STORIA DI UNA CONVERSIONE:

DA SERVO DI PANNELLA A FIGLIO LIBERO DI DIO

DANILO QUINTO RACCONTA LA "PIÙ DIABOLICA SETTA POLITICA ITALIANA"

 

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

MARCO PANNELLA CHE SI PRESENTA ALLE RIUNIONI “MANO NELLA MANO CON L’ULTIMO DEI SUOI FIDANZATI”, E POI LO IMPONE “COME FUTURO DIRIGENTE O FUTURO PARLAMENTARE”. PANNELLA CHE SI FA TROVARE NUDO NELLA VASCA DA BAGNO QUANDO QUAGLIARIELLO GLI VA AD ANNUNCIARE LA SUA USCITA DAL PARTITO.

PANNELLA CHE FA LO SCIOPERO DELLA FAME E DELLA SETE, SÌ, MA CON UNA SCORTA DI PIPÌ GIÀ PRONTA DA BERE, BOLLITA E STERILIZZATA, NEL FRIGO. PANNELLA L’ETERNO PADRE PADRONE DI QUELLA FAMIGLIA ALLARGATA EPPURE CLAUSTROFOBICA, CHE È IL PARTITO RADICALE.

UN PARTITO “DOVE IL DENARO, TANTO DENARO, VENIVA DILAPIDATO”. E DOVE EMMA BONINO, DA SEMPRE, SOGNA DI DIVENTARE LA PRIMA DONNA PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA. A SPUTTANARE LA “PIÙ DIABOLICA SETTA POLITICA ITALIANA” È UNA BIOGRAFIA ONLINE, “DA SERVO DI PANNELLA A FIGLIO LIBERO DI DIO”, SCRITTO DAL’EX TESORIERE DANILO QUINTO, DENUNCIATO E CONDANNATO PER 230 MILA € PRESI DALLE CASSE DEL PARTITO.

 

 

 

INTRODUZIONE

Marco Pannella e il libro di Danilo Quinto Da

servo di Pannella a figlio libero di Dio

Fonte web

Marco Pannella che si presenta alle riunioni «mano nella mano con l’ultimo dei suoi fidanzati», e poi lo impone «come futuro dirigente o futuro parlamentare». Pannella che si fa trovare nudo nella vasca da bagno quando Gaetano Quagliariello gli va ad annunciare la sua uscita dal partito. Pannella che fa lo sciopero della fame e della sete, sì, ma con una scorta di pipì già pronta da bere, bollita e sterilizzata, nel frigo.

Pannella il grande seduttore, lo strabordante visionario, l’eterno padre padrone di quella singolare famiglia, allargata eppure claustrofobica, che è il partito radicale. Un partito «dove il denaro, tanto denaro, veniva dilapidato». E dove Emma Bonino, da sempre, sogna di diventare la prima donna presidente della Repubblica.

A raccontare vita, soldi, amori e dolori della «più diabolica setta politica italiana» è un pamphlet online di ben 208 pagine, “Da servo di Pannella a figlio libero di Dio” (www.fedecultura.com ). Caso politico-editoriale assicurato: la prefazione è di monsignor Luigi Negri, vescovo di San Marino, vicinissimo a Cl; la casa editrice è l’ultra cattolica Fede&Cultura, vicina a riviste di apologetica come Radici cristiane; quanto all’autore, Danilo Quinto, collabora con l’agenzia Fides e con L’Osservatore Romano, con Scienza e Vita e La Voce di don Camillo.

E in effetti è una storia che sarebbe piaciuta a Giovanni Guareschi. Prima di convertirsi al cattolicesimo, e per ben dieci anni, Quinto è stato infatti tesoriere radicale e custode degli affari societari del partito; nel 2005 ha rotto drammaticamente con Pannella, è stato denunciato e condannato per l’appropriazione indebita di 230 mila euro, e, a sua volta, ha fatto causa per 5 milioni di contributi mai pagati, tredicesime e ferie non retribuite, danni morali e materiali.

E’ dunque un ex. Pentito. E dopo essere passato nelle file del nemico, ha scritto un’antropologia del mondo pannelliano che a Pannella e ai suoi non piacerà per niente. A cominciare dallo slogan sulla copertina: la «più formidabile macchina mangiasoldi della partitocrazia italiana». Aspettatevi il botto.

