INFANZIA PERDUTA
BAMBINI NELLE CARCERI ISRAELIANE...
E IL MONDO FA FINTA DI NIENTE!
LA VERA STORIA DEL CONFLITTO ISRAELO-PALESTINESE
CHE I MEDIA NON VI RACCONTERANNO MAI
(a cura di Claudio Prandini)
Guai a voi, che aggiungete casa a casa (insediamento ad insediamento) e unite campo a campo, finché non vi sia più spazio, e così restate soli ad abitare nel paese (Is 5,8); Guai a voi, figli ribelli - oracolo del Signore - che fate progetti da me non suggeriti, vi legate con alleanze che io non ho ispirate così da aggiungere peccato a peccato (Is 30,1); Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell'anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle (Mt 23,23); Guai a voi Piccoli uomini circoncisi, potenti che ordinate ai potenti, che con cattiveria e falsità inaudite opprimete e decimate un popolo che risiede sulla sua terra, se i vostri cuori non si scioglieranno e si convertiranno al vero e al bene, siete destinati a una triste fine, là dove è buio e stridor di denti, per l'eternità, e tutto il potere e il denaro del mondo non serviranno a riscattare nè voi nè i vostri figli... (da: Terrasantalibera.org); Guai a voi Uomini di dura cervice e dai cuori induriti, non vi servirà a nulla ciondolarvi contro muri o intrecciarvi nastri e lagacci, nè tutte le prescrizioni compilate dai vostri rabbini: è a Dio che dovete chiedere perdono per il male fatto alle sue creature, ed è ai piedi dei vostri fratellastri semiti ismaeliti, gli arabi di Palestina, di quella Palestina che avete deturpato e derubato con l'inganno e con la violenza, che dovrete gettarvi supplicando pietà (da: Terrasantalibera.org); Guai a coloro che meditano l'iniquità e tramano il male sui loro giacigli; alla luce dell'alba lo compiono, perché in mano loro è il potere. Sono avidi di campi e li usurpano, di case, e se le prendono. Così opprimono l'uomo e la sua casa, il proprietario e la sua eredità (Mi 2,1-2). Guai a voi, uomini empi, che avete abbandonato la legge di Dio altissimo! Quando nascete, nascete per la maledizione; quando morite, erediterete la maledizione (Sir 41,8). |
Soldato israeliano spara a giovane
palestinese legato e bendato
Il grido dei Profeti si ode anche oggi: "Quando parlo, devo
gridare, devo proclamare: «Violenza! Oppressione!»".
(Ger 20,8)
INTRODUZIONE
bambini palestinesi
imprigionati e maltrattati
Il ministero palestinese per gli Affari dei detenuti di Gaza ha riferito ieri che le forze di occupazione israeliane rapiscono deliberatamente palestinesi al di sotto dei 18 anni, aggredendoli fisicamente e sottoponendoli a violenti interrogatori.
In una dichiarazione trasmessa al website Pic, il ministero ha ricordato che le convenzioni internazionali proibiscono la detenzione di bambini, tranne in casi limitati, e comunque a condizione che siano trattati con riguardo e siano loro concessi i diritti previsti dalla legge.
Nel comunicato si mette in evidenza come Israele non rispetti nessuna di queste convenzioni, ed anzi sequestri sistematicamente il maggior numero possibile di minori mentre questi si trovano a casa, a scuola, per strada o ai posti di blocco.
I soldati sottoporrebbero quindi i sequestrati a percosse e minacce, in modo da ferirli anche dal punto di vista psicologico e impedir loro di opporre resistenza all’occupazione quando cresceranno.
La dichiarazione si riferisce in particolare al rapimento di sei minori palestinesi avvenuto qualche giorno fa in uno dei villaggi intorno a Ramallah. I maltrattamenti e gli interrogatori si sarebbero protratti per 14 ore consecutive, durante le quali ai ragazzi non sarebbe stato permesso di mangiare, bere o andare in bagno.
Secondo il ministero, il numero di minori rinchiusi nelle carceri israeliani sale così a 430, ivi inclusi molti bambini con meno di 12 anni: tutti quanti soffrono di carenze sanitarie e mediche, e vengono costretti a indossare uniformi arancioni e a dormire per terra.
