PASTORALE PREMATRIMONIALE,

LA CHIESA PUÒ FARE DI PIÙ!

«o rinnovarsi profondamente o rendersi

sempre più ininfluente e marginale»

Dal "Direttorio sulla Pastorale Famigliare" della CEI

(a cura di Claudio Prandini)

 

 

 

INTRODUZIONE

 

La famiglia è un importante ed essenziale punto di partenza per ogni essere umano! In essa l'essere umano cresce, si sviluppa, impara a rapportarsi e a creare rapporti gli altri. La famiglia è la prima matrice culturale e valoriale in cui l'io si forma nella sua individualità ed unicità. Più la famiglia è "viva" interiormente e più ha la possibilità di forgiare esseri liberi e fecondi, moralmente e spiritualmente parlando! Ma oggi questo modello di famiglia, coeso, forgiante ed eterosessuale, è sempre più in crisi e questo si riflette sull'intera società. Edonismo, nichilismo e rifiuto del trascendente, sono i mali che stanno minando alla radice la famiglia e per conseguenza sta minando anche la stessa civiltà occidentale. Il declino di una civiltà è sempre iniziato dalla famiglia!

 

Nulla di strano dunque se la Chiesa difende la famiglia a spada tratta... Tuttavia, bisogna chiedersi se per la Chiesa sia sufficiente difendere la famiglia solo dagli attacchi esterni senza, nel contempo, promuoverla con tutte le proprie forze anche al suo interno!? Questo riguarda sia la pastorale prematrimoniale che anche la pastorale delle coppie sposate... Mi fermo tuttavia sulla pastorale prematrimoniale, in quanto è quella che fa un po' acqua in varie sue parti! A dirlo non è tanto il sottoscritto, ma il "Direttorio sulla Pastorale Famigliare" della CEI (cioè gli stessi vescovi italiani) che al capitolo terzo ammette: «Anche a livello ecclesiale, le iniziative volte a preparare i fidanzati al sacramento del matrimonio spesso arrivano troppo tardi e in momenti poco favorevoli, non sempre sfuggono al rischio della episodicità e della genericità, faticano ad essere attente al cammino dei giovani fidanzati che molte volte appaiono come “lontani” dalla Chiesa e dalla vita di fede, difficilmente riescono a trasmettere un'adeguata concezione dell'amore e sono in grado di rispondere a quesiti che, se eventualmente posti, sono già stati risolti (ad esempio, sulla castità, sull'esercizio della sessualità, sulla regolazione della fertilità, e persino sull'aborto, sull'unità e sulla fedeltà coniugali).

Se questa è la situazione - continua il documento della CEI - non sono necessarie altre considerazioni per avvertire come la pastorale prematrimoniale, in ogni sua articolazione, costituisca uno dei capitoli più urgenti, importanti e delicati di tutta la pastorale familiare. Tale pastorale si trova di fronte a una svolta storica. Essa è chiamata a un confronto chiaro e puntuale con la realtà e a una scelta: o rinnovarsi profondamente o rendersi sempre più ininfluente e marginale. Di qui, in particolare, la necessità di una cura pastorale del fidanzamento che aiuti a riscoprirne e a viverne il senso umano e cristiano e di una preparazione immediata o particolare al matrimonio più attenta, puntuale e articolata» (Cfr. Direttorio Pastorale Familiare, cap. 3).

