LA RIFORMA SANITARIA DI OBAMA:

 

Due passetti avanti ed uno gigantesco indietro

 

LA CHIESA CATTOLICA AMERICANA SUL SENTIERO DI GUERRA:

 NON RISPETTA LA LIBERTà DI COSCIENZA SULL'ABORTO

 

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

 

 

 

 

 

INTRODUZIONE

 

Obamacare e le due Chiese americane

 

Fonte web

 

La riforma sanitaria di Obama passa il vaglio della Corte suprema, nonostante l’opposizione di quattro giudici costituzionali, tutti e quattro cattolici (Alito, Kennedy, Scalia, Thomas), mentre gli altri due giudici cattolici, Roberts e Sotomayor – solitamente su sponde ideologiche opposte – si sono detti a favore della riforma sanitaria. Questo fatto rivela molteplici fenomeni in atto nella società, nella politica e nella chiesa americana. Il primo fenomeno deriva dal fatto che per la prima volta nella storia americana sei giudici su nove provengono da una ex minoranza religiosa. La ex minoranza cattolica, per lungo tempo tenuta a distanza dall’establishment a favore del protestantesimo, che oggi invece non è “rappresentato” da nessuno alla Corte suprema. È un fatto che dice molto sia della nuova forza culturale del cattolicesimo, sia della crisi epocale della ormai ex dominante protestante negli Stati Uniti.

 

Le gerarchie cattoliche, sia in America sia a Roma, lo sanno bene e stanno cercando di usare in modo spregiudicato questo nuovo potere. Il secondo fenomeno è quello di una crescente spaccatura politica interna alla Chiesa cattolica americana, in cui le due ali – quella democratica liberal-progressista e quella repubblicana conservatrice – hanno sempre meno interesse a parlarsi.
Proprio in occasione della riforma sanitaria di Obama, dal 2010 in poi, queste due anime hanno rivelato la profondità della faglia che le divide, ormai al di là della classica divisione sulla legislazione in materia di aborto. La durissima posizione dei vescovi contro il mandato della riforma sanitaria ai datori di lavoro in materia di pratiche contraccettive ha evidenziato un’ala liberal pienamente immersa nel mainstream americano sulla concezione della sessualità e dei ruoli di genere, contro un’ala conservatrice che tende a vedere nell’opposizione del magistero della Chiesa alla contraccezione un carattere culturale fondamentale del cattolicesimo – nelle parole di più di un vescovo, «come le regole del kosher per gli ebrei».

 

La sentenza della Corte suprema mette di fronte alla politica americana la domanda sul futuro del cattolicesimo negli Stati Uniti: quale tipo di cattolicesimo prevarrà? Quello liberal che tende ad americanizzare il discorso sui diritti dei gay e delle donne dentro la Chiesa e ad essere counter-cultural sulla politica estera, le politiche sociali e l’etica degli affari? Oppure quello repubblicano che tende ad americanizzare la cultura cattolica americana in una direzione esattamente opposta, ovvero verso un’idea di capitalismo con meno il minor numero possibile di regole ma sintonizzata senza dubbi con Roma sulle questioni di ruoli di genere e di morale sessuale? La conferenza episcopale americana, nel corso degli ultimi due anni, ha sempre criticato e sempre più rumorosamente alcuni aspetti della riforma sanitaria (non abbastanza anti-abortista e anti-contraccezione) ma non ha mai criticato – anzi – l’idea di una copertura sanitaria universale. Ma è un messaggio che i cattolici americani repubblicani non hanno mai accettato – compresi alcuni vescovi che hanno espresso pubblicamente posizioni visceralmente anti-Obama.

 

Questa settimana gli arcivescovi di nuova nomina sono a Roma per ricevere il pallio da Benedetto XVI: tra di loro, il neo-arcivescovo di Baltimora, William Lori, l’uomo di punta della Conferenza episcopale per l’opposizione al mandato sulla copertura assicurativa della contraccezione, in nome di una “libertà religiosa” che i vescovi vedono a rischio per i cattolici americani.
La settimana prossima, nella solennità civile del quattro di luglio, si concludono le “due settimane per la libertà religiosa” – una serie di manifestazioni pubbliche organizzate dai vescovi americani per mettere pressione sull’amministrazione Obama e chiedere modifiche alla legge di riforma sanitaria. Anche per questo, il rischio mortale per la Chiesa americana oggi è di presentarsi, agli occhi dei cattolici liberal, come il braccio religioso del Partito repubblicano: non a caso anche all’ultima sessione della Conferenza episcopale di due settimane fa è emersa la necessità di una migliore “strategia comunicativa” da parte dei vescovi.
 