Gaza, i bambini che morivano di paura
I bambini palestinesi e la Chiesa
vicini ai bambini di Gaza
Testimonianza: dodicenne pestato ed incarcerato
insieme
agli adulti, settembre 2008
Fonte
web - Scritto il 12-11-2008
Testimonianza: dodicenne pestato ed incarcerato insieme agli
adulti, settembre 2008 - Da B'Tselem Muhammad Khawajah, 12 anni. Abito con
la famiglia a Ni’lin. La nostra casa sta al piano terreno dello stabile. I due
zii e le loro famiglie stanno al primo piano e la nonna al secondo. Giovedì
scorso [11 settembre, ndr], alle tre di mattina, all’incirca, mi svegliai
sentendo le grida di mia madre: «Alzati! Alzati! Sono arrivati i militari!». Mio
padre non era a casa quella notte. Mi alzai e uscimmo nel cortile interno dello
stabile, io e mia madre. Lì, si trovavano circa dodici militari con il volto
dipinto di nero. Uno dei militari portava in testa un capello nero che gli
copriva il volto. Si sedeva in disparte sulle scaline fuori dalla casa. Credo
che fosse un collaboratore che portava i militari alle varie case.
I militari si trovavano al primo piano. Ordinarono allo zio Sami di condurli al nostro piano. Uno dei militari chiese: «Dov’è Muhammad?», e mi resi conto che si riferivano a me. Ordinò allo zio di chiamarmi. Mi chiamò. Mi avvicinai a loro. Due militari mi afferrarono e mi condussero fuori. Capii che mi volevano arrestare. Avevo paura, piangevo e chiedevo allo zio di accompagnarmi.
Le manette di plastica che mi misero i militari erano come una morsa. Mi facevano molto male. Un militare mi afferrò per la camicia da dietro, mi spinse davanti a sé. Con la camicia stretta attorno al collo avevo difficoltà a respirare. Cercai di liberarmi. Mi diede un pugno sulla schiena e tirando più forte la camicia. Così mi soffocava: era ancora più difficile respirare. Mentre camminavamo, anche un altro militare mi colpì col pugno e mi tirò per i capelli. Gridai, chiamai lo zio e mio padre. Mi ordinarono di star zitto e mi colpirono. Mi portarono con sé in un vicolo tra le case dove ci sono dei cactus. Uno dei militari mi diede una spinta, facendomi cadere tra i cactus che mi ferivano le mani e le gambe. Strada facendo, spingendomi, mi picchiavano ripetutamente.
Durante il cammino i ragazzi del villaggio scagliavano una fitta pioggia di pietre contro i militari. I militari non sapevano che fare. Alcuni si allontavano in gran fretta e gli altri mi spinsero: dovevano affrettare il passo. Finii per terra. Stavo con la pancia in giù, per terra, e con le mani legate e uno dei militari mi trascinava sopra la terra piena di sassi e di polvere. Mi trascinava per le mani. Piangevo e gridavo. Mi ordinava di stare zitto. Accelerando il passo per sottrarsi alle pietre volanti, mi trascinò per qualche metro prima di raggiungere un muro dove trovammo riparo. Il ginocchio destro e alle palme delle mani mi facevano male. Il ginocchio era insanguinato.
Alcuni dei militari usavano del gas lacrimogene contro i ragazzi che tiravano i sassi. La granata cadde vicino a me. Tossivo e piangevo, mi bruciavano gli occhi. Ci incamminammo nuovamente e i militari mi spinsero in avanti. Arrivammo a una casa che stava a circa 400 metri di distanza: qui, sfondarono le porte. Era la casa di ‘Abd a-Rahman Lu’ai ‘Abd al-Halim, di 14 anni. Andavamo a scuola insieme. Arrestarono sia lui che il cugino, Sufian Nawaf al-Khawajah, che aveva 18 anni. Ci portarono, noi tre, al centro del villaggio che sta a circa 400 metri dalla mia casa e ci costrinsero a restare in piedi con la mani alzate davanti ad un negozio. Anche ‘Abd a-Rahman e Sufian portavano le manette. I militari ci pestarono, facendoci cadere a terra. Per qualche minuto, mentre eravamo stesi per terra, ci camminarono sopra la testa e lo stomaco. Poi ci rimisero in piedi e ci spinsero verso la via d’accesso al villaggio. Dietro di ciascuno di noi un militare che ci teneva per la camicia.
