L'ORO D'ITALIA
LA RICCHEZZA BASE DI UN PAESE CHE
QUALCUNO POTREBBE AVER ADOCCHIATO
(a cura di Claudio Prandini)
INTRODUZIONE
Ma dove sono le riserve d'oro dell'Italia?
Ma dove sono le circa 2450 tonnellate d’oro italiane, la quarta riserva aurea al mondo? Presso Bankitalia? Non certo tutte: una parte è custodita negli Usa e a Londra. Se la Bundesbank ha deciso di farlo tornare a casa, non sarebbe il caso di dare una controllatina? In che percentuale le nostre riserve sono conservate all’estero? Esiste poi un registro? Le barre o lingotti sono contraddistinte con numeri seriali, dai quali si evince senza ombra di dubbio la proprietà italiana delle stesse?
A febbraio (2012) il quotidiano britannico “The Independent” rilanciava la conferma di una forte pressione tedesca fin dall’inizio del 2012 affinché Roma mettesse mano alle sue riserve per incidere sullo stock di debito. L’Italia è una economia di 2 miliardi di dollari con più di 2400 tonnellate di oro. L’Italia, ha la seconda posizione aurea nella zona europea. Ha un bella quantità di oro che il Fondo Monetario Internazionale e la gente che lo sostiene come Mario Monti e i gli altri terroristi dell IMF stanno cercando di agevolare il furto delle 2400 tonnellate di oro italiano.
Tanto che il 19 gennaio scorso (2013) i deputati Fabio Rampelli e Marco Marsilio presentarono un’interrogazione parlamentare (con richiesta di risposta scritta) indirizzata al ministro dell’Economia e delle Finanze – leggi Mario Monti – per chiedere lumi al riguardo, mettendo in luce la "dispersione" del nostro oro in vari caveaux internazionali, e non certo casuali: alla BRI di Basilea, alla Bank of England di Londra e alla Federal Reserve di New York. Ne era sorta una diatriba tra Tremonti che diceva che il nostro oro apparteneva, giustamente, al nostro Stato e l’allora presidente della BCE, Trichet, che asseriva che il nostro oro apparteneva alla Banca d’Italia e, pertanto, alla BCE.
L’interrogazione è, naturalmente, a tutt’oggi rimasta senza risposta. Ecco il testo dell’interrogazione parlamentare: clicca qui
MARIO MONTI SPIEGACI DOV'È FINITO L´ORO DEGLI ITALIANI?
Le
riserve auree diminuite in valore di 5,669 miliardi a 98,123 miliardi al 31
marzo 2012. Si vendono l’oro e senza dire niente ai cittadini! Dov’è finito
quell’oro: venduto ai russi o ai cinesi, avidi compratori di riserve auree in
questo momento? Oppure è andato in pegno alla Bce come collaterale di qualcosa,
su richiesta della Bundesbank sempre più terrorizzata dalle perdite potenziale
del programma Target 2? Una cosa è certa, l’operazione non nasce dall’emergenza.
Lo scorso novembre, infatti, fecero scalpore per qualche ora le dichiarazioni
del presidente della Commissione parlamentare per l’Europa del Parlamento
tedesco, Gunther Krichbaum, in un’intervista al quotidiano “Rheinischen Post”:
per ridurre il debito pubblico, l’Italia deve mettere in vendita una parte delle
riserve auree.
La singolare proposta giunse dopo il netto no della Germania alla richiesta di
vari Stati europei di un utilizzare le riserve auree della Banca centrale
tedesca a ulteriore garanzia del cosiddetto Fondo salva Stati (Efsf) nel caso in
cui la situazione economico-finanziaria peggiorasse. Pochi giorni dopo, si unì a
questo coro anche Michael Fuchs, vice capogruppo della Cdu, il partito di Angela
Merkel, che al Bundestag tuonò: «Gli italiani devono mettere a posto i conti,
quindi o portano a termine le privatizzazioni oppure vendono le loro riserve di
oro». Un’opinione sottoscritta anche da Frank Schaeffler, dell’Fdp, che
considerava «necessario» che gli Stati indebitati «vendano parte del loro oro o
lo depositino a garanzia presso la Banca centrale europea». E l’Italia può in
effetti contare su quasi 2.500 tonnellate di oro, la quarta riserva al mondo
dopo Usa, Germania e il Fondo monetario internazionale, per un valore stimato
intorno ai 102 miliardi di euro. In questo senso, la vendita del 20% del totale
detenuto coprirebbe l’esborso richiesto dagli accordi internazionali.