In modo non molto diverso, anche il Vaticano ha un problema analogo, che ora tenta di curare con la nomina di un nuovo incaricato alla comunicazione, Greg Burke: americano, proveniente dall’Opus Dei, ha lavorato per Fox News, che fin dall’elezione di Obama ha offerto senza sosta al pubblico americano l’immagine di un cattolicesimo naturaliter repubblicano. Alla nuova romanizzazione del cattolicesimo americano (dopo quella di metà secolo XIX, sotto Pio IX) corrisponde sempre più una americanizzazione della Roma vaticana: dagli scambi in corso tra queste due sponde dell’Atlantico dipende parte del futuro degli Stati Uniti, e molto del futuro della Chiesa cattolica.

 

 

 

 

 

 

Usa: riforma sanitaria, chi ha vinto, Obama e

le assicurazioni private oppure i cittadini?

 

 

 

 

 

LA RIFORMA SANITARIA VOLUTA DA OBAMA

CHE FAVORISCE LA BIG PHARMA

 

OVVERO COME TI TRUFFO GLI AMERICANI

 

Fonte web

 

Usando il loro denaro per ingrassare ulteriormente le grandi case farmaceutiche. Le agenzie hanno appena ‘battuto’ la notizia che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha respinto un’istanza di incostituzionalità che metteva a rischio quella che qui viene chiamata ObamaCare, vale a dire la riforma sanitaria (HealthCare) voluta da Obama.Si trattava di accettare o rigettare un ricorso supportato da 26 Stati che sosteneva che l’obbligo di avere una assicurazione sanitaria (come previsto dalla ObamaCare) fosse incostituzionale in quanto lesivo della libertà personale. La Supreme Court lo ha rigettato, accogliendo le ragioni di Obama; così dal 2014 oltre trenta milioni di americani privi di assicurazione sanitaria saranno costretti a sottoscriverne una.
Tutto bene quel che finisce bene? Non proprio. Il presidente Barack Obama con questa legge si proponeva essenzialmente due obiettivi.
Il primo: garantire a tutti gli americani un’assistenza sanitaria di qualità.
Il secondo: ridurre la spesa sanitaria complessiva.
In realtà la legge – così com’è – non è in grado di raggiungere nessuno dei due obiettivi, sia perché esiste comunque una fascia di non abbienti che non può assicurarsi, ma soprattutto perché invece di ridursi, i costi generali sono schizzati alle stelle. Vediamo il perché.

 

IL SISTEMA SANITARIO AMERICANO E’ IL PIU’ COSTOSO DEL MONDO

 

Perché ogni costo viene moltiplicato per il numero dei soggetti che deve trarne profitto. I medici privati devono trarne profitto, i laboratori privati devono trarne profitto, gli specialisti privati che ricevono i referti dai medici generici devono trarne profitto. Gli ospedali privati devono trarne profitto. Le compagnie di assicurazione private devono trarne profitto. Tutti questi profitti moltiplicano esponenzialmente i costi dell’assistenza sanitaria. Ma non è tutto: oltre a questa filiera di profitti ci sono i costi della prevenzione e della lotta contro la frode. Dato che le compagnie di assicurazione private fanno di tutto per trovare delle scuse per non rimborsare gli assicurati e la MediCare (servizio di base gratuito) paga una minima parte delle spese mediche, i fornitori privati di assistenza sanitaria (medici, ospedali etc.) cercano di alzare i costi il più possibile, sapendo che quanto effettivamente riceveranno sarà una piccola percentuale delle loro parcelle. Insieme all’ampliamento della base assicurativa Obama non ha – come avrebbe dovuto – regolarizzato questa filiera di costi introducendo delle regole, diciamo così, calmieratrici; così ObamaCare ha come effetto quello di gonfiare ulteriormente i costi con la gioia di Big Pharma (le Corporation farmaceutiche) e delle compagnie di assicurazione private.