Ripetutamente, i militari ci colpivano coi pugni e coi piedi. Un militare se la prese in particolare con me. Mi pestava e mi strozzava come se mi volesse uccidere. Credo che qualche militare abbia riportato delle ferite a causa delle pietre lanciate dai ragazzi. Gridavo, piangevo, ero terrorizzato. Era ancora buio. Cio portarono per un kilometro verso l’incrocio che porta alla colonia di Nili. Lì erano appostati molti jeep militari. I militari mi bendarono gli occhi e mi fecero salire su uno dei jeep. Dall’arresto sarà passata circa un’ora. Il jeep s’avviò. Non sapevo verso dove.
Stavo seduto in basso. Non c’erano militari accanto a me. Dopo mezz’ora, o forse un’ora, il jeep si fermò. I militari mi fecero scendere. Nonostante la benda riuscì a intravedere qualche cosa. Non sapevo dove eravamo, ma era una base militare. Vidi arrivare gli altri due jeep. Da uno di questi fecero scendere ‘Abd a-Rahman e dall’altro Sufian.
Poi ci portarono in macchina da qualche altra parte. Arrivati ci fecero sedere sulle panche. Dopo dieci minuti iniziarono le interrogazioni. Il primo fu ‘Abd a-Rahman. L’interrogazione durò circa venti minuti. Poi entrai io nella stanza, e mi tolsero la benda. Vidi un uomo in abiti da civile. Era corposo, col viso tondo e la pelle chiara. Portava lo zucchetto. Mi disse il suo nome: il capitano Sasson. Sentivo anche altri che si rivolgevano a lui con quel nome. Mi fece sedere alla scrivania. Mi interrogava sui ragazzi del villaggio. Mi mostrò delle foto, tenute in un librone grosso che ne conteneva circa 200. Ripetutamente e in maniera insistente cercava informazioni sul conto di alcuni dei ragazzi. Replicavo che non li conoscevo. Poi passò ad altro: mi mostrò tre foto: ero io, durante una manifestazione contro il Muro di Annessione; nella foto vengo ritratto con una fionda in mano. Confessai dicendogli che mi riconoscevo, ripetendo tuttavia che non conoscevo gli altri ragazzi. Poi mi bastonò schiena, usando uno sgabello di plastica. Piangevo e gridavo. Mi colpì alle gambe due volte con un bastone di legno.
Il militare, che portava una pistola al fianco, mi ordinò di alzarmi e di affacciarmi o alla finestra o al armadio a muro. Posizionata davanti a me c’era una macchina fotografica. Mi fotografò. Poi l’interrogatore mi ordinò di firmare un documento per mezzo dell’impronta digitale, Il documento era scritto in ebraico. Non so che cosa ci fosse scritto. Il militare non me l’ha letto. Immagino si tratti di una confessione. Firmai il documento. Non avevo scelta, non volevo essere picchiato e avevo paura di questo. L’interrogatore mi prese le impronte digitali, integrali, di entrambi le mani, e poi disse al militare di rimettermi la benda agli occhi. Mi accompagnò fuori dalla stanza e mi fece sedere sulla panca. L’interrogazione era durata circa una mezzoretta. Ora portarono dentro Sufian, per un’altra mezzoretta, all’incirca.
Poi che caricarono, tutti e tre, su un grande furgone cellulare e dopo circa un quarto d’ora ci fecero scendere di nuovo. Ci tolsero le bende. Vidi un’insegna: «Ofer». Capii che eravamo al carcere di Ofer. Ci portarono nella sala delle perquisizioni. Ci spogliarono per la visita medica. Ci diedero delle borse contenenti pantaloni, una camicia e un paio di ciabbatine. Arrestarono Sufian e lo portano in una sala per i detenuti. Un poliziotto in divisa blu [della polizia civile] parlava con i militari. Capivo che egli voleva che fossimo rilasciati. Si rivolse a noi in arabo: «Siete dei ragazzini e dovreste essere rilasciati».
