NO DAL MOLIN

METTETE DEI FIORI NEI

VOSTRI CANNONI

 

LA BASE AMERICANA SARÀ COSTRUITA

DA DUE COOPERATIVE ROSSE

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

«LA RAGIONE VERA per la quale gli Stati Uniti vogliono il Dal Molin è che noi non ci saremo dentro», spiega da Bruxelles una fonte militare della Nato sotto garanzia di anonimato (ma il suo nome e alto grado sono nel taccuino del cronista). «Tutto ciò che sta accadendo nelle basi del Nord Est italiano - prosegue l'alto ufficiale europeo - è legato al confronto con la Russia. Il Dal Molin diventa cruciale, perché gli Stati Uniti potranno agire liberamente senza nessun coordinamento con l'Alleanza Atlantica.

 

In poche parole un pezzo di suolo vicentino non sarà più italiano, ma americano. Neanche la NATO potrà metterci piede. Un frammento di suolo patrio ceduto in modo bipartisan dal centro sinistra e confermato dal centro destra, tanto per far capire il livello di sovranità e di libertà che gode il nostro paese.

 

La Lega Nord, nel frattempo, viene accusata dai sostenitori del "No dal Molin" di Vicenza di aver tradito la causa e di essere diventata la giullare alla corte dei "padroni"«Dicevano “paròni a casa nostra”, ma sono servi dei paròni», si legge sul sito vicentino (vedere qui).

 

 

 

 

INTRODUZIONE

 

Vicenza. Referendum popolare

Dal Molin. Il sì stravince

Fonte web

VICENZA - Su 24mila cittadini pari al 28,56% degli aventi diritto al voto 23.050 (95,66%) si sono espressi favorevoli al sì, cioè all'acquisizione da parte del Comune di Vicenza dell'area del Dal Molin, mentre i voti contrari sono stati 906 (3,76%). Il referendum popolare di oggi rappresenta uno strumento democratico, nonostante in questo caso non potrà aver seguito nelle sedi appropriate.

Tuttavia la vittoria del sì assume in questa lunga battaglia, consumata tra sentenze e ricorsi, un riconoscimento di estrema importanza. Una riconquista simbolica, della quale i vicentini hanno voluto umilmente farsi carico, di fronte all'arroganza di una scelta politica che ha aprioristicamente escluso l'espressione popolare su decisioni che li riguardava direttamente. Dovrebbe essere da esempio per tutti quei comuni, piccoli o grandi, dove spesso accade che le voci della base sociale siano spesso e volentieri ignorate, soppresse e addirittura cancellate. Invece a Vicenza il no del Consiglio di Stato non ha certo intimorito i comitati dei cittadini, i pacifisti, i movimenti e nemmeno il Sindaco Achille Variati che da buon Governatore ha accolto e appoggiato l'istanza della comunità. E così la consultazione si è svolta lo stesso. Non più negli edifici pubblici dedicati all'ufficialità istituzionale, ma nelle piazze e nelle strade della città palladiana, grazie ai tantissimi volontari che l'hanno resa possibile.

"Penso che il risultato della consultazione autogestita sia straordinario: - ha dichiarato Claudia Rancato, portavoce di No Dal Molin - 24094 cittadini (il 28,64%degli elettori) hanno deciso di esprimere comunque il loro voto, nonostante una campagna martellante spingesse in tutt'altra direzione. A coloro che dall'alto sostenevano che il parere della popolazione non conta e che è già tutto deciso, i vicentini hanno risposto di volere che il Comune acquisisca l'area del Dal Molin per farne un uso diverso da quello militare. I progetti alternativi ci sono, - conclude Rancati - la volontà popolare deve essere ascoltata, per Vicenza e non solo, per la salvaguardia della democrazia nel Paese."

E alla fine poco prima della mezzanotte è arrivato l'esito tanto atteso dopo lo scrutinio dei 32 seggi complessivi. Una doppia vittoria del sì. La prima a favore di coloro da sempre contrari all'ampliamento della base americana. Il secondo "sì", invece, rappresentato da una formidabile spinta emotiva che alimenta quel senso comune nella difesa dei propri diritti e degli strumenti democratici spesso negati.