Peccato che questo sarebbe un segnale di decadenza che avrebbe pesanti
conseguenze sull’economia, sugli equilibri dei mercati e sulle valutazioni delle
agenzie di rating: insomma, il governo dei tecnici bocconiani pare che abbia
fatto come le famiglie indebite che portano catenine e fedi nuziali ai “Compro
oro” per pagare le bollette scadute! E senza dire nulla a nessuno, ma soltanto
seguendo pedissequamente le richieste tedesche. Il fatto è che quell’oro non è
proprietà dello Stato italiano ma del popolo italiano, tanto che lo stesso
Giulio Tremonti, quando nel 2009 voleva tassare le plusvalenze generate dalle
riserve di Bankitalia, fu bloccato dal governatore della Bce, Jean-Claude
Trichet, che disse in Parlamento «Siamo sicuri che l’oro sia della Banca
d’Italia e non del popolo italiano?» e dallo stesso Mario Draghi, all’epoca a
capo di Palazzo Koch, secondo cui «le riserve auree appartengono agli italiani e
non a via Nazionale».
E queste pratiche non sono una novità nel nostro Paese. Nella primavera del 1976
a Palazzo Chigi c’era Aldo Moro e il Tesoro era nelle mani di Emilio Colombo. La
crisi valutaria imperversava e fu inevitabile ricorrere all’aiuto del governo
tedesco di Helmut Schmidt che concesse un prestito di due miliardi di dollari,
chiedendo però in garanzia 540 tonnellate d’oro, che traslocarono contabilmente
dai libri della Banca d’Italia di Paolo Baffi a quelli dell’Ufficio italiano
cambi. Fino al 1997, quando il passaggio inverso determinò una gigantesca
plusvalenza sulla quale Palazzo Koch pagò 3.400 miliardi di lire di imposte: una
manna per il governo di Romano Prodi, impegnato nel tentativo di riportare il
disavanzo pubblico sotto il 3% del Pil per poter agganciare l’ euro, visto che
l’incasso imprevisto avrebbe contribuito ad abbattere di un altro 0,18% il
rapporto fra deficit e Pil. Peccato che Bruxelles, dove già avevano detto no
alla rivalutazione delle riserve auree tedesche e alla vendita dell’oro della
Banca centrale del Belgio, non diede il proprio consenso. Come siamo entrati
nell’euro, poi, è cosa nota a tutti.
Com’è, come non è, a febbraio di
quest’anno il quotidiano britannico “The Independent” rilanciava la conferma di
una forte pressione tedesca fin dall’inizio del 2012 affinché Roma mettesse mano
alle sue riserve per incidere sullo stock di debito: insomma, dove non arrivò il
governo Prodi – che propose inoltre la vendita di piccole quantità delle nostre
riserve per incentivare lo sviluppo dell’economia nazionale – potrebbero essere
arrivati i professori, i tecnici. Tanto che il 19 gennaio scorso i deputati
Fabio Rampelli e Marco Marsilio presentarono un’interrogazione parlamentare (con
richiesta di risposta scritta) indirizzata al ministro dell’Economia e delle
Finanze – leggi Mario Monti – per chiedere lumi al riguardo. A tutt’oggi, che io
sappia, si attende risposta.
Signore e signori, questi si vendono l’oro (può essere un’alternativa, ma è
sempre l’ultima e comunque andrebbe quantomeno annunciata e discussa in
Parlamento) mentre le banche incassano e gioiscono (e non pagano nemmeno l’Imu
per le sedi delle Fondazioni, il vero cancro politico-economico del sistema):
attenzione, la strada che abbiamo intrapreso è decisamente greca. E con la
Spagna destinata a ristrutturare in parte il debito entro l’autunno, rischiamo
davvero grosso.
CHI VUOLE RUBARE IL NOSTRO ORO?