Venimmo trattenuti, io e ‘Abd a-Rahman, nello spazio antistante la sala per i detenuti e poi ci trasferirono di nuovo al cellulare. Eravamo ancora in manette. Dopo circa venti minuti ci portarono due scatole di gelatine al gusto di frutta, una per ciascuno. Ci tolsero le manette e ci lasciavano mangiare. Dopo circa trenta minuti ci rimisero le manette.
Nel cellulare, due militari ci sorvegliavano. Non ci permisero di parlare tra noi. Non appena aprivamo bocca ci azzittirono. C’era molto caldo nel cellulare, eravamo molto sudati. Non ci diedero né da mangiare né da bere. Ci lasciavano andare al bagno, togliendo e poi rimettendo le manette al nostro ritorno.
Restavamo così fino a dopo l’ora in cui i muezzin chiamano i fedeli alla preghiera, alle otto di sera, all’incirca. Poi ci trasportarono ad un altro campo. Mi sembrava fosse il campo di Beit Sira.
Al campo ci diedero una tazza di cioccolato e venimmo diretti in una piccola stanza con matterassi di colore verde militare. I letti erano assenti. Potevamo liberarci dalle manette, che si erano ormai allentate. Dopo aver bevuto il cioccolato ci mettemmo a dormire.
Alle ore 10 della mattina seguente ci fecero salire su un cellulare e ci rimisero le manette, ma questa volta non non ci misero la benda agli occhi. Eravamo diretti al carcere di Ofer dove ci consegnarono al reparto delle tende. Il nostro era il Dipartimento 2, con i suoi 83 detenuti, di tutte le età. Ciascun dipartimento consiste in quattro tende per circa venti detenuti ciascuna.
I detenuti ci trattavano bene, regalandoci caramelle, cioccolato e patatine. Stavo piuttosto bene, fisicamente. Digiunavo di giorno e giocavo a calcio e a tennis. Il Dipartimento era dotato di alcuni televisori, uno per tenda. Durante il giorno c’erano i programmi per bambini e alla sera uno spettacolo siriano, Bab al-Hara. Un detenuto era intervenuto presso il medico affinché mi curassero la gamba. Mi portarono alla clinica dove mi fasciarono il ginocchio dopo aver trattato la ferita con dell’iodina.
All’inzio avevo paura e qualche volta piangevo perché la mia famiglia era lontana. Non ero mai stato tenuto in stato di fermo. No so perché perché volevano fermarmi. L’intero villaggio e tutti i ragazzi erano presenti alla manifestazione. Perché hanno scelto me?!
Gli adulti mi accudivano perché ero il più giovane di tutti i detenuti del Dipartimento. Decisero di nominarmi assistente del sergente del Dipartimento.
Mi svegliavo ogni mattina alle sei e annunciavo il controllo: «Andiamo! È l’ora del controllo». Si alzavano, e poi si presentavano i militari per la verifica del numero dei detenuti. Stavo accanto al militare che contava. I militari mi trattavano con rispetto. Avevano chiesto ai detenuti più anziani di occuparsi di me. Il sergente del Dipartimento mi dava una mano sempre. Era più anziano della maggior parte degli altri detenuti, e parlava l’ebraico. Lavoravamo insieme per prestare assistenza ai detenuti, e inoltravamo le richieste di questi ai responsabili del carcere e alle guardie.
Io e ‘Abd a-Rahman venimmo portati davanti al tribunale di quella domenica [14 settembre]. Partimmo alle sei di mattina. Ci misero le manette e delle catene di ferro alle gambe. Al nostro arrivo, venimmo diretti in una stanza dove attendevamo l’udienza, che si tenne alle ore 14:00. Con il digiuno non abbiamo fatto richiesta né di mangiare né di bere.