 

 

Canzonetta "No dal Molin"

 

 

Vicenza: Se la democrazia

diventa inutile

 

(storia recente)

 

Fonte web - mercoledì 1 Ottobre 2008

Il Consiglio di Stato ha bocciato il referendum indetto, domenica prossima, a Vicenza dall’amministrazione comunale, per consultare i cittadini sull’uso dell’area dove è prevista la costruzione di una nuova base Usa. Non una consultazione deliberativa, perché si tratta di una scelta che poggia su negoziati internazionali. Ma un modo per permettere alla popolazione di esprimersi su una decisione che è destinata a produrre effetti rilevanti sulla realtà locale: dal punto di vista dell’ambiente, del territorio, della viabilità, della sicurezza.

Il Consiglio di Stato ha stabilito che si tratta di un esercizio "inutile", perché si applica a un obiettivo "irrealizzabile". E ha, per questo, bloccato l’iniziativa, tre giorni prima dello svolgimento. Contraddicendo, così, il pronunciamento del Tar, che, al contrario due settimane fa, aveva considerato legittima la consultazione.

Così, Vicenza diventa un caso esemplare, nella sua specificità. Una città dove lo Stato decide che i cittadini non "devono" pronunciarsi, secondo procedure istituzionali, perché, comunque, è stato già deciso. Peraltro, è difficile che, in questo caso, si levino voci indignate, a livello nazionale. (ad eccezione dei "soliti" esponenti della sinistra radicale). Perché su questa materia l’accordo è bipartisan.

La scelta della nuova base Usa nasce, cinque anni fa, da un accordo informale fra Berlusconi e le autorità americane, approvata dall’amministrazione di Vicenza del tempo e coltivata in gran segreto per anni. Così, a doverla gestire è stato il governo Prodi, che, dopo qualche resistenza e molte perplessità, ha, infine, concesso la base agli Usa, nel gennaio 2007. In nome dei buoni rapporti con l’alleato più influente, a livello internazionale. Dunque, destra, sinistra e centro d’accordo. Senza se e senza ma. Cioè: senza ascoltare i cittadini. Senza neppure preoccuparsi di vedere il luogo, il contesto, le condizioni.

Nessun leader politico del centrodestra e del centrosinistra che sia venuto a Vicenza a confrontarsi, a spiegare le ragioni della scelta. Nessun ministro che, negli ultimi due anni, abbia avuto il coraggio di avvicinarsi alla città, per timore di venire fischiato e contestato. Oggi che i fischi e le contestazioni fanno male all’immagine.

Solo il presidente Napolitano, di recente, si è recato a Vicenza. E ha pronunciato parole prudenti ma, in fondo, sagge, esortando affinché la difesa degli interessi locali avvenga nel rispetto di quelli nazionali. Senza, però, negare il diritto dei cittadini a esprimersi. Mentre il Consiglio di Stato ha decretato che il referendum è inutile. La stessa posizione espressa, in modo aperto, dal ministro La Russa. E dai leader di centrodestra. Dal presidente della Regione, Galan. Senza che, peraltro, si siano levate voci dissonanti dal centrosinistra. Né dal Pd né dall’Idv di Antonio di Pietro. D’altra parte, lo stesso Berlusconi, nelle scorse settimane, aveva inviato al sindaco di Vicenza una lettera per invitarlo a desistere. Il referendum è inutile: non fatelo. Tutti d’accordo, da sinistra a destra. Da Roma a Venezia.

Qui, però, non si tratta più del merito: la costruzione di una "nuova" base Usa (non dell’allargamento di quella pre-esistente, come erroneamente si dice) alle porte della città. Ma della possibilità dei cittadini di esprimersi attraverso un referendum. (come ritiene giusto oltre il 60% dei vicentini, interpellati in un sondaggio condotto da Demetra la settimana scorsa).