 

 

Il "caso" Danilo Quinto: chi tocca i radicali muore

 

 

MARCO PANNELLA - ESTRATTO DEL LIBRO DI DANILO QUINTO,

“DA SERVO DI PANNELLA A FIGLIO LIBERO DI DIO”…

Fonte web

Quel che veramente interessa a Pannella – per avere successo con i suoi digiuni – è raggiungere l’obiettivo dell’audience: mostrare in televisione e nelle fotografie che compaiono sui giornali, il suo volto perennemente in lotta per i più deboli e gli indifesi, per coloro che soffrono e sono umiliati. «Stampiamo la fotografia del corpo emaciato di Giovanni Negri disteso sul divano, in digiuno da quaranta giorni» ripeteva sempre Pannella a chi realizzava i giornali radicali.

Di quel corpo del giovanissimo Negri era ancora innamorato. Il digiuno, quindi, non solo come arma di ricatto, ma anche di seduzione. Gaetano Quagliariello mi raccontò una volta un aneddoto della sua vita. È il 1980 ed è uno dei tre vice-segretari di Pannella, che aveva assunto le redini del Partito Radicale; gli altri due erano Francesco Rutelli e la povera Maria Teresa Di Lascia. «Quando decisi di dimettermi, Pannella mi invitò a casa sua, per parlarmi » mi disse Quagliariello.

«Salii le scale e la porta era aperta, ma non c’era nessuno. Udii, però, una voce. La seguii. Pannella era nella vasca da bagno, nudo. In quel momento era in digiuno, che si protraeva da molti giorni. “Vedi in che stato sono?” mi disse, quasi piangendo. “E tu vorresti dimetterti proprio ora e lasciarmi solo così? Non capisci il dolore che mi dai?”». «E tu che facesti, Gaetano?» chiesi a Quagliariello.

«Non dissi nulla. Capii che dovevo solo sottrarmi e scappare» mi rispose. Ecco come Pannella cerca di sedurre e manipolare. I digiuni di Pannella servono innanzitutto ad azzerare il dibattito interno, perché di fronte a un digiuno nessuno si permette d’interloquire politicamente, di discutere, e l’unico elemento di riflessione riguarda la salute del capo, rispetto alla quale sono tutti molto partecipi. Si sentirebbero soli e abbandonati senza di lui, incapaci persino di pensare, tanto sono abituati a essere, tutti, dei meri esecutori.

A un certo punto del digiuno può accadere che – naturalmente davanti a una telecamera – Pannella beva la sua orina, fatta bollire prima del digiuno e conservata in frigorifero, al fine di allungare i giorni dell’impresa nonviolenta. L’episodio mi fu raccontato dal suo medico di fiducia d’allora, anche lui radicale. Ho visto piangere persone che dal vivo osservavano questa scena, ignare di come tutto, anche i digiuni, possano essere programmati e preparati nei dettagli, a livello scientifico.

Può anche capitare che, nel bel mezzo di un digiuno, il nutrito collegio dei medici che lo assiste – e che stila più volte al giorno bollettini sulla salute medica del digiunatore – premuroso, imponga il ricovero. Ecco che i grandi giornali ne parlano e all’ospedale corrono le telecamere. Vengono mandate in onda lunghe interviste o chiama in diretta televisiva il Presidente della Repubblica.

Una volta, il 20 aprile 2002, lo fece Carlo Azeglio Ciampi, alla trasmissione di Canale 5 Buona Domenica. Conduceva Maurizio Costanzo e in studio c’erano Pannella e Roberto Giachetti, allora deputato della Margherita ed ex radicale, ora segretario del gruppo del Partito Democratico alla Camera dei Deputati, uno dei più fedeli ex ancora legati al leader radicale, trait d’union con un altro ex famoso, Francesco Rutelli. I due protestavano per la mancata elezione da lungo tempo, da parte del Parlamento, di due giudici della Corte Costituzionale.

Giunse – preparata dai radicali, nei giorni precedenti, con lunghe e continue conversazioni con gli ambienti del Quirinale – la telefonata del Presidente della Repubblica, che così si espresse: “Vorrei dire, in relazione a quanto hanno detto ora l’onorevole Pannella e l’onorevole Giachetti, che le loro preoccupazioni per il vuoto creatosi in una istituzione fondamentale, quale è per il nostro Stato la Corte Costituzionale, sono da me pienamente condivise. E sono state da me espresse preoccupazioni più volte. Basta ricordare la lettera che inviai ai presidenti delle due Camere circa due mesi fa e che resi pubblica. Da martedì, il Parlamento passerà a votazioni continuative: mi auguro che ciò porti a un risultato positivo.