Detto in altri termini: solo ora la Chiesa grida in difesa della Famiglia (in riferimento al problema spinoso delle coppie di fatto) quando per decenni ha concesso a chiunque il Sacramento del Matrimonio senza chiedere nulla, o quasi, in cambio?! Il famoso corso prematrimoniale che essa chiede per accedere al Matrimonio religioso, vissuto dai più solo come un proforma, si è dimostrato del tutto insufficiente in una società con forti tendenze al relativismo e al nichilismo...  La svalutazione attuale del Matrimonio, e spesso il suo fallimento,  dipendono anche dal fatto che non vongono chieste agli sposi determinate garanzie atte a salvaguardare di più sia il buon esito umano, da una parte, che la fedeltà al Sacramento, dall'altra! Nei primi secoli la Chiesa era molto più esigente quando si trattava di concedere i Sacramenti... Ad esempio non si potevano svolgere determinati lavori, ritenuti peccaminosi o indecorosi, se si voleva accedere ai Sacramenti!  Sarebbe bene perciò che la Chiesa si facesse carico di un giro di vite sul come concedere il Sacramento del matrimonio, altrimenti accade che ora si grida al ladro, quando invece per decenni si sono lasciate aperte le finestre! Il suo grido di ora risulterebbe perciò molto più efficace e credibile se avesse operato come la Chiesa antica...

Oggi metà delle giovani coppie che vanno ai corsi prematrimoniali, e quindi chiedono un matrimonio cristiano, vivono già in stato di convivenza! La Chiesa li accetta... salvo poi accorgersi che il matrimonio va annullato per la diffusa mentalità divorzista, per l’esclusione della prole, per il venir meno della fedeltà e per la riconosciuta immaturità psicologica! Allora c'è qualcosa che non va già all'inizio del percorso, sia di chi chiede il matrimonio religioso e sia anche da parte di chi lo concede... Occorre allora puntare soprattutto su cammini spirituali specifici in cui non solo sia favorito una crescita e una maturità umana e cristiana, ma dove sia sempre più esplicita la domanda: perché volete sposarvi in Chiesa? Nessuno infatti vi obbliga a fare un matrimonio religioso! Ci credete nel Sacramento? Sapete cosa vi chiede?

Conclusione: senza cammini spirituali specifici e senza un alzata del "prezzo" (non in senso economico, ma motivazionale e valoriale) per accedere al Sacramento del Matrimonio, si posso fare tutti i corsi prematrimoniali possibili, avere a disposizione tutti i migliori esperti, ma la situazione non solo rimarrà come ora ma è destinata a peggiorare sempre di più! La Chiesa antica lo aveva capito per saggezza... quella di oggi lo capirà almeno per esperienza?

 

 

 

 

La trasmissione della

fede nella famiglia
Congresso teologico pastorale in occasione del V

 Incontro mondiale delle famiglie con Benedetto XVI

Julián Carrón - Valencia, 4-7 luglio 2006

Risulta ogni volta più evidente che non si può dare per scontata la maturità del soggetto umano che si accosta al matrimonio. Indipendentemente dalla loro buona volontà, la realtà è che tanti giovani arrivano al matrimonio senza la coscienza adeguata della natura dell’avventura che stanno per intraprendere. Ciò non si può dare per scontato neanche per i giovani cristiani, che in non poche occasioni si avvicinano al matrimonio in condizioni non dissimili da quelle dei loro amici non cristiani, con l’unica differenza che si sposano in chiesa e hanno quanto meno un desiderio di sposarsi secondo la concezione del matrimonio che la Chiesa difende e testimonia. Questa carenza di coscienza non si può risolvere con i corsi prematrimoniali che conosciamo, i quali per loro propria natura non possono dare risposta alla situazione di quanti li frequentano. Grande è la sfida che si presenta all’intera comunità cristiana: è messa alla prova la sua capacità di generare personalità adulte, uomini e donne, in grado di accostarsi al matrimonio con una minima prospettiva di un esito positivo.

In un intervento come questo, è impossibile affrontare tutta la problematica del matrimonio e della famiglia. Mi concentrerò su una questione che mi sembra essenziale per mettere in luce quella relazione particolare che si stabilisce fra un uomo e una donna.
La crisi della famiglia è una conseguenza della crisi antropologica nella quale ci troviamo. Gli sposi infatti sono due soggetti umani, un io e un tu, un uomo e una donna, che decidono di camminare insieme verso il destino, verso la felicità. Come impostano il loro rapporto, come lo concepiscono, dipende dall’immagine che ciascuno si fa della propria vita, della realizzazione di sé.