L’oro,
si sa, e il bene rifugio per antonomasia, quello che tesaurizza le aspettative
di crisi. E, in suo nome, sono accadute molte cose che apparivano inspiegabili
o, quantomeno, strane, come Vi ho già raccontato tempo fa. Facciamo un salto
indietro. Ricordate la guerra in Libia, l’incredibile Vietnam in cui si era
trasformata, con i ribelli che tentavano l’assalto e le forze lealiste di
Gheddafi che riuscivano sempre a difendere le posizioni? Bene, ricorderete anche
che nell’arco di tre giorni la situazione si sblocco e i ribelli poterono
mettere il naso fuori da Bengasi: armi dall’Occidente? Servizi segreti francesi
e britannici in aiuto? Illuminazione divina? No. La svolta libica nasceva in
Venezuela, più esattamente nella richiesta da parte di Hugo Chavez di
rimpatriare
le quasi 100 tonnellate d’oro stivate a Londra. Cosa accadde? L’oro, come sempre
accade, era concesso in leasing alla Banca d’Inghilterra e questa, ovviamente,
lo aveva per cosi dire “movimentato”, ovvero non lo possedeva più fisicamente
nei caveau. Per ridarlo al suo legittimo proprietario, doveva quindi ricomprarlo
sul mercato. Questo provoco il rapido incremento del prezzo, fino a un massimo
di 1.881 dollari l’oncia e svelo come nel mondo ci
fosse una clamorosa mancanza di oro fisico, visto che i prezzi dei futures a
breve scadenza erano più alti di quelli a lunga scadenza.
Occorreva intervenire e quale miglior soluzione che mettere le mani sulle quasi 150 tonnellate di riserve auree libiche stipate in un caveau sul confine meridionale del Paese, dando vita a un’offensiva in grande stile? Cosi facendo, il Venezuela avrebbe riavuto ciò che era suo e il mercato non avrebbe subito nuovi, pericolosissimi scossoni per chi gioca con i futures e per chi, come Londra e New York, gode dello status di caveau dell’oro mondiale ma di fatto di lingotti fisici ne ha davvero, davvero pochi (basti ricordare lo scandalo delle barre di tungsteno dipinte in color oro e conservate alla Fed, come denunciato da Ron Paul).
Bene, questo prologo, spero non troppo noioso, era propedeutico al contenuto dell’articolo di oggi, ovvero il fatto che la Bundesbank, nel 2001, ritiro i due terzi delle sue detenzioni d’oro presso la Bank of England, stando a quanto testimoniato da un report confidenziale reso noto mercoledì. La rivelazione ha fatto seguito alla sacrosanta richiesta da parte degli enti preposti al controllo del budget tedesco, affinché il governo verificasse sul posto che le riserve auree depositate a Londra, New York e Parigi esistessero davvero fisicamente. La Germania ha 3,396 tonnellate di oro, pari a un controvalore di 143 miliardi di euro, la seconda riserva al mondo dopo quella degli Usa (ammesso e non concesso che quello statunitense non sia davvero tutto tungsteno) e la grandissima parte di essa e stata stivata all’estero durante la Guerra Fredda nel timore di un attacco e un’invasione sovietica. Circa il 66% e conservato alla Fed di New York, il 21% alla Bank of England e l’8% alla Banque de France: la Corte degli Uditori tedesca, pero, in tempi di crisi nera ha ritenuto il caso di non fidarsi e ha detto chiaro e tondo ai legislatori attraverso un durissimo report che <<le riserve auree non sono mai state verificate fisicamente» e ha ordinato alla Bundesbank di assicurarsi l’accesso ai siti di stoccaggio. Di più, sempre la Corte ha ordinato il rimpatrio nei prossimi tre anni di 150 tonnellate per Verificarne qualità e peso, tanto più che Francoforte non ha un registro di numerazione delle barre d’oro.
Ma ecco la parte più interessante e inedita: stando al report, la Bundesbank avrebbe ridotto le sue detenzioni d’oro a Londra da 1440 tonnellate a 500 tonnellate tra il 2000 e il 2001, ufficialmente <<perché i costi di stoccaggio erano troppo alti». A quel punto, il metallo fu trasportato per Via aerea a Francoforte. Il tutto avvenne mentre l’allora Cancelliere dello Scacchiere britannico, Gordon Brown, stava svendendo a mani basse le riserve auree britanniche - ai prezzi minimi sul mercato - e con l’euro da poco introdotto come valuta di riferimento anch’esso ai minimi di 0,84 sul dollaro. Perché questa mossa? Semplice, per evitare che l’oro andasse in giro e non tornasse più, insomma una scelta difensiva. Sia perché la Bank of England stava esagerando con il leasing dell’oro che deteneva, sia perché il governo Blair aveva deciso di vendere le riserve per fare cassa, sia perché le barre d’oro tedesche non avevano un registro e un codice identificativo, quindi non erano reclamabili in modo certo. Insomma, il rischio e quello di non poter richiedere con prove e certezza il proprio oro e diventare, legalmente, solo un creditore generale con un conto in metallo.