 

RICORDIAMO PER DOVERE DI CRONACA

 

Con buona pace dei “progressisti” europei che lo esaltano, che il disegno di legge è stato scritto dai think tank conservatori e dalle compagnie di assicurazione; ObamaCare in realtà è un progetto che, attingendo alle imposte sul reddito pagate dai cittadini, utilizza fondi pubblici per pagare le compagnie di assicurazione private facendo di conseguenza lievitare il costo delle cure sanitarie. ObamaCare – progetto su cui Obama punta per la rielezione – non è pertanto “medicina socialista” ma medicina privatizzata, che garantisce miliardi di dollari di profitti alle compagnie di assicurazione private proseguendo e peggiorando – se possibile – un sistema sanitario radicalmente incentrato non sulla salute dei cittadini ma sui poteri delle Corporation. E – quel che è peggio – costringe i consumatori a servirsi esclusivamente di prodotti di medicina allopatica, escludendo totalmente la medicina alternativa, le terapie nutrizionali, i rimedi naturali etc. obbligando anche coloro che non volessero usufruire di medicina allopatica a contrarre una costosa assicurazione personale.

 

 

 

 

 

 

Riforma sanitaria: 2013 RFID obbligatorio per tutti gli americani

 

 

 

 

 

La Corte Suprema promuove la riforma sanitaria

di Obama, repubblicani e cattolici insorgono

 

Fonte web

 

A sorpresa è passata la riforma di Obama che per la prima volta nella storia degli Stati Uniti obbliga ogni persona ad assicurarsi, anche contro la sua volontà, e che costringe le istituzioni private, gli ospedali e le scuole cattoliche a pagare ai propri dipendenti, fruitori e studenti assicurazioni che comprendono la contraccezione e l’aborto. Nonostante questo, la riforma è passata con 5 voti a favore e 4 contrari. Contro si sono schierati i giudici Antonin Scalia, Anthony Kennedy, Clarence Thomas e Samuel Alito. A determinare la vittoria è stato invece a sorpresa il presidente John Roberts, conservatore, che ha votato a favore della legge.

I cattolici, che da mesi stanno protestando insieme a molti altri cristiani, ebrei e anche non credenti, hanno detto che non si fermeranno davanti alla decisione. Anzi l’arcivescovo di Baltimora, William Lori, a Roma per incontrare il pontefice Benedetto XVI, ha dichiarato che la «Chiesa non si fermerà nella sua battaglia per la difesa della libertà religiosa». Se sarà necessario si arriverà anche a chiedere la disobbedienza civile, avevano già dichiarato i vescovi in caso di un esito favorevole alla riforma. Sono già giunti appelli per ulteriori denunce al governo.

Per ora comunque i repubblicani, che già si erano preparati a una simile eventualità, pur credendola improbabile, hanno presentato al Senato emendamenti che toccano la norma nei suoi punti più critici, come quello appunto che nega il diritto all’obiezione di coscienza. Il senatore repubblicano Roy Blunt ha infatti chiesto di votare per la possibilità «di ogni singolo cittadino di rifiutarsi di pagare per gli aborti e la contraccezione». Altri puntano sulla sconfitta di Obama alle elezioni di novembre come unica possibilità di «sbarazzarsi dell’Obamacare», come ha dichiarato subito dopo la decisione lo sfidante repubblicano di Obama, Mitt Romney. Ma a ribellarsi sono anche i 26 stati che avevano sollevato dubbi di incostituzionalità e che non hanno ancora provveduto a rendere effettiva la legge, sebbene fosse stata varata nel 2009. L’obiezione principale, oltre alla lesione del diritto all’obiezione di coscienza, riguarda l’acquisto di un’assicurazione sanitaria, in quanto non rientra nelle competenze del potere legislativo federale influenzare il mercato del lavoro fino a questo punto.

Se i repubblicani non vincessero, però, dal 2014 le compagnie assicurative saranno obbligate a stipulare una polizza che non superi una certa percentuale del reddito del cliente e che dovrà includere trattamenti obbligatori. Ma quel che per gli Americani rappresenta una rivoluzione poco liberale è il fatto che un cittadino che non volesse assicurarsi andrà incontro a pesanti sanzioni. Cioè sarà punito per un reato inattivo. Fra le preoccupazioni dei contrari alla riforma c’è invece l’impoverimento della middle class che si troverà a pagare somme ingenti per assicurare tutti, come hanno sottolineato più volte gli avvocati del dipartimento di Giustizia David Rivkin e Lee Casey.