Alcuni giornali oggi hanno fatto riferimento all’ipotesi di un mio messaggio. È una possibilità, a me ben presente, nel caso di deprecabili, ulteriori ritardi”. Poi Ciampi si rivolse direttamente a Pannella e Giachetti, dicendo: “Voglio ricordar loro che il principio fondamentale della nostra civiltà è il rispetto per la vita, anche per la propria. E di tutto cuore rivolgo un caldo appello: caro Pannella, caro Giachetti, sospendete subito questo sciopero della sete e della fame”.

Nello studio televisivo c’era, giusto per un puro caso, un carrello, con sopra due bicchieri pieni d’acqua. Costanzo lo fece inquadrare: “Approfittatene subito” disse pronto e quasi trafelato il Presidente della Repubblica. Pannella rispose in maniera solenne, quasi aulica: “Grazie al suo umile e forte gesto passo dallo sciopero della sete allo sciopero della fame” e bevve, insieme a Giachetti, il bicchiere d’acqua.

Pensai a questa divertente gag quando, il 6 marzo del 2005, durante una riunione della direzione di Radicali Italiani, sentii parlare così Pannella di Ciampi e incidentalmente di Silvio Berlusconi: “Da noi c’è anti-legalità, vissuta, assorbita dai Presidenti della Repubblica. Noi abbiamo questa testa di cazzo, ignorante di politica e di altro, ma anche furbo e abile, che ogni giorno distrugge… con un governo che non sa che cazzo sia, per tutte le sue componenti, stato di diritto e libertà, non fa parte del suo vissuto, che non ha mai ricordato ai Presidenti della Repubblica e a questo, tu parli di politica sotto la mia responsabilità, se no stai zitto (…) Noi abbiamo il più pulito dei Presidenti. Questa testa di cazzo ci è e ci gioca, ci fa”.

Le posizioni mutano, si adeguano. Del resto, quella di Pannella – nei confronti dei potenti e del potere – è una strategia antica quanto micidiale. Nel 1998 mi capitò di partecipare a una riunione a Botteghe Oscure. Il segretario dell’allora Partito Democratico della Sinistra, Massimo D’Alema, riceveva Pannella per discutere dei problemi dell’informazione televisiva e degli spazi che venivano dedicati ai radicali. Durò due ore la pazienza di D’Alema nell’ascoltare Pannella. Ogni tanto lo interrompeva, ma ci riusciva solo per qualche istante. Spesso l’ex leader comunista mi guardava, come per dirmi ma questo, che cosa vuole? e io alzavo gli occhi al cielo.

Dopo lo sproloquio di Pannella – il solito, contro l’informazione che a suo parere lo censurava – i due si salutarono. Si sarebbero rivisti molte volte negli anni seguenti, quando si trattava di comprendere quale incarico internazionale si sarebbe dovuto assegnare a Emma Bonino. Il rapporto tra loro è solido e di lunga data e non c’è molto da stupirsi, quindi, quando Pannella parla così di D’Alema: “Capisco perché Massimo D’Alema se ne vuole andare in yacht: perché il territorio, grazie a lui, è merda pura” (Radio Radicale, 5 giugno 2011). Pannella e il potere.

Una vicenda ondivaga ed equivoca. Anche torbida. Come non ricordare l’elezione a Presidente della Repubblica di Oscar Luigi Scalfaro, di cui Pannella, che ne era stato l’artefice, si vantò? «Scalfaro?» disse il leader radicale a “Il Mattino” il 3 giugno 1992, «il presidente che sognavamo». Per poi affermare, il 26 gennaio 1996, a “Il Giornale”: «È prepotente come don Rodrigo. Per questo i cittadini lo puniranno» e il 28 gennaio dello stesso anno, in una dichiarazione: «Scalfaro ha sfidato il Paese e il Parlamento. È un eversore fuorilegge che, solo per questo, merita la messa in stato d’accusa… Qui c’è una sola persona che deve fare un passo indietro, fino al limite della galera: è Scalfaro».

Scalfaro si ricordò di queste parole e il 29 aprile 2006, mentre presiedeva la prima seduta del Senato di quella legislatura, disse a Pannella che protestava a gran voce e inviperito dalla tribuna del pubblico per la mancata elezione: «Le auguro un miglior risultato la prossima volta».