Arrivato il momento dell’udienza ci portarono, ammanettati, dentro l’aula. C’era mio padre e anche un uomo di B'Tselem. Verrò a sapere più tardi che si chiama Iyad Hadad. Altre persone erano presenti per seguire l’udienza. Ero contento di questo. Ero molto felice di vedere il mio padre, ma i militari mi impedirono di abbracciarlo. Non mi permisero nemmeno di toccargli la mano.
La mia difesa era affidata ad un’avvocatessa israeliana. Non so come si chiama. Fece richiesta che mi venisse concessa la libertà provvisoria dietro cauzione e il giudice acconsentì. Ma richiese una cauzione di 3.000 shekel. Mio padre non aveva la somma richiesto, dunque non potevamo effettuare il versamento.
Dopo l’udienza mi riportarono in carcere.
Il giorno dopo, mio padre ruiscì a farsi prestare i soldi necessari per la
cauzione. Venni rilasciato a condizione di presentarmi all’udienza del martedì
successivo [16 settembre]. Tornai alla casa dei genitori e della famiglia. Ero
felicissimo. Perché accusavo dei dolori al collo e alle spalle, ma anche a causa
delle escoriazioni e della ferita al ginocchio, mi presentai all’ambulatorio del
villaggio, dove mi fecero la visita e ricevetti delle cure; mi prescrissero una
settimana di riposo, seguita dalla visita di controllo.
Mio padre mi accompagnò all’udienza di martedì. L’udienza venne rimandata al 21
ottobre 2008.
Da quando mi hanno rilasciato avverto qualche problema. Mi sveglio di notte con sensazioni di paura. Dormo con estrema difficoltà. Sono andato dallo psicologo: si chiama Khaled Shahawan. Mi ha dato alcuni medicinali e sedativi. Sento che ho difficoltà di concentrazione a scuola. L’anno scorso, il valore medio del mio voto scolastico era 94.
Muhammad Salah Muhammad Khawajah, 12 anni, studente, è residente di Ni'lin nel Distretto di Ramallah. Il resonconto fu raccolto da Iyad Hadad il 18 settembre 2008, alla casa dello stesso testimone.
Chi incarcera dei bambini è un vile che ha paura...
MEDIO ORIENTE: Bambini palestinesi
torturati
dagli israeliani
CAMPO PROFUGHI DHEISHEH, West Bank occupata, 11 aprile 2007 (IPS) - Mohammed Mahsiri, che abita nel campo profughi di Dheisheh, nella West Bank occupata, è seduto in un caffè affollato, una kefia rossa intorno al collo e un classico ritratto di Che Guevara sulla maglietta nera.
Circa un anno e mezzo fa, ha raccontato
all’IPS, passeggiava per strada con un amico, quando alcune jeep dell’esercito
israeliano li hanno circondati e gli hanno intimato di fermarsi, costringendoli
a salire sul veicolo.
“Sono stato portato in un centro di detenzione e interrogato”, ha proseguito
Mohammed. “L’interrogatorio cominciò alle 2 del pomeriggio per finire dopo le
23. Mi picchiavano di continuo, soprattutto se i soldati non ottenevano le
risposte che volevano”.
”Poi mi consegnarono ad altri soldati, che continuarono a malmenarmi,
costringendomi a rimanere sotto la pioggia vestito solo con abiti leggeri.
Cercavano di convincermi di aver fatto qualcosa che non avevo fatto, per
estorcermi la confessione che volevano. Dopo un mese di torture nel centro di
detenzione, mi hanno messo in prigione per 13 mesi”.
Le immagini scioccanti delle torture nei centri di detenzione e nelle basi
militari Usa in Iraq e Afghanistan hanno indignato i popoli di tutto il mondo,
ma i palestinesi dicono di aver subito lo stesso trattamento nei centri
israeliani per gli interrogatori, dopo l’occupazione di West Bank e Gaza nel
1967.
La storia di Mohammed Mahsiri è diversa. Ha dovuto subire torture fisiche e
psicologiche durante gli interrogatori e dalle guardie delle carceri israeliane,
quando non aveva ancora compiuto 17 anni.
Sono state diffuse diverse testimonianze e documentazioni sui centri di
detenzione e i campi di prigionia: i rapporti dei gruppi per i diritti umani e
gli osservatori riferiscono violazioni sistematiche del diritto internazionale
subite dai minori palestinesi, come tortura, interrogatori, percosse fisiche,
condizioni di vita deplorevoli e assenza di un giusto processo.
