LA NUOVA DIMORA DI RE DAVID

CON POLIZIA E RUSPE

PULIZIA ETNICA A GERUSALEMME

Nel frattempo Obama ha gettato la spugna per quanto riguarda

i diritti dei palestinesi, lasciandoli così al loro destino.

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

Guai a coloro che meditano l'iniquità

e tramano il male sui loro giacigli;

alla luce dell'alba lo compiono,

perché in mano loro è il potere.

Sono avidi di campi e li usurpano,

di case, e se le prendono.

Così opprimono l'uomo e la sua casa,

il proprietario e la sua eredità. (Mi 2,1-2)

 

 

INTRODUZIONE

pulizia etnica a Gerusalemme

Fonte web

Gerusalemme – Il deputato “arabo” al Parlamento israeliano e capo del “Fronte Democratico per la Pace e l’Uguaglianza” Muhammad Baraka ha fatto appello, mercoledì 2 dicembre, alla ‘comunità internazionale’ affinché adotti una posizione seria di fronte al crimine sionista di “pulizia etnica” contro i palestinesi nella città occupata di Gerusalemme.

Baraka ha dichiarato che la risposta della ‘comunità internazionale’ costituirà una verifica di come viene fatto rispettare il diritto internazionale, malgrado l’esperienza pluridecennale giustificherebbe la disillusione da parte dei palestinesi…

Le affermazioni di Baraka giungono contemporaneamente alla pubblicazione, da parte del Centro israeliano per la difesa dei Diritti individuali, delle statistiche – basate sui dati del Ministero degli Interni - concernenti il crimine rappresentato dal ritiro della residenza a molti palestinesi di Gerusalemme.

Secondo il rapporto, il Ministero Olmert s’è reso protagonista d’un crimine di “pulizia etnica” ritirando, nel solo 2008, a circa 4.600 palestinesi residenti in città il diritto di risiedervi, il che rappresenta un decisivo inasprimento di questa pratica se ci si riferisce alla media di simili provvedimenti nel quarantennio 1967-2007.

Cercando di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale sui crimini delle autorità d’occupazione israeliane, in specie quelli contro gli abitanti di Gerusalemme ed i Luoghi santi, Baraka contesta radicalmente la politica ufficiale d’apartheid dello Stato ebraico, il quale continua a prendere in giro la ‘Comunità internazionale’ pretendendo ancora un “Processo di pace”!

Baraka approva inoltre la posizione della Presidenza dell’UE al riguardo dell’iniziativa svedese su Gerusalemme Est quale “capitale eterna di uno Stato palestinese indipendente e sovrano”, e fa appello alla stessa UE affinché moltiplichi gli sforzi mirati all’adozione di una posizione ufficiale che rafforzi i legittimi diritti dei palestinesi.

 

 

Inshallah

Documento sulla demolizione

di case in Palestina - 1

 

Inshallah

Documento sulla demolizione

di case in Palestina - 2

 

Inshallah

Documento sulla demolizione

di case in Palestina - 3

 

 

La nuova dimora di Re David

Fonte web

La settimana scorsa il presidente israeliano Shimon Peres ha incontrato il suo omologo egiziano Hosni Mubarak. Da quel che riportano i giornali egiziani e israeliani, il primo  avrebbe sostenuto che "dal momento in cui i palestinesi torneranno a parlarci, smetteremo di espanderci con gli insediamenti”. Promettendo inoltre che “se torneranno a negoziare non ci sarà più confisca di terre, bloccheremo gli investimenti di nuovi insediamenti e avvieremo uno smantellamento di quelli già realizzati senza autorizzazione”.

Ecco il paradigma dell'ipocrisia: gli insediamenti ebraici nei territori palestinesi sono stati tutti realizzati senza alcuna legittima  autorizzazione, dato che sono situati su terra rubata, e dovrebbero essere immediatamente smantellati secondo il diritto internazionale. Stiamo parlando degli avamposti del colonialismo israeliano che persino la Corte Suprema (sic!) israeliana considera illegali. Persino il compiacente amico d'Israele, Mubarak, ha dovuto rispondere: “Userò parole chiare e non travisabili. In questo modo, Israele sta demolendo ogni possibilità di accordi di pace, i suoi piani di riempire Gerusalemme di ebrei e isolare con scavi la moschea di al-Aqsa sono inaccettabili”.