E ancora, si può dimenticare quel che Pannella diceva di Prodi il 29 agosto 1995? “Il professore Prodi se ne torni a casa” affermò “rendendo più tempo al solo sport nel quale ha raggiunto significativi successi: lo spiritismo. Anzi, a questo proposito, una domanda: ma perché mai di queste mie allusioni o piuttosto sarcastiche rievocazioni di un episodio saliente della vita di Prodi tutti fanno finta di non accorgersi? (…) Caro Prodi, davvero: se ne torni a Gradoli e dintorni” (“Il 3 aprile 1978, nel corso di una seduta spiritica a cui partecipa il futuro presidente dell’Iri, Romano Prodi – racconta Gianluca Neri ne Il caso Moro: Romano Prodi, Via Gradoli e la seduta spiritica – una ‘entità’, nella fattispecie, e come risulterà dal verbale, gli spiriti di don Sturzo e La Pira, avrebbe indicato ‘Gradoli’ come luogo in cui era tenuto prigioniero Aldo Moro.

Sulla base della segnalazione dall’aldilà, il 6 aprile viene organizzata una perlustrazione a Gradoli, un paesino in provincia di Viterbo. Al ministero dell’Interno, che aveva in precedenza ricevuto la segnalazione su via Gradoli, nessuno mette in collegamento le due cose. È la moglie di Moro, Eleonora, a chiedere se non potrebbe trattarsi di una via di Roma. Cossiga in persona, secondo la testimonianza resa in commissione da Agnese Moro, risponde di no. In realtà via Gradoli esiste, e sta sulle pagine gialle”).

Pannella continua a scagliarsi contro Prodi nel 2005 – “se questo centrosinistra prodiano andasse al potere io lascerei l’Italia”, “Corriere della Sera” del 18 aprile 2005, pag. 8 – ma poi le prospettive cambiano e nel 2006, incassata la promessa della presenza di Emma Bonino nel governo, afferma “saremo i suoi ultimi giapponesi” (“L’Unità”, 5 dicembre 2006). Che groviglio di posizioni e quale spessore di interessi! Chissà che cosa dirà Pannella, tra qualche mese o qualche anno, di Giorgio Napolitano. Per ora i due si coccolano e sembrano amarsi.

Nell’estate del 2011, dopo l’ennesimo digiuno, il Presidente della Repubblica è autore di una lettera rivolta a Pannella, in sciopero della fame e della sete sulla questione delle carceri. Il 30 giugno, così scriveva Pannella a Napolitano: “La davvero straordinaria, quotidiana, pubblica, sapiente opera – e fatica – nella quale il suo ottantaseiesimo anniversario ha colto il Presidente della Repubblica trova il Paese sensibile e riconoscente.

Quanto la sua forza morale consente a tutti di riconoscergli la sua continua eccezionale creazione di energia anche fisica e intellettuale, anziché il suo spendersi e consumarsi, come umanamente certo più consueto, più ‘normale’”. Al presidente Cossiga, che esternava quotidianamente il suo pensiero, perché si rendeva conto, con le sue cosiddette picconate, che solo così avrebbe potuto salvare quel che rimaneva della Prima Repubblica, Pannella, furibondo, rivolgeva accuse violentissime, come quella di attentato alla Costituzione. L’avrebbe voluto addirittura in carcere.

Al presidente Napolitano, che molto più di quanto facesse il suo predecessore, interviene nel dibattito politico, talvolta orientandolo, spesse volte condizionandolo, il leader radicale rivolge il suo omaggio, definendolo “fortemente animato dalla sua capacità di dedizione anche personale alla funzione di massima magistratura dello Stato italiano, evoca – insomma e finalmente – la grande virtù repubblicana”(!).

Per poi ricordare che “il Presidente ha voluto recentemente tornare ad altamente onorarmi di suoi pubblici elogi e riconoscimenti”. Quest’ultima affermazione è assolutamente vera. La lettera rivolta dal Presidente della Repubblica al leader radicale del 23 giugno 2011, mentre questi si era fatto ricoverare in clinica a seguito del suo sciopero della sete, esordiva amorevolmente così: “Credo che l’Italia ti debba il giusto riconoscimento per la determinazione con la quale hai intrapreso tante battaglie per sollecitare una piena affermazione e tutela delle libertà civili e dei diritti dei cittadini.”

