesi. La
Birmania, o Myanmar (secondo l’attuale denominazione) è un paese privo di
libertà, almeno nel senso in cui la intendono le organizzazioni internazionali
votate a promuovere i valori dell’Occidente.
Ma per liberarsi, una volta per sempre, dei militari, unica istituzione sociale
esistente insieme alla “chiesa buddista”, sarebbe necessaria una struttura
sociale alternativa, che attualmente non esiste.
Che cosa vogliamo dire? Che le rivoluzioni democratiche e liberali implicano la
presenza di un ceto borghese e di una società civile: due fattori sociali che in
Birmania praticamente non esistono. Pertanto la caduta di un pessimo regime
militare, favorirebbe quei gruppi di pretoriani più favorevoli a una specie di
democrazia controllata, ma sempre reversibile.
Qualche dato a conforto nelle nostre tesi (rinvenibile in qualsiasi buona
enciclopedia aggiornata): il 75 % della popolazione birmana (circa 45 milioni di
abitanti) vive di agricoltura; reddito e tasso di sviluppo umano sono tra i più
bassi del mondo; il ceto commerciale è costituito da non birmani ( i birmani
sono il 69% della popolazione): cinesi, pakistani, tailandesi e indiani. Quanto
alla sfruttamento delle risorse naturali (di cui il paese sembra apparentemente
ricco) è in crescita l’estrazione del petrolio e la produzione di gas naturali.
Si tratta di settori controllati in larga misura dallo stato, che nel caso di
privatizzazioni post-regime militare finirebbero in mani straniere, con la
stessa complicità delle famiglie di militari, riciclatasi, come di regola
avviene, alle attività civili. Dal momento che la famiglia allargata, in senso
patriarcale, sembra sia l’unica struttura sociale tra quelle militari e
religiose da una parte, e una popolazione dispersa in villaggi rurali
dall'altra. I Birmani sono al 90% buddisti (la cui etica sociale, dunque, non è
precisamente in linea con i valori individualistici e competitivi
dell’Occidente). Inoltre ai suoi confini politici (con Bangladesh, India, Cina,
Laos e Thailandia) vivono differenti etnie ( tra le maggiori: Kachin, Karen,
nonché i cosiddetti gruppi delle pianure, Shan ), che in una situazione di caos
politico, potrebbero trasformarsi in poteri “centrifughi” (o comunque in grado
di imporre rinegoziazioni). Anche perché nella parte orientale, in
corrispondenza del “triangolo d’oro”, è attivo un settore economicamente forte e
collegato alla criminalità internazionale, come quello della coltivazione dell’
oppio.
Insomma, la caduta di quel che moralmente ripugna (una spietata dittatura
militare), potrebbe condurre soltanto a una democrazia puramente formale, sempre
controllata dai militari (magari da lontano), e dagli importatori di petrolio,
gas naturale e oppio (tramite alcune grandi famiglie locali, sempre legate ai
militari).
La nostra, ovviamente, non è un’analisi da studiosi di questioni internazionali.
Cerchiamo solo di dimostrare sul piano sociologico, che senza prerequisiti e
profonde trasformazioni sociali e culturali (che richiedono decenni se non
secoli), l’introduzione della democrazia formale, non può portare
nell'immediato, alcun vantaggio sostanziale a popoli non occidentali, come
quello birmano. Anche la totale apertura al turismo occidentale, finirebbe per
essere gestita - vista l’assenza di una imprenditoria birmana - da stranieri, e
in particolare da grandi società occidentali. Con tutto quel che seguirebbe dal
punto di vista di un’economia satellite, nell’ambito della disgregazione sociale
e dello sviluppo di fenomeni come prostituzione, gioco d’azzardo, vendita e
consumo di droghe. E una volta avviato uno sviluppo di tipo coloniale (seppure
di tipo "postmoderno"), è difficile invertirne la rotta sul piano delle
strutture sociali, perché i poteri si ricompongono e solidificano, fino a
diventare impermeabili a qualsiasi riforma democratica basata sulla persuasione
e la non violenza. Il che, di regola, provoca la nascita di un contropotere
militare, lo scoppio di guerre civili, e la formazione di nuove élite militari
"rivoluzionarie", che a loro volta, appena giunte al potere, si solidificano in
caste, e così via.