Ciò implica una concezione dell’uomo e del suo mistero. «La questione del giusto rapporto fra l’uomo e la donna – ha detto Benedetto XVI – affonda le sue radici dentro l’essenza più profonda dell’essere umano e può trovare la sua risposta soltanto a partire da qui. Non può essere separata cioè dalla domanda antica e sempre nuova dell’uomo su se stesso: chi sono? che cosa è l’uomo?».1
Per questo il primo aiuto che si può offrire a quanti vogliono unirsi in matrimonio è l’aiuto a prendere coscienza del mistero del loro essere uomini. Solo in questo modo potranno mettere adeguatamente a fuoco la loro relazione, senza attendersi da essa qualcosa che per loro natura nessuno di loro può dare all’altro.
Quanta violenza, quanta delusione potrebbero essere evitate nel rapporto matrimoniale, se fosse compresa la natura propria della persona!
Questa mancanza di coscienza del destino dell’uomo conduce a fondare tutto il rapporto su un inganno, che si può formulare così: la convinzione che il tu può rendere felice l’io. Il rapporto di coppia, in questo modo, si trasforma in un rifugio, tanto desiderato quanto inutile, per risolvere il problema affettivo. E quando l’inganno si manifesta, è inevitabile la delusione perché l’altro non ha compiuto l’aspettativa. Il rapporto matrimoniale non può avere altro fondamento che la verità di ciascuno dei suoi protagonisti. È la stessa relazione amorosa che contribuisce in maniera particolare a scoprire la verità dell’io e del tu, e insieme con la verità dell’io e del tu si manifesta la natura della vocazione comune.

In effetti, «il mistero eterno del nostro essere» ci viene rivelato dalla relazione con la persona amata. Nulla ci risveglia, nulla ci rende tanto consapevoli del desiderio di felicità che ci costituisce, quanto la persona amata. La sua presenza è un bene così grande che ci fa cogliere la profondità e la vera dimensione di questo desiderio: un desiderio infinito. Ciò che il poeta Cesare Pavese dice del piacere si può applicare al rapporto amoroso: «Quello che l’uomo cerca nel piacere è un infinito, e nessuno rinuncerebbe mai alla speranza di raggiungere questo infinito».2 Un io e un tu limitati suscitano l’uno nell’altro un desiderio infinito e si scoprono lanciati dal loro amore verso un destino infinito. In questa
esperienza si rivela a entrambi la propria vocazione. Sentono la necessità l’uno dell’altro per non restare paralizzati nel proprio limite, senza altra prospettiva che la noia della solitudine.

Ma nello stesso momento in cui si rivelano a noi stessi le dimensioni senza limite del nostro desiderio, ci viene offerta una possibilità di compimento. Più ancora, intravedere nella persona amata la promessa del compimento accende in noi tutto il potenziale infinito del desiderio di felicità. Per questo non c’è nulla che ci faccia comprendere il mistero del nostro essere uomini meglio del rapporto fra un uomo e una donna, come ci ha ricordato Benedetto XVI nella Enciclica Deus caritas est: «l’amore tra uomo e donna, nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente, […] all’essere umano si schiude una promessa di felicità che sembra irresistibile, […] al cui confronto, a prima vista, tutti gli altri tipi di amore sbiadiscono».3
In questo rapporto l’uomo sembra incontrare la promessa che gli fa superare il proprio limite e gli permette di raggiungere una pienezza incomparabile.4 Per questo storicamente si è percepita una relazione fra l’amore e il divino: «l’amore promette infinità, eternità – una realtà più grande e totalmente altra rispetto alla quotidianità del nostro esistere».5
È l’esperienza che testimonia il poeta italiano Giacomo Leopardi nel suo inno ad Aspasia:

«Raggio divino al mio pensiero apparve,
Donna, la tua beltà».6

La bellezza della donna è percepita dal poeta come un “raggio divino”, come la presenza della divinità. Attraverso la sua bellezza, è Dio che bussa alla porta dell’uomo. Se l’uomo non comprende la natura di questa chiamata, e invece di assecondarla si ferma alla bellezza che vede davanti a sé, presto essa si manifesta incapace di compiere la sua promessa di felicità, di infinito.