Le stime ONU calcolano che circa 60.000 palestinesi di Gerusalemme-est siano a rischio di sgomberi forzati e demolizioni.

Nei giorni scorsi l'associazione palestinese “Jerusalem Center for Women” e quella israeliana  “Beit Shalom” hanno presentato nuove prove in cui si evidenzia come i palestinesi della Gerusalemme araba vengano cacciati dalle case in cui le loro famiglie risiedono da generazioni, per fare spazio a nuove espansioni immobiliari. Il JCW ha dato notizia di numerose abitazioni palestinesi minacciate di sgombero in funzione di un nuovo massiccio sviluppo, a sostegno statale, per il turismo religioso. Si prevedono oltre 1.500 palestinesi senza tetto. A sud della Città Vecchia, il quartiere Al Bustan, composto da 88 case, sarebbe situato, secondo lo stato ebraico, sulle rovine del Palazzo di Davide; ed è qui che vuole costruire, appunto, la “ Città di David “, un complesso immobiliare finalizzato al turismo religioso.

I residenti arabi ricevono ordini di demolizione in cui figurano come “destinatario ignoto” nonostante i nomi e gli indirizzi compaiono chiaramente in tutte le bollette comunali che ricevono e che normalmente pagano. Tutte le famiglie palestinesi coinvolte in questo tragico sopruso sarebbero in grado di menzionare le molteplici generazioni che le hanno precedute e che han vissuto nelle stesse dimore della Città Vecchia, a pochi passi dalla moschea di Al Aqsa. Ma agli israeliani non interessa quanto indietro risalgano le radici di questi cittadini, convinti, evidentemente, di averle più profonde e sante. Nella Gerusalemme Occupata lo spazio per gli abitanti palestinesi si restringe sempre più, è facile dire “come un cappio”.

Con tutta evidenza la pianificata Città di David  fa parte della consuetudine israeliana di ebreaizzazione di Gerusalemme (e della Palestina in generale), di pulizia etnica della sua popolazione palestinese in funzione della “Gerusalemme Ebrea unita”, tanto reclamizzata in giro per il mondo dal governo Netanyahu. Chi può o vuol credere alle promesse del signor Peres? Sotto gli occhi del mondo si stanno estromettendo i residenti palestinesi per far spazio a illegittimi residenti ebrei. Iniziò nell’ormai lontano 1967 questa deportazione forzata con oltre 5.000 palestinesi trasferiti in Giordania. Questa pratica venne attuata subito dopo l’annessione illegale della parte orientale della città, semplicemente oggi si vuole ultimare il crimine vergognoso.

Sofisticati meccanismi burocratici e ingiustizie legali rendono la vita impossibile ai palestinesi. In un altro quartiere, Wadi Qaddum, la circoscrizione comunale israeliana non fornisce alcun servizio, sebbene gli abitanti paghino le tasse. Mentre il comune di Gerusalemme continua a espandersi in insediamenti per soli ebrei nei quartieri arabi, per i palestinesi rimane impossibile ottenere permessi di costruzione, neppure su terreno privato.

Alcune famiglie palestinesi sono, in queste settimane, costrette a vivere in tenda dopo essere state sgombrate sotto minaccia delle armi da subentranti ebrei protetti dalle forze israeliane. Senza ricevere alcun sostegno da uno stato ebraico che non concede uguali diritti e benefici ai “suoi” cittadini palestinesi; per di più nessuna protezione arriva da  un’Autorità Palestinese sottomessa alla volontà israeliana.

Il Jerusalem Center for Women testimonia inoltre l’inaffidabilità del sistema giudiziario rappresentato da tribunali  assolutamente di parte, ovviamente quella ebraica. Ma come spesso accade con la popolazione palestinese, molti di loro resistono e si rifiutano, coraggiosi e risoluti, di abbandonare la loro città. Potranno togliere loro un tetto, non la terra.