In conclusione, cacciare i militari, in assenza di alternative sociali,
paradossalmente, può rendere il popolo birmano, formalmente più libero, ma
sostanzialmente ancora più povero e disperato.
Se ci passa l’espressione, ci troviamo davanti a un'autentica tragedia
sociologica.
Scontri tra i dimostranti e l'esercito
Schiavitù: in Birmania la
Total usa il lavoro forzato
La
società petrolifera Total e altre multinazionali continuano ad utilizzare il
lavoro forzato per le loro operazioni in Birmania. Lo denuncia un rapporto della
Confédération Internationale des Syndicats Libres (Cisl), l'organizzazione che
raggruppa i sindacati dei lavoratori di tutto il mondo, consegnato lunedì
all'Organizzazione internazionale del Lavoro (Oit), un'agenzia dell'Onu con sede
a Ginevra.
Nel rapporto sono citate numerose testimonianze che denunciano come il gruppo
francese Total Fina-Elf abbia fatto ricorso nel 2002 al lavoro forzato per la
costruzione di una strada e per altri lavori di carattere infrastrutturale
collegati con la realizzazione del gasdotto Yadana. E ciò nonostante che Totale
altri gruppi occidentali fossero già stati diffidati dalla stessa Cisl e dall'Oit
dal proseguire con tale pratica.
Il rapporto cita la Federazione dei sindacati birmani che denuncia come dei
civili provenienti da almeno 16 villaggi sono stati forzati nel 2002 a
partecipare alla costruzione della strada. Nel 2002 molte famiglie sono state
costrette a lavoro più di venti giorni al mese. Ad ognuna era affidata la
realizzazione di un pezzo di strada lunga 20 metri e larga 4. Secondo la Cisl la
società francese avrebbe versato alla giunta militare al potere in Birmania il
denaro per il lavoro realizzato, ma i lavoratori non sono mai stati pagati.
Tutto ciò, nonostante che le «multinazionali come Total Fina-Elf, sostengano da
tempo come non ci fosse alcun legame tra i loro investimenti in Birmania e il
ricorso crescente al lavoro forzato».
Nel documento di 350 pagine, che si riferisce al periodo dall'ottobre 2001 al
settembre di quest'anno, si citano numerosi casi di coinvolgimento delle
multinazionali nell'utilizzo del lavoro forzato e nelle violenze delle forze
armate nei confronti dei sindacalisti.
Secondo la Cisl, il lavoro forzato è in aumento in Birmania, soprattutto da
parte dell'esercito e nei campi dove si coltiva l'oppio, mentre i sindacati sono
oggetto di una violentissima repressione. Il 4 agosto 2002 U Saw Mya Than, un
sindacalista, è stato ucciso a sangue freddo dopo essere stato costretto a
lavorare per l'esercito.
APPROFONDIMENTO
Il colosso petrolifero francese estrae il 25 percento
del petrolio birmano. E adesso verrà condannata
Occorre firmare la petizione a favore della Birmania (Burma) poiché sta avendo
molto successo, tanto da aprire nuove possibilità nei confronti della Cina
affinché cambi posizione e consenta una più decisa posizione
internazionale a sostegno del popolo in protesta.
(filmati Real Media)
Altri link di interesse sulla
situazione attuale
in Myanmar:
Road to Riches Starts in the Golden Triangle
Christopher Wren. 11/05/98. NY Times.
Drug tourism in the Golden Triangle.
Kieran Cooke. BBC.
06/12/2003.
A look at Myanmar’s insular military leadership.
CNN. 30/09/07.
Myanmar troops launch nighttime
roundups to intimidate activists.
CNN. 04/10/07.
L’AGENDA INTERNAZIONALE DEI NARCOTICI
DIETRO L’INSTABILITA’ DEL MYANMAR