«Or questa egli non già, ma quella, ancora
Nei corporali amplessi, inchina ed ama.
Alfin l’errore e gli scambiati oggetti
conoscendo, s’adira; e spesso incolpa
la donna a torto».7

Vuol dire che la donna, con il suo limite, desta nell’uomo, anch’egli limitato, un desiderio di pienezza sproporzionato rispetto alla capacità che essa ha di rispondervi. Suscita una sete che non è in condizione di estinguere. Suscita una fame che non trova risposta in colei che l’ha destata. Da qui la rabbia, la violenza, che tante volte sorgono fra gli sposi, e la delusione nella quale vanno a cadere, se non comprendono la vera natura del loro rapporto.

La bellezza della donna è in realtà “raggio divino”, segno che rimanda oltre, ad altra cosa più grande, divina, incommensurabile rispetto alla sua natura limitata.8 La sua bellezza grida davanti a noi: «Non sono io. Io sono solo un promemoria. Guarda! Guarda! Che cosa ti ricordo?».9 Con queste parole il genio di C.S. Lewis ha sintetizzato la dinamica del segno, della quale il rapporto fra l’uomo e la donna costituisce un esempio commovente. Se non comprende questa dinamica, l’uomo cade nell’errore di fermarsi alla realtà che ha suscitato il desiderio. Come se una donna che riceve un mazzo di fiori, rapita dalla loro bellezza, si dimenticasse del volto di chi glieli ha mandati, e del quale sono segno, perdendo il meglio che i fiori recavano. Non riconoscere all’altro il suo carattere di segno conduce inevitabilmente a ridurlo a ciò che appare ai nostri occhi. E prima o poi si manifesta incapace di rispondere al desiderio che ha suscitato.
Per questo, se ciascuno non incontra ciò a cui il segno rimanda, il luogo dove può trovare il compimento della promessa che l’altro ha suscitato, gli sposi sono condannati a essere consumati da una pretesa dalla quale non riescono a liberarsi, e il loro desiderio di infinito, che nulla come la persona amata desta, è condannato a rimanere insoddisfatto. Di fronte a questa insoddisfazione, l’unica via d’uscita che oggi tanti vedono è cambiare la coppia, dando inizio a una spirale in cui il problema viene rinviato fino al momento della prossima delusione.

Il poeta tedesco Rainer Maria Rilke ha identificato con singolare efficacia il dramma del rapporto amoroso, intuendo che entrare in questa spirale non può essere l’unica via d’uscita: «Questo è il paradosso dell’amore fra l’uomo e la donna: due infiniti si incontrano con due limiti; due bisogni infiniti di essere amati si incontrano con due fragili e limitate capacità di amare. E solo nell’orizzonte di un amore più grande non si consumano nella pretesa e non si rassegnano, ma camminano insieme verso una pienezza della quale l’altro è segno». Solo nell’orizzonte di un amore più grande si può evitare di consumarsi nella pretesa, carica di violenza, che l’altro, che è limitato, risponda al desiderio infinito che desta, rendendo così impossibile il compimento di sé e della persona amata. Per scoprirlo bisogna essere disposti ad assecondare la dinamica del segno, restando aperti alla sorpresa che questa possa riservarci. Leopardi ha avuto il coraggio di correre questo rischio. Con una intuizione penetrante del rapporto amoroso, il poeta italiano intravede che ciò che cercava nella bellezza delle donne di cui si innamorava era la Bellezza con la B maiuscola. Al vertice della sua intensità umana, l’inno Alla sua donna è un inno alla «cara beltà» che cerca in ogni bellezza; tutto il suo desiderio è che la Bellezza, l’idea eterna della Bellezza, assuma una forma sensibile.10 È ciò che è accaduto in Cristo, il Verbo fatto carne. Per questo Luigi Giussani ha definito questa poesia come una profezia dell’Incarnazione.11

Questa è la pretesa di Gesù, che troviamo in alcuni testi che a prima vista possono risultarci paradossali. «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa. Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; […] Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà. Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato» (Mt 10, 34-37; 39-40).