Certamente la previsione è tragica, personalmente invito tutto il mondo del dialogo interreligioso e chi ritiene ormai intollerabili questi soprusi, a porre la questione in cima alla scaletta dei propri impegni.

 I palestinesi attraverso la voce del Jerusalem Center for Women si appellano alla sensibilità di tutti noi, perché ovunque si faccia pressione su Israele e le sue  Ambasciate,  a tutela dei loro diritti. Nessuna pace è ipotizzabile dove imperversa l’ingiustizia, sarebbe necessario e doveroso che l’opinione pubblica internazionale, inclusi i membri delle varie comunità ebraiche, rispondessero  all’appello.

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(*) Elvio Arancio, rappresentante dell'European Muslim Network e collaboratore di Infopal.it. 

 

 

Gerusalemme oggi

 

Intervista a uno psicologo di Medici Senza Frontiere

 

 

Una relazione segreta della UE critica la

politica israeliana a Gerusalemme Est

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 'L'assenza dell'Anp rafforza il controllo

di Hamas sulla città'.

Fonte weeb

Gerusalemme - Infopal. I membri del corpo diplomatico dei Paesi dell'Unione europea a Gerusalemme Est e a Ramallah hanno fortemente criticato la politica di Israele praticata a Gerusalemme Est, e hanno raccomandato di impegnarsi a rafforzare la posizione dell'Anp nella città.

Il quotidiano israeliano "Ha’aretz", il 2 dicembre, ha riferito che un rapporto "segreto" preparato dai consoli dell'Unione Europea a Gerusalemme e a Ramallah rivolge dure critiche alla politica israeliana a Gerusalemme Est, invitando la Ue a lavorare per rafforzare la posizione dell'Anp in città, ma anche ad elevare azioni di protesta contro Israele imponendo sanzioni contro coloro che incoraggiano attività di colonizzazione in città e nei suoi dintorni.

Secondo il quotidiano, si tratta di un documento molto sensibile perché riguarda lo status di Gerusalemme, pertanto è rimasto segreto e non è stato diffuso quale posizione ufficiale dell'Unione Europea.

"Ha’aretz" ha poi aggiunto che il rapporto, completato il 23 novembre scorso, è stato presentato a porte chiuse nelle istituzioni dell'Unione Europea a Bruxelles.

Il rapporto afferma che "il governo israeliano e la municipalità di Gerusalemme stanno lavorando in base ad una ‘strategia’ mirata a modificare l'equilibrio demografico della città, e a isolare Gerusalemme est dalla Cisgiordania", confermando che il governo israeliano e la municipalità di Gerusalemme stanno aiutando le organizzazioni di destra, tra cui "Ateret Cohanim" e "Elad", a raggiungere tali obiettivi e controllare la città, in particolare la zona della moschea al-Aqsa.

Il rapporto riferisce che esistono associazioni private che si adoperano per acquistare case nei quartieri arabi, cercando di stabilirvi insediamenti ebraici. Inoltre in esso si critica duramente la municipalità di Gerusalemme, citando esplicitamente le sue pratiche discriminatorie contro i palestinesi riguardo ai permessi edilizi, ai servizi sanitari e educativi.

Il rapporto rileva che "dal 1967, Silwan ha ottenuto solo 20 licenze di costruzione, mentre a Gerusalemme i palestinesi ne hanno ricevute soltanto 200 in un anno, a fronte delle 1.500 di cui avevano bisogno".

Inoltre vi si sottolinea che la popolazione palestinese a Gerusalemme rappresenta il 35% degli abitanti, ma ad essa spetta solo il 5-10% del bilancio destinato a Gerusalemme.

Per quanto riguarda gli scavi sotto la città, soprattutto nella zona della moschea al-Aqsa, la relazione sottolinea che "gli scavi a Silwan, nel centro storico di Gerusalemme e nella zona della moschea al-Aqsa, sono collegati alla ‘storia ebraica’, l'archeologia sta diventando uno strumento ideologico in un conflitto percepito come nazional-religioso. Il conflitto viene gestito in modo da modificare l'identità e il carattere della città, minandone la stabilità".