Secondo le direttive dell’esercito israeliano in vigore nella West Bank occupata
e a Gaza, i palestinesi di età superiore ai 16 anni vengono considerati adulti,
mentre in Israele la maggiore età si raggiunge a 18 anni - nonostante Israele
abbia firmato la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, che
definisce “minore” ogni individuo di età inferiore a 18 anni.
Questo è il risultato della barbarie israeliana sulle giovani
generazioni palestinesi: la morte vista come riscatto.
Per di più, i bambini palestinesi oltre i 14 anni di età vengono giudicati dai
tribunali militari israeliani come gli adulti, e spesso vengono messi in
prigione insieme agli adulti. E queste sono esplicite violazioni del diritto
internazionale.
Secondo gli ultimi dati di un gruppo indipendente, 398 bambini palestinesi
sarebbero attualmente detenuti nei centri di detenzione e nelle prigioni
israeliane. Ayed Abuqtaish, coordinatore di ricerca presso gli uffici di
Ramallah di Defence for Children International, ha segnalato all’IPS che il
detenuto più giovane ha appena 14 anni.
”Di solito, le truppe israeliane irrompono nella casa del minore nel mezzo della
notte, per terrorizzare il bambino e la sua famiglia”, ha detto Abuqtaish all’IPS.
“Diversi soldati e veicoli israeliani circondano la casa, mentre altri soldati
fanno irruzione con la forza”.
“Spaventano il minore per prepararlo all’interrogatorio, e dopo averlo portato
nel centro interrogatori utilizzano diversi metodi di tortura”.
Sono stati riportati molti casi di percosse fisiche, ha proseguito Abuqtaish;
“ma attualmente, si concentrano soprattutto sulla tortura psicologica, come
privazione del sonno, o di cibo e acqua; (i minori vengono confinati in celle
di) isolamento, oppure li minacciano di demolire la loro casa o di arrestare
altri membri della famiglia. Le vittime hanno anche riferito di aver subito
minacce di abusi sessuali da parte degli israeliani che li interrogavano”.
Israele ha difeso strenuamente la propria politica inquisitoria in prigioni e
centri di detenzione, definendoli uno strumento necessario contro la guerra al
terrore. Nel 1987, secondo la Commissione d’inchiesta israeliana Landau, lo
Stato ha stabilito che “un moderato grado di pressioni, come le pressioni
fisiche, allo scopo di ottenere informazioni cruciali, è inevitabile in
determinate circostanze”.
“Lo Stato di Israele ha aderito alla Convenzione internazionale contro la
tortura”, ha detto Abuqtaish. “Nei suoi rapporti alla commissione, Israele dice
sempre che il suo uso di ‘moderate pressioni fisiche’ è conforme agli obblighi
del trattato; tuttavia, inutile dirlo, ‘moderate pressioni fisiche’ significa
chiaramente tortura”.
Il sistema carcerario israeliano non fornisce ai minori palestinesi nessuna
consulenza legale, e nega loro quasi tutti i diritti, secondo alcuni avvocati
coinvolti.
L’avvocato svedese Arne Malmgren ha lavorato come osservatore legale nei
tribunali militari israeliani durante i processi a diversi minori palestinesi.
“Il sistema dei tribunali israeliani non assomiglia a nessun altro sistema al
mondo”, ha detto Malmgren all’IPS. “Il personale militare israeliano, il
giudice, l’accusa, l’interprete - sono tutti in uniforme militare. E poi ci sono
tantissimi soldati armati all’interno dell’aula”.
“I più piccoli entrano in aula ammanettati e incatenati; possono esserci fino a
sette bambini nello stesso momento in tribunale. Un avvocato lo ha definito un
vero e proprio mercato del bestiame. Il processo è più che altro un
patteggiamento - prima del procedimento, accusa e difesa hanno già concordato la
sentenza, e si limitano a chiedere il consenso del giudice, che quasi sempre
ottengono”.