 

 

 

 

 

 

L'Obamacare lede la libertà di coscienza e religiosa

 

 

 

 

 

Quindici giorni per la libertà”. La

Chiesa Usa non si piega ad Obama

 

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«Abbiamo il dovere di ricordarci che la nostra nazione fu fondata sul principio della libertà religiosa e fu un rifugio per coloro che fuggirono da persecuzioni religiose». Così il cardinale Sean O’Malley, arcivescovo di Boston, ha scritto sul suo blog il 15 giugno, annunciando l’imminenza dei “Quindici Giorni per la Libertà” (21 giugno – 4 luglio), indetti dalla Chiesa americana per promuovere la battaglia contro la legge che prevede la copertura assicurativa per contraccezione e aborto da parte di istituzioni cattoliche.

La battaglia contro l’amministrazione Obama, insomma, entra nel vivo. E la Casa Bianca ha dichiarato che prevederà delle eccezioni alla legge solo per organizzazioni che servono esclusivamente cattolici e dove lavorano esclusivamente cattolici. «Ma non possiamo e non vogliamo fare queste distinzioni», dice oggi O’Malley in un’intervista ad Avvenire, aggiungendo che i vescovi hanno avuto incontri regolari con lo staff di Obama per cercare di ottenere un emendamento. Il cardinale spiega che a Boston e a Washington i servizi di affido ed adozione della Caritas sono stati costretti a chiudere perché era stato ordinato dal governo locale di assegnare bambini a coppie omosessuali. «Ormai è passata la linea che il bene comune si raggiunge attribuendo agli individui quante più libertà possibili, in modo che possano perseguire la propria soddisfazione personale». Anche se gran parte dell’America è ormai di mentalità liberal, parte del popolo rimane legato alla Chiesa cattolica, condividendone lo spirito battagliero. Afferma convinto O’Malley: «I cattolici vogliono una Chiesa in prima linea, combattiva, ma sopra le parti. Solo così la Chiesa sarà in grado di resistere alla secolarizzazione».

 

 

 

 

 

 

Michael Moore parla di due passi avanti e un gigantesco passo indietro

 

 

 

 

 

OBAMA E LA RIFORMA SANITARIA NEGLI USA

 

Due passetti avanti ed uno gigantesco indietro

 

Fonte web

La riforma sanitaria di Obama è dunque passata, anche se non proprio liscia, alla Camera. Il commento più puntuale è forse quello dello stesso presidente: “Non è una riforma radicale, ma è comunque una riforma importante” e, più in generale, “ecco che cosa intendiamo per change”. Il punto allora è: importante per cosa e per chi, e in quale prospettiva? Qui andrebbero evitati due riflessi condizionati. Primo: il farsi abbagliare dai fumogeni della spettacolarizzazione - nel campo Obama ci sa fare - per cui si sprecano titoloni con l’aggettivo “storico” a proposito di qualcosa che visto nel merito manifesta una evidentissima divaricazione, anche linguistica, tra contenuti e loro presentazione mediatica. Secondo: intonare la litania per cui se la destra è contro una politica - ed è chiaro che è così - questa non può che essere buona. (Chi ritiene superflui questi criteri può fermarsi alla lettura dei "commenti del Manifesto" sulla “straordinaria vittoria”). I contenuti del piano sono stati ampiamente riportati dalla stampa e qui non entreremo nei particolari. Vediamo piuttosto cosa hanno da dire al riguardo due testimoni non “estremisti” ma neppure imparziali rispetto alla necessità di trasformare in senso pubblico il sistema sanitario degli States.