La relazione evidenzia che i palestinesi a Gerusalemme Est vivono gravi problemi di sicurezza, poiché l'espansione degli insediamenti di ‘coloni’ israeliani alimenta la violenza contro gli abitanti originari di Gerusalemme. Essa indica inoltre che la polizia israeliana non interviene come dovrebbe, anche quando violenze contro i palestinesi di Gerusalemme si verificano in sua presenza.

La relazione affronta anche la  progressiva chiusura delle istituzioni dell'Olp e dell’Autorità nazionale palestinese a Gerusalemme, mettendo in guardia su ciò che definisce "il controllo del Movimento di resistenza islamica, Hamas, sulla città". Secondo la relazione, l'assenza delle istituzioni ufficiali palestinesi e la sensazione di abbandono da parte dei gerosolimitani spianano la strada ai movimenti islamici, rafforzandone perciò la presenza anche a Gerusalemme.

I consoli europei, nella loro relazione, raccomandano di adottare misure per rafforzare la presenza dell'Anp a Gerusalemme: esercitando pressioni su Israele affinché fermi le violazioni contro i suoi abitanti, riaprendovi le istituzioni ufficiali dell'Olp (la “Orient House”, ad esempio) e inviando diplomatici europei presso i tribunali israeliani a Gerusalemme sollecitandoli ad assumere un ruolo nelle delibere di evacuazione di abitanti di Gerusalemme dalle loro case.

Il quotidiano "Ha’aretz" riferisce inoltre che la relazione contiene inviti ad un gesto simbolico volto a sottolineare che Gerusalemme Est è la capitale di un futuro Stato palestinese; per questo essa comprende la raccomandazione ai consoli di ospitare alti funzionari dell'Autorità Nazionale Palestinese, organizzando incontri con ministri europei nei consolati europei a Gerusalemme Est, rifiutando la scorta della polizia israeliana durante le loro visite nella zona ed astenendosi da incontri con funzionari israeliani nei loro uffici a Gerusalemme Est.

La relazione propone infine l'imposizione di sanzioni economiche contro i ‘coloni’ di Gerusalemme e chiede a tal fine la collaborazione dei consoli nel reperimento di informazioni sui coloni violenti  per poi studiare la possibilità d’impedire loro l’ingresso nei Paesi dell'Unione Europea. Dunque, una vera indagine al riguardo, anche per vietare il trasferimento di fondi da parte di istituzioni europee ad associazioni che sostengono gli insediamenti a Gerusalemme e per fornire indicazioni ai vari uffici del turismo in Europa affinché sia impedito il sostegno ad interessi di ‘coloni’ a Gerusalemme.

Dal canto suo, Israele ha espresso un certo timore per questa relazione, perché essa va a toccare la sua posizione all'interno dell'Unione Europea e della ‘comunità internazionale’. Esponenti di alto rango del ministero degli Affari Esteri israeliano hanno affermato che la pubblicazione di questa relazione nei palazzi dell'Unione Europea sta rafforzando la posizione della Svizzera che intende presentare un’iniziativa per la dichiarare di Gerusalemme Est come “capitale della Palestina”.

 

 

Verrà il tempo che Gerusalemme sarà

la città della Pace tra i popoli

 

 

La denuncia della Caritas: peggiora

la situazione dei palestinesi

Fonte web

GERUSALEMME - In una dichiarazione in occasione della Giornata Internazionale di Solidarietà con il Popolo Palestinese, celebrata il 29 novembre, Caritas Gerusalemme ha fatto appello “ai Governi e alla comunità internazionale affinché compiano passi concreti che portino alla pace e alla stabilità in questa Terra”.

Allo stesso modo, esorta a lavorare “per la realizzazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite, della legalità internazionale e della IV Convenzione di Ginevra, di modo che l'anelito a uno Stato palestinese sovrano non sia solo un sogno, ma comporti una vera speranza che si possa trasformare in realtà”.