Il Consiglio di Stato (come le principali forze politiche nazionali) ha negato questa possibilità perché "ha per oggetto un auspicio irrealizzabile... su cui si sono pronunciate sfavorevolmente le autorità competenti". Sostenendo, in questo modo, che l’utilità della democrazia si misura solo a partire dal suo "rendimento" concreto; dall’efficacia dei risultati. (Se così fosse, non si spiegherebbe perché, per quanto faticosamente, regga ancora nel nostro paese).

Come se la democrazia fosse un utensile per realizzare "prodotti" pubblici. Un sistema e un metodo per decidere, come un’impresa qualsiasi (proprio oggi che il mercato non sembra più di moda). Dimenticando che la democrazia ha valore in sé. E’ un valore in sé. Le procedure mediante cui si realizza "servono" come fonte di legittimazione perché garantiscono riconoscimento alle istituzioni e consenso alle autorità.

La democrazia "serve" perché istituzionalizza il dissenso sociale, perché sostituisce la mediazione e la partecipazione allo scontro. La democrazia diretta, peraltro, offre un sostegno importante alla democrazia rappresentativa. Nel caso concreto, la prospettiva del referendum ha incanalato i comitati e i movimenti contrari alla base americana dentro alle logiche e alle regole del confronto istituzionale. Ha istituzionalizzato il dissenso. Ha isolato e estromesso le frange più estreme e le tentazioni violente.

Due anni di opposizione, manifestazioni e proteste su un terreno così critico si sono svolte senza incidenti, senza strappi. D’altronde, e non a caso, il movimento "No dal Molin" ha partecipato alle elezioni comunali dello scorso aprile, dove ha eletto una rappresentante. Accettando, così, il gioco della democrazia. Trasferendo il confronto dalla piazza alle sedi istituzionali. Sostituendo - e preferendo - la logica della rappresentanza a quella dello scontro.

Per la stessa ragione, il referendum avrebbe offerto all’amministrazione comunale e, in primo luogo, al sindaco Variati uno strumento per "governare" il malessere e le tensioni sociali. Perché, qualsiasi ne fosse stato l’esito, avrebbe ottenuto una delega a "negoziare". Anche se non vi fosse stato nulla di negoziabile - come accusa il Consiglio di Stato (la cui fiducia nel potere della partecipazione, dunque, della democrazia "sostanziale" appare assai fragile). In quel caso, avrebbe pagato lui, il sindaco, insieme all’amministrazione il prezzo di aver generato aspettative deluse. Ora, invece, la città si ritrova muta. Costretta al silenzio. Perché si è sancito, semplicemente, che, in alcuni casi, in questo caso, nel "suo" caso, la "democrazia è inutile". Che la partecipazione non serve. Che l’ascolto è un vizio. Che è meglio decidere ignorando il dissenso. Dichiarando preventivamente "illegittima" la semplice possibilità di farlo emergere.

Ma la democrazia ha una funzione terapeutica, prima che pratica e strumentale. Serve a curare la frustrazione nei rapporti sociali e politici. A evitare che degeneri.

Quando diventa inutile allora è lecito avere paura.

 

 

Abbiamo un sogno: la pace.

Cantano gli Abba

 

 

I segreti dell'elicottero Usa

caduto nel Trevigiano

Missili puntati contro la Russia, i segreti dell'elicottero caduto Aviano, Ghedi, Dal Molin: gli Stati Uniti portano nuove armi contro la minaccia costituita da Putin. I militari morti si addestravano a fronteggiare le truppe di Mosca

Fonte web

Falco Nero si addestra all'attacco in picchiata sulle possenti spalle di Orso Bruno. Ma Falco Nero ha la coda spezzata. E disperato si avvita nel suo volo finché col ventre tocca terra. Violento contro se stesso. Falco Nero muore con un urlo di metallo. Sulla riva del Piave di Treviso. Gli undici soldati uccisi e feriti, sparsi tra le lamiere, i campi di mais appena tagliati e la nebbia. A un passo, a un balzo dal cavalcavia dove corre l'asfalto che, ad est sempre più ad est, raggiunge persino Gorizia, la frontiera.