E continuava: “Alcuni temi che nei decenni passati hanno via via sensibilizzato e coinvolto la pubblica opinione del nostro Paese, come quelli del divorzio, della regolamentazione dell’aborto, del riconoscimento dell’obiezione di coscienza, del pluralismo dell’informazione, della tutela dell’ambiente, della necessità, invocata con indiscutibile lungimiranza, di combattere e debellare la fame nel mondo e di eliminare in tutti i Paesi la pena di morte, sono diventati patrimonio culturale comune di larga parte della società italiana”.

L’investitura che il Presidente della Repubblica fa del leader radicale è un atto politicamente sconcertante. Rappresenta anche la testimonianza di quale sorta di legami ambigui e ricattatori Marco Pannella possa godere nei confronti del potere e di quante lusinghe – consapevolmente – per accattivarselo e tenerselo buono, il potere usi nei suoi confronti. Inquietante è la capacità di Pannella di avere rapporti complessi – e qualche volta misteriosi, anche se spesso è egli stesso, nella sua megalomania a darne notizia – con le varie forme di potere segreto, parallelo a quello istituzionale.

Il 30 agosto 2011, su “La Bussola Quotidiana”, Riccardo Cascioli faceva notare la curiosa coincidenza tra le dichiarazioni di Gustavo Raffi, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia che riguardavano la Chiesa Cattolica, a cui “va tolta” diceva Raffi “l’esenzione dall’Ici per i beni immobili non destinati al culto” e “va congelato l’8 per mille per tre anni fino al raggiungimento del pareggio di bilancio” e l’iniziativa dei radicali, che lo stesso giorno, il 19 agosto, annunciavano un emendamento alla manovra finanziaria per “escludere qualsiasi esenzione sull’Ici per gli immobili che svolgono attività commerciali, indipendentemente da eventuali finalità di culto”.

“In pratica – scriveva Cascioli – la stessa proposta di Raffi, detta in altro modo. E dietro ci va gran parte del Partito Democratico”. Su questo tema, i radicali sono stati pervicaci, capziosi e pericolosi. L’esenzione dall’Ici, infatti, è materia estranea agli accordi concordatari. Deriva dalla legislazione ordinaria, si applica alle sole attività religiose e di rilevanza sociale ed è del tutto uguale a quella di cui si giovano gli altri enti non commerciali, in particolare il terzo settore.

Tanto pervicaci i radicali, quanto insipida e timida la Conferenza Episcopale Italiana, che li ha affrontati in maniera blanda, a volte stucchevole. La posizione radicale è stata sovente giustificata dall’esistenza di un dossier che sulla questione aveva aperto nel 2007 l’Unione europea. In quel periodo, al governo c’era Romano Prodi e uno dei suoi ministri era guarda caso Emma Bonino che, quando si diffuse la notizia dell’iniziativa europea, dichiarò: “Il governo esaminerà le ulteriori richieste quando arriveranno”.

Era stato proprio uno dei deputati radicali, Maurizio Turco, a segnalare alla Commissione europea il particolare trattamento Ici riservato, a suo dire, agli immobili della Chiesa. Era tutto, quindi, consequenziale, preordinato e scritto. La decisione del governo Monti – definita rivoluzionaria, storica, da coloro che come gli opinionisti di “Repubblica”, costituiscono, con le loro campagne denigratorie e infamanti, la quintessenza dell’anti-cristianesimo in questo Paese – ha solo ratificato un’atmosfera che ha individuato un nemico e lo vuole abbattere.

Ora, c’è chi festeggia e si prepara ancora a tramare e a sferrare altri attacchi, come quello che mira all’abrogazione del Concordato. Io, se fossi Gelli, mi presenterei nelle liste del Partito Radicale, cantava Giorgio Gaber, con preveggenza, in un album del 1985. Il 27 settembre 1987 “La Repubblica” a pagina 8 scriveva: “Alle ultime elezioni politiche Licio Gelli fu sul punto di candidarsi nelle liste del Partito Radicale. “L’Espresso” in edicola domani riferisce alcuni particolari della trattativa: il capo della P2, allora latitante all’estero (si è consegnato alle autorità svizzere solo lunedì scorso), affidò la proposta di candidatura al suo amministratore in Italia, che garantì di averla fatta pervenire a Marco Pannella.