Caritas Gerusalemme ricorda che “la situazione, che si deteriora giorno dopo giorno a Gaza e in Cisgiordania, richiede azioni immediate, sia sul campo che a livello di comunità internazionale, visto che nulla può giustificare la costante e continua sofferenza di uomini, donne e bambini innocenti”.

“E' ora della pace tra israeliani e palestinesi – afferma la nota –. Crediamo che porre fine all'occupazione e al conflitto per permettere a due Stati di vivere fianco a fianco sia avere una visione di pace, giustizia e riconciliazione tra i due popoli della Terra Santa, e che sia ancora possibile nonostante disperazione e scoraggiamento”.

Condizioni precarie nei Territori palestinesi

In occasione della Giornata Internazionale di Solidarietà con il Popolo Palestinese, la Caritas denuncia “lo sfollamento di migliaia di famiglie palestinesi”, che per più di 60 anni sono state private “del loro diritto inalienabile all'autodeterminazione”, e il fatto che lo Stato palestinese “non abbia ancora visto la luce”.

Al contempo, lamenta che in tutto questo tempo “la sofferenza e il dolore del popolo palestinese, e molti sforzi politici e altre iniziative, siano rimasti nel dimenticatoio, mentre la situazione nei Territori Palestinesi continua ad essere preoccupante”.

Caritas Gerusalemme condanna le gravi limitazioni imposte quotidianamente da Israele attraverso “il muro di separazione con più di 500 controlli militari e altre barriere fisiche, che continuano a frammentare la società palestinese a livello territoriale, economico, sociale e politico”.

Questa situazione, osserva, “non solo rappresenta una flagrante violazione del diritto internazionale, ma è anche un grande ostacolo al raggiungimento della pace e della riconciliazione”.

“Ci possiamo chiedere come possa esistere un processo di pace quando il tessuto della vita quotidiana è totalmente distrutto – osserva Caritas Gerusalemme –. Tra le loro risorse prosciugate, dove possono trovare i palestinesi la motivazione per un dialogo che permetta di trovare nuove vie per la pace?”.

“Siamo certi che la pace sia possibile, e per questo preghiamo il Dio di tutti perché porti pace, giustizia e riconciliazione a tutti i suoi figli in Terra Santa”, conclude la nota.

 

 

La moschea di al-Aqsa a Gerusalemme

 

 

 

 


Sottoterra, per rifare il Tempio

Fonte web

GERUSALEMME: Gli abitanti di Silwan, quartiere arabo di Gerusalemme, hanno notato le crepe sui muri
delle loro case, qualche calcinaccio caduto: e così hanno scoperto che gli «archeologi di Geova» erano di nuovo al lavoro nel sottosuolo, sotto i loro piedi.

«Questi lavori minacciano di far crollare le nostre case», dice Fakhri Abu Diab, capo del comitato per la difesa di Silwan: «Ancora una volta, nessuno s’è degnato di avvertirci, né di farci vedere
i permessi. I coloni agiscono come se noi non esistessimo».

Sì, perché gli archeologi dediti agli scavi nel sottosuolo di Silwan, ricco di storia e di resti antichi, non sono veramente archeologi.
Sono, spiega testualmente Le Monde, membri della «associazione Elad, un gruppo di coloni fondamentalisti, a cui il Servizio Israeliano delle Antichità ha concesso il terreno (altrui) e chi
da allora è diventato maestro nell’arte di strumentalizzare il sottosuolo di Gerusalemme a fini politici. Nel giro di una ventina d’anni, a forza di persecuzioni giuridiche, falsificazione
di documenti e reclutamento di collaboratori, Elad è riuscita a impadronirsi di oltre 50 abitazioni nel centro di Silwan» (1).

Questi «archeologi» sono interessati soprattutto agli antichi tunnel di cui è traforato il sottosuolo della città.
Secondo il «Comitato israeliano contro le demolizioni di case», uno dei gruppi ebraici che cerca
di aiutare i palestinesi in questo frangente, Elad vuole collegare il tunnel detto di Ezechia (che fa parte di un parco-percorso archeologico visitabile) con un’altra antichissima galleria, attualmente murata, perché porta proprio sotto la verticale della moschea di Al Aqsa.
Ossia il luogo più santo per l’Islam fuori dalla Mecca.