Da confine a confine. La linea del Piave era la trincea della Patria, settant'anni fa. Contadini veneti e sardi in divisa fuori-taglia, coi piedi zuppi e la polvere da sparo fradicia, con la brace del sigaro dentro la bocca per non mostrare nemmeno la più flebile luce, la notte, al cecchino austriaco. Che faceva, Falco Nero, il possente elicottero americano in passaggio radente sopra il fronte dove sparavano i moschetti di un altro millennio ?

Il Black Hawk (falco nero) statunitense si addestrava nei cieli bassi del Trevigiano, dove è precipitato giovedì, si preparava, in una missione di addestramento, al combattimento. Logico, normale di questi tempi per il velivolo di stanza alla base di Aviano: c'è guerra in Iraq, in Afghanistan e l'America, tutti hanno pensato, vuole essere sempre pronta.

SBAGLIATO. Falco Nero nel suo ventre non portava crociati per la lotta contro il terrorismo, il feroce Saladino islamico che - nella visione di Washington - minaccia l'Occidente. Falco Nero volava per artigliare, in un plumbeo ma possibile domani, l'Orso Bruno. Le basi del Nord Est, da Ghedi in Lombardia fino ad Aviano, passando per la misteriosa - ma non troppo - Longare del Vicentino, hanno da qualche mese ritrovato l'originaria vocazione. Non la guerra calda del deserto iracheno, ma quella gelida, la guerra fredda contro i russi.
Sono i documenti ufficiali a rivelarlo. Sono i nomi e gli squadroni dei militari morti, resi noti dagli Usa solo quattro giorni dopo il disastro, dopo una lunga e imbarazzata reticenza.
I morti sono morti, vero. Però cambia qualcosa, anzi tanto quando si conosce quali mostrine portavano sulla mimetica. E quattro di loro appartenevano al 31st Fighter Wing, un reparto di aerei a corto raggio, incapaci di raggiungere e colpire l'Iraq in piena efficienza. Tanto che, nel 1991, quando gli F16 furono chiamati a partecipare all'operazione Desert Storm, l'attacco all'Iraq di papà Bush, il reparto venne trasferito a Incirlik in Turchia. Compito del 31° è la difesa aerea contro la minaccia dell'Est.

Lo conferma un documento ufficiale dell'Us Air Force, l'aviazione Usa, solo da poche settimane "declassificat", ovvero sottratto al segreto militare. Il titolo del dossier è "31FW" Support to Contingeny Operations since 199", l'elenco dei compiti svolti dal 1994 ad oggi.
Bombe sulla Serbia nel 1999, sorvoli di Macedonia, Bosnia, Croazia. Persino una breve permanenza nella Repubblica Ceca per la difesa aerea di un vertice internazionale. Una storia militare scritta sulle uniformi delle vittime di FalcoNero, elicottero di supporto ai caccia che tanto solcano i cieli del Nord Est che, nelle belle giornate di quest'autunno, è impossibile guardare in alto senza scorgere le spumose scie bianche dei jet. Una storia ma anche un futuro di nuova frontiera, di un sistema di difesa che adesso reclama anche il Dal Molin, l'aeroporto di Vicenza. Ed è la Nato a confermare il recente cambiamento nel modo di operare degli Stati Uniti in Italia, una virata che era già nei piani ma che è stata brusca da quando la tensione con la Russia è salita e Vladimir Putin ha annunciato di non voler più rispettare gli accordi di non proliferazione presi con Washington.

«LA RAGIONE VERA per la quale gli Stati Uniti vogliono il Dal Molin è che noi non ci saremo dentro», spiega da Bruxelles una fonte militare della Nato sotto garanzia di anonimato (ma il suo nome e alto grado sono nel taccuino del cronista). «Tutto ciò che sta accadendo nelle basi del Nord Est italiano - prosegue l'alto ufficiale europeo - è legato al confronto con la Russia. Il Dal Molin diventa cruciale, perché gli Stati Uniti potranno agire liberamente senza nessun coordinamento con l'Alleanza Atlantica.