Più di dieci anni fa, quindi, la Germania ha avuto la lungimirante idea di mettere al sicuro gran parte delle proprie riserve e ora la Bundesbank parla di possibile riallocazione delle stesse, ovviamente sempre per motivi di sicurezza, anche se <<non abbiamo dubbi sull’integrità e l’indipendenza dei nostri custodi>> e se ufficialmente dice no ai controllori di Stato e alla loro richiesta di un inventario. Una fiducia cosi granitica che, giustamente, ha preferito riportarsi l’oro a casa undici anni fa - e ora si permette di dire che quello che resta sta bene all’estero e non va rimpatriato e controllato: grazie, ha portato a casa il grosso dieci anni fa! - e sottrarlo allo schema Ponzi del mercato repo, il quale ontologicamente sconta il rischio di controparte sul collaterale, come ci ha insegnato il caso del fondo MF Global. Insomma, se si rompe la catena repo sul mercato aureo da parte di custodi-prestatori e soggetti che operano nel leasing, chi può davvero reclamare il proprio oro se non si sa dove sia e non esista un registro e dei numeri seriali?
Quanto emerso in questi giorni grazie all’iniziativa dei regolatori tedeschi e particolarmente interessante per il nostro Paese, detentore della quarta riserva aurea al mondo dopo Usa, Germania e Fmi. Lo scorso 6 ottobre, infatti, la Consob, l’ente per la Vigilanza sui mercati guidata da Giuseppe Vegas, ha reso noto che << per cercare di abbattere il debito pubblico si possono usare senza tanti problemi le riserve auree della Banca d’Italia. Palazzo Koch, infatti, può liberamente disporre di tutti i propri beni mobili e immobili, nei limiti in Cui tali atti di disposizione non incidano sulla capacita di poter trasferire alla Bce le attività di riserva eventualmente richieste». Un secondo attacco dopo quello della scorsa estate, quando la Commissione aveva proposto la costituzione di un superfondo a Cui trasmettere, tra le altre cose, le riserve di Bankitalia per cercare di aggredire un debito pubblico ormai di 2mila miliardi di euro.
Sempre la Consob ricorda che la legge sul Risparmio (l. 262/ 2005) ha stabilito che Bankitalia <<e istituto di diritto pubblico», nonostante le quote di partecipazione al capitale di palazzo Koch oggi ancora detenute dalle banche. Sul punto sarebbe dovuto intervenire un regolamento governativo, che pero ancora non c’e. Un tassello effettivamente mancante, per la Consob, secondo la quale <<una Volta emanato il citato regolamento lo Stato, quale unico azionista della Banca d’Italia, potrebbe liberamente disporre di tutti i beni della Banca d’Italia che, come l’oro, non sono in alcun modo funzionali allo svolgimento dei compiti istituzionali del Sebc>>. Ma dove sono le circa 2450 tonnellate d’oro, circa 110 miliardi di euro, di riserve auree italiane? Presso Bankitalia? Non certo tutte: una parte e custodita negli Usa e a Londra. Se la Bundesbank dieci anni fa ha deciso che era meglio tenersele vicine, non sarebbe il caso che, prima di discutere le proposte della Consob, qualcuno si prenda il disturbo di dare una controllatina? In che percentuale le nostre riserve sono conservate all’estero?
Esiste poi un registro? Le barre o lingotti sono contraddistinte con numeri seriali, dai quali si evince senza ombra di dubbio la proprietà italiana delle stesse? Non dico un’interrogazione parlamentare, ma una domandina almeno al question time del mercoledì qualcuno vorrebbe farla al ministro competente? Prima di fare Conti, come quelli di Vegas, senza avere più il metallo.
Il Senatore Rossi su BCE e SIGNORAGGIO
GIÙ LE MANI DALL’ORO ITALIANO! LA CONSOB CI PROVA
Uno studio riservato dimostra che può essere venduto l’oro di Bankitalia.