Per definire meglio l’operazione entrò in scena il figlio di Gelli, Maurizio, che ebbe una serie di incontri con un gruppo ristrettissimo di esponenti radicali”. Nella stessa data, Pannella, sul “Giornale d’Italia” precisava: “Troppo occupati da Cicciolina, scagliata contro il Pr per cercare di occultarne discorsi, obiettivi e altri candidati, settimanali e quotidiani italiani – a eccezione del ‘Corriere della sera’ nell’unica intervista che mi fu consentita – ritennero di dover occultare l’informazione del tentativo da me fatto di far tornare in Italia Licio Gelli, libero di parlare senza temere conseguenze giudiziarie, e impegnato personalmente a farlo, con precise garanzie in proposito.

Non è che tale informazione la ignorassero. Ma in campagna elettorale, mentre potevamo rispondere a eventuali speculazioni alla Tv, nei comizi, nelle piazze e nelle radio, si ritiene evidentemente troppo rischioso e a noi troppo favorevole aprire una polemica sull’argomento”.

“Dopo le elezioni – scriveva ancora Pannella – anche in discorsi parlamentari e in interviste radiofoniche e televisive, ho cercato di provocare un dibattito sull’argomento, dichiarando che il solo partito che avesse lottato anche in Parlamento contro le mene della P2, quando era in auge e gli editori dell’Espresso, ad esempio, stilavano con Tassan Din e la Rizzoli piduista vergognosi e criminali patti di spartizione della stampa, era anche il solo impegnato e interessato – oggi – a far tornare e se possibile parlare l’ex capo della P2. Come ebbi a dichiarare durante la campagna elettorale, anche al ‘Corriere della Sera’, il tentativo non andò in porto, e non certo per i motivi – inesistenti – evocati dal settimanale di Caracciolo e Scalfari”.

E Pannella, in conclusione, avvertiva, non sappiamo chi, ma avvertiva: “Ora Gelli è tornato in circolazione. Ha fatto bene. Deve però stare attento ai caffè alla Pisciotta o alla Sindona, e ci pare assolutamente improbabile che voglia rischiare simili ingestioni o anche semplicemente suicide esposizioni a denunce per calunnia da parte di potenti e potentissimi. Anche per questo abbiamo già approntato la richiesta di una commissione d’inchiesta parlamentare che, nell’arco di cento giorni al massimo, svolga un supplemento di indagine e di attività di accertamento giudiziale della verità, interrogando, se vorrà, Licio Gelli.

Stiamo a vedere se la richiesta sarà votata e con tutta l’urgenza che merita e da quali forze parlamentari. Ci auguriamo che non accada di nuovo quel che accadde nella legislatura cruciale, quella 1976-79, quando i quattro deputati radicali furono i soli a prendere iniziative parlamentari per denunciare il pericolo quando era rischioso e difficile farlo, anziché collaborare con gli esponenti della P2 ai più alti livelli militari e del quarto potere”.

Il 31 dicembre ‘87, sempre “La Repubblica” a pagina 7 raccontava: “La candidatura di Licio Gelli nelle liste del Partito Radicale alle elezioni politiche dello scorso giugno non si concretizzò a causa del poco tempo a disposizione, che non avrebbe permesso l’organizzazione di una campagna elettorale destinata al successo. È quanto afferma Maurizio Gelli, figlio del maestro della P2, in una lunga intervista all’Espresso. ‘Ho incontrato varie volte Marco Pannella in un albergo romano di via Veneto’ dice Maurizio Gelli. ‘C’erano anche Rutelli e Negri. Loro erano interessati al progetto, anche se ci sono stati momenti di perplessità’.

Secondo il figlio del venerabile, alcuni esponenti del Pr temevano che il partito potesse essere addirittura disintegrato dalle polemiche che avrebbero accompagnato una simile candidatura. ‘Ma il progetto era pronto, tutto era stato stabilito puntualmente: mio padre avrebbe dovuto costituirsi poco prima delle elezioni’ racconta Maurizio Gelli ‘ottenere prevedibilmente gli arresti domiciliari, tenere conferenze stampa per spiegare la sua decisione di candidarsi, essere eletto, parlare alle Camere per chiarire ogni accusa e, infine, rinunciare all’immunità parlamentare’”.

Durante il Congresso del Partito Radicale, che si svolgeva a Rimini, il 17 maggio 1989, “La Repubblica” a pagina 4 riportava: “(…) Applaude in prima fila anche il biondo figlio minore di Licio Gelli, quel trentenne Maurizio che dice di essere amico da due anni di Pannella e d’essere stato invitato al congresso radicale. È in compagnia della moglie, è arrivato assieme al democristiano Egidio Carenini, il cui nome stava nelle liste della P2.