Ma l'errore che fate in Italia - dice ancora il militare - è di ragionare sulla possibilità o meno che dalla pista vicentina decollino gli aerei da bombardamento o gli intercettori. Per questi scopi ci sono già le basi di Aviano e gli aeroporti militari americani in Germania. Il Dal Molin - spiega la fonte Nato - deve essere inserito in questo sistema di difesa aerea, altrimenti non se ne comprende la funzione. Là dentro, senza doversi confrontare con gli alleati della Nato, e dunque nemmeno con l'Italia, le forze Usa possono stipare approvvigionamenti, sistemi elettronici, munizioni, sistemi d'arma per supportare l'intera rete di aeroporti europei che provvede alla difesa aerea contro la minaccia russa».
Maneggiavano dunque apparecchiature sofisticate, le quali spiegano anche perché gli Usa hanno chiesto che l'Italia rinunci all'inchiesta giudiziaria sul disastro: il Black Hawk caduto era esso stesso dotato di sistemi computerizzati che il Pentagono non vuole che vengano esaminati da esperti stranieri. Dall'indagine su Falco Nero potrebbero appunto emergere fatti imbarazzanti per Washington ma anche per Roma.

Si potrebbe arrivare infatti a capire che anche in un altro sito del Vicentino qualcosa sta cambiando.
A Longare, nel cosiddetto "Site Pluto", per oltre trent'anni gli Stati Uniti hanno piazzato una sessantina di missili terra-aria insieme ad alcune testate nucleari (lo ha ammesso il Pentagono). Il sistema di difesa convenzionale (cioè non atomico) del Nord Est italiano è basato sui missili Nike Hercules. Armi obsolete, in smantellamento. Saranno a breve sostituite con i più efficaci ordigni del Medium Extended Air Defense System. Con un impegno di circa tre miliardi e mezzo di dollari, gli Usa stanno ammodernando la difesa aerea in patria, in Germania e in Italia.

Al Veneto, alla Lombardia e al Friuli Venezia Giulia sono destinate batterie di missili piazzate su grossi autocarri, in grado di spostarsi in fretta. La tattica è chiamata "shoot and scoot", ovvero prima colpisci e poi fuggi per sottrarti alla risposta del fuoco nemico. È il nuovo modello militare disegnato dal Pentagono per l'Italia che, alla porta dei Balcani, da qualche mese è tornata ad essere il bastione contro il pericolo costituito dalla Russia.
Tanto che appena un mese fa il 31°, al quale appartenevano i morti nel Trevigiano, ha svolto una serie di esercitazioni congiunte con i Mig dell'aviazione bulgara, partendo da Sofia.
Proprio la Bulgaria è il Paese prescelto dagli Stati Uniti per installare quel sistema missilistico che ha innervosito Putin al punto di sospendere l'applicazione degli accordi di non proliferazione delle armi.

«IN QUESTO QUADRO - riprende la fonte Nato - è importante anche la base toscana di Camp Darby. Proprio lì il 31st Fighter Wing conserva parte dei propri materiali. E sempre da Camp Darby, vicino al porto di Livorno, parte un oleodotto militare che raggiunge Aviano». Aerei e missili nel Nord Est puntati contro la Russia. Lo raccontano le mostrine dei poveri morti sul greto del Piave.

«Negli anni '70 - racconta ancora l'alto ufficiale - i comandi della Nato calcolarono che le truppe schierate al confine di Gorizia non avrebbero resistito più di dodici minuti all'impatto con le forze del Patto di Varsavia.
Fu allora che si cominciò quell'evoluzione strategica che conduce oggi alla richiesta del Dal Molin. Meno soldati, meno mezzi blindati e più difese aeree e, ora, elettroniche. Nel Nord Est - conclude la fonte della Nato - non vedrete carri armati: la difesa dalla Russia è fatta di aerei, missili e microchip». Shoot and scoot, colpisci e fuggi Falco Nero, prima che Orso Bruno ti sbrani.

 

 

Voglia di pace, come 40 anni fa...