In questo testo Gesù si presenta come il centro dell’affettività e della libertà dell’uomo. Ponendo se stesso al cuore degli stessi sentimenti naturali, si colloca a pieno diritto come loro radice vera. In tal modo Gesù rivela la portata della promessa che la sua persona costituisce per quanti lo lasciano entrare. Non si tratta di una ingerenza di Gesù a livello dei sentimenti più intimi, ma della più grande promessa che l’uomo abbia potuto mai ricevere: senza amare Cristo, la Bellezza fatta carne, più della persona amata, quest’ultimo rapporto avvizzisce, perché è Lui la verità di questo rapporto, la pienezza alla quale l’un l’altro si rinviano e nella quale il loro rapporto si compie. Solo permettendogli di entrare in esso è possibile che il rapporto più bello che può accadere nella vita non si corrompa e con il tempo muoia. Tale è l’audacia della sua pretesa. In questo momento appare in tutta la sua importanza il compito della comunità cristiana: favorire un’esperienza del Cristianesimo come pienezza di vita per ogni uomo. Solo nell’orizzonte di questo rapporto più grande, come diceva Rilke, è possibile non consumarsi, perché ciascuno trova in esso il suo compimento umano, sorprendendo in sé una capacità di abbracciare l’altro nella sua diversità, di gratuità senza limiti, di perdono sempre rinnovato. Senza comunità cristiane capaci di accompagnare e sostenere gli sposi nella loro avventura sarà difficile, se non impossibile, che essi la portino a compimento positivamente.

Gli sposi, a loro volta, non possono esimersi dal lavoro di una educazione di cui sono i protagonisti principali, limitandosi a pensare che l’appartenenza alla comunità ecclesiale li liberi dalle difficoltà.
In ciò si rivela pienamente la natura della vocazione matrimoniale: camminare insieme verso l’unico che può rispondere alla sete di felicità che l’altro suscita costantemente in me, verso Cristo. Così si potrà non passare, come la Samaritana, di marito in marito (cfr. Gv 4, 18) senza riuscire a soddisfare la propria sete.

La coscienza della propria incapacità a risolvere da se stessa il proprio dramma, neppure cambiando cinque volte marito, le ha fatto percepire Gesù come un bene così desiderabile che non ha potuto evitare di gridare: «Signore, […] dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete». (Gv 4, 15).
Senza un’esperienza di Cristo come pienezza dell’uomo, l’ideale del Cristianesimo per il matrimonio si riduce a qualcosa di impossibile a realizzarsi. L’indissolubilità del matrimonio e l’eternità dell’amore appaiono come chimere irraggiungibili. In realtà esse sono frutto di una tale intensità dell’esperienza di Cristo che appaiono agli stessi sposi come una sorpresa, come la testimonianza che «per Dio nulla è impossibile». Solo un’esperienza così può mostrare la razionalità della fede cristiana, come totalmente corrispondente al desiderio e alle esigenze dell’uomo, anche nel matrimonio e nella famiglia.
Un rapporto vissuto così costituisce la migliore proposta educativa per i figli, che attraverso la bellezza del rapporto fra i genitori sono introdotti, come per osmosi, nel significato dell’esistenza.
La loro ragione e la loro libertà sono costantemente sollecitate a non staccarsi da tale bellezza; la stessa bellezza risplendente nella testimonianza degli sposi cristiani che gli uomini e le donne del nostro tempo hanno bisogno di incontrare.