Rolex d’oro massiccio al polso, giacca blu mare e pantaloni grigi, Gelli junior dice di condividere molte delle idee sostenute da Pannella. Non è ancora iscritto, aggiunge (…)”. Il 18 febbraio ‘98, nel corso dell’audizione presso la Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, Pannella chiariva: “Per quanto riguarda la domanda su Licio Gelli e la sua candidatura nel 1987, devo dire che Gelli è stato potente, la sua organizzazione della politica è stata quanto meno rispettata dalle grandi forze politiche e dai poteri italiani”.

Pannella, aggiungeva: “Quell’anno – Gelli era da almeno un anno in una giungla, irrintracciabile – nella nostra sete di verità io pensai e dissi pubblicamente che eravamo disposti ad andare al disastro elettorale – perché non avremmo avuto modo di spiegarci agli Italiani, grazie all’assenza di democrazia e di rispetto dei diritti in Italia per quello che ci riguarda – pur di offrire a Gelli l’immunità parlamentare dietro la garanzia che lui avrebbe raccontato la verità. C’era stato un precedente e vi ho già fatto cenno: il generale De Lorenzo, che era stato attaccato soprattutto da “L’Espresso” e dai radicali, a un certo punto chiese a Franco De Cataldo di difenderlo.

Dopo averne parlato con me personalmente, Franco De Cataldo gli rispose che l’avrebbe difeso se egli avesse raccontato quello che sapeva, cambiando linea difensiva; e le cose che si seppero in quel moento emersero proprio in base a questo impegno di De Lorenzo. Quindi la nostra idea – lo dicemmo pubblicamente – era di offrire l’immunità al fuggiasco, a colui che poteva essere ammazzato da un momento all’altro. Ormai Gelli non faceva più comodo a parecchie persone e infatti scappava perché pensava che qualcuno avrebbe potuto ucciderlo.

Abbiamo tentato di avere la garanzia che, in cambio dell’immunità parlamentare, ancorché relativa, Gelli si impegnava con noi a raccontare la sua verità; ma avemmo la sensazione che non poteva o non voleva dare questa garanzia e quindi non se ne fece nulla. Voglio sottolineare ancora che questa notizia la demmo noi”. Il 30 dicembre 1998, l’agenzia Ansa batteva questa notizia: “Un appello a Licio Gelli di Marco Pannella sarà pubblicato oggi – annuncia un comunicato della Lista Pannella – dai quotidiani ‘La Nazione’, ‘Il Resto del Carlino’ e ‘Il Giorno’: ‘Non diventi complice del suo proprio assassinio di Stato. Cerchi di vivere’.

Pannella ricorda che Gelli, ‘80 anni, in gravissime condizioni secondo tutte le perizie mediche, ridotto a una larva’, si vede negare gli arresti domiciliari, malgrado il fatto che fra 8 mesi dovrà essere scarcerato, ‘se ancora vive’”. Da Gelli a Raffi, passando per l’enfasi con la quale Pannella ha proposto ed evocato ripetutamente, nel corso degli anni, la figura di Ernesto Nathan, sindaco di Roma agli inizi del secolo scorso e più volte Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia. Corsi e ricorsi storici per i radicali o solo pura casualità? Per Pannella e Bonino, parafrasare lo slogan di Kennedy, siamo tutti berlinesi, sostituendo l’ultima parola con radicali, non è una boutade. È la realtà. Chi non è stato radicale?

Con spregiudicata disinvoltura, nell’arco di decenni, sono state raccolte le simpatie, le adesioni e le iscrizioni – spesso anche le candidature e gli eletti – tra i personaggi più disparati. Attori e registi, cantautori e scrittori, giornalisti e politici. Anche uomini – e donne – di Chiesa. Ieri, tra i sacerdoti, era don Gianni Baget Bozzo a dire: “Marco Pannella in realtà è una figura interna alla cristianità italiana. Non è un politico. È un profeta. Pannella è un impolitico, non guarda al governo: vuole, attraverso la politica, riformare l’orizzonte spirituale degli uomini. La visione di Pannella non è solo politica. È una visione religiosa.