”Non ci sono testimoni, niente. E la cosa peggiore è ciò che accade ai bambini e
alle bambine prima che entrino in aula, cioè quando li interrogano per fargli
firmare confessioni su fatti che potrebbero anche non aver commesso”.
Mentre proseguono i negoziati tra palestinesi e israeliani per un possibile
accordo di scambio di prigionieri che prevede il rilascio di tutte le donne e i
bambini palestinesi in cambio di un soldato israeliano catturato dai gruppi
palestinesi a Gaza lo scorso giugno, molti palestinesi, tra cui Mohammed Mahsiri,
sperano di veder tornare a casa i loro cari, parenti e amici.
”Quando sono stato rilasciato, è stato il più bel giorno della mia vita”, ha
raccontato Mahsiri all’IPS. “Venivamo picchiati tutti i giorni. Il cibo era
cattivissimo. Era la cosa peggiore. Nessun bambino dovrebbe mai provarlo”.
(FINE/2007)
Soldati israeliani che arrestano e torturano adolescenti
senza tener conto delle convenzioni internazionali
ALCUNE FONTI VECCHIE DI DUE ANNI MA
CHE DANNO
IL QUADRO DELLA SITUAZIONE
fonte
Rete palestinese per i diritti del bambini
aprile 2007
Nei primi tre mesi del 2007 sono stati uccisi 8 bambini.
Dall'inizio della seconda intifada nel settembre 2000
860 minori uccisi
5200 minori arrestati dall'esercito israeliano di cui 400 ancora detenuti nelle
carceri o nei centri di detenzione
fonte DCI - Difesa del bambino internazionale -
sezione Palestina
dal 29 settembre 2006 al 14
febbraio 2007
39 bambini uccisi da militari israeliani , di questi 5 avevano meno di 8
anni e 20 sono stati uccisi durante l'invasione di Gaza
Le cause della morte:
20 in attacchi aerei
12 per pallottole vaganti
5 durante scontri tra soldati israeliani e guerriglieri palestinesi
2 uccisi durante le esecuzioni extragiudiziali di guerriglieri palestinesi
fonte DCI - Difesa del
bambino internazionale - sezione Palestina
Il 2006 rischia di essere l'anno con la percentuale più alta di minori
uccisi dal 1967
fonte:
Centro Informazione sui Detenuti (PIC)
ottobre 2006
I BAMBINI
IN CARCERE SONO COSTRETTI AI LAVORI FORZATI
Questo accade nella prigione di Telmond, secondo il Centro Informazione sui
Detenuti (PIC)
Dalla testimonianza di un bambino dopo il suo rilascio: “ Ci costringevano a
lavorare per 8 ore al giorno dandoci in cambio pochi shekels. I soldati ci
facevano uscire dalle nostre camere alle 7 di mattina e camminavamo con le
catene ai piedi”. I lavori andavano dal fare la guardia a impacchettare cucchiai
di plastica nelle scatole.
Per gli altri detenuti il trattamento non era migliore. Dalla testimonianza di
un ex-detenuto: “Avevo un osso rotto ma mi costringevano a lavorare ugualmente”.
Nella prigione di Telmond ci sono circa 375 detenuti per la maggior parte
minori. Il detenuto più anziano ha 22 anni. Nel tentativo di estorcere
informazioni sono frequenti gli abusi psicologici.
Secondo il PIC attualmente sono 376 i minori in carcere, di cui 200 hanno meno
di 16 anni e sono tutti sottoposti alle peggiori forme di sfruttamento e
umiliazione.
fonte:
Comitato prigionieri
ottobre 2006
Attualmente sono in carcere 350 bambini palestinesi
C’è un appello alla comunità internazionale da parte del comitato prigionieri
per due ragazzi Mohammed Abdullah Mousa di 11 anni e Rafeek Mohammed Al-Eisha di
13 che versano in gravi condizioni nella prigione di Talmond. Secondo il loro
avocato subiscono torture ed hanno evidenti segni di bruciature di sigarette sul
corpo. I due ragazzi sono stati arrestati nella loro casa a Ramallah accusato di
aver lanciato pietre contro le truppe israeliane che avanzavano in città.