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Note
1 Benedetto XVI, Apertura del Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma su Famiglia e Comunità Cristiana, in La Traccia, n. 6, 2005, p. 160.
2 C. Pavese, Il mestiere di vivere, Torino, Einaudi 2000, p. 190.
3 Deus caritas est, 2.
4 Deus caritas est, 4: «I greci – senz’altro in analogia con altre culture – hanno visto nell’eros innanzitutto l’ebbrezza, la sopraffazione della ragione da parte di una “pazzia divina” che strappa l’uomo alla limitatezza della sua esistenza e, in questo essere sconvolto da una potenza divina, gli fa sperimentare la più alta beatitudine. Tutte le altre potenze tra il cielo e la terra appaiono, così, d’importanza secondaria: “Omnia vincit amor”, afferma Virgilio nelle Bucoliche – l’amore vince tutto – e aggiunge: “et nos cedamus amori” – cediamo anche noi all’amore».
5 Deus caritas est, 5.
6 G. Leopardi, «Aspasia», vv. 33-34.
7 Ibidem, vv. 44-48.
8 Ct 8, 6-7: «Mettimi come sigillo sul tuo cuore, / come sigillo sul tuo braccio; / perché forte come la morte è l’amore, / tenace come gli inferi è la passione: / le sue vampe son vampe di fuoco, / una fiamma del Signore! / Le grandi acque non possono spegnere l’amore / né i fiumi travolgerlo. / Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell’amore, non ne avrebbe che dispregio».
9 C.S. Lewis, Sorpreso dalla gioia, Jaca Book, Milano 2002, p. 160.
10 G. Leopardi, «Alla sua donna», vv. 45-47 : «Se dell’eterne idee / l’una sei tu cui di sensibil forma / sdegni l’eterno senno esser vestita…».
11 Il tema è affrontato più ampiamente in: L. Giussani, Le mie letture

 

 

 

 

 

 

 

L'uomo non separi ciò

che Dio ha congiunto.

Venerdi 24 Febbraio 2006 ore 14:49:29

Viviamo tempi diffcili.
Le ultime statistiche, che ci sono state comunicate, hanno rilevato una forte crescita di crisi matrimoniali. Tantissime coppie, dopo aver coronato un sogno, alcune anche dopo anni di fidanzamento, vedono svanire come neve al sole tutti i loro progetti per poi ripiombare in un anonimato assurdo.

Mi astengo dal commentare le problematiche che ne hanno caratterizzato il rapporto di coppia, non ne ho la competenza, ma desidererei soffermarmi su quello che è il valore spirituale del matrimonio.
Questo andamento dovrebbe far riflettere moltissmo, anche perchè oggi le coppie non arrivano più al matrimonio impreparate ma, al contrario, frequentano i corsi pre-matrimoniali tenuti per lo più da esperti (avvocati, psicologi, sacerdoti ecc...).

Questo, evidentemente, sembra non bastare. Allora bisogna focalizzare l'attenzione sul valore spirituale del sacramento del matrimonio. Si perchè forse ce ne siamo dimenticati si tratta proprio di uno dei sette Sacramenti.

Il Vangelo di Marco (10, 1-12) ne da un'ampia spiegazione e potrebbe sollevare ogni dubbio in proposito:
... "In quel tempo Gesù, partito di là, si recò nel territorio della Giudea e oltre il Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli l'ammaestrava, come era solito fare. E avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: «E' lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?». Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all'inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L'uomo dunque non sepàri ciò che Dio ha congiunto».

Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adultèrio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adultèrio». Ora comprendiamo quanto importante sia il sacramento del matrimonio. Molti credono che il matrimonio sia basato sull'Amore. Questo è vero ma se non c'è sopportazione non pùò esserci neanche l'Amore.

 

 

 

 

 

 

 

Sono oramai circa 700 le

vittime di crisi familiari

Le istituzioni dello stato e la società civile non possono assistere impotenti.

 Occorre una politica familiare che si occupi di "educare" le giovani

generazioni e le prepari anche alle eventuali crisi matrimoniali:

una vera e propria "propedeutica al matrimonio e alla

costituzione o scioglimento di una famiglia".