Ora, da decenni potenti e ben finanziati gruppi di zeloti ebraici tentano di far crollare o esplodere
la moschea di Al Aqsa, perché su quel luogo - dove ritengono fosse il «Santo dei Santi», il luogo interno dell’antico tempio ebraico dove avveniva il sacrificio dell’agnello pasquale - vogliono far sorgere il terzo Tempio.
Ci sono stati in passato progetti, a malapena sventati, di portare tonnellate di esplosivo sotto
Al Aqsa attraverso quelle gallerie.

Nel 1996, il governo Netanyahu autorizzò l’apertura di un tunnel sotto la spianata delle moschee (Monte del Tempio per gli ebrei): in difesa di Al Aqsa, i palestinesi provocarono una sommossa che la polizia israeliana sedò a mitragliate: oltre 70 palestinesi uccisi, e 17 ebrei.
Negli anni, lo Stato sionista è diventato sempre meno laico e sempre più corrivo coi fanatici che vogliono ricostruire il Tempio, distruggendo la moschea.
Il pericolo si avvicina, per i palestinesi.

Meir Margalit, il capo del Comitato israeliani contro le demolizioni, spiega: «questi cosiddetti archeologi dell’Elad sono individui impregnati di una ideologia messianica; immaginano che
il Terzo Tempio scenderà dal cielo schiacciando e distruggendo la moschea. Basta che i palestinesi sentano ancora una volta che la moschea è in pericolo, per far scoppiare una nuova esplosione popolare. E i peggio è che il governo non tiene a freno quei pericolosi fanatici».

Lungi dal tenere a freno, come abbiamo visto, il regime sionista ha dato agli zeloti di Elad lo status di «archeologi», autorizzando i loro scavi che, oltre a rendere pericolanti le case palestinesi, mirano ad avvicinarsi ad Al Aqsa dal disotto.
La complicità fra Elad e i servizi di sicurezza israeliani è più che evidente.

Il 10 febbraio scorso quattro palestinesi hanno fatto ricorso alla Corte Suprema contro gli scavi che avvengono sotto i loro pavimenti; immediatamente sono stati arrestati dalla polizia giudaica
con l’accusa di aver «danneggiato il cantiere archeologico».
Poco prima altri due palestinesi, dopo aver presentato una denuncia al commissariato per gli scavi abusivi, sono stati arrestati con l’accusa di «violenza».
Persino Yossi Beilin, il deputato israeliano del partito Meretz (di sinistra e pacifista), avendo chiesto di poter visitare gli scavi, s’è visto rifiutare il permesso dalle Belle Arti israeliane.

Le Monde ha cercato di contattare le Belle Arti, il Dipartimento dei Parchi Nazionali e lo stesso gruppo Elad: nessuno ha voluto dare spiegazioni, ciascuno rimandando all’altro la responsabilità
dei lavori.
Reticenza, dispetto: cosa vogliono sapere questi goym?

«E’ sempre così», sospira Margalit, il capo del Comitato: «Sempre la stessa storia. Il governo fa fare il lavoro sporco ai coloni fanatici, e chiude tutt’e due gli occhi. E tutti tacciono».
Scava scava, vecchia talpa.
Fino all’Apocalisse.
Quando si rivelerà «l’uomo d’iniquità, colui che s’oppone e s’innalza su tutto ciò che è chiamato Dio o è oggetto di culto, fino a sedersi egli stesso nel Tempio di Dio, dichiarando Dio se stesso» (San Paolo, II Tessalonicesi, 2, 4-5).

La distruzione della moschea Al Aqsa sarebbe un sacrilegio per l’Islam.
Ma la ricostruzione del Tempio e la ripetizione del rito dell’agnello - ciò a cui puntano i fanatici, per «riattivare» la loro religione rimasta senza rito sacramentale - sarebbe una bestemmia inaudita anche per i cristiani: per i quali l’ultimo Agnello è stato sacrificato duemila anni fa, ed ora si adora non su un monte, ma «in Spirito e verità».