Il diritto internazionale vieta l’incarceramento dei ragazzi e anche secondo la
legge israeliana è proibito il carcere per i minori di 12 anni.
fonte:
RAPPORTO DEL CENTRO DI INFORMAZIONE NAZIONALE
luglio 2006
Nelle carceri
israeliane vi sono 1599 studenti e studentesse palestinesi di cui 450 minori
fonte Movimento
internazionale in difesa del bambino e gruppo arabo in difesa dei diritti umani
aprile 2006
350, tra i 13 e i 18 anni, nei primi 4 mesi del 2006
fonte: Palestinian national information center
fine 2005
Il 52.5% della popolazione totale palestinese (pari a 1.977.591 unità) è
formata da minori.
Dall’inizio della seconda Intifada, fine settembre 2000, sono stati uccisi
circa 4000 palestinesi di cui 791 bambini; 29 mila bambini sono stati feriti o
mutilati.
I prigionieri nelle carceri israeliane sono 9000.
4000 minori sono stati arrestati nell’arco degli ultimi 5 anni e 321 di questi
sono ancora in prigione o in campi di concentramento o centri di detenzione.
Il 4% dei minori arrestati sono sotto detenzione amministrativa, vale a dire che
non hanno subito un regolare processo e non ci sono accuse specifiche contro di
loro, mentre il 64% ha un processo in corso.
Gli effetti psicologici della detenzione sono devastanti per un minore e sono
una delle tante violazioni dei diritti del bambino, garantiti da vari accordi
internazionali, fatte dal governo israeliano, in aggiunta alle pratiche di
omicidio, ferimento, morte, demolizione di case, senza contare le precarie
condizioni di vita, sovraffollamento, malnutrizione, privazione della libera
circolazione a causa dei checkpoints e delle chiusure che impedisce l’accesso
all’ istruzione e alla salute.
Tutti i diritti dei bambini sono violati: il diritto a vivere in un ambiente
protetto e curato, il diritto ad essere protetti dalla violenza e dalla tortura
fisica e psicologica e altro ancora.
LA VERA STORIA DEL CONFLITTO
ISRAELO-PALESTINESE
Intervista di Christian Elia a Ilan Pappé storico israeliano che insegna all'Università di Exeter, in Inghilterra. Insegnava ad Haifa, ma non gli è stato rinnovato il contratto. Le falsità storiche che si insegnano nelle scuole israeliane servono a perpetuare nelle giovani generazioni l'ideologia militarista e xenofoba sionista.
APPROFONDIMENTO
BAMBINI PALESTINESI DETENUTI DA ISRAELE
La situazione è tragica. Le condizioni di vita della popolazione intera , in modo particolare la condizione dei minori sono insopportabili. Intanto bisogna dire che il 53% dei Palestinesi che vivono in Cisgiordania e a Gaza ha meno di 18 anni. I ragazzi non hanno mai conosciuto la serenità o un infanzia normale a causa dell'occupazione militare israeliana . Dalla fine di Settembre del 2000, dallo scoppio della seconda Intifada i ragazzi uccisi dai soldati israeliani sono stati più di 300, la maggior parte mentre uscivano da scuola o passavano per la strada o erano al mercato, altri mentre tiravano sassi, qualcuno tirava rudimentali molotov.
Condizioni dei prigionieri politici palestinesi nei centri
di
detenzione israeliani e uso di mezzi di tortura.
Dall' inizio
dell'occupazione israeliana dei Territori Palestinesi Occupati nel 1967, oltre
650.000 sono stati i palestinesi detenuti da Israele. Si tratta di circa il 20%
della complessiva popolazione palestinese. Il procedimento di arresto e di
successiva detenzone, a cui i palestinesi residenti nei Territori Occupati sono
regolarmente sottoposti, e' basato su di una vasta gamma di "regolamentazioni
militari". Attualmente ne sono in vigore oltre 1,500 in West Bank (Cisgiordania)
ed oltre 1,400 nella Striscia di Gaza. I comandanti ed ufficiali israeliani
hanno il potere di emettere nuovi ordini militari, nella rispettiva area di
competenza, discrezionalmente ed in ogni momento.