 

di Prof. Giovanni Felice Mapelli

 

I Teologi del CENTRO STUDI TEOLOGICI di MILANO,(che avevano già istituito percorsi formativi per la famiglia in collaborazione con AGEDO ed altri Enti) a seguito dell’ultimo caso di tragedia famigliare accaduto a Caltanissetta lanciano l’allarme alle Istituzioni dello Stato perchè si occupino delle politiche familiari sin dagli anni scolastici con corsi di vera e propria "educazione al matrimonio e alla famiglia", come accade in altri Stati, in UE ed in USA.

 

L’ennesimo caso, dopo un’interminabile serie di fatti efferati che hanno visto le famiglie al centro, dovrebbero spingere le Autorità pubbliche a rendersi conto dell’impreparazione e dell’improvvisazione che si registrano nel campo familiare: i giovani di oggi - in una società complessa e fluida ,dove le famiglie facilmente si creano e poi si sciolgono - dovrebbero essere preparati a gestire le crisi matrimoniali con maggiore elasticità psicologica e con un bagaglio di conoscenze che permetterebbe loro di prevenire le crisi acute che spesso sfociano in vere e proprie tragedie.

 

La Chiesa - con i suoi corsi prematrimoniali tenuti nelle Parrocchie e nei consultori cattolici - ha cercato attraverso specialisti psicologi, sessuologi, giuristi, teologi di morale ed anche coppie di consolidata esperienza, di venire in aiuto ai giovani che formeranno una nuova coppia e famiglia, ma evidentemente occorre che lo Stato stesso si occupi maggiormente della materia, perchè negli ultimi anni - stando alle recenti statistiche sulle vittime delle crisi matrimoniali (circa 700 morti su un totale di varie migliaia di separazioni e divorzi) - il fenomeno è in preoccupante crescita e soprattutto aumentano i casi con epiloghi tragici.

 

In particolare emerge un dato - di per sè stesso molto significativo - ed è questo: gli uomini non riescono a gestire la frustrazione di un legame familiare finito, e dove la decisione della separazione è presa dalle donne, sovente essi arrivano a sopprimere la ex-moglie e in molti casi gli stessi figli, come accaduto in quest’ultima circostanza a Caltanissetta.

 

E’ il maschio - più spesso al Sud, anche se il fenomeno è diffuso a livello nazionale indistintamente - che non riesce a ricostruirsi una vita relazionale ed affettiva dopo la rottura martrimoniale, vissuta come "fallimento" personale e assoluto, ed è il maschio - spesso giovane o di media età - che ritiene la moglie quasi una sua "appendice", una sua proprietà, priva di autonomia e di vita indipendente, come in una sorta di "maschilismo di ritorno" nelle giovani generazioni.

 

Un novello maschilismo che "uccide la donna" perchè in fondo non ha accettato la sua piena libertà e dignità, ed è spaventato da una vita senza "riferimento al femminile", in altre parole non può far a meno della donna, ma ne teme l’autonomia e la libera scelta e perciò la uccide, spesso con estrema violenza.

 

I figli poi che vengono soppressi sono anch’essi ritenuti una proprietà del maschio e del padre (l’antico "jus vitae et mortis" - diritto di vita e di morte - che si usava sotto l’impero romano), e non sono neppure considerati come persone in crescita, con diritto di libera scelta e di avvenire.

 

I figli vengono così trascinati nella crisi dei genitori e - senza colpa alcuna - annientati.
Di fronte a queste situazioni devastanti, per ignoranza e impreparazione, e all’assenza di "cultura matrimoniale e familiare ", lo Stato ha il dovere inderogabile - attraverso il Ministero per gli Affari sociali e i Ministeri della Pubblica Istruzione e della Sanità - di istituire percorsi formativi concreti, continuati e qualificati e fornire sostegni adeguati.

 

 

APPROFONDIMENTO

CENTRO DI PREPARAZIONE AL MATRIMONIO

  Con un'esperienza decennale