Può entrare in questo discorso anche una notizia solo apparentemente senza rapporto con esso.
La comunità ebraica di Budapest ha dato mandato all’avvocato Peter Wolz per reclamare, a nome dei sopravvissuti di Auschwitz, 40 miliardi di dollari di danni al governo americano (2).
Ma come?
Gli USA non sono colpevoli dell’olocausto, anzi hanno combattuto i nazisti…

Si, replica Wolz a nome dei suoi clienti: ma l’America non ha fatto abbastanza per gli ebrei.
Non lo ha ammesso lo stesso presidente Bush, nella sua recente visita a Vad Yashem in Israele? «Avremmo dovuto bombardare Auschwitz», ha detto, e poi (su suggerimento della Rice) ha precisato: «Voglio dire, dovevamo bombardare nel ‘44 le ferrovie e i ponti che portavano gli ebrei ad Auschwitz».
Gli ebrei ungheresi l’hanno preso in parola.

Hanno calcolato che se avessero bombardato le ferrovie, gli americani avrebbero salvato 400 mila ebrei in più.
Fatti due conti sul costo di ogni vita ebrea non salvata per omissione di bombe, la comunità ebreo-ungherese (quella da cui viene George Soros), ha presentato il conto: americani, pagate 40 miliardi di dollari; e pentitevi, voi complici della Soah.
Evidentemente, è una prova di onnipotenza e arbitrio, praticamente divina.

Solo chi si sente Dio può agire così: tutti colpevoli, tutti davanti al tribunale supremo, nessun innocente tranne il popolo divino.
La causa pende alla corte federale di Colombia, Washington.

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1) Benjamin Barthe, «Fouilles archeologiques, outil politique des colons de Jérusalem», Le Monde, 20 febbraio 2008.
2) Anna Bystroem, «Hungarian Jews called to register for class action», Budapest Sun, 13 febbraio 2008. «Düsseldorf-based Wolz says he has already filed a class action for $40 billion against the US government at the Federal District court of Colombia, in Washington DC. The class action concerns the failure of the Allies to bomb the railway bridges between Hungary and Auschwitz during the Second World War. Wolz believes the bombing of the railway bridges could have saved more than 400,000 Hungarian Jews life during 1944. He put the number of Budapest Jews who escaped the Holocaust - people like financier George Soros and the late Congressman Tom Lantos - at about 120,000 only».

 

 

APPROFONDIMENTO

 

La UE riconoscerà Gerusalemme Est come

Capitale del futuro stato di Palestina.

Gerusalemme - Infopal. In base a quanto riporta “Ha’aretz” nell’edizione di oggi, 1° dicembre '09, i ministri degli Esteri della Ue, la prossima settimana, riconosceranno Gerusalemme Est come capitale del futuro Stato palestinese. Il quotidiano israeliano afferma d’aver ottenuto copia di una bozza di documento redatta dalla Svezia, che attualmente ha la presidenza dell'Unione Europea. Nel documento sarebbe contenuto il riconoscimento della Ue nel caso di unilaterale autoproclamazione di uno Stato palestinese. ....

 

M.O.: GELO DI ISRAELE PER DOCUMENTO UE SU GERUSALEMME

Gerusalemme, 8 dic. - (Adnkronos/Aki) - Le conclusioni del Consiglio Affari esteri dell'Unione eropea, in base alle quali palestinesi e israeliani devono trovare "attraverso il negoziato" una soluzione per Gerusalemme "capitale di due Stati", non favorisce la ripresa dei negoziati. E' quanto si legge oggi su un comunicato del ministero degli Esteri israeliano, citato dal quotidiano 'Jerusalem Post', secondo il quale il documento finale dell'Ue "ignora l'ostacolo principale che impedisce di raggiungere un accordo tra Israele e i palestinesi", ovvero "il rifiuto dei palestinesi di sedersi nuovamente al tavolo dei negoziati".