 

Michael Moore parla di due passi avanti e un gigantesco passo indietro: la legge vieta alle assicurazioni private di negare le cure a persone che si ammalano gravemente e ai bambini affetti da patologie preesistenti, che è quanto accade oggi nel paese guida del mondo libero, e permette polizze familiari che tutelano anche i figli fino ai 26 anni. Ma al tempo stesso lascia la salute completamente nelle mani delle compagnie private, anzi allarga di 32 milioni la platea dei clienti, di chi cioè avrà non le cure ma l’accesso alle cure alla condizione che esse procurino profitti a queste compagnie. Non si poteva dire meglio: la salute come la polizza auto. Ha quindi ragione Robert Reich, ex ministro del lavoro nella prima amministrazione Clinton che pure si è schierato a favore della legge, quando scrive che qui non c’è nessuna oscillazione del pendolo verso il New Deal ma al contrario l’applicazione di una vecchia idea dei repubblicani (risale a Nixon) che permetterà alle assicurazioni sanitarie di continuare a crescere e a guadagnare ancora di più nonché di ricaricare prezzi ancora più alti. Non a caso la cosiddetta public option - non un sistema sanitario universale ma pur sempre un intervento pubblico che avrebbe rotto l’oligopolio delle assicurazioni private - era tramontata fin dall’inizio del percorso legislativo tra gli stessi democratici. “Ma dovevamo aspettare un'amministrazione Democratica, il Presidente "storico", il Presidente del cambiamento e della speranza, per fare una riforma della sanità che non solo continua a parlare di mercato anziché di diritti, ma addirittura alimenta il sistema in maniera perversa perché introduce miliardi di dollari nelle tasche delle assicurazioni”, commenta il sito di Peacereporter.

 

Questo il punto politico della questione: tutto andava fatto per evitare l’idea che la salute, se non proprio un bene comune, va almeno affermata come un diritto e non (o non solo) una merce. Con questa riforma siamo di fronte alla conferma e all’ampliamento della mercificazione privatistica di una sfera della riproduzione sociale. Attenzione: letto sotto questa visuale non è affatto un incidente di percorso lo scambio politico tra Obama e i deputati democratici anti-abortisti sul divieto di usare i fondi federali per rimborsare le spese delle interruzioni di gravidanza, cifra del nesso strettissimo tra mercificazione e controllo dei corpi e della riproduzione. Bisogna allora sputar sopra sui miglioramenti anche minimi che la legge, nelle condizioni date, apporta? E’ di nuovo Reich a dare uno spunto in risposta all’argomento dei “realisti”: bastava ampliare il programma a domanda pubblica (comunque basato sull’offerta privata di servizi) Medicare di assistenza agli anziani invece di imporre, tralatro a partire dal 2014, l’obbligo ad assicurarsi a sedici milioni di utenti e di ampliare il ben più modesto Medicaid (assistenza agli indigenti) per gli altri sedici (al 2019 rimarrebbero comunque del tutto scoperti 23 milioni di individui). Con ciò Obama avrebbe almeno resa più comprensibile la battaglia sulla sanità, con chiari ed omogenei benefici per una platea troppo povera per accedere all’offerta privata ma non abbastanza per accedere a quella pubblica, e avrebbe acquisito più forza anche per l’altro obiettivo della riforma: quello di contenere l’incredibile inflazione, pro compagnie, dei prezzi dei servizi sanitari e dei medicinali che la legge appena varata - anche a dire dell’Economist - non riesce ad affrontare (resta talaltro per le assicurazioni sanitarie l’esenzione dalla norme antitrust).

 

Ma Obama aveva promesso alle lobby sanitarie di non mettere in campo la questione… Insomma, se non vogliamo giocare con le parole, non di una ancorché minima riforma welfaristica si tratta ma, questo sì, di un tentativo di regolazione del mercato della salute le cui sorti - anche procedurali oltreché di implementazione - sono tutte da vedere. Tutto fumo allora? No, il sommovimento e lo scontro politico d’oltreoceano, con una crisi che continua a mordere su tutti i piani, sono stati e continuano ad essere effettivi, ma vanno in tutt’altra direzione da quanto fanno presagire i peana per la “storica vittoria”. Innanzitutto, nel rapporto tra Obama e la sua base elettorale e sociale. La messa in pratica del change non l’ha vivificata e mobilitata. Pesano l’eterogeneità sociale e di interessi, la delusione liberal da sinistra soprattutto tra i più giovani, Wall Street che ha rialzato la testa, la crescita della disoccupazione (quella reale si avvicina al 18%) e dei fallimenti familiari… In questo quadro la battaglia sulla sanità non è stata impostata, e fin dall’inizio, come una battaglia di tutti capace di migliorare, contro lo strapotere delle assicurazioni, la situazione reale anche di chi la polizza per ora ce l’ha. Né, va detto, è stata sentita dalla base come un’occasione per attivizzarsi in questo senso, come uno scontro vero contro i potentati economici. La crisi deve ancora mordere in profondità perché le vecchie soluzioni appaiano non più praticabili.