È stato lui a introdurre il digiuno, la nonviolenza e tutto l’universo di Gandhi in Italia. Pannella trascende la politica: castiga il corpo per elevare l’anima”. Oggi don Andrea Gallo sostiene che “Pannella è l’unico profeta laico disarmato che testimonia in difesa dei diritti civili”. Gli fa eco don Antonio Mazzi – autore, nel mese di settembre del 2011, della trovata sull’abolizione dei seminari – che fa il presidente dei comitati pro-amnistia promossi dai radicali e apre, al fianco di Pannella, le sue marce. Una suora, Marisa Galli, nel 1979 venne eletta deputata con i voti del Partito Radicale.

 

 

 

 

Chiesa cattolica: i vescovi e la

conversione di Pannella

Fonte web

(di Danilo Quinto) I Vescovi della Basilicata – tutti – nei giorni scorsi sottoscrivono un testo di adesione alla Marcia che i radicali hanno organizzato il prossimo 25 aprile, a Roma. Affermano: «La Pasqua del Signore Gesù Cristo è la vittoria della vita sulla morte che annuncia la liberazione dal peccato e dalle sue conseguenze sul piano personale e sociale. Nella sua quotidiana missione di testimonianza del Vangelo la Chiesa sente che l’impegno per l’amnistia, la giustizia, la libertà rappresenta un fatto che va nella direzione di una possibile e necessaria riconciliazione».

Pannella, a “Radio Radicale”, accoglie questa adesione e dice: «Dobbiamo ringraziare i Vescovi lucani perché esprimono quel sensus fidelium che in qualche misura è anticipazione teologica dell’essenza della democrazia. Sensus fidelium significa che se per il popolo dei fedeli vive l’imperio della legge, quella legge vive. Questo è il dogma soggiacente e il mantra della democrazia».

Il sito di Radicali Italiani, aggiunge: «Laici e cattolici si ritrovano uniti nell’obiettivo di interrompere la flagrante violazione di diritti umani universalmente acquisiti sia per la drammatica situazione delle carceri, sia per il malfunzionamento della giustizia soffocata da dieci milioni di procedimenti penali e civili inevasi. Lo dimostrano gli annunci di partecipazione alla II Marcia per l’amnistia, la giustizia e la libertà, di Don Antonio Mazzi (che già promosse la marcia di Natale del 2005), di Don Luigi Ciotti, di Don Andrea Gallo, di venti cappellani delle carceri, della rivista Tempi, del volontariato cattolico e del sostegno dei Vescovi della Basilicata a partire da Monsignor Agostino Superbo».

Chi crede sa che il “sensus fidelium” è il dono di riconoscere la Verità, quella che proviene da Dio. Non c’entra nulla con la politica e la democrazia, evocata da Pannella, che rappresenta, nel contesto italiano, la quintessenza dell’ideologia contraria ai principi del diritto del diritto naturale, posti a fondamento della Sacra Scrittura e della dottrina cattolica. Il divorzio, l’aborto, la promozione dell’omosessualità e tutte le battaglie contro la vita promosse dal leader radicale, sono impregnate di quella cultura del male che si contrappone al bene, alla Verità.

Si potrebbe dire, ed è stato anche autorevolmente detto: va bene, è così, non siamo d’accordo su molte cose, ma se viene detta una cosa giusta – come in questo caso per la dignità dei carcerati – bisogna riconoscerlo. Una balla. Non c’è un solo rigo del Nuovo Testamento che consenta di cooperare con chi si diletta a propagandare il male, anche se – sempre per propaganda – si dovesse vestire, in base alle circostanze, con abito bianco e candido. «Se prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono; se prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo: dal frutto infatti si conosce l’albero», dice il Vangelo di Matteo (12,33).

Sempre Matteo, in conclusione del suo Vangelo, scrive: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Sono parole che obbligano i cattolici ad accogliere con adesione interiore ed obbedienza gli insegnamenti del Papa e dei Vescovi in comunione con Lui.

Se è così – e così è – poniamo con rispetto ai Vescovi della Basilicata una domanda: invece d’intervenire politicamente a sostegno delle azioni di Pannella e dei radicali, perché non impegnano e dedicano il tempo delle loro preghiere per la loro conversione? Sarebbe, questo, un insegnamento più aderente a quel che Gesù Cristo ha chiesto loro di fare: insegnare le verità relative a Dio e la necessità che gli uomini vi si conformino. Solo questo. (Danilo Quinto)

 

 

APPROFONDIMENTO

 

Da servo di Pannella a figlio libero di Dio

Attraverso la più formidabile macchina mangiasoldi della partitocrazia italiana per arrivare a Cristo

Prefazione: Mons. Luigi Negri