Uno studio riservato dimostra che può essere venduto l’oro di Bankitalia. Pazzesco: Mentre di soppiatto tutte le banche centrali del mondo stanno acquistando oro, la Consob, con un rapporto riservato, prepara la strada alla vendita del patrimonio di generazioni, stimato in circa 110 MLD. (Il debito pubblico è 2.000 MLD). Infatti secondo la Consob la Banca d’Italia può “liberamente disporre di tutti i beni mobili ed immobili, nei limiti in cui tali atti di disposizione non incidano sulla capacità di trasferire alla BCE le attività di riserva eventualmente richieste” Nel 2007 le riserve valevano 44,8 MLD mentre a fine settembre ammontavano a 108,2 con un incremento del 141,5%. Secondo Giovanni Siciliano, responsabile dello studio, non vi sarebbero ostacoli sia da parte del Tfue (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) né nello statuto della Sebc (Sistema europeo delle banche centrali) che porrebbero limiti solo all’utilizzo delle valute estere sulle operazioni in cambi. E quindi – secondo la Consob – l’oro, non essendo considerato “valuta” né ha un ruolo monetario dopo il 1971.
L’unico limite sarebbe rappresentato dal Central Bank Gold Agreement sottoscritto da alcune banche all’interno del Sebc, accordo rinnovato nel 2009 e scadente nel 2014 , che fissa i limiti annuali a 400 tonnellate e a 2000. Non tutti i cittadini europei sanno che il regolamento del Consiglio 8/5/2000 pone le riserve auree tra le attività che possono essere CONFERITE dalle banche centrali IN CASO DI RICHIESTA DELLA BCE l’importo massimo è di (udite, udite) 50 (cinquanta !!) MLD. Lo scrivo in numeri: 50.000.000.000 di euro. Fortunatamente per Bankitalia l’esborso massimo si fermerebbe pro quota in base alla partecipazione alla BCE a 6,3 … anche se ci dovrebbero spiegare cosa succederebbe se i PIGS (gli altri 4 PD Paesi Deboli) non potessero pagare… Da ciò, prosegue il ragionamento della Consob guidata da Giuseppe Vegas (nella foto a dx), discende che “l’oro non sia uno strumento necessario o indispensabile per il compimento delle finalità istituzionali del Sebc né che la detenzione e gestione delle riserve auree rientrino tra i compiti istituzionali.
A questo punto la conclusione della Consob (ma non si può occupare meglio dei conti delle banche, magari Montepaschi prima dell’aiutino da 1.9 MLD, Intesa durante la gestione Passera e la gestione degli strani conti Lussemburghesi…) È la seguente: “Si può ritenere quindi che gli atti dispositivi aventi a oggetto le riserve auree da parte delle banche centrali NON debbano essere oggetto ad autorizzazione della BCE”. Povero metallo giallo italiano che si assottiglia! Ma c’è ancora un ultimo granello di sabbia prima della dissipazione del secolare patrimonio Italiano: La legge sul Risparmio, infatti, (262/2005) ha stabilito che Bankitalia sia istituto di diritto pubblico, in cui alcune quote sono tuttavia detenute ancora oggi dalle banche. Manca un regolamento governativo (Psss, mi chiamate un attimo Monti?) che permetterebbe allo Stato, quale unico azionista di disporre liberamente dei beni tra i quali l’oro. Torna alla memoria l’idea di Vegas di creare un superfondo da tripla A con immobili, partecipazioni … Magari Finmeccanica ed Eni e oro. I 28.000 compro oro attendono famelici intorno a palazzo Koch. Avrei un suggerimento per il nome del fondo: “Gioielli di famiglia”
P.s compreresti ancora un BTP 100% Italiano se l’Italia non avesse più né oro, né immobili di pregio, né …GOLD?
APPROFONDIMENTO
Le Miniere d'Oro italiane e le diverse ricerche aurifere amatoriali descritte da Zappetta Gialla: centinaia di pagine per cercare oro in miniera, cioè nei giacimenti auriferi primari costituiti da oro nativo o solfuri auriferi, ed altrettante schede per i cercatori d'oro dei fiumi, ossia oro alluvionale: trasferisco qui, virtualmente, tutta la mia passione per la ricerca amatoriale dell'Oro.