A mobilitarsi è stata invece la destra sociale - che ha smosso un partito repubblicano mezzo moribondo - sul terreno ideologico e delle tasse cui si è aggiunto il tema del deficit statale. Vedremo se il Tea Party Movement si consoliderà, ma certo è un proprio un bel risultato per Obama e i fautori del change essere riusciti a polarizzare solo questa parte di società e a solo un anno o poco più dai disastri di Bush jr! E attenzione: questa parte potrà agitare contro presidente e democratici, già dalle prossime elezioni di medio termine a novembre, la paura di un aumento delle tasse e di un taglio alle prestazioni di Medicare per una middle class colpita dalla crisi economica. Tanto più che, in assenza di una opzione pubblica, le compagnie private aumenteranno i premi sanitari assicurativi scaricandone la colpa sulla riforma. Ciò potrebbe combinarsi con la reazione degli stati guidati dai conservatori che hanno già annunciato ricorsi alla Corte Suprema sull’incostituzionalità dell’obbligo all’assicurazione previsto dalla legge di riforma. La battaglia non è affatto finita ed è pronta a dislocarsi sul terreno del debito pubblico. Infine, c’è la battaglia interna al partito democratico. La “vittoria”di Obama suona assai amara per molti deputati moderati che a novembre rischiano il seggio. L’ultimatum del presidente è passato solo perché Obama ha messo la sua presidenza in gioco, come ha rimarcato il New York Times del ventun marzo, e al tempo stesso una sua sconfitta avrebbe significato lo smottamento del partito.

 

Il voto finale non ribalta perciò l’indebolimento complessivo della presidenza - rispetto a lobbies, centristi, Wall Street - ma evita per ora la débacle dei democratici. Che è poi il significato dell’attivismo di Nancy Pelosi. Il Congresso, pur a maggioranza democratica, si sta rivelando una palude con sabbie mobili: se col centrismo non si vincono le elezioni, esso è però in grado di bloccare dall’interno delle istituzioni federali ogni change. Ma senza di questo Obama non sarà in grado di rilanciare anche dal basso la leadership americana - che era poi l’obiettivo strategico che stava dietro il suo progetto di riforma sanitaria. Ora tutti i nodi dello scontro si dislocano intorno alla questione della regolazione finanziaria e della lotta alla disoccupazione. Nei confronti di Wall Street per Obama sarà però difficile ottenere una seconda vittoria… storica. Anche se un minimo di regolazione è indispensabile per il primato globale del capitalismo statunitense - come ha cercato di spiegare il ministro del tesoro Geithner davanti alla platea non proprio consonante del neocons American Enterprise Institute - i rapporti di forza interni e internazionali non vanno in questa direzione. Sul piano della lotta alla disoccupazione, la crescita economica se pure ci sarà è prevista essere jobless, senza crescita occupazionale significativa, e difficilmente risulteranno sufficienti le misure di cui si sta discutendo a Washington. Ne potrebbe venire fuori un incartamento definitivo della presidenza Obama - sulla falsariga dei disastri a noi ben noti dell’Ulivo: scontentare tutti e rivitalizzare la sola destra - e/o una diversione che tenti di scaricare all’esterno le difficoltà sempre meno padroneggiabili, come si inizia a vedere dalle frizioni con la Cina (moneta, misure protezioniste, ecc.) e dagli attacchi speculativi all’Europa e all’euro. In ogni caso - a meno di una immediata ripresa di lotte, e un segnale l’ha forse lanciato la mobilitazione dei migrants a Washington negli stessi giorni in cui si concludeva l’iter della riformicchia - l’Obamamania si avvia verso una rapida fine.

 

 

 

 

 

APPROFONDIMENTO

 

 

La "Dichiarazione di Manhattan": il manifesto che scuote l'America

 

L'hanno sottoscritta leader cattolici, protestanti, ortodossi, uniti nel difendere la vita e la famiglia. Con la Casa Bianca nel mirino. In Europa l'avrebbero bollata come una "ingerenza" politica della Chiesa.