Canta Gianni Morandi

 

 

Il Dal Molin nelle mani di

una cooperativa rossa
 

Fonte web - Marco Cedolin

 

Dopo la sentenza del TAR del Veneto del 18 giugno scorso che aveva accolto il ricorso concernente la sospensione dei lavori, dichiarati illegali ed illegittimi, per la costruzione della nuova base americana Dal Molin a Vicenza, poi annullata il 29 luglio dal Consiglio di Stato che aveva ritenuto la decisione del governo un “atto politico insindacabile dal giudice amministrativo”, ci troviamo dinanzi ad una nuova svolta della controversa vicenda che vede larga parte dei cittadini vicentini contrapporsi agli interessi militari americani.

Ieri l’area ovest dell’aeroporto Dal Molin è stata infatti formalmente consegnata alle cooperative rosse che saranno responsabili della commessa di 245 milioni di euro concernente la progettazione e la costruzione delle nuove infrastrutture americane. La CMC di Ravenna e la CCC di Bologna, già impegnate in molti fra i più importanti appalti concernenti grandi infrastrutture compresi quelli per l’alta velocità ferroviaria, hanno di fatto preso in consegna il sito per iniziare le operazioni di preparazione del cantiere e procedere con l’inizio dei lavori il cui completamento è previsto entro il 2012.

Appare chiara a questo punto la volontà del governo di non lasciare alcuno spazio alla mediazione con i comitati di cittadini che da anni si oppongono alla costruzione della nuova base americana e ripetutamente hanno chiesto fosse indetto un referendum per coinvolgere nella decisione la popolazione destinata a subire le conseguenze determinate dalla nuova infrastruttura.
La decisione rimane pertanto “un atto politico insindacabile” calato dall’alto sulle spalle dei cittadini, con il rischio sempre più concreto che anche a Vicenza, come in Valle di Susa nel 2005, la situazione nei prossimi mesi rischi di degenerare in un muro contro muro fra la popolazione e le forze dell’ordine, con le tragiche conseguenze che si possono facilmente immaginare.

Chi sono CMC e CCC?

Oltre all’ampliamento della base di Sigonella la Cmc ha operato in qualità di general contractor nella costruzione di molte tratte Tav, fra le quali la tratta Bologna–Firenze dove, facendo parte del consorzio Cavet insieme ad Impregilo e Fiat Engineering, risulta imputata in un processo per devastazione ambientale, in quanto i lavori di scavo delle gallerie prosciugarono le sorgenti e inquinarono il territorio con fanghi contenenti oli minerali. Negli anni ‘90 costruì parte della metropolitana milanese. Nel 1998 partecipò al consorzio italo–colombiano Impregilo– Minciviles per la costruzione della centrale idroelettrica Porce, che non fu portata a termine e determinò un contenzioso giudiziario per inadempimento contrattuale. Nel 2004 si aggiudicò il primo lotto della Salerno–Reggio Calabria per 678 milioni di euro senza rispettare il termine dei lavori previsto. La Ccc ha collaborato nella costruzione delle tratte per l’alta velocità ferroviaria e si è aggiudicata sostanziosi appalti nell’ambito delle Olimpiadi invernali di Torino 2006, dove ha costruito i trampolini per il salto di Pragelato, il secondo lotto della pista da bob di Cesana e parte del villaggio olimpico di Torino. Ha inoltre costruito varie infrastrutture dell’aeroporto L. Da Vinci e della stazione di Roma Termini.

 

 

 

 

 

APPROFONDIMENTO

 

 

SITO UFFICIALE NO DAL MOLIN

 

 

LEGA NORD, GIULLARE DI CORTE

 

Dicevano “paròni a casa nostra”, ma sono servi dei paròni. I leghisti, duri a Pontida e venduti a Vicenza, sono coloro che escono maggiormente umiliati dalla consultazione popolare che ieri si è tenuta a Vicenza [...]

 

 

Facciamo due conti

 

Il giorno dopo la consultazione popolare sul Dal Molin è una babele di commenti; sono tanti o son pochi 24 mila cittadini che votano per dire che futuro vogliono per l'aerea verde a nord della città? Intorno a questa domanda, spesso in modo strumentale e in alcuni casi con argomentazioni ridicole, si è concentrato il dibattito di coloro che si ergono a commentatori [...]